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Autore: coldcatepf98    15/07/2023    2 recensioni
Gojo ha da poco adottato Tsumiki e Megumi, ancora deve abituarsi alla vita da genitore che si consumano i primi drammi: Tsumiki ha un festival a scuola e si ricorda di dover portare un dolce fatto in casa soltanto la sera prima, quando le pasticcerie della zona sono chiuse da ore.
Notoriamente conosciuto per riuscire in qualsiasi cosa che tenti di fare, Gojo è in seria difficoltà e dovrà chiedere aiuto ai suoi amici.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fushiguro Megumi, Geto Suguru, Gojo Satoru, Ieiri Shoko, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Nonostante in qualsiasi cosa si applicasse fosse capace di ottenere risultati brillanti, la sua prodigiosità, scoprì quella sera, non si estendeva anche alla cucina. Gojo aveva cercato per ore di ricordarsi la ricetta del manzo al curry di sua madre, per poi scoprire con una telefonata che lei non aveva mai nemmeno mosso un dito in cucina. Avrebbe dovuto aspettarselo con tutti i domestici che giravano per casa sua, ma chissà perché aveva avuto sempre l’idea che sua madre potesse avere non solo qualche propensione in cucina, ma addirittura un ricettario di famiglia.
- Oh Satoru, non essere sciocco! – la voce di sua madre oltre la cornetta era a dir poco divertita – Mi dispiace solo non poterti dare il numero del nostro cuoco!
Le aveva chiuso il telefono in faccia, in qualunque posto di villeggiatura extralusso fosse, non gli sarebbe tornata d’aiuto in alcun modo.
Il dramma era iniziato quando era arrivata ora di cena e Tsumiki si era ricordata che il giorno dopo avrebbe dovuto portare un dolce per il festival della scuola, le pasticcerie erano ormai tutte chiuse e Gojo aveva risposto noncurante dicendo che avrebbe potuto portare delle caramelle, facendo scoppiare la bambina in lacrime. Megumi gli aveva dato un calcio sulla tibia e il caos che aveva scatenato con quelle poche parole l’aveva convinto ad accontentarla.
Gojo all’inizio aveva accettato la sfida con una certa euforia, svanita nel nulla quando a metà della preparazione di cena e torta si era reso conto di non sapere minimamente la ricetta da seguire né per una né per l’altra. Aveva cercato di contenere il panico per non far spazientire i due fratellini già esagitati e soprattutto perché Megumi non aspettava altro che un suo errore per prenderlo in giro.
Quindi adesso Gojo si ritrovava davanti ai fornelli, sporco di farina e uova, a strisciare l’indice sul tablet davanti ai fornelli per trovare una ricetta da seguire. Lo schermo si era sporcato in fretta, una lunga striscia oleosa si faceva sempre più spessa man mano che ci ripassava il dito sopra, mentre una miriade di impronte digitali gli rendeva la lettura degli ingredienti e dei procedimenti quasi impossibili da leggere. Alle sue spalle i due, stufi di disegnare, stavano cominciando a fare più chiasso coi loro giochi, minando la sua concentrazione.
- Perché lo dici con quel broncio?! È “mi piace molto il suo vestito signorina Hime.”
- Pff. Lo dico come mi pare.
- Devi sempre fare così, stupido istrice…
- Non sono stupido! 
- AH! – Tsumiki era poi scoppiata a piangere.
- Ehi! – Gojo si era voltato di scatto, Megumi aveva ancora la coda della sorella nella mano – Lasciala! 
Il bambino aveva lasciato la coda controvoglia, mentre lei con gli occhi ancora lucidi gli aveva fatto la linguaccia.
- A me non piace giocare con le bambole.
- Ci vorrà ancora poco. – disse Gojo rigirandosi – Abbiate pazienza.
Diamine. Si pulì le mani sul grembiule, mentre si mordeva il labbro inferiore. Pensò che si fosse arreso troppo presto col giro di chiamate per chiedere aiuto, a pensarci ancora meglio non c’era stato alcun giro di chiamate.
Prese il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni e aprì la rubrica, scrollò tra i nomi per qualche secondo e pigiò il nome di Shoko, aspettò col cellulare all’orecchio pregando che gli rispondesse.
- Ehi Satoru.
Gojo tirò un sospiro di sollievo: - Yo Shoko. Posso chiederti una cosa veloce?
La sentì esitare qualche secondo: - Mh, sì.
- Lo sai fare il manzo al curry?
- Con la salsina densa! – gridò Tsumiki, mettendosi in piedi sulla sedia.
