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Autore: Carla Marrone    09/08/2023    2 recensioni
Quarto ed ultimo capitolo della saga della maga bianca. La strega Miranda ha un sogno premonitore, nel quale vede un unicorno. Capisce così che il momento in cui deve affrontare il suo più acerrimo nemico si avvicina.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ARCOBALENO

 

Il gatto nero Istinto svegliò la strega Miranda da un sonno tormentato. Aprì gli occhi e notò che era giorno da un pezzo. La bestiola vandalica doveva avere una gran fame. Anche lei. Si versò una tazza di latte e ne diede ad Istinto. Ripensò al sogno della notte precedente. Aveva visto un unicorno. Di per sé, non sarebbe stata una brutta cosa, non fosse altro per l’angoscia che aveva provato. Sembrava quasi che l’equino le domandasse incessantemente qualcosa. Qualcosa che lei non era ancora pronta a capire. Che fosse una premonizione? Ai maghi capitava. Istinto prese a grattare la porta. Lo fece uscire. Mentre friggeva della pancetta e rompeva le uova pensava al suo più acerrimo nemico: il mercante della morte. Nessuno sapeva chi fosse, nessuno l’aveva visto. Portava un mantello nero ed il cappuccio calato sul viso. Ciò che era certo, amava vendere oggetti stregati che causavano atroci sofferenze a chi li possedeva, fin anche ucciderli. Era stata convocata a risolvere numerosi casi legati a tali manufatti, ma, si trovava ben lungi dal sapere come scovarne l’artefice. Anche fosse riuscita a trovarlo, cosa avrebbe fatto? Quanto poteva essere potente un simile negromante? Sentiva di aver davvero bisogno di un aiuto dal cielo, sempre le streghe avessero angeli custodi. Un segno, le sarebbe bastato un semplice segno… Si ripromise di consultare gli spiriti delle sue antenate per averne uno. Rischiò quasi di bruciare la colazione, nel meditare se fosse realmente il caso di disturbarle per una simile questione. Sobbalzò, nell’impiattare, quando Istinto prese a piangere insistentemente alla porta. Immaginò volesse della carne. Lo fece entrare e gliela servì. Non parve interessato, cosa quanto mai insolita. Continuava a sfrecciare tra la finestra ed il tavolo, sotto al tavolo. I rumori dall’esterno l’avvertirono che una bufera stava arrivando. Ecco perché. I gatti certe cose le sentono in anticipo. L’aveva visto grattarsi dietro l’orecchio, prima di lasciarlo andar fuori. Eppure, una simile agitazione non era da lui. Che ci fosse qualche animale selvatico? Prese nota mentale di controllare, una volta finito di mangiare. 

 

Stava per mettere in bocca la prima forchettata, quando capì. Il segno, era quello!

 

Uscì in piena tempesta e lo vide: l’unicorno del suo sogno. La stava aspettando. Emanava un lucore lunare, appariva placido e sicuro di sé, la testa sollevata in atteggiamento fiero, col corno iridescente. Notò che, nonostante il temporale, il sole non si era oscurato. L’animale fatato le indicò l’arcobaleno in lontananza. Seppe cosa fare, capì ciò che voleva dirle. Era giunta l’ora. 

 

Si avvicinò alla bestia magica e le chiese sottovoce il permesso di cavalcarla. Il boato della Natura copriva le sue parole, ma l’animale la comprese ed acconsentì. 

 

Volarono sopra la scia di luce colorata, fin sopra le nuvole, dove sapeva, chi c’era ad attenderla. Il Mondo Magico aveva preso provvedimenti, come spesso faceva, quando una grave minaccia incombeva su Gaia. Fu un’esperienza totalmente nuova per lei. Le era capitato di praticare incantesimi di levitazione, ma volare così in alto, ad una simile velocità, la terrorizzava. Scoprì di soffrire di vertigini. 

