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Autore: Ciuscream    06/07/2023    4 recensioni
A Niny.
È dura scoprire a diciassette anni che ci sono uomini che mantengono la parola data, anche se è la peggiore che ti potessi aspettare. Così, ha concesso solo qualche passo di danza a Jesper, si è fatta dedicare un pezzo al piano da Wylan e una richiesta in denaro da Kaz.
[Questa storia partecipa all’iniziativa “Do you want to know a secret?” indetta da JeremyMarsh sul Forum Ferisce la Penna - Matthias/Nina, Highschool!AU]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Matthias Helvar, Nina Zenik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Niny, 

sperando che ti possa strappare un sorriso.

 

Piove. Una tenda di gocce sottili, invisibili, si riversa dal cielo come una polvere. Sembra quasi non bagnare, eppure la pelle è umida, costellata da centinaia di piccole, minuscole, perle d’acqua. Polpastrelli affondano nella carne, scivolano avanti e indietro, danzano sulla pelle chiarissima che copre il quadricipite, mescolano sudore e pioggia. Premono e spaccano il crampo, sedano quel suo tirare, quel suo irrigidirsi d’improvviso.

La pallida luce dell’alba si frange sul chiarore di quella pelle, su quella mancanza tanto sfacciata di melanina, e schiarisce il colore dei capelli di per sé tanto insolito, un biondo slavato e nordico che niente ha del Colorado addosso – quello di Matthias Helvar. Come invece lei sia apparsa lì, come appaia sempre, all’improvviso, come una visione miracolosa o qualcosa che le somiglia terribilmente, Matthias non sa dirlo. Eppure, Nina Zenik – una felpa dal cappuccio sopra la testa e un pigiama con gli orsetti che sbuca sotto – era pure lì, nel vialetto dietro la Westminster Highschool, proprio mentre un crampo lo aggrappava alla gamba sinistra e lo azzoppava in un lunedì mattina qualsiasi, dove una pioggerellina leggera annebbiava i contorni alle cose. Tutti, tranne quelli di lei, nitidi anche in mezzo alla foschia che svela un sole che non vuol sorgere, che illumina di un grigio pallido una notte molto più resistente.

“Ahia!” 

Un sibilo e un grugnito, un verso che li mescola. Nina sbuffa. 

“Certo che, per essere un bestione del genere, ne fai di storie”

Matthias vorrebbe non sorridere ma lo fa – lei lo segue. Ha la faccia ancora gonfia di sonno eppure c’è tutta la bellezza morbida che emana di solito, soprattutto ora che è priva di tutti gli orpelli del caso: i capelli non scivolano in onde morbide sulle sue spalle, i confini meridionali delle sue palpebre non sono dipinti di un eye-liner deciso e perfetto,  le labbra non sono gonfiate e lucidate da un intruglio che le fa brillare. È bella e basta, bella senza provarci, bella di quella bellezza che a Matthias dà quasi fastidio, da cui si sente minacciato. Non quella mattina, però, non quando le sembra così simile a lui, una volta tanto.

“Dovresti truccarti meno, staresti molto meglio così”

Nina, una pomata per sciogliere i muscoli in mano e un’espressione di sorpresa in faccia, lo fissa come se le avesse offeso tutte le antenate fino alla capostipite. Interrompe quel suo massaggio raffazzonato e, d’improvviso, la bolla in cui si erano rintanati per qualche istante scoppia. Ora sono lì, uno seduta a terra, l’altra accovacciata al suo fianco, nel mezzo della strada che porta a scuola, con i capelli bagnati sulle punte da una pioggia che non ci ha creduto abbastanza, le espressioni ebeti di chi non si accorge bene di cosa stia facendo. 

Nina fessurizza gli occhi, li pianta nei suoi, si alza di scatto. Lascia la pomata lì accanto a lui e lui in mezzo alla strada, la pelle arrossata dove è arrivato quel suo improvvisato massaggio, sbucata dal nulla e nel nulla pronta a tornare. Fa per andarsene.

