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Autore: Mintaka83    23/07/2023    1 recensioni
La notte dopo il Ritz. POV Crowley. Senza trama, o quasi, ma con un po' di dialogo e un tentativo di metterli insieme restando IC.
Perché siamo in pieno hype e non potevo più dormire se non scrivevo qualcosa su di loro.
Non sono un'autrice di fanfiction ma una dilettante allo sbaraglio che ha scoperto che scrivere fanfic è catartico e ti trasporta in un altro mondo. E' la prima (e credo unica) volta che scriverò su questi due meravigliosi amabili esasperanti esseri occulti ed eterei che mi stanno rubando il tempo e il sonno da tre mesi a questa parte.
I will go down with this ship!
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Ding”, fanno i calici scontrandosi, mentre gli sguardi si incrociano e inascoltato un usignolo canta in una piazza trafficata. Ti fa lo stesso sorriso di quando recuperasti la sua borsa di libri antichi dalle macerie di una chiesa, tanti anni fa. Tanti, eppure così pochi, in confronto all’enorme quantità di tempo che avete visto trascorrere, insieme, su questo sciocco pianeta, dal giorno del giardino in poi.

Ti incanti a guardarlo, quel sorriso, per un attimo. “Al mondo”, dice lui, felice. “Al mondo”, rispondi tu, senza dar troppo a vedere quanto ti piaccia questa situazione. Intanto, per cominciare, l’avete scampata. E poi questo testardo e meraviglioso essere etereo che per fortuna è tornato ad abitare il suo amabile corpo paffuto di elegante libraio londinese un po’ retrò, finalmente ha smesso di interrompere ogni tuo discorso per puntualizzare che no, non siete amici, che no, non potete fare questo o quell’altro insieme, che no, non potete fraternizzare, che no, non esiste una vostra fazione.

Anzi, quando si sporge verso di te nel suo bel cappotto cammello che tu stesso hai smacchiato con un miracolino demoniaco qualche tempo prima, per sussurrarti qualche aneddoto divertente che il tuo cervello al momento non riesce nemmeno a recepire, sembra voler annullare in pochi momenti tutta quella distanza, tutta quella reticenza che il suo senso adamantino del dovere e della fedeltà ha sempre posto tra voi.

Ti ha chiamato “brava persona”, poco fa, e non ti sei arrabbiato. Non l’hai sbattuto contro un muro prendendolo per il bavero (azione che, in ogni caso, fu fatta in preda al puro istinto di difesa demoniaco, ma che non ti aspettavi ti avrebbe provocato una catena di brividi giù per la schiena mentre ti premevi sui suoi panni morbidi color vaniglia…) Anzi, hai ricambiato il complimento, a modo tuo. “Piccolo bastardo”, gli hai detto, e lui ha sorriso. E gli si sono accesi gli occhi in quel modo tutto suo.

Gli occhi di Azraphel ogni tanto si accendono di una luce strana. Lo sai da secoli, ormai, forse da quella volta delle ostriche da Petronio. E prendono un’espressione che è un misto di reticente, spaventato, incantato, deliziato e malizioso. Tu sei convinto che nessun altra creatura occulta o eterea, e a maggior ragione nessuno degli otto miliardi di umani che popolano il pianeta, sia in grado di fare un’espressione simile.

Spesso, quando fa quell’espressione, poi dopo scappa di corsa, sempre con un mezzo sorriso sulle labbra tra il timido e il compiaciuto.

Lo stesso sorriso che sta facendo appunto adesso, sotto l’albero dell’usignolo di Berkeley Square, dopo che gli hai proposto di accompagnarlo alla libreria nuova fiammante con la tua Bentley nuova fiammante.

“Non c’è bisogno che ti disturbi, farò due passi”, ha risposto, “è una così bella serata”, ha aggiunto alzando lo sguardo verso gli strappi di cielo londinese che si intravedevano tra le fronde.

“Troppo bella per sprecarla a passeggiare, a mio parere”, ti è scappato detto in risposta. E hai pure fatto uno di quei tuoi sorrisi giganti che ricordano sempre l’espressione di un grosso pitone che stia per papparsi un topolino.

“Immagino che tu abbia senz’altro idee migliori”, ha risposto lui alzando il mento con quell’adorabile espressione un po’ indignata di quando ti chiama “malvagio tra i malvagi”.