- Mmh, il manzo al curry dici… – Gojo si voltò verso i bambini facendo segno di abbassare la voce – Sì, perché no.
- Perfetto. Puoi… – abbassò la voce per non farsi sentire dai due mocciosi alle sue spalle – Puoi dirmi come si fa?
- Oddio… è abbastanza semplice. – Gojo sorrise a trentadue denti, incastrò il cellulare tra l’orecchio e la spalla e afferrò il tablet per prendere appunti.
- Prendi il manzo, lo metti nella farina, fai un po’ così, poi lo metti lì, fa fare fush, lo giri, lo prendi, metti il riso ed è pronto.
Gojo rimase impietrito, senza la forza di ribattere.
- … Eh?
- Non hai capito?
- Come dire…
Sentì Shoko sbuffare: - Argh, è semplice, te l’ho detto: col manzo ci fai la farina, lo lasci un po’ così, lo metti in quel coso lì, giri, fa fush e bum. È pronto.
Lui inarcò un sopracciglio: - Dovresti proporre a Yaga di metterti ad insegnare sai?
- Non trovi anche tu? Credo di essere abbastanza portata… ma, aspetta, stai cucinando tu?
- Me l’hanno chiesto Tsumiki e Megumi.
La ragazza dall’altra parte della cornetta ridacchiò: - Fico. Chiamami la prossima volta che cucini, vorrei proprio assaggiare qualche tua creazione.
- Perché non vieni ora? – le chiese speranzoso.
- Nah, niente da fare, sono fuori con qualcuno.
A Gojo caddero le braccia sconsolato, gli sfuggì il telefono che bloccò con l’energia malefica, lo afferrò e lo portò di nuovo all’orecchio: - Va bene, grazie Shoko. Ci vediamo a scuola.
- Bye bye. In bocca al lupo con gli scriccioli.
Gojo chiuse la chiamata scuotendo la testa. Inutile chiederle anche della torta, aveva ingenuamente ignorato le scarse capacità esplicative di Shoko per semplici meccanismi: era riuscito a decifrare quel suo strano modo di spiegarsi solo una volta, ed era stato solo perché si trattava di vita o di morte. Sospirò, dietro di lui i due bambini avevano iniziato a rincorrersi, li lasciò fare pensando che almeno si sarebbero addormentati subito dopo cena.
Riaprì la rubrica, forse era stato un suo errore considerare solo le ragazze, scrollò tra i contatti fino a quello di Suguru ma prima di pigiare temporeggiò qualche secondo sul suo nome. Perché si era fermato? Era Suguru dopotutto. Anche se Gojo non era consapevole qualcosa fosse cambiato, il suo migliore amico ultimamente aveva cambiato atteggiamento, il suo subconscio aveva cercato più volte di comunicarglielo ma alla fine aveva imputato il suo cattivo umore alla morte di Riko, ancora fresca nei loro ricordi, nonostante fosse passato già parecchio tempo da allora. 
Il telefono fece molti squilli prima che Geto rispondesse.
- Suguru!
La voce dell’altro non esprimeva la minima emozione: - Satoru. Dimmi.
- Avrei bisogno di un aiutino.
- Una maledizione? Dubito tu abbia davvero bisogno del mio aiuto.
Gojo tamburellò le dita sul top in marmo: - Ecco, no, non si tratta di questo in effetti. Mi chiedevo come te la cavi col manzo al curry e le torte.
Geto sospirò, scocciato: - Satoru sono davvero occupato al momento, non ho tempo per queste sciocchezze.
Gojo aggrottò le sopracciglia: - Stai… esorcizzando? Adesso?
- Sì. Ti sorprende?
- No… Beh, sì in realtà…
- Beh, facci l’abitudine. – Geto rimase in silenzio per qualche secondo – Senti, sono davvero molto occupato, perché non chiami Shoko?
- È fuori, con un tipo… – Gojo si strofinò la fronte – Aah, e poi sai che se si tratta di spiegare qualcosa non parliamo la stessa lingua.
Sentì che a Geto era sfuggito l’accenno di una risata. Gojo sorrise a sua volta. Seppellì sempre più in basso la sensazione che qualcosa fosse cambiato in Geto.
- Immagino. Senti adesso devo proprio andare, non posso aiutarti.