“Dovresti parlare meno, la tua compagnia sarebbe molto più apprezzabile”

Matthias apre la bocca ma non esce nulla – non riesce a controbattere alla verità, le parole sono fatte di vento, non riesce a dargli forma. La vede sbiadire mentre si allontana, mentre diventa una chiazza che si confonde nella macchia informe di colore che è il mondo.

E, all’improvviso, la sveglia suona sul suo comodino, riportandolo alla realtà.

 

Il lupo e la fiera

 

Matthias va a letto presto e altrettanto presto si sveglia. Dorme un sonno ristoratore e senza sogni, il sonno che non è coccola ma semplicemente un ricaricarsi di batterie, un lenitivo alla fatica. Va a letto presto, si sveglia altrettanto, scende di casa per andare a correre quando anche il sole è ancora svogliato e indugia in albe lunghissime. Da qualche giorno – da quando ha sognato, per la prima volta dopo tantissimo tempo, di incontrare Nina in mezzo alla strada – ha cambiato il suo percorso, forse senza rendersene conto. Alla stessa ora, si ritrova a passare proprio lì, in quel brandello di strada, e ad alzare gli occhi sulle tende tirate delle case, a vedere se da qualcuna di quelle possa sbucare il suo viso pallido. Se ne vergogna quasi subito, torna indietro ma la mattina dopo ripete lo stesso rituale, come se fosse un richiamo più atavico di quello che è disposto ad ammettere. Soprattutto perché la protagonista dei suoi sogni – contro ogni logica e contro ogni suo desiderio – è sempre e comunque Nina Zenik. Nina che ha sempre un sorriso sornione stampato in faccia, che saluta tutti e da tutti viene salutata, che calamita sguardi e risate, che è oggetto di complimenti e critiche in egual misura, ma che serpeggia sulla lingua di tutti. Odia il chiacchiericcio che si porta dietro, odia il modo in cui lo guarda insistentemente o lo ignora, imbarazzandolo in uno e nell’altro caso. Se il destino non è beffardo con lui, Matthias non saprebbe dire con chi altro: trasferito da un Paese di cui nessuno riesce ad indovinare la pronuncia, la prima persona incontrata in quella scuola nuova è stata proprio lei. Vicini di armadietto, lontani leghe e leghe per storia e diletti. O, almeno, così crede lui, visto che non ha avuto il coraggio di rivolgerle più di qualche saluto rabbioso e biascicato che lei ha ricambiato fintamente svogliata. Ogni mattina la ritrova lì, occhi scuri e caldi che scintillano, a sezionarlo con poco pudore. Pudore… è convinto che la parola le sia sconosciuta. Perché Nina parla a voce troppo alta, saluta tutti con un bacio che schiocca, lascia scoperta la valle che dal collo le scivola al seno, come se tutti intorno a lei fossero immuni alla voglia di caderci dentro. Come se fosse immune lui

Sicuramente non ne è immune Jesper Fahey, alto e dritto eppure morbido, dinoccolato, capitano della squadra di Basket – i Crows. Lui le passa accanto, sorride di un sorriso a tutti denti che, con un dolore in mezzo alla pancia di Matthias, Nina ricambia con lo stesso ardore. Lui le intreccia un dito ad una ciocca, la arrotola intorno alla pelle scura e poi le snocciola un complimento qualsiasi, quelli che fanno arrossire mezza scuola ma non lei. Matthias è troppo ingenuo per capire quanto quella sia tutta una messinscena, quanto gli occhi di Jesper brillino solo quando incontrano un piccolo nerd dai capelli carota. E quindi, nel frattempo, si fa mangiare il fegato. Perché lui non avrà mai il coraggio di sorridere a quel modo, né di allungare una mano verso di lei, né di biascicare un “Buongiorno” che sembri quantomeno pensato. Lui si sente a suo agio solo quando, infangato dalla testa ai piedi, stremato, termina l’allenamento con la squadra di football – i Wolves – e lascia che una doccia calda gli sciolga i muscoli che urlano di dolore. Proprio come nei suoi sogni aveva fatto la mano di Nina. La mano di Nina che, nella realtà, è sempre troppo troppo lontana dalla sua pelle. 

