Film > La Maschera di Ferro
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Autore: GilGalahad    15/09/2009    4 recensioni
la maschera di ferro - è una storia che mi perseguita da anni, mi sono sempre domandata se in quella fatidica cella Filippo avesse scelto di rimanere fedele al suo re, anzichè andare con Aramis, se il re lo scoprisse? e se non fosse così cattivo come si vede nel film? il racconto parte da quando i carcerieri vogliono sbarazzarsi del prigioniero...
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era notte, una notte chiara, la luna splendeva , era la luna preferita dagli amanti e dai poeti, vista da tutti come una musa o un amica, in quella piccola parte della francia coperta dalle campagne e dai boschi la luna assumeva connotati spettrali e aff

 Era notte, una notte chiara, la luna splendeva, era la luna preferita dagli amanti e dai poeti, vista da tutti come una musa o un’amica, in quella piccola parte della Francia coperta dalle campagne e dai boschi, assumeva connotati spettrali e affascinanti, i muretti che costeggiavano le tortuose stradine erano illuminati da sottili fili d’argento che sovrastavano i sassi e i tetti delle case, in lontananza si sentiva solo il fruscio del ruscello, il vento portava un profumo fresco, di acqua, di bosco, di alberi, la bellezza pervadeva tutto come in un quadro a tinte nitide che sovrastava il paesaggio, si sentiva una civetta da uno di quegli alberi vicino al ruscello, il rapace si stava appostando per cogliere di sorpresa la preda, le sue piume candide vibravano nell’aria; un gatto miagolava innamorato per la sua gatta che dormiva in grembo ad un bambino grasso e boccoluto in una minuscola branda della sua casa.

Nel bosco lì accanto tutto era stranamente in silenzio, lo rompeva solo uno strano quanto leggero tic tic, impercettibile quasi di per se ma talmente inusuale che tutto, gli animali e perfino il vento, sembravano essersi fermati, per prestare ascolto a quella sinfonia; veniva da una grotta, abbastanza larga, ma tremendamente isolata, da lì il rumore continuava, costante, tranquillo, tanto che chiunque passando nelle vicinanze, avrebbe pensato ad un elfo intento a lavorare il metallo, ma la realtà, come sempre, è più dura della fantasia, specialmente quella, la realtà di un uomo condannato a morire di fame; era un uomo strano tuttavia, i suoi poveri vestiti erano lacerati in vari punti, macchiati di sangue qua e la, e la testa era chiusa in una maschera, troppo stretta intorno al suo collo per riuscire a sfilarla, ma abbastanza larga per non costringergli il respiro, era fermata da un lucchetto dorato alla sommità del capo; stava tentando di liberarsi con tutte le sue forze, le mani sanguinolente, lavoravano alacremente attorno ai cardini della gabbia in cui era costretto tentando di sfilarli, erano giorni che tentava, ne andava della sua stessa vita, voleva scappare di lì, scappare voleva dire essere libero e poter andare in un altro paese, rifarsi una vita, lavorare, sposarsi e avere dei bambini, voleva avere una grazia… tentava in ogni modo di togliere il passante e mentre le mani sempre più malridotte si muovevano, pregava, pregava per il perdono, perché ne era certo, anche se inconsapevolmente, aveva fatto qualcosa per meritarsi quello strazio, non intuiva, però le motivazioni dei suoi carcerieri, che invece di ucciderlo in uno dei modi consueti, avevano biascicato tra loro sul fatto che il suo sangue non dovesse essere versato in terra da mano umana. In quel momento l’ultima cerniera cedette, le sbarre con una spinta si aprirono, libero, uscì all’aria aperta e corse, riempiendosi i polmoni di quell’aria mattutina e frizzante, trovò un ruscello e ci si tuffò letteralmente dentro bevendo acqua a grandi sorsate, uscì e si mise a correre ancora, non seppe ne volle sapere mai quanta strada percorse, sta di fatto che si fermò solo nei pressi di una fattoria, voleva entrare, chiedere anche solo un pezzo di pane muffito, ma si fermò, con quella maschera sul viso, avrebbe fatto paura a chiunque, a ben vedere avrebbe potuto anche buscarsi qualche sassata, decise di attendere vicino al porcile che chiunque portasse da mangiare.

Poteva anche essere passata qualche ora, si svegliò al rumore di un canto, finalmente era arrivata una ragazza con il cibo dei maiali, seppe tener testa all’impulso della fame, e aspettò che se ne andasse, poi cercando sempre di non farsi vedere, si avvicinò, l’istinto a quel punto prese il sopravvento, s’inginocchiò in mezzo al fango e si accostò alla mangiatoia, il cibo era cattivo e maleodorante ma quasi non se ne avvide, poi di corsa ritornò nel bosco; era tarda mattinata e riprese a camminare, domandandosi a ogni crocevia da che parte fosse il confine, dopo quel primo quanto pessimo pasto, non ebbe più occasione di mangiare cibo umano e per quanto si sforzasse riuscì a catturare solo qualche piccolo mammifero per potersi nutrire alla meglio, passarono così i giorni, giorni d’incertezza e di sofferenza, ma ormai a quella si era abituato, d’un tratto le sue narici furono pervase da un profumo, funghi, si mise a cercarli seguendo l’odore, come un cane, e finalmente li trovò, ma inavvertitamente, mise un piede in fallo e scivolò lungo il pendio, rialzandosi dolorante si accorse che la spalla sanguinava abbastanza, avrebbe voluto urlare di rabbia e chiedere una morte veloce, sapendo ormai che per lui non c’era futuro, ma si disse di trovare un riparo per quella notte; a quel punto, però la sua attenzione fu attirata da un altro rumore, accompagnato da urla e spari.

