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Autore: TheSlavicShadow    27/07/2023    0 recensioni
"Un uomo famoso una volta disse: "Noi creiamo i nostri demoni". Chi l'ha detto? Che cosa voglia dire? Non importa, io lo dico perché l'ha detto lui, perciò lui era famoso, e avendolo menzionato due uomini molto conosciuti, io non... ricominciamo..."
{Earth3490}
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aveva aperto gli occhi e se J.A.R.V.I.S. non avesse parlato immediatamente le sarebbe venuto un attacco di panico in piena regola. Era ferma, immobile dentro l’armatura e attorno a sé non sentiva alcun rumore. 

Non sapeva nemmeno dove si trovasse. L’ultimo ricordo che aveva era l’armatura che portava Steve al sicuro, o almeno lo sperava, e poi un tuffo nell’oceano che non aveva preventivato in alcun modo. Non sapeva quando e come l’armatura fosse corsa da lei. Non sapeva dove fosse. Non sapeva dove fosse Steve. E cosa fosse successo a Maya Hansen.

Non capiva nemmeno perché Maya Hansen fosse venuta a casa sua. Che aiuto poteva darle lei contro Killian Aldrich? Perché era Iron Woman? Perché era una esperta di armi? 

“Signorina Stark, faccia un respiro profondo. Il suo battito cardiaco sta accelerando.”

“Dove siamo, J? Riportami a casa.”

“Siamo vicino a Rose Hill, Tennessee. Era l’ultimo piano di volo in memoria. Purtroppo non sono riuscito a portarla più vicino di così.”

Natasha aveva sospirato. Voleva partire per cercare informazioni prima che l’inferno si abbattesse sulla sua casa. La sua casa. Che ormai non esisteva più. 

“Non mi interessa più stare qui. Riportami a casa. Riportami da Steve.”

“Mi dispiace, signorina. L’armatura non ha più energia. I sistemi si spegneranno entro breve. Le consiglio di uscire da qui prima che si blocchi tutto completamente.”

“Che significa che si blocca tutto?” L’armatura si era aperta per permetterle di uscire dalla sicurezza che le dava quell’involucro. “Sono in mezzo al nulla qui. Dove diavolo siamo? Perché fa così freddo? J?”

“Sono veramente desolato, signorina Stark.” La voce artificiale di J.A.R.V.I.S. aveva iniziato a trascinarsi, proprio come se si stesse scaricando del tutto. Questo l’avrebbe mandata di nuovo nel panico. Era ormai una crisi di panico dietro l’altra. Non era normale e non era salutare. “Temo di avere bisogno di riposo.”

Gli occhi luminosi dell’armatura si erano spenti. Era adesso completamente da sola nel bel mezzo di una foresta innevata, e vestita in modo tale da morire assiderata in pochissimo tempo. E nessuno sapeva dove fosse. Nessuno sarebbe venuto a cercarla lì.

Non aveva parlato a nessuno del piano di partire per Rose Hill. Solo a Steve. Gli aveva accennato delle scoperte che aveva fatto, e che aveva intenzione di partire, ma l’uomo si era subito opposto. E di certo non poteva pensare che l’ultimo piano di volo potesse davvero essere Rose Hill. 

“Pensa, Tasha, pensa.” Si era battuta un pugno sulla fronte. Doveva fare qualcosa velocemente. Era vestita davvero in modo troppo leggero. Le temperature notturne in Tennessee in quel periodo dell’anno potevano scendere a -10° gradi e la sua t-shirt poteva fare ben poco. 

Era di nuovo l’Afghanistan. Era di nuovo da sola in mezzo al nulla, vestita in modo non adatto alla situazione e con sempre gli stessi terroristi a cercarla. Di nuovo volevano qualcosa da lei e lei non gliel’avrebbe data. 

Già una volta era stata catturata e imprigionata dai Dieci Anelli. L’avevano torturata in ogni modo possibile e non avevano ottenuto quello che volevano. Avevano anzi ottenuto l’esatto contrario. Li aveva sconfitti da prigioniera. Cosa gli faceva credere che questa volta avrebbe ceduto? Volevano usare le persone che amava per far leva sulla sua volontà?

Avevano catturato Steve?

Erano riusciti a mettere le mani su Capitan America in qualche modo? Era impossibile, si era detta. Era un super soldato. Come avrebbero potuto catturarlo? Era arrivato lo S.H.I.E.L.D. a portarlo al sicuro? C’era ancora Maya Hansen con lui?