 

*

 

La chiamano “la spaccacuori” perché, alla Westminster Highschool, si dice che non c’è nessuno che resista al cioccolato fuso dei suoi occhi. Forse, può ignorarla giusto quel pezzo di legno di Kaz Brekker e la stampella che si porta sempre appresso. Un dolore psicosomatico, dicono – “un dolore psicopatico”, li corregge Nina. Oppure quel bestione europeo e slavato, che sembra trovarsi a suo agio giusto sul campo da gioco e meno fra i banchi di scuola. Dal suo arrivo, Matthias non ha legato con nessuno ma si vocifera sia andato sempre avanti (e bene) perché il preferito del Professor Brum… e, si sa, che le cattiverie vanno assai più veloci della verità. Brum, invece, di Nina non vuol sentir parlare – nessuno si spiega il perché. Si dice sia colpa sua se non è diventata cheerleader né per una né per l’altra squadra e che, al massimo, l’abbia tenuta in panchina, a scaldare muscoli e sciogliere crampi, che di forme tanto morbide lui ha sempre voluto sentir poco parlare, maniaco com’è di fisici asciutti e diete al milligrammo.

La verità è che di volare per aria ed essere ripresa da polsi tanto stretti, Nina non è mai stata curiosa: piuttosto, ha sempre voluto rendersi utile in altri modi, curare, che tanto gli sguardi li ha sempre rubati anche così (forse, ancor di più). Quindi, anche se non balla in gonnellino al ritmo di musiche opinabili e non ammicca alla mascotte lupesca con finto desiderio, tutti sanno che la Reginetta del ballo d’inverno, quest’anno, non potrà che essere lei. Non solo perché questo ballo lo ha organizzato da capo a piedi, sia chiaro. Ma perché da capo a piedi c’è chi la fissa di nascosto, dietro un armadietto magari.

 

*

 

I tramonti dell’inverno sono sempre troppo precoci, strappano ore al giorno e le regalano ad una notte buia e fredda. Quando lame di rosso e rosa iniziano a sfilare, mescolandosi, nella piccola stanzetta del Club dei Corvi – uno sgabuzzino con due o tre sedie “per amanti del gioco del basket” – gli ultimi studenti stanno sfilando via dalla scuola per lanciarsi in un pomeriggio che muore. 

Un accrocchio umano abbastanza atipico è appollaiato qua e là sui banchi dello stanzino e sembrano esser stati assortiti lì tutti assieme per puro caso, una tombola di esseri umani. Jesper, stravaccato, sbadiglia e sistema la camicia all’interno della divisa, stropicciata da chissà quali mani. Nina lima le unghie alla bell’e meglio e le fissa con un’intensità assoluta, giusto per non alzare lo sguardo e trovarsi a fissare la smorfia del ragazzo che la studia dall’altra parte della stanza. Sa che non è mai un bel segno quando Kaz Brekker resta concentrato così tanto a lungo su una cosa sola. Wylan smanetta su un pc portatile.

 

“Devi andare tu a vendere i biglietti della pesca di beneficenza” 

Se c’è una cosa che Kaz Brekker proprio non sa fare è chiedere per favore, è difettoso di educazione fin dalla nascita. Nina registra l’affermazione ed alza un sopracciglio ma non lo sguardo; ancora lima. 

“Brekker, per questo Ballo ho già duemila cose da fare. Perché devo andare io? Non può farlo qualcun altro? Non puoi farlo tu?”

Kaz, mento affilato e sguardo altrettanto, la fissa con quello che sembra disgusto o compatimento o uno strano mix di entrambi. 

“Zenik, fattelo dire: secondo me Brum ha ragione… non sei molto sveglia. Secondo te, si farebbero spillare cinque dollari più volentieri da me o da te?”

Nina sbuffa di nuovo, perché, a malincuore, sa che Kaz ha ragione. Sbuffa soprattutto, però, perché Inej, gambe penzoloni giù dalla finestra, i capelli corvini raccolti in lingua treccia sulla spalla su cui si frange il rosso del sole, annuisce piano, sovrappensiero.

“Inej, non ti ci mettere anche tu!”

La ragazza abbozza un sorriso e poi si chiude nelle spalle, la sua ombra proiettata sul pavimento ne segue ogni movimento flessuoso, vibra come il suo corpo. 

