Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: BlackPaperMouse86    03/08/2023    1 recensioni
Prima di Armin, Annie era un Gigante. Avevi sempre l'impressione di guardarla dal basso, perché la sua era una vita grandiosa.
La pelle dura come la pietra, le gambe che sembravano nate per correre. Correva sempre, Annie, correva nello scrivere gli appunti, correva da un attrezzo all'altro della palestra, correva quando faceva la doccia. [...]
La maggior parte delle persone le stava lontano, perché una tale grandiosa precisione nel difendersi, una tale scioltezza nel fare la guerra, avevano un che di spaventoso.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prima di Armin, Annie era un Gigante. Avevi sempre l'impressione di guardarla dal basso, perché la sua era una vita grandiosa. 

La pelle dura come la pietra, le gambe che sembravano nate per correre. Correva sempre, Annie, correva nello scrivere gli appunti, correva da un attrezzo all'altro della palestra, correva quando faceva la doccia.

Se qualcuno le piaceva o la turbava, non avresti saputo dirlo. Quando le proponevi una gita o un picnic, Annie accettava sempre di venire - ma nulla, né una luce nell'occhio, né una ruga sul viso ti avrebbero mai parlato di lei, di cosa voleva da quella gita o da quel picnic, se la proposta l'avesse fatta felice. 

Se invece le mancavi di rispetto, Annie sapeva affrontarti. Era eccellente in questo, sembrava a suo agio mentre sfoderava dal suo arco tutte le frecce: le parole più crudeli, i proiettili più duri che potessero metterti a tacere per sempre. Dopo un confronto con Annie nessun seccatore tornava a sfidarla. La maggior parte delle persone le stava lontano, perché una tale grandiosa precisione nel difendersi, una tale scioltezza nel fare la guerra, avevano un che di spaventoso. 

Per non parlare del gelo: le guance di Annie, questo il suo amico Reiner lo sentiva sempre, erano fredde come contenitori di ghiaccio. Forse avevano contagiato tutto il resto del viso, perché questo era congelato nella stessa espressione da sempre.

 

Sì, Annie era una specie di regina di ghiaccio. Manipolava questo elemento con naturalezza come quelle creature potenti delle fiabe, quelle che non sai mai se sono fate o streghe, bellissime e orrende. Negli occhi di queste donne pensi sempre di trovare qualcosa di speciale se ti avvicini: un cerchio di tristezza, una riga di rabbia, qualcosa che ti faccia capire perché mai tra tutti i rifugi del mondo hanno scelto proprio il freddo. Invece la maggior parte delle volte rimani deluso o spaventato, perché dentro quelle iridi vedi solo il nulla. Il nulla della dieta perfetta, della pancia piatta, delle due ore al giorno in palestra, dei 30 con lode, delle foto di famiglia dove i genitori sorridono e sono bellissimi. 

 

Annie sapeva di non comunicare nulla - fuori da sé. Ma quel ghiaccio così mortificante, che smorzava il suo sorriso quando guardava gli amici, che le asciugava le lacrime quando qualche ricordo le mordeva il cuore, la faceva sentire così alta, oh così alta che sperava di rimanere congelata per sempre. 

 

Lo sperava sì, ma poi era arrivato Armin. 

 

Durante Armin, la vita era diventata più difficile. A differenza di altri ragazzi che erano stati con lei, lui non era prevedibile e perciò la spaventava. Non voleva rompere il guscio di Annie. Non voleva neanche sapere come mai era fatto di ghiaccio: lo accarezzava e basta, lasciava baci sulla superficie e parlava - raccontava storie accoccolato con lei sul divano di casa sua, dove l’aveva invitata per la notte, raccontava storie finché non era così stanco da addormentarsi sulla spalla di lei. E Annie lo guardava dormire.

 

Durante Armin, la vita era diventata saporita. Annie aveva scoperto che il cibo non era solo necessario per vivere, ma era anche buono - buona la zuppa che preparava Armin, buone le bruschette con il burro, buono l’odore di basilico sul balcone. Dopo mesi di esitazione, Annie si era comprata una pianta di pomodorini. 