All’inizio continuò a camminare per la sua strada pensando che chiunque fosse non avrebbe avuto certo bisogno dell’aiuto di un mostro, ferito per di più, ma le urla comunque si facevano più forti e portavano una sola parola “Aiuto”, fu quella parola pronunciata con disperazione che gli fece cambiare idea, si girò e corse in quella direzione, riuscì a raggiungere la fonte di quelle urla, dopo qualche istante, vide una donna su un carro che teneva fra le braccia un bimbo, un uomo nella paglia immobile in una posizione innaturale con una coperta che copriva a metà le ginocchia, il gruppo era circondato da due uomini armati che volevano le poche monete che presumibilmente la famiglia poteva avere, Filippo si slanciò in avanti lanciando una pietra che aveva trovato per strada, non voleva usare la spalla ferita, ma a fronte degli attacchi dei due ladri che si erano accorti di lui, se ne trovò costretto, tutto accadde molto in fretta, i due scapparono quasi subito, dopo una breve colluttazione e qualche sparo, ritornò la calma, rotta solo dai pianti del bimbo in braccio alla donna. Fu davvero un colpo per  quella giovane madre, vedere quello stranissimo individuo in mezzo alla radura vicino al suo carro, la aveva aiutata, ma forse voleva qualcosa anche lui:

“Ti prego, lasciaci in pace” disse senza troppa convinzione, ma l’uomo continuò a stare in piedi in mezzo allo spiazzo e vedendo i suoi vestiti laceri alla donna venne in mente che potesse avere fame, quindi posò il bambino vicino a suo marito che aveva sistemato precedentemente e tirò fuori dalla bisaccia una delle due pagnotte che aveva portato, scelse quella di pane nero, si avvicinò e allungò la mano. Una sensazione strana si impadronì del cuore di Filippo, una specie di sordo risentimento, non voleva niente per quel gesto e non voleva di certo farle del male:

“Grazie, no” si sentì dire, e voltando le spalle al pane, si girò convinto più che mai a continuare la sua strada. La donna era stupita, ma non ritirò la mano e anzi, quando quello strano individuo mostrò di volersene andare lei gli afferrò gentilmente il polso e gli mise il pane fra le mani dicendo:

“Lo accetti, non ho niente oltre a questo, se non la gratitudine di una moglie e di una madre.” Disse in un soffio, l’uomo si girò e in mezzo a quella maschera nera lei poté vedere lo stupore di due occhi segnati dal dolore, con un gesto inaspettato, l’uomo s’inchinò e portò la mano della donna all’altezza della bocca, in un goffo baciamano poi tornò a dirigersi per la sua strada.

Poche ore dopo, Filippo stava sbocconcellando il tozzo di pane che gli aveva regalato quella signora, per la prima volta da quando aveva lasciato la sua casa, ringraziò l’artefice di quel miracolo, ripromettendosi che se mai le cose si fossero messe meglio avrebbe aiutato quella famiglia che si era mostrata tanto gentile. Tornò a camminare, stringendo i denti per il dolore, in quella breve colluttazione aveva riportato qualche ferita, non se ne curò anche se il dolore era molto forte e quasi non gli faceva pensare ad altro, camminò ancora, il sangue gocciolava dalle ferite, se le copriva con le mani, ad un tratto sentì delle voci, alzò gli occhi e si accorse di essere finito ai confini di un centro abitato, o quello che poteva sembrare un centro abitato.

Riconobbe la voce che parlò per prima, a quella voce ne seguì un'altra questa volta maschile, poi altre concitate, sollevò il viso e sentì mani che lo prendevano, si lasciò andare contro quelle mani.

Per quella piccola comunità la comparsa di quello strano individuo aveva suscitato lo stupore di tutti, lo avevano visto, che camminava letteralmente piegato in due, con la mano destra premuta sul fianco sinistro, con quella maschera di ferro sulla testa, scalzo e vestito di stracci, si radunarono attorno a lui ma nessuno mostrava di voler fare un gesto per aiutarlo; cosa, tuttavia, facilmente capibile, nella realtà di quelle piccole comunità in cui le tradizioni erano molto forti ed in cui erano molto forti anche le superstizioni il vedere comparire un individuo di quel genere portò la povera gente di quel luogo a pensare che si trattasse del diavolo o di chissà cos’altro, quella situazione fu bruscamente interrotta da una donna da poco venuta in paese per far curare il marito, che si era gravemente infortunato mentre lavorava; stando ai suoi racconti, mentre stava percorrendo la strada per il paese era stata assalita da due ladri ed al suo rifiuto di consegnare i soldi che teneva da parte per il medico, la avevano minacciata con le pistole, raccontò di come quell’individuo la aveva aiutata,  pregò tutti di fidarsi, e di avere pietà di quell’infelice; il sindaco che si era precipitato fuori per via di quel trambusto, dopo aver ascoltato il racconto, esortò la donna a calmarsi: avrebbe dovuto fare rapporto al conte di quel luogo, ma lo avrebbero aiutato fin d’ora, incaricò degli uomini di prenderlo e portarlo nella sua abitazione e mentre quelli lo posavano nell’atrio, lui salì nella  piccionaia e vergò un messaggio urgente diretto al Conte Plessy con rigide istruzioni che ne garantivano l’urgenza e la segretezza poi annodò tutto alla zampa di un piccione e lo lasciò andare verso il palazzo del conte, tornò giù e vide ancora l’uomo, a cui avevano tolto la parte sopra dei vestiti: la vista era orribile, ma sarebbe bastato un buon medico e tanto riposo.

