Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    29/08/2023    0 recensioni
“Forse si salverà” pensò.
Se avesse potuto infondere in lui ogni traccia del proprio alito vitale lo avrebbe fatto.
Osservò ancora il volto pallido del giovane, gli occhi chiusi nel limbo di incoscienza e non riusciva a darsi pace: si trattava di un compagno, l’unico caduto sul campo quel giorno ed era già un miracolo, si chiedeva come fosse possibile che tutti gli altri si fossero salvati.
Genere: Angst, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Armin Arlart, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Fanfic scritta per il gruppo Facebook “Prompts are the way”.
 
Prompt: Armin, H/C: si occupa di un commilitone e chiede scusa. Per lui ogni ferito in guerra, ogni perdita, sono colpa delle sue scelte.
Fandom: Attack on titan
Titolo: Il meglio che si potesse fare
Personaggi: Armin Arlert, Levi Ackermann, Hanji Zoe, OC
Genere: angst, death fic, drammatico, hurt/comfort, introspettivo
Rating: giallo
Avvertimenti: Morte di un personaggio indefinito. L’hurt/comfort è presente, ma non tanto da parte di Armin verso la vittima, quanto di Levi verso Armin
 
 
IL MEGLIO CHE SI POTESSE FARE
 
 
La mano di Armin si posò sul petto del soldato: il battito andava regolarizzandosi e il ragazzo sospirò di sollievo.
“Forse si salverà” pensò.
Se avesse potuto infondere in lui ogni traccia del proprio alito vitale lo avrebbe fatto.
Osservò ancora il volto pallido del giovane, gli occhi chiusi nel limbo di incoscienza e non riusciva a darsi pace: si trattava di un compagno, l’unico caduto sul campo quel giorno ed era già un miracolo, si chiedeva come fosse possibile che tutti gli altri si fossero salvati.
Gli occhi del ferito si spalancarono di colpo, persi e terrorizzati, la bocca si aprì in un’esclamazione di dolore, il battito del cuore tornò frenetico.
“Oh no” mormorò Armin.
“Aiuto!” chiamò poi, girandosi in cerca di qualcuno che potesse soccorrere il soldato sofferente.
Hanji accorse subito e, con un gesto imperioso, spinse via Armin per prestare soccorso il più rapidamente possibile.
Il cadetto barcollò, confuso, incapace di distogliere lo sguardo dalla scena.
L’espressione di Hanji gli suggerì che la situazione era grave e avrebbe voluto rimanere lì, rendersi utile…
Lui…
Utile…
Era stato lui a provocare tutto quello, se quel ragazzo fosse morto lo avrebbe portato per sempre sulla coscienza.
Una mano si posò davanti ai suoi occhi e lo tirò indietro.
“Vieni via, Arlert, lascia che ci pensi Quattrocchi”.
Riconobbe la voce del capitano Levi.
Non avrebbe mai osato opporsi a lui: si lasciò trascinare fuori dalla tenda senza emettere un suono.
Dopo qualche passo, Armin portò una mano alla bocca, mentre lo sguardo, prima fisso sulla schiena del capitano, andò a terra.
“Probabilmente, quel ragazzo morirà, Arlert, non potresti fare niente là dentro”.
Sussultò, nel tentativo di comprendere l’inflessione che l’uomo aveva infuso nelle proprie parole: all’apparenza potevano sembrare ciniche, ma Armin ne colse ogni sfumatura, ne assorbì la tristezza, gli scese nell’animo e fece male al cuore, andando a nutrire il suo senso di colpa.
Levi aveva parlato senza voltarsi ma, quando i passi del cadetto si fermarono, lo percepì e arrestò i propri.
Armin lasciò ricadere la mano e gli occhi puntarono a terra, a fissare ghiaia e polvere…
“Sembrava… stare meglio…”.
“Hanji lo aveva capito, la ferita ha leso organi vitali, per questo gli aveva somministrato un sedativo”.
Era così, dunque.
Qualunque miglioramento Armin avesse ravvisato, si era trattato solo dell’illusione apportata da farmaci lenitivi.
Levi concluse il proprio discorso con calma, quindi girò su se stesso, proprio mentre il viso del ragazzino si sollevava, dando così modo ai loro sguardi di incrociarsi.
Il viso del capitano appariva freddo e composto, ma ad Armin non sfuggì il lucore dei suoi occhi: si chiese se fosse la suggestione del senso di colpa a distorcere la realtà.