“Pero’ mi devi aiutare a non farla morire.” 

“Va bene.” 

 

Se n’era accorta troppo tardi Annie, che Armin era un arrampicatore. Stava scalando giorno dopo giorno quel suo corpo statuario, altissimo, dalle spalle larghe, che fino a quel momento era stato così lontano dal tocco degli esseri umani. Stava accarezzando le corde vocali del gigante con così tanta dolcezza da far loro produrre questa strana nuova voce - che non intimidiva più nessuno, che non aveva nulla di bestiale ma era invece… Gracile. Come quella delle bambine all'asilo che piangono perché hanno nostalgia dei genitori. 

 

Annie aveva nostalgia dei genitori? Quand’era stata l’ultima volta che si era permessa di essere bambina?  

 

“Mia madre ha lasciato casa quando avevo undici anni. Ero sola con papà. Lui voleva che io diventassi forte e io lo sono diventata, così ora posso vivere senza l’aiuto di nessuno. E così anche lui può lasciar perdere me e prendersi cura di sé stesso.” L’aveva confessato ad Armin proprio su quel balcone che profumava di basilico. “Noi… Non siamo una famiglia in cui ci si consola. Ognuno si cura da sé.” 

“Ma questo è molto triste, non trovi?” 

Una crepa nel guscio.

“Perché, triste?”

“Perché non c’è niente di male ad essere curati.” 

Aveva allungato una mano sulla schiena di lei, ma Annie aveva rabbrividito come se una lama le avesse sfiorato il cuore. Si era scansata, indietreggiando, scuotendo la testa, cercando una via d’uscita da quel balcone immerso nel profumo, troppo troppo profumo, le stava bruciando il naso e gli occhi: “Stammi lontano.” 

“Annie, quelle lacrime…”

“Non sto piangendo.” Si era passata il polso sul viso. “Adesso basta. Io vado a dormire.”

Era entrata in casa. Lui l’aveva raggiunta nel letto poco dopo. Avevano fatto l’amore. 

“Hai paura che ti faccia del male?” Le aveva chiesto Armin. 

Annie l’aveva guardato bene in viso. Le guance della giovane non erano più fredde ma bollenti, rosse, cariche di un’insopportabile tensione.

“Sì.” 

 

“Annie, sei più carina con i capelli sciolti.” Le aveva detto Reiner. “Da quando li porti così?” 

“Non… Lo so.” Annie era arrossita. Carina non gliel’avevano mai detto - i suoi nomi erano altri, prima: erano forte, decisa, coraggiosa, questi erano i complimenti di Bertholdt, una roccia, un gigante, una regina. 

“Li tieni così perché piacciono ad Armin, vero?” Canzonava Reiner.

“Ho detto che non lo so!” 

Ma se Armin aveva davvero cambiato tutto questo, voleva dire che Annie stava perdendo la sua invalicabile statura? Che alle sue gambe piaceva più il riposo della corsa? 

 

Che forse andava bene così? 

 

“E se non riuscissi più a correre, dopo?” Era pallida mentre stringeva forte le braccia di Reiner. “E se il guscio si spacca e io mi spacco con lui? Come farò a vivere?” 

“Non ti serviranno più quelle cose.” Le aveva sorriso l’amico. “Perché ci sarà Armin a proteggerti. Non dovrai più farlo da sola.” 

 

Durante Armin, Annie era una ragazza. Si sdraiava sull’erba e starnutiva per il polline. Aveva gli occhi che cambiavano espressione. I capelli le scivolavano sulle spalle avanti e indietro. A volte si dimenticava di andare in palestra perché si perdeva a passeggiare per la città. E si raccontava storie prima di dormire, le stesse che aveva sentito sul divano di Armin, si raccontava le storie e per una volta finivano tutte bene. Finivano che mamma tornava a casa prima o poi. Finivano che papà chiedeva scusa a sua figlia, le diceva: “Annie ho sbagliato. Non diventare dura mai più. Sii solo Annie.” 