Doveva mettersi in qualche modo in contatto con lui, ma non aveva nemmeno il proprio cellulare con sé. Non aveva nulla se non ciò che indossava. E un’armatura da 70 chili da trascinarsi dietro, non avendo poi nulla con cui legarla per aiutarsi nell’impresa. 

Era una situazione così tragica che voleva ridere dalla disperazione.

Dispersa nel nulla eterno, ancora una volta, senza possibilità di avvertire chi la stava cercando. Se la stavano cercando. Potevano tranquillamente crederla ancora una volta morta e non venire a cercarla. Il mare avrebbe restituito il suo cadavere un giorno e ci avrebbero pensato allora, no?

Solo che c’era Steve. Aveva smosso mari e monti già una volta per trovarla. Aveva setacciato il deserto da cima a fondo per mesi. La stava sicuramente cercando anche stavolta. Stavano pur sempre parlando di Steve Rogers. Nonostante tutto non l’avrebbe mai abbandonata al proprio destino. Era venuto da lei proprio perché era preoccupato da quella situazione. I Dieci Anelli gli avevano fatto drizzare le orecchie ed era accorso per accertarsi che tutto fosse a posto.

“Devi muoverti, Tasha. Altrimenti diventi un ghiacciolo qui, ma non hai alcun siero del super soldato in te.” Aveva fatto un profondo respiro e si era chinata per agguantare l’armatura sotto le ascelle. Se la sarebbe trascinata nella neve fino al primo rifugio che avesse trovato per strada. Muovendosi almeno avrebbe evitato di morire di freddo, anche se era fin troppo pungente. Aveva anche i piedi già bagnati perché le sue scarpe da ginnastica di certo non potevano sperare di tenere fuori la neve. 

Lei viveva in California, non aveva mai visto la neve lì. Si preparava a festeggiare Capodanno con un abito che di invernale non aveva assolutamente nulla. Non sapeva nemmeno se avesse davvero qualche vestito che potesse chiamare invernale nel proprio armadio da quando viveva a Malibu.

Mentalmente si era messa a catalogare i vestiti e le scarpe che ricordava di avere. Era sicura di aver dimenticato qualcosa nella sua lista, sicuramente aveva molti abiti con ancora l’etichetta attaccata e che non avrebbe mai messo. Ma intanto cercava di catalogare il tutto per tipo e colore. Tutto pur di tenere il cervello impegnato e continuare a camminare.

Era da sola. Dispersa nel nulla del Tennessee, in balia del tempo e degli animali selvatici. Non aveva nemmeno nulla di serio con cui difendersi se qualcosa l’avesse attaccata. Poteva al massimo tirare qualche calcio e pugno, come Steve le aveva insegnato tempo addietro. Ma nulla di troppo serio con cui difendersi veramente. Gli allenamenti di Steve servivano più per tenerla in forma che altro. E doveva ammettere che prima o poi avrebbe dovuto riprendere, ma la mancanza di voglia era molta. Non era mai stata una persona molto sportiva. Faceva sempre il minimo indispensabile. Lo sport lo guardava al massimo in televisione, ma da quando Steve non c’era non aveva più guardato nulla. Non c’era nessuno che monopolizzava il televisore con baseball e football.

Doveva tristemente ammettere che la casa era molto silenziosa da quando aveva ripreso a vivere da sola. Si era abituata troppo velocemente alla convivenza con Steve in passato. Era stato naturale. Non aveva dovuto cambiare nulla delle proprie abitudini. O quasi nulla. Certe cose erano cambiate da sole con l’uomo in casa. 

“Ma perché sono così fissata? Ha ragione Bruce quando mi dice di andare seriamente in terapia.” Aveva mormorato a sé stessa. Aveva la schiena a pezzi. Sembrava che non si fosse mossa da dove era atterrata con l’armatura. Solo neve e alberi aveva attorno, e non sapeva nemmeno se si stesse muovendo nella direzione giusta o se si stesse solo perdendo in una foresta.

Poteva già immaginare i titoli dei giornali in futuro. “Trovato cadavere congelato nei boschi del Tennessee”. “Tasha Stark cerca di emulare Steve Rogers ghiacciandosi in battaglia o perdendosi semplicemente?”. 

Se fosse morta lì nessuno l’avrebbe trovata per molto tempo. Sarebbe diventata il pasto di qualche animale selvatico. Avrebbero ritrovato solo un’armatura malandata e il suo reattore arc, nel più roseo dei casi. Forse doveva dare retta a tutti quelli che le dicevano che non doveva intromettersi. Che doveva lasciare ad altri il compito di fare ricerche.