 

Non ebbe, comunque, il tempo di avere paura. Non del volare, almeno. Sopra le nubi scure, si ergeva un castello di fumo plumbeo, la dimora del mercante. Era lì che erano diretti. 

 

Come tutti i maghi neri, aveva presagito il loro arrivo e gli veniva incontro, all’uscita delle mura protettive. Quando furono abbastanza vicini, notò le sue mani scheletriche uscire dal mantello nero. Ai polsi aveva manette con lunghe catene tintinnanti. “Captivus”, prigioniero in latino. Fu così che lo battezzò, non conoscendone il vero nome. Probabilmente, non ne aveva uno. 

Un nitrito deciso la riportò alla realtà. Stava per attaccare. Uno scettro rosso come il sangue gli si materializzò tra le braccia. 

Schivarono le sue raffiche di tuoni, più e più volte. I colpi si intensificavano rendendo impossibile avvicinarsi quel tanto che sarebbe bastato. 

Miranda si sentì mancare. Temette talmente tanto di non farcela che prese a pregare le sue antenate. 

Il miracolo avvenne. Un pezzo del ponte levatoio, sul quale si trovava il praticante della Goezia crollò ed egli perse, per un attimo, la concentrazione. 

In quel prezioso attimo, la giovane spronò il cavallo, che balenò in avanti. Trafisse col corno l’uomo oscuro, mentre lei non smetteva un attimo di invocare le energie positive. Pregava per la natura, l’acqua, la terra, il vento, il fuoco, senza dimenticare i candidi fiori. 

Il malvagio vacillò. Non era ancora finita. 

“Se soltanto avessi il mio ramo magico…” Si rammaricò la strega buona. 

Con un cenno del capo del cavallo incantato, questo apparve, luccicando sopra al suo corno. Era stata la sua cara nonna a crearlo per lei. Quando lo muoveva imitava il suono della pioggia, perché vi aveva inciso sopra delle gocce, cantando formule di magia protettiva. 

Chiese all’animale il permesso di prenderlo, stavolta con voce ferma e decisa. Le fu concesso. 

Lo brandì e si voltò di scatto, colpendo il mago nero che aveva strisciato silenzioso fino alle sue spalle, il chiaro intento di eliminarla. 

Questi svanì, emettendo uno stridore raccapricciante, in una nuvola di fumo nero. 

La pioggia buona aveva sconfitto quella cattiva. Assieme a Captivus scomparvero anche il castello e le nuvole di tempesta e si ritrovarono sospesi nel vuoto. 

 

Le parve di cadere, poi, non ricordò più nulla. 

La prima cosa che seppe, una volta riavutasi, fu che si trovava davanti casa sua, nello stesso punto in cui aveva visto apparire il suo compagno di battaglia, di cui non v’era traccia. Era in piedi, la pioggia cessata, ad ammirare l’arcobaleno. Si chiese, per un attimo, perché non ricordasse come c’era arrivata, ma si disse che era giusto così. Alcune cose si possono vedere solo in sogno. Decise invece di godersi l’aria fresca e l’odore di erba umida, il bosco davanti casa illuminato di una tenue luce rosata. 

 

Chi era veramente Captivus? Forse, solo uno spettro errabondo tormentato. Travestito da innocuo venditore, si nutriva del male che causava alle persone. Forse, non aspettava altro che qualcuno lo esorcizzasse, per porre fine alla sua esistenza a metà. Ma perché simili atrocità apparivano? Decise che il quesito era troppo per il suo stomaco vuoto. Stomaco vuoto, mente vuota, diceva sempre sua nonna. Così, rientrò in casa. Istinto si strusciò sui suoi polpacci, dandole il bentornato. Si leccava i baffi. Una rapida occhiata al tavolo le fece capire che avrebbe dovuto preparare la colazione per la seconda volta, così da poter mangiare anche lei. Non c’era modo più propedeutico, per imparare a preparare le pozioni, diceva sempre sua nonna.  

   
 
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