“Come sta?” chiese avvicinandosi

“Sembra esausto, non ho mai visto in vita mia una persona che ne ha viste così tante prima d’ora.” Gli rispose il frate che faceva da medico in quella piccola cittadina, era un ecclesiastico smilzo, apparteneva ad uno degli ordini minori ed era benvoluto in città, tanto che il suo convento, a poche miglia da lì, aveva rinunciato a domandare la questua in quel paese, la povera gente di quel posto ricambiava i servigi del frate come poteva, facendosi mancare il cibo se necessario, ma non era solo quello, anche quando il convento aveva avuto bisogno di lavori, qualche artigiano del posto si era offerto chiedendo in cambio solo una benedizione; se il discorso valeva per quel buon frate lo stesso non si poteva dire per il prete del borgo, che ormai si era ritirato a vivere nel lusso del palazzo di Plessy e non si faceva vedere mai, non era stata una gran perdita a dire la verità.

Il frate stava pulendo le ferite dello sconosciuto mentre il sindaco continuava a passeggiare avanti e in dietro:

“Ho fatto” disse ad un tratto

“Tutto a posto?”

“Non del tutto, va portato da un medico, un medico vero, se no morirà”.

“Come può pensare che possiamo permettercelo? Non abbiamo i soldi per pagare…”

Una ragazza con un grembiule scese di corsa le scale della casa:

“Signore, è arrivato un messaggio” disse

“Vado subito, lei mi può scusare vero dottore?”

“Certo” disse il frate intento a medicare le ferite.

Senza dire altro il sindaco salì, trovo il piccione che era arrivato, staccò delicatamente il messaggio, riscese nell’atrio leggendolo:

“Pere Guillame, ha un momento?” disse ancora rivolto al frate.

“Ma, certo” disse l’interpellato, quanto mai stupito del fatto che il sindaco si rivolgesse a lui chiamandolo Pere

“Dia a quest’uomo l’estrema unzione, e preghi per lui, verranno gli uomini del conte Plessy a prenderlo”.

Il frate annuì, si fece portare da un bambino tutto l’occorrente per officiare il rito e con calma preparò quel pover’uomo alla sorte che lo attendeva, non si prospettava niente di buono, gli uomini del conte non erano esattamente delle brave persone, conoscevano solo due leggi, quelle dell’interesse e della paura. Non ebbe il tempo di pensare ad altro che già un carro guidato da due di loro si era fermato davanti alla porta; i due varcarono l’uscio con passo sicuro, portavano la spada al fianco, stranamente quei due non avevano un’aria minacciosa ma ciò non impedì loro di prendere il ferito per le braccia con forza e sbatterlo senza tanti complimenti sul carro, uno di loro salì con lui e gli legò le mani ad un anello mentre l’altro saliva a cassetta e frustando il cavallo partì a tutta velocità. Il frate si segnò, tornò in dietro e raccolse i vestiti ancora intrisi di sangue dello sconosciuto e li nascose nella tonaca, non sapeva che cosa aveva fatto di male quel povero diavolo per meritarsi quello, ma il crimine, per orrendo che fosse, non valeva tutta quella sofferenza, avrebbe pregato a lungo per lui, chiedendo il perdono.

Nel frattempo il carro andava avanti per la sua strada spedito:

“Non puoi slegarlo? È ovvio che non può andare da nessuna parte” disse uno all’altro

“Così hanno detto, dici che siamo stati credibili?”

“Ora al paese pensano che lo abbiamo ucciso sicuramente, tranquillo”

“Cosa vorrà farne il conte?”

“Vorrà divertirsi un po’ con lui quel vecchio porco.”

“Così sporco, ferito e con quella maschera addosso per di più”

“Ovviamente stavo scherzando, non saprei come vuole impiegare quel mostro.”

Il carro attraversava le campagne, si fermò solo in prossimità dell’ingresso del palazzo di Plessy, lì il conte in persona, ispezionò il carico poi con uno stranissimo ghigno sulla faccia, disse loro:

“Portatelo all’intendenza dei moschettieri, ma mi raccomando deve arrivare là vivo, fate attenzione, o salterà la vostra testa insieme alla mia”

“Certo” risposero in coro quei due

“Mettetegli dei ceppi ai piedi è già scappato una volta”

“Va bene”disse uno di loro mentre frustava il cavallo

L’altro entrò ed eseguì l’ordine del conte ma vista la situazione in generale, gridò all’altro:

“Frusta i cavalli se hai cara la testa” poi rivolto al prigioniero “ su mostriciattolo non ci vorrai lasciare proprio ora” ma costui non dava davvero segni di vita se non il ritmico alzarsi e abbassarsi del torace e all’uomo non rimase altro da fare che togliergli  i ceppi, era più che ovvio che non sarebbe fuggito in quelle condizioni, ma quella maledetta maschera costringeva il respiro, per quella non esisteva rimedio, solo chi avesse avuto la chiave avrebbe potuto migliorare la situazione.