Riportò lo sguardo a terra, strinse un pugno all’altezza del petto:
“Mi… mi dispiace… ho commesso molti errori…”.
“Sei incorreggibile!”.
Il tono si alzò, l’inflessione era quella del rimprovero, al quale Armin reagì rintanando la testa tra le spalle, desiderando di venire inghiottito dal terreno. Si fece ancora più piccolo quando udì i passi che si avvicinavano.
Le mani del capitano furono sulle sue spalle e strinsero fino a fargli male: lui si limitò ad irrigidirsi, Levi Ackermann era così, rude, diretto, ma era facile capire quando, nei suoi gesti, non vi era intenzione di nuocere.
Armin percepì calore, forse persino tenerezza:
“Non potrai mai salvare tutti, Arlert”.
Il cadetto rabbrividì, deglutì e, a stento, resistette al pianto.
Le mani di Levi strinsero, per un istante, con più energia, ma poi si staccarono e fu quello il momento in cui Armin trovò il coraggio di sbirciarne l’atteggiamento, sollevando gli occhi quel tanto che bastava per scorgere il volto del capitano che si alzava verso il cielo.
C’era qualcosa di poetico in quello che vide, in quel profilo forte e malinconico, in quell’espressione riflessiva e anche nel discorso che proseguì, in tono pacato e basso, come parlando a se stesso:
“Tutto ciò che ci è concesso, è cercare di riportarne a casa vivi il più possibile”.
Armin si morse il labbro inferiore e serrò i pugni lungo i fianchi.
“Io sono solo un inutile cadetto” pensò. “Inutile…”.
“Armin” riprese il capitano, mentre una nuvola si spostava, lasciando libero un raggio di sole, che accarezzò il profilo severo del giovane uomo. “Il tuo piano ha funzionato”.
Il cadetto strinse le labbra, deglutì ancora, abbassò di nuovo gli occhi.
Non trovò le parole per ribattere e fu Levi a proseguire il proprio discorso:
“Se non lo avessimo seguito alla lettera, avremmo perso molte più vite”.
Armin serrò le palpebre, ma non riuscì ad arginare le lacrime e neanche a soffocare il singhiozzo che gli esplose nel petto. I pugni si fecero più tesi, quasi sentì le unghie che tagliavano la pelle delle mani.
“Però…”.
“Non esiste nessun però, lo so che ne stai cercando, al fine di trovare ulteriori scuse per gettare merda addosso a te stesso, il tuo livello di masochismo supera l’accettabile”.
Il viso di Armin si sollevò di scatto, gli occhi dei due soldati tornarono a contatto, così diversi ma, in qualche modo, simili nel dolore.
Con due passi, Levi gli si avvicinò di nuovo, lo fissò intensamente:
“Hai preso una decisione, hai elaborato un piano ed è andata bene…”.
Le labbra di Armin si schiusero e, nello stesso istante, una mano del capitano tornò sulla sua spalla:
“Ripetitelo a oltranza: è andata bene, era il meglio che si potesse fare!”.
Il cadetto si morse il labbro inferiore fino a farsi male.
“Ma” le dita di Levi strinsero, Armin credette che la sua spalla si sarebbe spezzata, ma ancora non percepì cattiveria o rabbia. “Anche se fosse andata male, avresti comunque fatto del tuo meglio, sempre alla ricerca della miglior soluzione… del male minore”.
“Il male… minore…” sussurrò Armin, riuscendo a parlare per la prima volta, lo sguardo che riprese a fuggire a terra.
“Armin!” lo richiamò con forza il capitano. “Su la testa!”.
Seppur al colmo dell’imbarazzo, consapevole che i suoi occhi erano intrisi di lacrime, il ragazzino non poté resistere all’istinto di obbedire e si trovò di nuovo immerso nello sguardo saldo del capitano Ackermann.
Quegli occhi, due lame d’acciaio che sembravano volerlo trapassare, ad un tratto persero la durezza, il sole vi accese una scintilla calda.
La mano, dalla spalla di Armin si spostò al di sopra della sua nuca, esitò un attimo, poi scese, convinta, sulla chioma bionda e la arruffò, come avrebbe fatto un padre, o un fratello maggiore:
“Ti faccio i complimenti, cadetto Arlert, il capitano Smith, la caposquadra Zoe ed io siamo fieri del tuo operato!”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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