- No, aspetta! – Gojo abbassò di nuovo la voce per non farsi sentire – Ho da preparare una torta a Tsumiki per domani… sai, il festival e le pasticcerie domattina non aprono prima della scuola…
Geto temporeggiò, poi dopo qualche secondo sospirò e l’amico dall’altra parte credette che lo stesse per aiutare: - Senti, una volta Mei-Mei mi ha raccontato che Utahime prepara le torte di compleanno per tutti a Kyoto e sono molto buone, se se la cava con quelle penso che il manzo al curry sia uno scherzo per lei.
Gojo s’imbronciò: - Chiedere aiuto a… Utahime?
- Beh, se proprio vuoi quella torta credo che non ti resti che chiedere a lei. Devo andare. Ci sentiamo Satoru.
Prima che Gojo potesse salutarlo, Geto aveva già chiuso la chiamata. Lui ovviamente non ci fece caso, la schermata del telefono tornò sulla rubrica e dopo averlo trovato, osservò il nome di Utahime arricciando le labbra. Quella ragazza gli stava molto simpatica, era sicuro per lei fosse lo stesso ma chiederle aiuto era quasi un insulto per lui.
Megumi aveva messo le manine sul top della cucina e, in punta di piedi, si era sporto per osservare quello che stava facendo: - Non sembri a un buon punto.
Gojo guardò in basso e incontrò lo sguardo accusatore del bambino.
- Perché non ammetti che non sai cucinare?
L’altro alzo il labbro nervoso: - Perché non giochi con le tue macchinine?
Megumi ridusse gli occhi a due fessure sottili, ma andò lo stesso al cesto dei giocattoli poco lontano e pescò una macchinina rossa che cominciò a far sfrecciare sui mobili della cucina, sempre vicino a Gojo. Lui capì fosse una tecnica del bambino per tenerlo d’occhio.
- Io ho faaaaame… - Tsumiki si allungò sulla sedia, piegando la testa all’indietro.
Gojo sentì addosso di nuovo lo sguardo accusatore del bambino che, seppure sembrasse assorbito dal gioco, non accennava ad allontanarsi da lui.
Sospirò e premette sul nome di Utahime, tenendo bene a mente di sforzarsi di non farla arrabbiare, anche se la cosa gli sembrava difficilissima. D'altronde non è che le dicesse granché, anzi, la maggior parte delle volte non riusciva proprio a capire perché lei se la prendesse.
Dopo alcuni squilli, Utahime rispose, con grande sollievo di Gojo.
- Pronto?
- Ohi, Utahime! – Tsumiki, a quelle parole, si era alzata di scatto dalla sedia.
- Oh, sei tu. Che vuoi?
- Himeeee! – la bambina si era aggrappata ai vestiti di Gojo e aveva iniziato a saltellare, allungando le braccia verso il telefono.
- Volevo chied… Aspetta, non hai il mio numero salvato? – disse, allontanando le braccia della bambina.
- Non ne ho bisogno. Piuttosto, chi è che ti ha dato il mio?
- Shoko. Dovresti salvare il mio, non si sa mai, potrei dover venire a salvarti.
- Si può sapere perché mi hai chiamata Gojo? – gli rispose stizzita.
- Oh, anche tu sei ad un appuntamento?
- No, non ti avrei risposto altrimenti, perché?
- Ah, sapevo che non potevi essere uscita con qualcuno.
- E cosa ti fa pensare che non potrei uscire con qualcuno?! – Gojo entrò in panico, dalla voce sembrava essersi arrabbiata. Accanto a lui c’erano ancora Tsumiki che lo implorava di farla parlare con Utahime, e Megumi che come se non bastasse aveva iniziato a fare suoni onomatopeici per imitare quelli di una macchina.
- Beh… – roteò gli occhi e, totalmente noncurante, le rispose – Sei sempre molto aggressiva con i ragazzi, sembra quasi che non ti piacciano.
- L’unico che non mi piace sei tu, Satoru Gojo! – gli gridò contro la ragazza.
Gojo allontanò leggermente il telefono, quando lo rimise all’orecchio era troppo tardi. Il deprimente suono della linea telefonica caduta lo fece sbuffare frustrato.
- Come?! – prese il telefono con entrambe le mani e osservò lo schermo tornare alla rubrica – Ma che ho detto?!
Tsumiki abbassò le braccia: - Oh, le hai fatto chiudere.
- Cosa?! Io non ho fatto un bel niente. E poi fammi capire, come conoscete Utahime?
Tsumiki tornò sulla sedia, non sembrava avesse alcuna voglia di rispondergli.
- Era a casa di Shoko l’altra volta. – Megumi fece correre la macchinina sul ripiano della cucina – A Tsumiki piace molto, dice che assomiglia ad una bambola.