“Siamo arrivati! Fallo scendere al volo” disse quello a cassetta, l’altro si avvicinò alla porta ma la vide spalancarsi, salirono sul carro due moschettieri che presero l’uomo, mentre due lo portavano all’interno della caserma un altro fece cenno ai due di seguirlo all’interno, i due scesero e seguirono l’uomo con la mantella blu, arrivati in una stanza miseramente arredata, questi si girò e quasi con disgusto gettò sul tavolo due sacchetti che atterrando fecero un sonoro rumore metallico: “Per il vostro silenzio, potete andare” e uscì lasciando i due esterrefatti.

Per il capitano dei moschettieri, la vista di quei due scagnozzi era nauseante, quel prigioniero doveva essere scortato dal conte Plessy in persona, in una carrozza e non certo in un carro in cui si solevano trasportare i detenuti comuni; uscito dalla stanza, si diresse verso la scuderia, dove il suo intendente, un ragazzetto biondino e smilzo, aveva già preparato il cocchio che lo avrebbe trasportato velocemente a destinazione con il suo carico, aveva anche ricevuto in consegna una chiave con cui una volta nel veicolo avrebbe dovuto liberare il prigioniero definitivamente ed alla fine del viaggio lo avrebbe lasciato in mano a persone che si sarebbero prese cura di lui, se era vera la metà di ciò che gli avevano detto, ogni moschettiere si sarebbe detto orgoglioso di servire accanto a quell’uomo e lui personalmente considerava un onore scortarlo;  salì sul veicolo, mentre alcuni uomini caricavano l’altro e lo appoggiavano delicatamente contro lo schienale imbottito, terminata questa operazione si chiusero le porte e si dette ordine al cocchiere di partire.

La carrozza scivolava quasi in mezzo alle campagne, silenziosa nella placida aria serale;  il capitano restò a lungo a guardare la figura davanti a lui, sporca, ferita, quasi completamente nuda ad eccezione della maschera, di un mantello che una mano pietosa aveva avvolto attorno a quel corpo e ai brandelli di pantaloni che coprivano le nudità più imbarazzanti, si accostò all’uomo afferrò il lucchetto sulla sommità del capo e con un po’ di sforzo lo aprì, lo tolse dai passanti, aprì la parte dietro della maschera, l’individuo aveva i capelli castano dorati, quasi biondi, era quindi giovane, tentò di rimuovere tutta la maschera ma si accorse che questa era costruita facendo combaciare due pezzi distinti, quella che aveva appena tolto era l’intelaiatura mentre la maschera vera e propria rimaneva sul viso, si tolse i guanti e con delicatezza staccò anche il secondo pezzo, potè vedere la faccia finalmente, coperta da una fitta peluria nella parte inferiore, la pelle non aveva rughe era pallida e una sottilissima trama di vene blu copriva  le tempie e la parte vicina alle orecchie, quel viso si sarebbe detto assai bello una volta ripulito.

“Signore, siamo arrivati” disse l’attendente a cassetta, la porta si aprì per l’ennesima volta, al posto di soldati però questa volta fu una donna, grassa e con un ampio petto; con uno sguardo corrucciato circondò con le braccia le caviglie dell’uomo mentre l’altro lo prendeva per le ascelle e lo tirava giù:

“Coraggio, mi aiuti a portarlo dentro” disse la donna guidando il moschettiere all’interno dell’abitazione, o almeno del retro, da quella prospettiva non si vedeva ma doveva essere grande, molto grande; entrarono in una stanza, con le pareti dipinte a calce viva,  c’era solo un tavolo all’interno, la donna fece appoggiare il loro carico lì sopra, entrarono altre donne, tutte anziane, con in mano varie cose.

“Grazie per il suo aiuto, la aspettano di sopra.”

Il capitano salì, questa era la prima volta che veniva invitato salire le scale di quelle lussuosissime abitazioni per andare a fare rapporto, bussò alla porta, ora come si sarebbe comportato? Avrebbe dovuto inginocchiarsi o fare semplicemente un inchino?

“Avanti…” disse una voce dall’interno, la porta si aprì e il moschettiere si fece avanti, era una stanza non amplissima ma decorata con stucchi e fregi dorati, arrivato ad un paio di metri da chi lo aveva invitato ad entrare; fece per inginocchiarsi per mostrare la sua devozione e la sua deferenza alla persona rivolta verso la vetrata di fronte a lui ma il diretto interessato se ne accorse e lo fermò:

“In piedi, soldato, non sono ne un vescovo ne un cardinale.”

si rimise subito sull’attenti mentre l’altro si girava e si avvicinava:

“Ditemi tutto”

“Sire, ho portato l’uomo sotto la vostra custodia come avevate chiesto” mentre diceva questo, porse al suo sovrano la chiave con il lucchetto dorato e la maschera

“Molto bene, so che è ferito e che ne ha viste tante, ho visto il rapporto di Plessy, avete da riferirmi altro?”