“È la verità, Nina. Tutti odiano Kaz… a ragion veduta, ovviamente. Tu sei la futura Reginetta del ballo, tu devi vendere i biglietti, sennò non riusciremo mai a raggiungere la cifra che ci serve. Riuscirai a spillare soldi a tutti, Helvar compreso, ne sono sicura”

Le lusinghe di Inej sono sempre morbide come la sua voce o come i suoi movimenti. A Nina, a volte, sembra fatta d’aria, impalpabile, eterea. Lei sì che sarebbe stata una cheerleader perfetta – la migliore, l’imbattibile. Invece è rimasta sempre nell’ombra, un passo indietro, silenziosa, attenta, felina. Invisibile a (quasi) tutti. 

“Al bestione devi venderlo doppio: uno per lui, uno per il suo amichetto Professore”

Nina scuote la testa, sbuffa ancora, torna a fissarsi le unghie. Non ha tempo di occuparsi anche di questo, ché il derby tra blu e viola come colore del Ballo non si vincerà da solo. E poi c’è il catering da contattare, la band a cui fare casting, un vestito ancora non scelto, un’acconciatura da provare.

Però sa che è vero: non che si immaginasse di trovarsi messa in mezzo al racket di biglietti di Kaz Brekker, sia chiaro, però si è lasciata convincere. Non che ci sia voluto molto, perché lo zoppo non è tipo da prendere strade panoramiche per domandare: sulle cose da dire arriva dritto e preciso, fin troppo a volte.

“Dobbiamo guadagnare un po’ sui biglietti della pesca di beneficenza, tanto Brum darà tutto il ricavato a quella stupida squadra di football. Ci devi aiutare. So che lo odi quanto me, quindi non provare nemmeno a far finta di soppesare l’idea. Ci stai?”

E, alla fine, Nina ci è stata. Adesso, però, in un pomeriggio che scivola piano verso la sera, un po’ se ne pente.

 

*

 

Quattrocentotrentatre biglietti venduti. Le più rosee aspettative di Kaz Brekker sono state superate, anche se dirà che si poteva fare meglio. Nina, il blocchetto stretto in mano e un quadernino con fila e fila di nomi segnati, torna all’armadietto raggiante – è sempre la migliore e anche Brekker dovrà capitolare ed ammetterlo. Ha la testa leggera quando scivola verso quella gabbia in acciaio che contiene e riassume i suoi pochi averi e i tanti ricordi di scuola; la apre e richiude con poca grazia e mormora qualcosa a mezza voce quando – “Parli da sola?” – la faccia burbera di Matthias Helvar appare lì accanto. 

È sudato, probabilmente ha finito da poco un allenamento; piccole perle di sudore gli si sono aggrumate sulle tempie, incollano e intrecciano ciocche chiarissime alla sua pelle. Ha gli zigomi arrossati e il colore ne addolcisce i tratti duri. Sembra più morbido, sedato da una stanchezza che Nina pensa – quasi stupita – gli dona terribilmente. La maglietta con la testa di lupo della squadra di football è sporca di fango e di quello che, ad una prima occhiata, sembra sangue. Nina nota un piccolo taglio sul mento, proprio sotto al labbro, nell’angolo sinistro della bocca, quello più lontano da lei. Si perde per un secondo nei millimetri chiarissimi della sua barba, nella meticolosità nordica che ha aperto una falla alla dimenticanza, ad una piccola sciatteria che la consola. È umano anche lui, dopotutto. 

Ma la campanella suona e lei si riprende quasi all’improvviso da quel breve vagare, da quel perdersi nei suoi sentieri di pelle e di pori.

“Sì, da sola! Sempre più facile che parlare con te”

Matthias la guarda, soppesa un pensiero, un’ombra gli attraversa lo sguardo e, alla fine, quasi arreso, sorride. Gli angoli della bocca si alzano piano, come sorpresi dal loro stesso gesto, e Nina è sicura sia davvero lo stordimento della fatica a rabbonirlo a quel modo. Ne approfitta, divaga, stacca gli occhi dalle sue labbra e gli sventola davanti al naso il blocchetto dei biglietti, un arcobaleno di carta riciclata. 