Megumi arrossì e continuò sottovoce: - … Anche a me piace Utahime… I suoi mochi sono molto buoni.
Gojo staccò la lingua dal palato con uno schiocco: - Cosa? A me non li ha mai fatti assaggiare.
- Perché tu sei cattivo con lei! – gridò Tsumiki con la guancia spalmata sul tavolo – La fai sempre arrabbiare e non ti sopporta, per questo non viene mai da noi…
Il ragazzo scosse la testa, non poteva credere alle sue orecchie. Utahime “non lo sopportava”, ma era convinto fosse il loro modo di scherzare ed essere amici. Iniziò a pensare che forse non le stava tanto simpatico come credeva…
- Nah. – si rispose ad alta voce. Non poteva odiarlo.
Il suo sguardo cadde sulla ciotola in cui aveva iniziato a mescolare gli ingredienti per la torta, non sapeva se dovesse cuocerli o fare la glassa con quel mappazzone, parte del manzo che aveva cotto giaceva bruciato nella padella, si era fermato in tempo dal cuocere il resto e si era convinto di aver bisogno di una ricetta che non era riuscito a trovare su internet perché “non avevano lo stesso aspetto di come usciva a sua madre (cuoco)”.
Sospirò e richiamò Utahime.
- Guarda che ti blocco!
- No, aspetta Iori!
- Adesso mi chiami anche per nome?! – Gojo si diede uno schiaffo sulla fronte – Questa è l’ennesima mancanza di rispetto, idiota che non sei al-
- Scusa Utahime, dico davvero, aspetta! Mi dispiace! Ho… – affondò l’unghia dell’indice nel pollice – Ho… bisogno… del tuo aiuto.
Lei si ammutolì. Gojo pensò che era probabile avesse detto la cosa giusta, seppure gli fosse costato tutto il suo orgoglio.
- Pronto, Utahime? Sei ancora lì?
- Sì. – rimase di nuovo in silenzio – Perché dovrei aiutarti?
- Mi serve, non… – gli caddero le spalle verso il basso – Non posso deludere Tsumiki e Megumi.
Il tono e le parole di Gojo intenerirono Utahime, lui non poteva vederla ma si morse un labbro nervosa. Aveva ammesso di aver bisogno del suo aiuto e le aveva chiesto scusa, nonostante sembrasse sincero, con una punta di disperazione nella voce, non era abbastanza per farsi perdonare anni di prese in giro e mancanze di rispetto. Ma dopotutto… l’aveva chiamata per Tsumiki e Megumi, erano due bambini che avevano avuto la sfortuna (dal punto di vista di Utahime) di finire nelle mani di Gojo e lei non avrebbe mai rifiutato di fare qualcosa che li riguardasse. Eppure, pensò, se Gojo ci teneva così tanto a non deluderli tanto da chiederle il suo aiuto, non doveva essere poi così male come padre adottivo.
- Di cosa hai bisogno? – gli rispose riluttante.
Gojo sorrise, felice di poter concludere quello strazio: - Ho sentito che ti piacciono i dolci, mi chiedevo se…
- Non mi piacciono i dolci.
- Ma come?! Mei-Mei ha detto che fai le torte per…
- È vero, ma non mi piacciono. È il mio regalo per i festeggiati.
- Se non ti piacciono i dolci allora perché li fai? Tu non li mangi comunque.
La sentì spostarsi producendo un fruscio che lui collegò a quello delle lenzuola: - Nella mia famiglia si tramandano ricette da generazioni, che mi piaccia o meno devo imparare. E poi… Ogni tanto fare qualcosa di carino per gli altri ti fa star bene, non trovi papa-Gojo?
Lui si grattò la nuca, la voce colpevole: - Mah, ti dirò… è faticoso.
- Cosa devi preparare?
Gojo le spiegò la sua precaria situazione e quando Tsumiki si accorse che Utahime non aveva ancora chiuso la chiamata dopo cinque minuti, si avvicinò di nuovo a Gojo, mise le mani sul ripiano e, col mento poggiato sulle nocche, tenne lo sguardo fisso su di lui finché non se ne accorse.
- Sul sito di japanese cusine dice…
- Sei su uno di quei siti per turisti?
- Non giudicarmi, non trovavo di meglio.
- Difficile non farlo se mi offri l’occasione.
- Argh, senti, facciamo la videochiamata, ci metteremo molto meno.
- No!
- Dai che ti costa, non penso sarai poi così male senza trucco, – Utahime ingoiò la rabbia che quella frase aveva appena risvegliato, stava per vietargli ancora il video ancora quando lui continuò – e poi Tsumiki mi sta addosso perché vuole vederti.