“No, da quando gli uomini del conte l’hanno portato da noi non è stato più perso di vista e non ci sono stati cambiamenti”

“Gli uomini del conte? Non è stato dunque lui a portarlo fino da voi? Sarà sistemato anche questo”

“Si Maestà”

“Tornando a noi, da ora siete assegnato al servizio in questo palazzo, consideratevi sin da ora sollevato da qualsiasi precedente incarico, e con questo intendetevi promosso” gli porse un ordine e continuò “In cucina vi aspetta la cena ed in una parte del palazzo che vi indicheranno c’è una camera, avete l’ordine di mantenervi a mia disposizione ma volevo chiedervi un altro favore, sempre che siate d’accordo, mi hanno detto che avete una sorella, molto versata nell’arte di preparare infusi e rimedi con le erbe, è vero?”

“Sì sire”

“Mandatela a chiamare, avrà di che vivere. Potete andare”

“Certo sire”

Il moschettiere uscì e si diresse verso le stalle, il suo giovane inserviente stava strigliando il cavallo:

“Vai a casa mia, accompagna mia sorella subito qui”

Il ragazzino si limitò ad annuire e salito a fatica su uno dei cavalli, tirò le redini:

“Aspetta”

“Si, signore?”

“La notte è fredda, mettiti questo” il capitano si tolse il mantello e glielo porse.

“Grazie”

“Puoi andare non fermarti per la notte, vai.”

Il moschettiere, stanchissimo se ne andò in cucina, mangiò ciò che c’era e si ritirò in pace dove gli avevano indicato.

Nel frattempo l’uomo che lo aveva ricevuto era sceso in quella piccola stanza dove avevano momentaneamente accolto il ferito, si avvicinò al tavolo e con aria stanca chiese:

“Come sta?”

“Non le negherò che sta molto male, ha perso troppo sangue, ed era troppo debole, ho paura non riesca a passare la notte.” Gli rispose la stessa signora che aveva aiutato il capitano.

“Se riuscisse a passarla invece?”

“Allora ci sarebbe qualche speranza in più, ma non ne confidi troppo, è messo davvero molto male. L’unica cosa che possiamo fare è pregare.”

“Nostra madre lo sta già facendo da quando è arrivato.”

 “Per calmarvi potei dirvi che se assomiglia a suo fratello, ci sono buone speranze, perché la sottoscritta sa benissimo di che pasta è fatto. Ma so che vi causerei altro dolore se le cose dovessero mettersi male”

“Fate quel che volete, ma fate il possibile per salvarlo”

“Tutto sarebbe più facile se avessi a mia disposizione qualcuno che conosca le erbe e le loro proprietà, potrei dargli qualcosa per sostenere il cuore e per fare aumentare la pressione e allora sarebbe tutto più facile”

“Ricordo che me ne avevate parlato, ho provveduto, sapevo che il moschettiere che ha portato qui lui aveva una sorella, voi stessa me lo avevate accennato,  dovrebbe arrivare sta notte.”

“speriamo, la sua salvezza dipende unicamente da quella donna, ammesso che possa fare qualcosa ma ne dubito.”

“Non capisco, prima alimentate le speranze poi le abbattete di colpo” ruggì l’uomo

“Non posso farci niente, mi spiace sire”

“Mi dica di preciso le sue condizioni.” Disse rassegnandosi il re, perché si trattava di un re.

“Una pallottola lo ha ferito ad un fianco,  ha una spalla ferita e slogata, un paio di colpi di striscio lo hanno preso alle gambe e all’avambraccio, deve aver avuto qualche scontro.”

“Domattina spero di far avviare delle indagini,  vado a stendermi ora, per qualsiasi cosa chiamatemi”

“Passate una buona notte sire.” Disse la signora inchinandosi

 Quella notte, nessuno riuscì  dormire tranquillamente, tutti verso le due del mattino furono svegliati bruscamente dalle voci di una concitata conversazione:

“No, non lo posso permettere, lo uccideresti”

“Non lo ucciderei io con le mie erbe ma tu con i tuoi salassi, va lavato”

“L’acqua calda fa male, lo sai?”

“Fandonie, so cosa faccio, va lavato con acqua calda e le ferite vanno pulite con il vino! Poi penserò io a dargli qualcosa per combattere la febbre.”

“Le ferite si disinfettano con l’olio bollente, non con il vino”

“Ma si può sapere che cos’è questo baccano?” la voce, conosciutissima, fece fermare il litigio ed inchinare le due litiganti, il re squadrò la sua vecchia nutrice con cui aveva parlato non più di due o tre ore prima e la nuova arrivata, che era una ragazza di circa 25 anni mora e robusta per la sua età, portava i capelli  raccolti in una crocchia, il vino fine e abbastanza bello sebbene segnato dalla stanchezza.

“So chi sei, sei la sorella di François, l’ultimo moschettiere che ho promosso.”

“Cosa di cui vi sono immensamente grata, sire”

“Sciocchezze, allora su cosa verteva il litigio?”

La vecchia signora lo spiegò brevemente, non era necessario dipingere i fatti diversamente da come si erano svolti visto che tutto il palazzo era stato testimone di quella conversazione:

“Sono pronta a giocarmi la testa sire, se la mia impresa non riesce, ma vi prego non adiratevi con mio fratello.”

“Sta bene, se qualcosa dovesse andare male incolperò te e solo te hai la mia parola, niente verrà fatto a François ne a nessuno dei tuoi. E ora fate quel che potete, perché se al contrario riuscirete nell’impresa saprò essere molto generoso.”

