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Autore: Anchestral    09/08/2023    2 recensioni
[Chainsawman]
C’erano giorni in cui i ricordi non erano leggeri. Quello era uno di quei giorni.
[Personaggi: Denji, Altri]
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Siblinghood'
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sweet dreams

 

C’erano dei giorni in cui i ricordi non erano così pesanti sulle sue spalle. Si alzava, preparava la colazione per lui e per Nayuta e andava a scuola. 

C’erano persone che sembravano aver preso spazio nella sua vita, non facendola sembrare più così vuota. Era grato a tutti loro, sembravano ricordargli che il peggio fosse passato, che forse avrebbe potuto ricominciare a vivere normalmente. Tra un pisolino sul banco in fondo alla classe e i battibecchi con Asa e Yoshida, il tempo passava subito e se ne tornava soddisfatto, col cuore leggero, a casa.

C’erano altri giorni in cui i ricordi non erano più così leggeri. Giorni in cui la mente vagava e vagava, tornando indietro a pensieri e situazioni. Giorni in cui la mattina non andava in cucina a preparare la colazione ma bensì si sedeva d’istinto a tavola, aspettando che qualcun altro lo facesse per lui. Giorni in cui Nayuta aveva la voce, atteggiamenti troppo familiari e lui era sul punto di chiamarla col nome sbagliato, fermandosi sempre qualche istante prima che scappasse dalla sua bocca. Giorni in cui i battibecchi con Asa e Yoshida lo facevano ridere e la prima cosa che gli passava per la mente era tornare a casa e raccontarli o, a volte, di poter avere quella stessa discussione con loro.

C’erano persone che avevano preso spazio nella sua vita, ma in un modo che gli sembrava quasi sbagliato. Persone diverse ma che, guardandole, sembravano solo una pessima imitazione di quel che aveva avuto, di cui lui si circondava solo per non sentirsi solo, di nuovo. 

Era ingiusto. Era sbagliato che agisse in quel modo, pensava. Voleva bene a loro, ma c'erano giorni in cui si sentiva in colpa perché la loro presenza non era più abbastanza da riempire quel suo vuoto.

Perché doveva dividersi tra i ricordi del passato e la vita nel presente?

Perché non poteva stare con tutti?

 

Quello era uno di quei giorni.

 

Aprì la porta di casa lanciando, in malo modo, lo zaino e la giacca per terra. Era già quasi ora di cena e doveva ancora preparare tutto.

Sospirò stanco e camminò per la casa, verso la cucina. Lo sguardo perso vagò sui bordi e le superfici dei mobili percorrendoli, accompagnandolo quasi nei suoi passi incerti, finché non si posarono su una piccola cornice.

Denji si bloccò, le braccia caddero molleggianti verso il basso, vicino alle gambe. Si avvicinò a quel piccolo pezzo freddo di metallo e vetro, prendendolo tra le mani. Osservò ciò che ritraeva.

Tre figure in piedi, frastagliate. Due volti raggianti, sorridenti e un terzo andato perduto insieme agli intrecci delle loro braccia. Tutto consumato dalle macerie e dalle fiamme.
 

Nei suoi occhi e nella sua mente, poteva ancora ricordare quel pomeriggio sbagliato, come tutto fosse lì davanti a lui, in quel preciso istante: lo scheletro e i brandelli del palazzo, le lingue di fuoco, che illuminavano il cielo incandescente, e la cenere plumbea, pesante, che si insinuava prepotente nei suoi polmoni. Le dita sfracellate, le unghie lacere che continuavano a scavare. Ancora e ancora. Gli dovevano far male ma non sentiva nulla, non era nulla in confronto a tutto il resto. La terra, le pietre venivano lanciate via in nuvole di polvere, con prepotenza e disperazione.

Alla sua sinistra tra le urla e i richiami striduli, la chioma di capelli biondi di Power, ormai sporca e crespa, si muoveva come avesse vita propria, in una danza frenetica, seguendo tutti i suoi movimenti. Sembrava una fiera selvaggia, con brutalità immergeva le unghie distrutte nei detriti, le mani afferravano i massi e poi le braccia si flettevano per scaraventarli via, alla ricerca di non si sapeva cosa.

A dire il vero, nemmeno Denji sapeva cosa stava cercando di preciso. Aki era morto lo aveva ucciso lui e loro stavano scavando come degli ossessi in un cumulo di niente. Non lo avevano saputo fino a quando, dopo quelli che sarebbero potuti essere pochi minuti o ore intere, Power si era fermata, respirava pesante dalla stanchezza e tra le mani si ritrovarono quella foto. Quando e perché l’avevano scattata?

Non ricordava nemmeno quello. 

Però era l’ultimo ricordo che rimaneva a loro due di Aki.

 
Denji rigirò la cornice tra le mani e la posò sofferente sul mobile.