Ma era più forte di lei. Ormai era entrato nel suo dna cercare di trovare una soluzione, semplicemente perché non poteva accettare che le persone che amava venissero ferite. Era egoista, assolutamente. Era mossa da istinti puramente personali. Non sapeva nemmeno se nel Tennessee avrebbe davvero trovato qualcosa. Era un’idea, ma tutto lì. Poteva trovare tutto o poteva tornarsene a casa con un pugno di mosche. 

Steve come stava? Dov’era? Questi erano i pensieri che continuavano però a tornarle in mente. Non riusciva a pensare lucidamente perché era preoccupata per l’uomo. Pensiero probabilmente stupido ed inutile essere preoccupati per uno che era soppravissuto 50 anni nel ghiaccio artico, ma era il suo sesto senso. Il suo istinto le diceva che qualcosa non andava. Qualcosa stonava in tutta quella storia. Solo non riusciva esattamente a capire cosa.

Come poteva esserci Killian Aldrich dietro gli attacchi del Mandarino? Cosa aveva creato che potesse essere così appetibile per un terrorista? E Maya Hansen che ruolo aveva in tutto questo? 

E aveva lasciato Steve completamente da solo. Era sciocco preoccuparsi trattandosi del primo e unico supersoldato della storia, ma anche Steve aveva fatto passi falsi in passato ed era stato catturato dal nemico durante qualche missione. Per poi liberarsi da ovviamente da solo e raccontarglielo quasi divertito, ma era successo. E lei ora non sapeva con chi lo avesse lasciato davvero. Non sapeva cosa sarebbe successo in seguito. Non si aspettava nemmeno un attacco simile alla sua casa.

Se ne fosse uscita viva in qualche modo era certa che Steve, Pepper, Rhodes, chiunque le avrebbe fatto la predica sulla incoscienza delle sue azioni. Decisamente nulla di nuovo. E in quel preciso momento avrebbe pagato per sentire le voci lamentose e arrabbiate dei suoi amici. In quel momento li avrebbe lasciati parlare anche fino alla sfinimento e non avrebbe in alcun modo contestato le loro parole. Avrebbero avuto ragione su tutti i fronti. Sapevano tutti che lei non era brava nei momenti di crisi. Le emozioni troppo intense le davano alla testa e non sapeva cosa fosse giusto o sbagliato. Dare il proprio indirizzo al Mandarino o a chi per lui? Sbagliatissimo. Ma come poteva spiegarlo che era tutto perché Happy Hogan era in ospedale a causa sua? 

Lei non funzionava in modo corretto. Non lo aveva forse mai fatto con le proprie emozioni. Non avrebbe di certo iniziato in quel momento.

Aveva sospirato mentre arrancava nella neve trascinandosi dietro l’armatura. Non sapeva davvero quanto ancora sarebbe riuscita a camminare così. Faceva freddo. L’armatura era pesante. E iniziava ad essere stanca. Era stanca da molto tempo ormai. Forse troppo, ma era tutto davvero amplificato. 

La stanchezza fisica e mentale l’avrebbero portata alla morte in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini. La prossima volta non avrebbe lavorato solo agli upgrade delle armature, si sarebbe fatta impiantare un cellulare sottocutaneo in modo da essere sempre rintracciabile e in modo da poter chiamare lei in caso di bisogno, proprio come in quel momento. Come aveva fatto a non pensarci prima? Aveva già vissuto un’esperienza analoga, come non le era mai balenata in mente una soluzione simile? Era stata rapita, era stata in mano ai suoi aguzzini per mesi, e mai una volta aveva pensato ad un impianto di localizzazione per sé stessa. Pensava a tutte le cose più stupide del mondo e molte le aveva costruite, ma non a qualcosa che per lei sarebbe stato davvero utile. Il gps era dentro l’armatura e funzionava solo se questa era accesa. Ma non aveva mai pensato di costruirsi un semplice orologio così o di mettere qualcosa nell’armatura che la rendesse sempre raggiungibile. 

Le cose veramente utili le venivano sempre in mente troppo tardi. Ma dopo questa spiacevole esperienza doveva mettersi un post it mentale che se se la fosse cavata si sarebbe rinchiusa in officina finché non usciva con una idea decente e concreta in mano. 