Rimani un attimo senza parole. E poi ti giochi la tua carta vincente. “Una quantità esorbitante di alcool?” proponi sorridente. “Per festeggiare la mancata fine del mondo e delle nostre esistenze”, chiosi alzando le sopracciglia con tono saggio.

L’angelo ci pensa qualche secondo, con aria meditabonda. “Tentazione riuscita”, ripete poi, gongolando con quella sua espressione raggiante che ti fa sempre sciogliere il cuore.

Poco dopo, ti sta sgridando bonariamente per la tua guida spericolata, premendo la spalla contro la tua mentre giri il volante, a novanta miglia all’ora, nel centro di Londra.

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Si scopre che insieme alla libreria, Adam aveva ripristinato anche la riserva di vini francesi antichi, ai quali viene reso onore con abbondanti libagioni. E’ da più di un’ora che stai intrattenendo Azraphel con un lungo e biascicante discorso sulla testa gigante dei capibara che sanno godersi così tanto la vita da passare gli inverni dentro a delle piscine termali naturali, in Cina o in Giappone o chissà dove.

Azraphel non sembra annoiarsi dei tuoi sproloqui zoologici, comunque. Annuisce e sorride, riempiendo altri due bicchieri di vino rosso.

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Non è chiaro come siete finiti sul suo divano, spalla contro spalla. Ha persino smesso di sedere dritto e impalato come avesse ingoiato una stampella, come fa di solito. Anzi, è rilassato con la schiena sulla spalliera, in grembo il bicchiere che tiene gesticolando mentre parla e parla di un discorso che non riesci a seguire, ma che sicuramente ha a che fare con le nuove edizioni comparse in libreria dopo l’intervento di Adam. Tu, per conto tuo, sembri esserti sciolto sul divano. Solo che invece che stravaccarti sull’altro bracciolo, senza nemmeno renderti conto sei finito addossato al suo omero.

“Mi chiedo come sia possibile che dopo seimila anni... hic... ancora tu non abbia capito… che i libri sono l’ultima cosa che mi interesssssa… su questo pianeta”, biascichi arricciando il naso, facendo oscillare tra le mani il tuo bicchiere mezzo pieno.

“Attenzione al divano!”, strilla lui, posando prontamente il suo bicchiere e togliendoti in tuo dalle mani (sfiorandotele entrambe nel gesto). “L’ho fatto rifoderare nel 1877”, puntualizza poi, come a scusarsi, increspando le labbra, timido e contento.

Si volta verso di te e ti guarda, dritto negli occhi (gli occhiali li hai posati in giro qualche ora fa e nemmeno sai dove).

,“Tu hai il potere di sorprendermi sempre, Crowleyyy”, puntualizza poi, allungando un po’ la i finale, incerto. “I libri non ti interessano, ma per me li hai salvati, più di una volta”. E ti fa di nuovo quello sguardo un po’ languido, con quel mezzo sorriso capace di sconvolgerti nel profondo.

“Beh, sì”, squittisci distogliendo gli occhi dai suoi, così blu, e schiarendoti la voce. Ti senti la faccia stranamente calda, anche se non ci sono fiamme infernali o piscine di zolfo nei paraggi. “Sapevo che per te erano importanti, e quindi…”, continui a cantilenare, stridulo, senza più ormai nemmeno sapere cosa vuoi dire, fissando il pavimento.

“Tu sei importante per me, Crowley”, dice l’angelo all’improvviso, dopo qualche secondo di silenzio, dandoti una leggera spallata.

E tu ti volti di scatto a guardarlo, le pupille di rettile dilatate nei tuoi occhi dorati.

“Ngk?”, è l’unica cosa che riesci a formulare, l’espressione assolutamente sbalordita.

Poi, senza preavviso, vi state baciando.

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“Oh benedetta, benedetta notte. Ho paura, poiché è notte, che sia un sogno solamente, troppo seducente e dolce per avere sostanza”, enunci, gli occhi aperti nel buio della stanzetta rischiarata dalla luce lattiginosa del chiaro di luna. Carta da parati a fiori. Travi di legno. Trapunta patchwork. La cameretta più deliziosa della Terra, probabilmente. C’è perfino la testata del letto in ferro battuto, arricciato in complicate volute. E’ contro di essa che stai appoggiato, a pancia in su, le spalle nude adagiate su un paio di cuscini, le braccia incrociate dietro la testa, con una faccia piuttosto compiaciuta per la tua performance.