“Grazie sire”                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  E mentre tutti  uscivano lasciando le due donne sole, nella stanza la tensione si poteva tagliare con il coltello.

“Mi aiuti a levargli quei quattro cenci”

Subito la ragazza iniziò ad affaccendarsi attorno all’uomo, la signora anziana guardava il tutto con aria indispettita, la mentalità di quel tempo esigeva che una donna potesse trovarsi davanti ad un uomo nudo soltanto da sposata, avrebbe voluto dire qualcosa per opporsi ma la giovane sembrò intuire i suoi pensieri:

“Signora, presto servizio da anni ormai nei ricoveri per gli ammalati, secondo lei mi fa paura un uomo nudo?”

“Signorina…”attaccò a blaterare la nutrice

“Il mio nome è Marie” la interruppe la ragazza senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro

“Marie, secondo te, è conveniente che una donna non sposata senza figli stia davanti ad un uomo nudo? È sconve…”

“Basta così se non ha niente di utile da dire se ne vada, anche se avrei piacere che restasse qui ad aiutarmi” la donna con le braccia conserte si avvicinò e la ragazza per stemperare la tensione pensò bene di dire “Non potrebbe per favore togliergli quella specie di stracci che si ritrova per calzoni e potrebbe lavarlo da sotto la ferita al fianco fino alle ginocchia mentre sono girata a raderlo? Poi lo copra con uno di quei panni di canapa che ho portato nella borsa, mi dispiace, ma ho sempre alcuni problemi a lavare quelle parti e se posso delego agli altri” dicendo quelle ultime parole  la ragazza arrossì, era vero, anche se in quel momento la cosa più importante era di fare in fretta e servivano più mani possibili, e la cosa più intelligente da fare era appunto quella di mostrarsi accondiscendente e pudica almeno in alcuni casi.

Negli occhi della donna si accese una luce di comprensione, sorrise e iniziò a svolgere i vestiti, la ragazza era riuscita nel suo intento.

“Mi spiace se lo zittita prima, ma sono nervosa, è messo molto male. Ma se gli disinfetto le ferite con l’olio morirà dal dolore, già con il vino brucerà parecchio. Ma guardi cosa può aver fatto un così bel viso da meritare tante sofferenze.” La ragazza aveva appena finito di lavare e radere il viso lo guardava ammirata, girandosi, la vecchia signora guardò anch’essa:

“Il viso inganna …” disse semplicemente.

Finirono di strofinare quelle membra martoriate e scarne con un unguento specifico ottenuto dal succo di certe bacche poi bagnarono di vino le ferite più superficiali e le cucirono con ago e filo, lavoro a quei tempi molto approssimativo, ma in quel caso abbastanza ben riuscito; il problema era il foro di pallottola, era necessario riuscire ad estrarre la pallottola senza fare altri danni e senza  provocare eccessivo dolore, si decise di risolvere la situazione, avvolgendo i fianchi dell’uomo in un panno freddo e procedere, era il doloroso ma purtroppo unico modo, sollevarono quella specie di lettiga e la misero esposta alla luce del primo sole mattutino:

“Gli tenga la testa, se si sveglierà dal dolore vorrà dire che ci sono speranze, sia pronta a tranquillizzarlo ma si copra il viso, stia attenta e non lo stringa troppo”

“La ragazza si sedette e con una pinza resa rovente in un braciere si insinuò nella ferita, la carne sfrigolò e la puzza di carne bruciata si sparse l’anziana signora sentì la mascella dell’uomo aprirsi e tentare di emettere un grido

“Lo lasci fare ma non perda la presa”

Emise un suono stridulo, di pura agonia

“Stai tranquillo, ci sono quasi” la pinza toccò la pallottola la afferrò e tirò di colpo, uscì un violento fiotto di sangue, prontamente tamponato, l’urlo continuava trasformandosi in brevi suoni dal timbro più basso ma comunque forti abbastanza da farsi sentire da tutto il castello, la ragazza riprese ago e filo cucì, quando tutto fu finito ci versò sopra ancora del vino e poi si voltò verso il viso deformato dell’uomo e sorrise, in quegli annebbiatissimi occhi si accese una luce di coscienza e sorrise anche lui:

“E’ tutto finito ora...” gli disse

La ragazza era stanca, guardò fuori dalla finestra, la natura faceva il suo corso e si preannunciava una bellissima giornata, ore prima aveva dato disposizioni che bollissero delle bende o che comunque le disinfettassero con del vapore, si alzò e andò a prenderle, poi passandole all’anziana donna fasciò il corpo. Quello che si poteva fare era stato fatto, ora doveva solo dormire:

“Va messo a letto”

La donna prese un cuscino lì vicino e lo sistemò sotto la testa del ferito, mentre Marie lo copriva con due coperte.

“E’ la seconda volta che mi svegliate, il re non può avere un po’ di tranquillità?” la voce come sempre era il segnale di un inchino

“Con tutto il rispetto, ma questa volta non siamo ne io ne la signora le colpevoli”

“Quell’urlo avrebbe svegliato un morto”

“Ma era anche il segno che le cose andranno presto meglio”

“Spiegati”

“Quando una persona ha energia sufficiente per svegliarsi ed emettere un urlo del genere vuol dire che la guarigione è possibile, gli occorre solo un posto tranquillo e del buon cibo per superare la febbre.”