Non sapeva nemmeno quanto avesse davvero camminato quando finalmente era uscita dalla foresta e aveva visto una strada. Questo voleva dire che era sulla giusta via per il mondo civilizzato, anche se non sapeva esattamente verso dove. Ma era qualcosa di molto positivo. Doveva però spostarsi da un posto così visibile. Sicuro la credevano tutti morta, di nuovo, e per un po’ sarebbe andata bene così. Ma doveva avvertire Steve. Doveva trovare un modo per arrivare in contatto con Steve e dirgli che era viva. L'aveva vista cadere in acqua e con molta probabilità la credeva ancora la sotto. Doveva raggiungere un posto civilizzato e mandargli un messaggio in qualche modo.

Aveva mosso ancora qualche passo nella neve con la speranza che quella strada l’avrebbe portata da qualche parte, era l’unica cosa che le rimaneva in quel momento. Essere mossa dalla speranza era così ridicolo, ma che altro poteva fare?

“Sei Tasha Stark. Sei Tasha Stark. Sei fatta di ferro. Oddio, no, il ferro non funziona bene nel ghiaccio. Neppure nel fuoco in realtà. Morirò qui sul ciglio della strada come un animale selvatico colpito da una macchina.” Parlare a voce alta la aiutava sempre, anche se erano solo dei vaneggiamenti senza alcun senso. Il silenzio era qualcosa che non aveva mai sopportato. Sentiva solo il rumore dei suoi passi e dell’armatura trascinata sulla neve, ed era un rumore troppo ovattato perché potesse darle sollievo in qualche modo. 

“Qualche passo ancora. Dai che troverai un posto dove passare la notte e stare al caldo. Magari trovi anche un telefono e dai un colpo di telefono a Steve o a Fury e avverti qualcuno dove sei così ti vengono a prendere. Il massimo sarebbe trovare anche un panino e una birra, ma questo è chiedere proprio troppo.” 

Era così simile alla sua passeggiata di salute nel deserto sotto il sole. Aveva fame, sete e caldo quella volta, per poi gelare di notte. Questa volta invece gelava direttamente senza passare per il caldo, ma la stanchezza era sempre la stessa. Mentale e fisica. 

Se Steve non fosse ricomparso nella sua vita con molta probabilità non avrebbe nemmeno voluto combattere per tornare a casa. Si stava trascinando e basta da anni e non aveva una reale voglia di vivere. Era una stupida e patetica donna che aveva trovato un guizzo di vita in un uomo che era tornato solo perché era stato piantato dalla donna con cui l’aveva sostituita. Solita situazione patetica alla Tasha Stark dalla quale non sapeva come togliersi, ma che alla fine avrebbe in qualche modo risolto. O almeno lo sperava questa volta. 

Aveva camminato ancora per quello che era sembrato un tempo infinito quando finalmente aveva visto quella che sembrava una casa con un vecchio fienile. Avrebbe potuto ripararsi lì per la notte e il mattino dopo avrebbe potuto cercare una soluzione. Poteva chiedere magari aiuto. Non sarebbe stato in linea con il suo personaggio, ma per una volta poteva bussare alla porta di qualcuno e chiedere di fare una telefonata. Ma per prima cosa doveva nascondere assolutamente l’armatura da qualche parte. 

Sapeva che non poteva facilmente passare inosservata, ma almeno poteva nascondere l’oggetto che l’aveva resa ancora più famosa in tutto il mondo. Mentre la teneva nascosta, poteva magari anche cercare una presa elettrica e tentare di caricare almeno un minimo l’armatura. Avrebbe dovuto anche cercare un metodo per perfezionare questo: non era possibile che si scaricassero così velocemente. Certo, non si ricordava l’ultima volta che l’aveva seriamente messa in carica, ma doveva trovare un metodo di autoricarica per le armature. Tenerle sotto costante carica del reattore arc sarebbe stata una ottima idea e l’avrebbe messa in pratica non appena fosse tornata in una qualsiasi delle sue officine.

Con un calcio aveva rotto un lucchetto arrugginito, come le aveva insegnato Steve una volta, che teneva chiuso il portone di legno e senza troppi pensieri era entrata. Non le importava cosa poteva celarvisi dentro, aveva solo bisogno di nascondersi in un posto riparato per non morire assiderata da qualche parte. 

A tentoni aveva cercato un interruttore della luce e lo aveva stranamente trovato. La lampadina accesa aveva illuminato uno spazio che sembrava la sua officina. Molto più rudimentale e palesemente opera di un bambino, ma aveva visto un tavolo pieno di attrezzi e potenziali invenzioni. Con un pizzico di fortuna poteva trovare qualche arnese per rimettere a posto i danni dell’armatura. Non ci sperava tantissimo, ma era pur sempre un inizio di qualche tipo. 