“Per caso vuoi due biglietti per la pesca di beneficenza? L’estrazione finale sarà durante il Ballo di sabato”

Matthias tace per un attimo, poi scuote la testa. 

“No”

Due lettere, una sillaba che nella sua pronuncia sporcata dal nord suona dura, suona di lama, senza sconti o ripensamenti. Nina si perplime appena.

“Come no?”

“No”

“E perché no?”

“Perché non verrò al Ballo sabato, non mi interessano queste cose”

Nina lo guarda con tutta la sorpresa che riesce a concentrare in un’occhiata sola: vorrebbe risultare convincente ma non lo è. Più che sorpresa, sente strisciarle da dentro la pancia qualcosa che assomiglia di più alla delusione, uno stridio che le cala sui timpani, che li ovatta. Si rintana in corner.

“Dimenticavo: Helvar non frequenta i posti dove ci si diverte”

“Se bere fino a stordirsi e vestirsi come uno stoccafisso significa divertirsi, allora no, non frequento quei posti”

L’umore cambia rapido, una nuvola passeggera e meschina; la porta dell’armadietto di Matthias sbatte appena, tremando sui deboli cardini di metallo. Lo guarda infilarsi lo zaino in spalla, lo sguardo indurito, le sopracciglia che tornano a sporgersi una verso l’altra, in quell’espressione tanto sua che potrebbe riconoscerla tra mille altre.

Non ci riesce, comunque: il suo cipiglio minaccioso la farà per sempre ridere. 

“Invece le docce? Quelle sono posti che frequenti? Perché sei sporco da capo a piedi”

Matthias la guarda e dagli occhi volano fulmini; sbuffa dal naso e se ne va, mollandola lì con il blocchetto colorato che ancora le penzola dalla mano.

“Ehi, i biglietti!”

 

*

 

Piove. Una tenda di gocce sottili, invisibili, si riversa dal cielo come una polvere. L’alba spintona il buio e inizia a velare le case di una rosa sporcato di grigio e di nubi basse e passeggere. La musica della festa sta scemando nell’aria che circonda la palestra della scuola, rimangono solo dei bassi che fanno vibrare i vetri e cori di voci che si perdono in lontananza. Nina cammina nel vialetto dietro la Westminster con la corona ancora sulla testa, leggermente cadente a sinistra, con qualche ciocca di capelli che si è incastrata a un rubino in plastica. Ha un abito da sera leggero, in seta, di un rosso vermiglio screziato da arabeschi di nero (“Un cimelio di famiglia”). Alla fine, è diventata davvero la reginetta del Ballo ma ha deciso di rimanere senza re; non ha fatto il classico lento di rito perché – occhi a perlustrare la stanza – lui non è mai arrivato davvero. È dura scoprire a diciassette anni che ci sono uomini che mantengono la parola data, anche se è la peggiore che ti potessi aspettare. Così, ha concesso solo qualche passo di danza a Jesper, si è fatta dedicare un pezzo al piano da Wylan e una richiesta in denaro da Kaz. Per il resto, è rimasta con Inej affacciata alla finestra del secondo piano, dietro lo sgabuzzino delle scope, a lasciare che il vento di dicembre le sconvolgesse i boccoli e le sciogliesse il rimmel; si è data solo dopo ad un civettare selvaggio con il resto dei partecipanti alla festa. Ora, sulla strada del ritorno, sente lo stesso vento che soffia sulla lunga gonna, a farle svolazzare la stoffa e non permetterle di strusciare a terra. Non sa che ore siano; sa che sta morendo un giorno e un altro ne sta iniziando e, con quello, le vacanze di Natale. Sorride, sbadiglia, termina il sorriso – un lieve sentore di sangria le risale la gola con uno schiocco. Il viso è bagnato da quella che sembra brina, la pioggia continua imperterrita ma quasi impercettibile. Alza lo sguardo e, nel buio che precede il giorno, i lampioni aprono spiragli di luce troppo flebile. Una figura attraversa il suo orizzonte; manca un battito. Non si aspettava di trovare qualcuno in quella via breve e poco frequentata, non a quell’ora. Questa si fa pian piano più vicina e il batticuore cresce appena, insieme ad una paura che non ha fattezze reali, ne è solo l’ombra sbiadita e pallida, irrazionale. A Westminster non succede mai nulla, né in male né in bene, ma ci sono zone che è meglio non frequentare; la scuola è abbastanza lontana dal quartiere di Stave ma ormai la paura viene affibbiata insieme al doppio cromosoma X, non c’è donna che possa camminare sicura di essere al sicuro. Così, Nina trattiene per un attimo il fiato quando un uomo, spalle grandi e larghe, viso nascosto da un cappuccio tirato su, letteralmente corre nella sua direzione. Maledice di aver rifiutato ogni invito per essere riportata a casa ma era talmente vicina da considerarsi inattaccabile e forse sbagliava – alcol e incoscienza sono uno dei mix più letali.