Sbuffò e accettò l’invito di Gojo alla videochiamata, ma con la fotocamera spenta.
- Hime! – trillò Tsumiki, sporgendosi oltre il top della cucina – Ma non la vedo!
- Utahime hai la fotocamera spenta. – Gojo aveva poggiato il telefono tra il muro e il top, si sporse verso il telefono fermandosi a pochi centimetri dallo schermo.
- Non posso accenderla.
- Hime, Hime!
Alle preghiere della bambina, intravide anche i capelli a spina di Megumi nell’angolo dell’inquadratura che non riusciva nemmeno ad arrivarci allo spigolo.
- Non farti pregare Utahime. Ah, ecco… – a Gojo morirono le parole sulle labbra.
Il viso austero di Utahime era attraversato da un’estremità dell’orecchio fino all’ala del naso opposta da una grossa cicatrice che si approfondava anche sotto lo zigomo, a coprirle quasi tutta la guancia. La capigliatura e la sua tunica tradizionale erano ordinati come sempre, anzi, i suoi capelli sembravano più lisci e lucenti del solito.
Una parola Gojo. E non ti aiuto più.
Le parole di lei lo ridestarono, ghignò e raddrizzò il busto: - Cosa ti fa pensare che volessi dire qualcosa? – le fece l’occhiolino e afferrò il cellulare per farla vedere meglio a Tsumiki e Megumi, il più piccolo si era aggrappato al braccio della sorella e sembrava un po’ intimidito.
- Ciao Tsumiki, Megumi! Come state?
Chiaramente la bambina fece subito caso alla cicatrice: - Hime… cosa è successo alla tua faccia?
Utahime sorrise compiacente: - Un incidente tesoro, ma ora sto bene.
- È stato per un combattimento contro le maledizioni? – Megumi si sporse interessato.
- Sì, è stata proprio una maledizione.
- Wau… – a Tsumiki brillarono gli occhi – Una bambola guerriera! Hime è fortissima!
- Va bene, adesso basta, Utahime ha da fare adesso. – Gojo prese gli angoli superiori del telefono e lo tirò via con delicatezza dalle mani della bambina, mentre Megumi sventolava timidamente una mano per salutare la ragazza.
Quando Gojo appoggiò di nuovo il telefono tra il top e il muro, notò che Utahime aveva gli occhi lucidi e li stava asciugando col suo solito aplomb con un fazzolettino in cotone ricamato.
Tsumiki non ha tutti i torti, pensò Gojo. Sembra davvero una bambola.
- Stai piangendo?
- No, IDIOTA! Questo è il mese delle allergie! Impegnati se non vuoi che Tsumiki porti una torta scadente, se viene male non sarà certo per colpa mia, sbruffone!
Gojo lanciò un’occhiata al calendario appeso a pochi centimetri dal telefono, la pagina al mese di novembre, con tanto di immagini di foglie secche bagnate dalla pioggia.
C’erano tante cose che stavano cambiando nella sua vita, non avere lo stesso rapporto di sempre con Geto e Shoko lo faceva soffrire più di qualsiasi altra. Era un controsenso se pensava a quanto lui stesse lottando per cambiare le cose all’interno del mondo degli stregoni, ma il cambiamento lo rendeva triste comunque. Utahime e le sue sfuriate lo riportavano con la mente alla sua “spensieratezza”, questo, almeno, non sarebbe mai cambiato in futuro. E questo lo rendeva felice.

 
Nota: vogliate o meno leggere questa storia in chiave “romantica” per me è indifferente, difatti non l’ho scritta con un intento di “ship”. A dirla davvero tutta sono una multishipper per questo fandom, che sia Geto o Utahime o chicchessia, gradisco qualsiasi storia e ho fatto in modo che questa in particolare possiate leggerla sia che “shippiate” Gojo con Geto o Utahime.
In generale, comunque, l’ispirazione è nata da un disegno che ho visto su pinterest, adoro il trope della foundfamily e gli slice of life, oltre che il rapporto che c’è tra Megumi e Gojo, coi risvolti che poi ha preso il manga mi piange il cuore pensare che probabilmente una giornata tipo fosse molto simile a quella che ho scritto.
Il festival a cui faccio riferimento sono i tipici “bunkasai” che di solito si festeggiano tra la fine di ottobre e novembre, ho ipotizzato che lo stand di Tsumiki dovesse vendere dei dolci preparati a casa.
  
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