 

La gigantessa la prendeva dalla spalla, la teneva sulla mano, la lasciava scivolare a terra per camminare in mezzo agli altri piccoli umani. Non senza dolore - ma stava accadendo. 

 

Stava accadendo? Poteva accadere anche a una come lei? 

 

“Annie, credo… Credo che dobbiamo lasciarci.”

 

Dopo Armin, Annie non è una cosa che conosce. Annie non è più alta ma nemmeno bassa, né forte né debole, né fredda né calda - è una pioggia strana che sembra pronta a trasformarsi in neve. Ma non funziona più niente come prima: il guscio di ghiaccio, una volta rotto, non si aggiusta.

 

“Dove cazzo credi di andare?!” Urla in mezzo alla strada buia, dietro a quella figura bassa, cupa, la schiena curva di Armin che si sta allontanando senza dire una parola, senza una spiegazione. Annie ha gli occhi gonfi di lacrime e trema in tutto il corpo. “Ah!” Lancia grida senza parole, barcolla come se ogni passo le facesse male, allunga le braccia storte. “ARMIN! Non puoi abbandonarmi adesso! Non puoi piantarmi in asso! Dopo quello che mi hai fatto… Ah… Quello che mi hai fatto, Armin…” 

Lui alla fine si volta - questo è il colpo di grazia. Annie si sente vista e questa è una violenza intollerabile. Crolla in ginocchio, piange con quel grido altissimo che producono le bambine quando al primo giorno d’asilo i genitori se ne vanno via… Se ne vanno via… Se ne vanno… 

 

Il pianto non si trasforma più in ruggito. Annie ci prova, ci prova a tornare animale, a raggiungere la mano della gigantessa - quella mano congelata che la chiuderà per sempre in un luogo sicuro. Ma non riesce. 

 

Forse, se Armin fosse cattivo come la mamma, forse ci riuscirebbe. Ma Armin è angelico persino nell’abbandonarla: soffre con lei per ogni secondo di quella terribile ora. Quando la vede cadere a terra, torna indietro per abbracciarla. 

“Mi dispiace Annie, mi dispiace… È colpa mia…”

“Ma ti dispiace cosa?! Cosa, perché?!" Lo strattona, lo afferra per quella camicia dolce che era abituata a baciare - che non avrebbe baciato più, mai più. “Perché mi stai facendo questo… Perché tu… Avevi detto… Avevi detto che… Va bene essere curati…” 

“Forse l’amore non funziona come una medicina, Annie… Forse non possiamo usarlo per curare…” 

“Ma che cazzo dici?!” Annie tira così forte da strappargli il colletto della camicia. Armin sussulta dallo spavento. Ti faccio paura, eh? “Me l’avevi detto tu… Me l’avevi detto tu che l’amore è curare…” Fai bene ad avere paura: io sono una guerriera. “E adesso dici queste cose… Ma chi cazzo sei tu, Armin?! Ma chi cazzo sei?!” …Perché questi pensieri non funzionano più? Perché mi fanno sentire patetica? “Tu non puoi essere questo. Io ti conosco. Tu sei buono… Tu sei…"

“No Annie. Io non sono più la stessa persona di un anno fa, io sono… Cambiato. In realtà, chi sono io, non lo so più con certezza.”

 

Già: chi è Armin? Né un bravo né un cattivo ragazzo, né un angelo che salva né un diavolo che ammazza. Rispondere a questa domanda, nel corso del tempo, diventa sempre più difficile perché presto il soggetto del quesito si sostituisce: chi è Annie? Né gigantessa né ragazza felice. Questi sono gli unici due mondi che esistevano per lei: prima di Armin e durante Armin. Che cosa può diventare ora?

 

“Mi faccio schifo.” Trema tra le braccia di Reiner. “Non riesco più ad essere niente… Niente di niente… In palestra mi annoio, a lezione non vado da settimane. Nemmeno sento il mio corpo che respira. Quando mi sdraio… Non sento il mio seno, non sento le mie gambe. Me le hanno portate via…”

“Questo perché sei sempre coperta di strati, Annie. Perché resti sempre in felpa? E questo giaccone di tuo padre, non è troppo pesante per te?”