Aveva fatto un ultimo sforzo trascinando l’armatura fino ad un vecchio divano logoro, lasciandosi cadere accanto ad essa stremata. Tutta l'adrenalina che aveva avuto in corpo fino a quel momento si stava pian piano riassorbendo e il suo corpo era stanco. Aveva trovato una coperta altrettanto logora e se l’era avvolta addosso. Qualche anno addietro non avrebbe probabilmente mai fatto una cosa del genere. Una coperta logora sarebbe rimasta in un angolo a marcire perché dall’alto del suo piedistallo non si sarebbe mai abbassata ad usare una cosa simile. Ma le persone cambiano. Dio se possono cambiare.

“Chi sei?” 

Un piccolo essere umano armato di uno sparapatate era comparso sulla porta del fienile interrompendo il suo attimo di relax. Come si parlava con i piccoli umani? Cosa poteva dire in quella situazione? 

“Un meccanico che ha bisogno di una officina.” 

“Perché hai quella?” Il ragazzino aveva puntato l’arma rudimentale verso l’armatura, e lei non voleva davvero rispondergli. Era una domanda così ovvia che la risposta sarebbe stata ancora più ovvia. 

“Non puntarle addosso quel lanciapatate. Ne ha vissute troppe oggi e non riuscirebbe a difendersi. Perché hai un lanciapatate? Non siamo il tuo bullo scolastico personale.” 

Aveva osservato il ragazzino puntare l’arma verso di lei e avrebbe tanto voluto lanciargli qualcosa contro. Aveva invece alzato le mani in alto, come se fosse una sorta di riflesso incondizionato.

“Perché sei viva?”

Aveva inarcato un sopracciglio a quella domanda, guardandolo curiosa.

“E’ uscita un’edizione straordinaria del quotidiano. Sei morta a Malibu e non sono riusciti a recuperare il corpo. Quindi sei morta.” 

Si era portata le mani al viso soffocando un gemito di frustrazione. Credendola morta poteva agire nell’ombra e cercare di fare qualcosa. Ma credendola morta Steve sarebbe stato come un cane pazzo senza guinzaglio. Avrebbe dovuto cercare di contattarlo e fargli sapere che era viva. Non dirgli dove fosse, ma solo dirgli che era viva e vegeta. 

“Ragazzino, hai un cellulare?”

“Mi chiamo Harley.”

“Non te l’ho chiesto, ho chiesto un cellulare.” 

“Devi chiamare Capitan America? Siete tornati insieme? Perché vi siete lasciati? Siete tornati insieme a New York? Vi sposerete?”

“Ommioddio, ma prendi mai fiato?” Si era alzata dal divano, stringendosi ancora addosso la coperta. “Devo lasciare un messaggio a Steve, questa è l’unica cosa che devi sapere. Almeno lui deve sapere che sono viva sennò gli parte un embolo grosso come tutto il Tennessee. Per questo mi serve un telefono, bambino.”

“Mi chiamo Harley.”

“Sai che non lo memorizzerò. Dai, muoviti. Portami anche un caffè.”

Aveva guardato il ragazzino sorriderle prima di uscire dal granaio. Non era andata male come primo contatto con un piccolo essere umano. Di solito andava molto peggio quando incontrava dei bambini. Diventavano tutti matti, volevano toccare l’armatura, volevano vederla volare, sparare, qualsiasi cosa. Questo ragazzino le chiedeva di Steve Rogers. Questa cosa poteva essere quasi positiva, almeno non le stava chiedendo di New York e del suo viaggetto spaziale.

Si era guardata nuovamente attorno cercando con lo sguardo qualcosa che potesse aiutarla a rimettere in sesto l’armatura. Avrebbe anche dovuto metterla in carica per poterla far funzionare. E doveva ripararla. Doveva fare così tante cose e non sapeva da che parte iniziare. 

Steve. Telefonare a Steve era in cima alla lista per quanto stupido potesse sembrare in quella situazione, ma doveva telefonargli. Non sapeva nemmeno se le avrebbe risposto. Non aveva idea se avesse il cellulare addosso, se fosse rimasto schiacciato dai detriti della casa, se fosse finito in acqua. Non sapeva nulla e questo la uccideva. E odiava il fatto che Steve fosse ripiombato nella sua vita. Senza di lui nell’equazione non avrebbe dovuto fasciarsi la testa anche sulla sua sorte, invece era una donnetta qualsiasi preoccupata per il soldato in guerra. 