Il re sorrise e Marie prese nota mentalmente di una cosa ma fu subito distolta dai suoi pensieri in quanto:

“Vai fuori e di che tutti si ritirino nelle proprie stanze e chiudano porte e finestre” la ragazza uscì e lo fece velocemente, quando ogni singola persona fu chiusa nella sua stanza la ragazza rientrò

“Può essere spostato?”

“Si, ma non ho vestiti della sua misura con me”

“Non fa niente”

“Ma signore ad eccezione delle fasce è completamente nudo”

Senza ascoltarla, e con suo immenso stupore, il re si avvicinò al tavolo e prese a viva forza l’uomo tra le braccia e con un seguitemi si avviò lentamente per i corridoi, faceva passi leggeri e misurati per non disturbare il suo carico che non dava più segni di coscienza; si fermò solo davanti ad una porta:

“Marie per favore apri!”

La ragazza obbedì, entrò e tenne aperta la porta, lasciando passare

Il re posò l’uomo sul letto, mentre le due donne sistemavano ciò che c’era ancora da sistemare, sua Maestà parlò di nuovo:

Ughette, sei congedata da questo compito, tornerai a fare la dama di compagnia di mia madre. Marie quali sono le sue condizioni?”

La ragazza iniziò a parlare, ma fece in tempo a dire solo il primo articolo della frase che fu subito interrotta

“Dove sono?”

Tutti e tre si voltarono con gli occhi fuori dalle orbite, la voce veniva dal letto, subito si precipitarono:

“Sei al sicuro, non aver paura e dormi.” Gli disse la ragazza posando leggera una mano sugli occhi del suo paziente”

Quando tutto tornò tranquillo il re chiese di nuovo:

“Le sue condizioni?”

“Se riesce a superare la febbre e l’infezione sarà fuori pericolo.”

“Ma si è svegliato ed ha parlato”

“Non vi nego, maestà, che ha stupito anche me, ha sopportato tutto nel migliore dei modi, ma non voglio darle false speranze, devo confessarvi che ho abbastanza paura della febbre che potrebbe sopraggiungere, cercherò di fare l’impossibile per lui, se sarà necessario”

“Voi donne siete tutte uguali”

“Spiegatevi, maestà”

“Non appena vedete un uomo che ha una briciola di potere o che ha la benevolenza di qualcuno vi fiondate.”

“Davvero? Non lo faccio per voi e di certo non lo faccio perché voi avete dimostrato di avere a cuore la salute di vostro fratello, perché so che è vostro fratello, oserei dire gemello per di più, ma prima di tutto lo faccio perché so che quest’uomo ha sofferto troppo e non credo che nessuno lo meriti, almeno non a questo livello e poi voi avete promosso mio fratello, non sapete quanta gratitudine ho per voi, ma se questa è una scusa per non essere costretto a pagare la mia prestazione sappiate che non chiedo mai danaro per quello che faccio e a maggior ragione non ne chiederò a voi, ditemi quando mi riterrete libera da questo impegno e me ne andrò.” Disse Marie con sdegno, nessuno poteva permettersi di parlarle così, tantomeno lui.

Il re rimase a bocca aperta, quella ragazza lo aveva stupito, le donne non erano tutte stupide e avvezze solo agli ornamenti come le cortigiane a cui era abituato, esisteva anche una buona parte dell’universo femminile intelligente e capace di simili slanci, la parte maggiore si trovò a pensare, capendo che per seguire un marito, amarlo, mettere al mondo dei figli, pur nelle avversità della vita richiedeva una buona dose di intelligenza e coraggio.

“Sai che è mio fratello, sai che ti sarò grato a vita se lo salverai!”

“Anche se mi voleste far uccidere per serbare il segreto della sua esistenza non potrei esimermi dal curarlo.”

“Sai pure questo”           

“Vostra maestà dovrei essere molto sciocca per non averlo dedotto.”

“Va bene, visto che ormai sai abbastanza, ti dirò tutto, si chiama Filippo, è mio fratello gemello, nato pochissimo dopo di me, appena nato lo hanno portato via, il re non voleva del potere condiviso tra due fratelli, lo fece alloggiare in una fattoria sul confine italiano, la sua vita stando ai racconti era molto semplice ma tranquilla, finchè un giorno di lui si sono perse le tracce, da quando ho saputo della sua esistenza da Mazzarino proprio in occasione della sua scomparsa l’ho cercato per mari e per terra ho mandato agenti fino in America ma la soluzione era più vicina; mi capitò sottomano un rapporto in cui si diceva che in un carcere era stato mandato un prigioniero con addosso una strana maschera di ferro, sapendo che un tale ordine non era consueto e di non aver mai dato un ordine simile, mi fu facile conoscere la storia del prigioniero che aveva stranissime coincidenze e l’artefice di quell’ordine, lo presi e lo feci torturare, scoprii una congiura ai miei danni per uccidermi e mettere al mio posto Filippo ma che al suo rifiuto lo avevano rinchiuso in una dura prigione, lo hanno torturato e portato fino all’orlo della morte  erano ormai passati parecchi anni da quando iniziai le ricerche, presi quell’uomo e lo torturai di più per sapere dove avesse dato ordine che lo spostassero e dove fosse la chiave di quella maschera, lui rise beffardo dicendo che ormai mio fratello era morto di fame e di stenti in un posto a circa 20 miglia da qui e che avevo sempre avuto in mano la chiave della sua liberazione, mandai subito i miei moschettieri a cercarlo ma trovai il luogo vuoto, lo feci cercare ancora per il bosco e detti ordine a tutti di segnalare un individuo con una maschera di ferro addosso di prenderlo in consegna e di trattarlo bene… la  storia poi la sai”

“Capisco, ma non era necessario dirmi tutto.”