Poi, quella carta straccia, consumata, che custodiva gelosamente e che fissava ogni giorno prima di uscire di casa, era diventata anche l’unico ricordo che gli era rimasto Power. Di loro tre insieme. 

Era strano pensare che lo continuassero a seguire, a vedere la sua vita ma solo al di là di un vetro, non al suo fianco come avrebbe voluto. Era l’unica speranza che gli era rimasta, che lo osservassero davvero da dietro quel vetro, l’unico modo per sentirli ancora vicini.

 

Anche mangiare diventava difficile, quando ogni cucchiaio che si portava alla bocca sapeva sempre di più di casa. Quella sera il curry era spaventosamente simile a quello che era abituato a mangiare in passato; volta dopo volta si avvicinava sempre di più al sapore impresso nei suoi ricordi e nelle sue papille gustative. Forse avrebbe preferito poter dire di odiare quella sensazione di nostalgia, di odiare Aki perché gli aveva insegnato a replicare la sua cucina o di odiare perfino sé stesso per essere diventato così bravo, perché così sentiva quasi di starlo sostituendo e ogni boccone gli ricordava sempre più ciò che aveva perso. 

Era ancora più difficile mangiare, quando Nayuta scartava meticolosamente e con una precisione chirurgica tutte le carote sul bordo del suo piatto e, dopo aver finito la sua opera, le travasava una ad una nel suo di piatto per poi trafugare di soppiatto un pezzo di pollo. 

Come avrebbe potuto anche solo pensare di provare ad odiare Power o Nayuta perché erano così simili? Non poteva.

Sarebbe stato tutto più semplice se ne fosse in grado, se gli fosse concesso dimenticare o se, forse, non avesse mai conosciuto Power e Aki; ma non ci riusciva, perché loro erano ciò che aveva avuto di più prezioso nella sua vita e i ricordi che si scolorivano erano anche l'unica cosa che gli rimaneva. 

Lasciò la presa e il cucchiaio affondò tra i chicchi di riso, nella salsa densa.

 

Aveva appena terminato di intrecciare con cura le ciocche di capelli neri in una spessa e rigorosa treccia. Nayuta, contenta, balzò in piedi, fece una piccola giravolta su se stessa e poi si buttò ad abbracciarlo e ringraziarlo tra un susseguirsi di moine. Denji la strinse a sé in un abbraccio, accarezzandole la testa. Se Nayuta era felice, anche lui lo era.

Era stato lui per la prima volta a farle la treccia e la ragazza aveva amato fin da subito quella acconciatura. Le aveva insegnato anche la tecnica, ma lei preferiva sempre che fosse lui a fargliela. Denji ne era contento, si sentiva in dovere di insegnarle almeno quello.

La lasciò andare e Nayuta, dopo essersi allontanata un po’, gli sorrise. Le labbra si mossero leggermente all’insù e Denji rivide gli occhi color ocra, prima che venissero celati dietro le palpebre, e li riconobbe. Un’impressione che durò solo una frazione di secondo ma che lo mise in guardia, intimoremdolo 
lievemente. Capì che la sua faccia doveva aver riflesso la sua reazione istintiva dal fatto che il sorriso di Nayuta si spezzò in una smorfia affranta.

«Non sono lei» gli disse triste e il senso di colpa lo fulminò sul posto. 

Allungò una mano per stringere quella della ragazza.

«Lo so, Nayuta. Lo so.»

Il senso di colpa non era solo per averla ferita ma perché, nonostante Makima fosse la causa di tutto e soffrisse ogni giorno le conseguenze delle sue scelte, non riusciva ad odiare nemmeno lei.

 

Era notte. Nayuta dormiva accanto a lui, stringendogli il braccio e sbavando appena sulla federa del cuscino. Abbassò lo sguardo su Nayuta, immersa nella penombra. Aveva deciso che sarebbero cresciuti insieme e per lei avrebbe fatto tutto ciò che era possibile, rimediando ai suoi errori del passato, proteggendola quando non era riuscito a farlo per tutti gli altri. Era tutto ciò che gli rimaneva e la persona a cui teneva di più al mondo. Brillava nella sua vita nei momenti in cui tutto sembrava buio.

Gli ritornarono in mente delle parole lontane, pronunciate in una fredda notte nevosa, e per la prima volta capì davvero cosa intendesse.

«Grazie per essere con me, mi fai dimenticare le cose brutte.»





Note dell'autrice:
Salve! Ritornare alla grandissima con una roba angst? Fatto!
Non ho molto da dire, credo sia una specie di character study? Volevo solo soffrire mentre scrivevo e fare soffrire voi nella lettura?
 Il riferimento, nelle ultime righe, è al capitolo 72 del manga.
Non so di preciso è una di quelle cose che mi sentivo in dovere di scrivere dall'alba dei tempi.
Grazie per aver letto e spero vi sia piaciuta. 
à la prochain fois :3
   
 
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