Il resto sono frazioni d’attimi: non può più nascondersi dietro macchine o alberi perché il ragazzo che arriva verso di lei ormai dista davvero pochi metri. Così, prende il telefono dalla borsetta e finge di leggere qualcosa di estremamente interessante, scrollando con vigore pagine di nulla. Conta i secondi che li dividono, con il respiro che si è piantato alle costole e non sembra sfumare ai polmoni: tre, due, uno… Poi, una voce frange l’aria e si stira sui suoi nervi tesi, dandole un piccolo tremito di spavento e sorpresa. 

“Nina…!”

Alza lo sguardo di scatto: non aveva mai sentito quella voce pronunciare il suo nome. Quattro misere lettere sporcate dal suo accento, dalla sua sorpresa, da un sonno spezzato da poco, da una felicità puerile. Avverte tutto nel silenzio profondissimo che li circonda, legge tutto questo in quel suono brevissimo. Lo guarda: ha una felpa con il cappuccio ma senza maniche, un paio di pantaloni corti, i capelli bagnati sulle punte da quella pioggia che scema. Solo quelli davanti sono stati raggiunti dall’acqua e si sono allagati come il resto del suo viso. La cosa più acquosa di tutte, però, è il suo sguardo, i suoi occhi che si sono fatti enormi di una sorpresa che Nina non riesce a spiegarsi appieno ma che condivide, totale e incontrastata.

“Helvar… che ci fai qui?”

Matthias toglie le cuffiette dalle orecchie e le rifila lesto in tasca; la guarda, da capo a piedi, con un pudore abbandonato ai sogni e un’urgenza palese.

“Perché sei in questa strada?”

La domanda la spiazza; un’espressione interrogativa in volto, Nina alza le spalle.

“Perché… ci vivo?”

Matthias la guarda e soppesa la risposta. Nina non sa nulla di sogni e di crampi, di una pioggia tanto simile a quella di quella mattina e di percorsi cambiati e speranze spezzate. Quindi, il ragazzo minimizza, cambia argomento, lascia cadere quella domanda che non avrebbe mai dovuto porre.

“Ah… non ti avevo mai vista qua”

Mente, malissimo. E se Nina non fosse così presa ancora da spavento e sorpresa, forse se ne accorgerebbe.

“Come mai non sei venuto?” Glielo chiede così, a bruciapelo.

“Te l’avevo detto… non sono cose per me”

“Lo so ma speravo cambiassi idea”

Matthias si ammutolisce per un attimo, cerca con gli occhi la riga di mezzeria della strada.

“Davvero? Perchè?”

Per ballare insieme, Nina vorrebbe rispondere. Per vedere se quelle spalle possono reggere il peso non così esiguo del suo corpo, valere ogni sua curva. Per far vedere a Brum che aveva ragione lei, che è vero che il suo pupillo le pianta sempre gli occhi addosso, che non è tutta una sua fantasticheria. Per scoprire se la sua pelle bianca è anche fredda oppure colore e calore seguono strade separate su di lui. Per tante cose, tante che Nina adesso non può dire. 

Passa le mani sotto gli occhi, a rubare coi polpastrelli un po’ di nero colato a rimmel e eye-liner, cercando di sistemarsi come può. Matthias è ancora piantato lì accanto a lei, immobile come si è fermato.