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Come ci siete arrivati, in questa cameretta, nemmeno te lo ricordi di preciso. Ti rammenti soltanto che a un certo punto quel divano al piano di sotto non bastava più per dar sfogo all’improvvisamente implacabile desiderio di stare vicini, vicini, vicini.

Forse è lui che ti ha spinto sulla sua trapunta patchwork per poi caderti addosso, scusandosi con quel suo sorriso timido. Sicuramente sei tu che ti sei lamentato per le tue ossa e per la quantità di strati del suo vestiario.

“Papillon di tartan”, hai enunciato nel tuo solito tono di disapprovazione, mentre cercavi di scioglierlo.

“Mi chiedo se ci sia un modo per farti uscire da questi pantaloni”, ha risposto lui, col fiato corto, improvvisamente sdraiato sotto di te, mentre tentava senza successo di infilarti le mani nelle tasche posteriori, per stringerti più addosso.

“Oh, credo proprio di sssì”, hai esclamato con un sorriso enorme, schioccando le dita.

E poi eravate entrambi nudi.

“Questi corpi umani hanno davvero mille risorse”, ha detto ha un certo punto l’angelo, ansimando, mentre entrambi per la prima volta vi rendevate conto di poter usufruire anche di un apparato genitale, dopo aver fatto un piccolo sforzo per pensarlo attivo e funzionante, ovviamente.

In quel momento era ancora steso sulla schiena, rosso in faccia di imbarazzo e felicità quasi infantile, e ti stringeva i fianchi con le gambe inaspettatamente forti mentre tu saggiavi con appena un accenno di denti la consistenza morbida della pelle lattea del suo petto, mugolando.

Poi, all’improvviso e cogliendoti impreparato, ha rovesciato le posizioni. All’improvviso aveva sul viso di nuovo quell’espressione implacabile e coraggiosa che gli viene solo quando deve impugnare una spada di fuoco o rifiutarsi di combattere una guerra che non vuole.

Poi un chiarore. Gli si sono spiegate le ali sulla schiena. Ha sorriso di beatitudine, come quando lo hai trasportato fuori dal tempo, insieme ad Adam.

“Angelo”, hai detto soltanto, la voce soffocata dalla meraviglia.

“Non ti ho mai detto che in realtà Anthony mi piace un sacco come nome”, ha esalato a denti stretti, mentre si faceva strada dentro di te e si chinava sul tuo viso per rubarti un bacio appassionato.

“Anthony J.”, sei riuscito a puntualizzare con la voce roca e strozzata di uno che sta per essere ucciso, mentre questo tuo corpo così umano veniva forzato dalla sua prestanza e lo accoglieva per intero, senza ulteriori indugi.

Si è fermato e ti ha guardato negli occhi. Blu contro giallo. Entrambi li avevate umidi. Ha sorriso.

“E per cosa sta la J”? ti ha chiesto, ansimando.

Per tutta risposta, sono apparse le ali anche a te. “Prendimi forte”, gli hai comunicato, serio. E lui l’ha fatto.

Chiedendoti ogni minuto se stavi bene. Lisciandoti le piume nere. Mugolando, ansimando, ridendo insieme a te. Bellissimi, splendenti, nero e bianco, yin e yang. Liberi.

L’orgasmo vi ha accecato e gettato nell’oblio, abbracciati.

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“Pensavo che di Shakespeare preferissi le commedie”, mugugna l’angelo, mezzo addormentato sul tuo pettorale destro.

“Ma tu no”, sorridi gentile in risposta.

“Sei proprio un buon diavolo, Crowley. Credo di essere innamorato di te. Almeno dal 1941”, borbotta Azraphel sulla tua pelle, tenendoti stretto con le braccia, gli occhi chiusi. E poi si assopisce.

“Io dai tempi del Giardino dell’Eden”, gli sussurri, sempre con quel sorriso che non riuscirai più a toglierti dalla faccia, per lo meno in sua presenza, d’ora in poi.

  
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