“Rimane solo questo di me!” Sbotta, la voce rotta dalle lacrime. “Rimane solo questo di me…”

 

Ma non è vero. C'è dell'altro che rimane - la buffa pianta di pomodorini riposa ancora sul balcone di casa. Una sera che piove forte, Annie esce sul balcone senza ombrello: si accovaccia sopra il vaso, lo tiene stretto alla pancia e curva la schiena su di esso, il mento posato sulla clavicola. La pioggia la bagna ovunque ma la ragazza non si muove. Forse la sua schiena non è diventata così debole in fondo. 

La piccola pianta non muore, in estate fa nascere i pomodorini. 

 

"Lo vedi come stai affrontando questo brutto periodo?" Le sorride un Bertholdt con lo smoking. "Anche se fai fatica continui a studiare, continui ad allenarti. Stasera sei venuta anche alla mia festa di compleanno. Io te l'ho sempre detto Annie, che tu sei una dura."

"Basta con questi paroloni. È una festa no? Ho indosso un vestito che brilla." Annie arrossisce. "Perché non mi dici che sono carina e basta?" 

 

Dopo Armin, Annie non è una cosa che conosce. Si guarda allo specchio e non somiglia a nessuna persona del mondo.

 

A volte il dolore la colpisce al petto e lei si spaventa. "Ah… Sto crollando." In quei casi si appoggia al braccio di Reiner. "Non lasciarmi cadere..."

"Annie. Sei in piedi, Annie."

"No, no… Sto crollando. Lo sento ogni giorno che passa. Non ce la faccio più a vivere così..." 

"È solo per adesso. Solo per adesso. Imparerai a vivere, te lo prometto." 

 

Com'è faticosa la vita molle. L'assenza di durezza. Le guance che si scaldano di imbarazzo al primo sguardo troppo intenso di Bertholdt, le lacrime che emergono quando si ritrova a passeggiare per quei lunghi viali che le ricordano Armin - lacrime su lacrime, bolle salate che scivolano senza freno dal viso. 

Ghiacciatevi, ordina Annie, ma il suo corpo non sa più a produrre freddo. 

 

"Io gli volevo bene, sai? Per davvero." Commenta con un mezzo sorriso amaro, seduta sul letto di casa, accarezza una vecchia foto di famiglia. "Come papà voleva bene alla mamma." 

Parla come se ad ascoltarla ci fosse Reiner, ma in realtà è da sola. 

"E adesso invece passo il mio tempo a piagnucolare… Mi riempio la testa di domande. A volte mi chiedo, a volte… Mi chiedo se sarebbe stato meglio non guardarlo proprio, Armin. Lasciarlo volare via da me. Avrei potuto farlo… Non ci voleva niente. Lasciarlo bussare alla porta e non rispondere. Stare zitta finché non se ne andava via. 

Quando poi… Ho aperto la porta… E lui era ancora là ad aspettarmi… Allora ho capito che ero viva. Che da quella vita non potevo scappare. Allora ho avuto paura." 

È nei momenti di paura che Annie ricorda Armin.
 

Tu credi che il mondo là fuori sia cattivo, non è vero? Non ti piace pensare alla tua piccolezza, Annie. Perché il mondo è grande, è grande e in effetti è vero, noi siamo piccoli. Troppo piccoli per le grandi guerre, per le grandi catastrofi, troppo piccoli anche per capire come fare a diventarlo davvero, grandi. È chiaro che poi il mondo ci sembra cattivo. Però… Ci pensi a come deve essere bello viaggiare? No, non come facciamo noi, ma viaggiare sul serio - guidare un aereo per esempio. Vedere il mare da un aereo. Il mare… 

Ci pensi, Annie? Ci pensi che bello? E io che ho sempre avuto paura di volare…

   
 
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