Era più preoccupata per Steve che cercare di capire chi fosse davvero il Mandarino, se lo fosse davvero Killian Aldrich, se ci fosse lui in combutta con Stane per il suo rapimento in Afghanistan. Avrebbe dovuto cercare delle risposte a tutto quello, ma alla fine tutto ruotava sempre attorno a Steve come quando era una ragazzina affascinata da un eroe d’altri tempi.

“Ti ho portato anche dei vestiti, così rischi di congelare. Che temperature ci sono a Malibu? Fa davvero così caldo? Vuoi mangiare qualcosa? Posso farti un sandwich con il burro di arachidi.”

“Oddio, ma davvero non la smetti mai di parlare? Ma quanti anni hai? Non si smette con le mille domande a 3 anni?”

“Ho 12 anni e i bambini iniziano a fare tante domande a 3 anni. Ho una sorella più piccola, so di cosa parlo. Si vede che non hai proprio esperienza con i bambini.”

“Ma meno male se sono tutti come te.” Era sgradevole. Lo sapeva che era sgradevole, ma quel ragazzino le aveva sorriso. “E questa felpa enorme?”

“Era di mio padre. Ne abbiamo un armadio pieno.”

“Oh, mi dispiace.”

“Anche a me. E’ uscito qualche anno fa per comprare le sigarette e non è più tornato. Credo sia andato direttamente in Colombia a piedi.”

Si era bloccata, con la felpa infilata per metà, e lo aveva guardato negli occhi. Era serio e calmo mentre le parlava. 

“Mio padre diceva sempre che il sarcasmo era un ottimo metodo per misurare l’intelligenza di una persona. E lo diceva riferito a me e il mio QI, per la precisione. Ma sei sulla buona strada, ragazzino. Che cosa vuoi fare da grande?”

“Finire le superiori e andare a lavorare?” Aveva alzato le spalle e si era guardato la punta delle scarpe. Natasha lo aveva osservato ancora. Osservare il linguaggio del corpo delle persone diceva moltissimo senza dover usare le parole. Natasha Romanoff lo diceva spesso e se era una spia famosa magari poteva imparare qualcosa da lei.

“In effetti ho fatto una domanda scema. Con una madre single devi puntare alla borsa di studio per andare all’università. Fammi un fischio tra qualche anno. L’indirizzo della Stark Tower lo trovi facilmente su internet.” Aveva preso il cellulare che il ragazzino le stava porgendo. “Ci sono novità? Sono stata un po’ isolata dal mondo per qualche ora.”

“Nulla che possa interessarti, credo. Stanno solo facendo vedere il filmato della tua casa distrutta e un video del Mandarino che rivendica l’attacco perché l’hai minacciato. Dice che ti ha uccisa e che l’America ha perso la sua guardia del corpo.”

“Quello è Rhodes, non io.” Velocemente aveva digitato il numero del cellulare di Steve ed era rimasta in attesa. Uno squillo. Due. Tre. Ma Steve non rispondeva. Era partita la segreteria telefonica e aveva la tentazione di imprecare perché questo non risolveva nulla. Non sapeva se Steve stesse bene e lui non poteva sapere che stesse bene lei. “Ehi, Steve, sono io. Sono ancora viva e vegeta. Sono in Tennessee , a Rose Hill per la precisione. Devo fare qualche ricerca, riparare l’armatura, e poi vengo a cercarti ovunque tu sia. Spero che tu sia con Fury, credimi. Sai quanto è assurdo detto da me, ma spero che lo S.H.I.E.L.D. sia intervenuto velocemente.” Aveva chiuso la telefonata, guardando ancora un attimo il cellulare. Era questo ciò che Fury intendeva quando le aveva detto anni addietro che loro due erano un problema per lo S.H.I.E.L.D.? Che andavano in crisi se all’altro succedeva qualcosa? Steve aveva smosso mari e monti per trovarla in Afghanistan. Lo avrebbe fatto ancora. Se era con lo S.H.I.E.L.D. adesso sicuro avrebbe cercato di localizzarla in qualche modo. “Ehi, Harley. Quanto distiamo dalla città? Ce la facciamo ad arrivare a piedi in centro?”

“Sarà una decina di minuti a piedi. Cosa devi vedere qui? Non c’è nulla a Rose Hill. Abbiamo una chiesa battista, un cimitero, la tavola calda dove lavora mia madre.”

“Chad Davis, so che viveva da queste parti.”

 
   
 
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