“Invece si, so benissimo chi sei, so che oltre al tuo lavoro nei ricoveri aiuti anche delle donne a partorire e sei abbastanza famosa tra le nobildonne che vogliono mettere al mondo figli con discrezione, ho saputo che dai loro decotti per alleviare i dolori e drenare il sangue, oltre al fatto che tieni la bocca chiusa in tutto, qualsiasi donna uomo, ha la certezza di venire da te ed essere curato gratis e con la garanzia che niente verrà fatto trapelare.”

“Mi lusingate sire”

“Certe ostetriche a cui hai rubato il lavoro dicono che sei una strega”

“Soffro di vertigini, non riuscirei mai a volare su una scopa e posso ancora indossare il bianco in chiesa.”

“Capisco benissimo, tuttavia fai lavori più adatti ad una sposata che ad una nubile”

“Mi piace aiutare sire”disse semplicemente Marie che si affrettò ad aggiungere

“Posso chiedere una cosa sire?”

“Di pure”

“Non potreste far portare qualche abito per il principe?”

“Principe?” poi ricordandosi “Ma certo”

“Grazie”

Il re se ne andò e Marie venne lasciata sola con il paziente, per prima cosa si preoccupò di scoprire l’uomo, si sedette e tirò fuori di tasca una scatolina che conteneva un decotto, cominciò a spalmarlo sulle braccia sul collo e sul viso dell’uomo,  la cui pelle iniziava a farsi calda al tocco, poi vi stese sopra dei panni di lino ed estrasse una fiala dalla sua borsa, la posò sul mobile mentre  metteva dietro la schiena del ferito altri cuscini e lo forzò a bere da una fiala quello avrebbe sostenuto il cuore nelle ore a venire, lo ricoprì e si decise ad aspettare, le ore passarono quiete, senza grandi scosse, Marie non perdeva di vista il ferito, ora cambiandogli le medicazioni ora rinfrescandogli la fronte che era molto calda, la mattina si trasformò in pomeriggio ed un sommesso bussare alla porta distolse la ragazza dai suoi pensieri, una bambina con il vassoio per il pranzo e delle camicie pulite e profumate, questo piccolo episodio diede modo a Marie di notare una cosa: il letto del ferito era in piena vista, se fosse entrato qualcuno lo avrebbe notato subito, ma la sua presenza doveva essere mantenuta segreta, subito sistemò due dei tre paraventi attorno alla parte del letto visibile dalla porta. Mangiò in fretta e si risolse ancora ad aspettare che la febbre scemasse, passavano le ore, i rivoli di sudore scendevano dalla fronte, Marie instancabile lo rinfrescava, le ore non passavano mai, ma arrivò sera e la situazione iniziava a migliorare aldilà anche delle più rosee aspettative della ragazza, verso le nove di sera la situazione era risolta, ora occorreva solo moltissimo riposo, non meno di una quindicina di giorni e del buon cibo.

La porta si aprì piano, Marie più che mai sollevata si alzò oltrepassò i paraventi e con le mani elegantemente arricciate per sollevare di poco le vesti si inginocchiò.

“Perché questi paraventi?”

“Ho pensato che se la sua presenza va mantenuta segreta sarebbe”

“Basta così, hai ragione, e mi compiaccio che tu esegua i miei ordini prima ancora che io li pensi”

“Siete troppo gentile maestà”

“io non sono mai troppo, dico sempre il giusto”

“in tal caso, vi ringrazio e mi scuso se vi ho offeso, non era mia intenzione”

“Come sta?”

La ragazza sorrise: “Bene maestà, è del tutto fuori pericolo, gli occorre solo molto riposo.”

Il re sorrise e toccò la fronte del fratello, si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando vide che non vi era più traccia di febbre.

“Posso provare a svegliarlo, sire”

“Si, sarebbe bello. Anzi fate portare anche qualche cosa da mangiare.”

La ragazza si avvicinò e presolo delicatamente per una spalla lo scosse leggermente:

“Svegliatevi, c’è qualcuno che vuole parlare con voi”

Gli occhi dell’uomo si aprirono piano, Marie vede il re trasalire alla loro vista, erano occhi stanchi e impauriti:

“Dove sono?” ad uno sguardo del re Marie uscì.

“Sei al sicuro, in un castello vicino a plessy in normandia

“Di chi sono prigioniero?”

Il suo interlocutore fece una faccia corrucciata “Di nessuno, sei un uomo libero”

“Dunque re luigi mi ha graziato?”

“Re luigi ti deve la vita, senza la tua strenua resistenza ora non avrei più un trono su cui sedermi”

A Filippo fu chiaro solo in quel momento che la persona che gli stava davanti era il re e quasi tentò di buttarsi dal letto per avere l’onore di inginocchiarsi ai suoi piedi

“Stai giù tranquillo, si parlerà poi

  
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