“Per vedermi incoronata Reginetta, ovviamente, e rosicare un po’.” Fa per sorridere ma quello che esce è una strana smorfia. “Mi accompagni fino a casa?”

Matthias torna sul suo viso, non senza fatica, e poi annuisce appena. Si avviano, silenziosi e vicini, opposti e contrastanti, stagliati in una luce pallida e una foschia che va via via scemando. 

 

La casa di Nina non è lontana da dove Matthias l’aveva sognata; il pensiero di quella coincidenza gli scalcia in pancia, lui che è tanto razionale nella vita quanto cieco nella fede e nelle coincidenze che ne sono il frutto. La pioggia ha ormai smesso di cadere e il sole inizia a spintonare dietro le case, facendosi spazio tra striature grigiastre. Sente i muscoli indolenziti ma non dalla fatica; sente il corpo formicolare, presente e assente come non lo aveva mai sentito. Nina si ferma di fronte ad un ingresso e alza lo sguardo su di lui con una lentezza che pare estenuante; involontariamente, stanno cercando di trascinare quel momento avanti, senza trovargli una fine – ché una degna non ci sarebbe. Poi, Matthias allunga la mano verso il viso di lei: il gesto repentino e fulmineo di chi è abituato ad avere i riflessi pronti. Nina è sorpresa, chiude gli occhi, ma la mano arriva alla sua sinistra, a stringere la corona che aveva perso l’appiglio sui suoi capelli e stava precipitando a terra.

Lui la fissa, sorride a metà.

“Pensavi ti colpissi? Ti ho spaventato?”

Nina lo guarda come se avesse perso svariati neuroni tra le botte prese in partita; scuote la testa, ora che può farlo più liberamente senza la corona in equilibrio precario.

“No, Matthias.” Lo sguardo di chi conversa con un senza speranze è palese. “Ovviamente, non pensavo che mi avresti colpito…”

“E perché hai chiuso gli occhi?”

Nina lo fissa e non si trattiene; ride, di gusto. Ride dell’innocenza, del pudore, del modo bambinesco ma non infantile di stare al mondo di quell’energumeno tanto grande e tanto bello e tanto nordico e spaventoso. Si avvicina a lui, un vago odore di bagnoschiuma la investe. Stringe il palmo contro il polso della mano che tiene la sua corona, sente il sangue pulsare anche sotto la pelle spessa; si fa appena forza sfruttando l’appiglio, approfitta della sua sorpresa e gli stampa in bocca un bacio rapido, che mescola sangria e dentifricio. Sente per la prima volta distintamente l’odore della sua pelle e del suo profumo, lo registra per il futuro, lo archivia già tra quegli aromi che ti artigliano la pancia e che ti concedono come sola opzione la resa. Matthias rimane immobile.

“Pensavo mi baciassi. Ma qua devo fare tutto da sola”

Nina si stacca a fatica e parla con parole che sono respiri. Quello di Matthias non lo avverte più, perso com’è in un’apnea benefica. 

Un rumore di plastica e ghiaino frange l’aria; la corona è caduta a terra, Matthias l’ha lasciata andare. Ma la reginetta del Ballo no, quella non potrebbe mai. Così, ritorna alle sue labbra, schiude le proprie, lascia che alla saliva si mescoli il desiderio, l’urgenza, la necessità. Nina stira le labbra in un sorriso. Si stacca da lui solo per un attimo, con un ansimo lieve.

“Ci voleva tanto?”





 

Note: questa storia partecipa all’iniziativa “Do you want to know a secret?” indetta da JeremyMarsh sul Forum Ferisce la Penna. Il regalo è tutto per Niny, che aveva chiesto una Nina/Matthias e aveva suggerito una Highschool!AU. Perdonami, non so come sia il risultato, io e le storie che non finiscono in tragedia non andiamo d’accordo. Spero di averti almeno strappato un sorriso <3
Per quanto riguarda la storia, ho deciso di non inventarmi una Ketterdam: ho scelto di ambientare la storia in Colorado, a Westminster, solo perchè hanno effettivamente una squadra chiamata Wolves. Povera me.
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui! Un abbraccio

 
   
 
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