Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    03/09/2023    1 recensioni
Ora, al posto delle risate, c’erano lacrime di sangue.
La mano di Eren ne era impregnata e il liquido scarlatto contaminò la pelle bianca di Armin, che neanche ci fece caso.
Gli occhi di Eren scesero su quell’intreccio di dita:
“Avrei voluto mostrarti il mare senza avere le mani sporche di sangue”.
“Avrei voluto che tu condividessi tutto con me, fin da subito. Forse non saremmo arrivati a questo…”.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Fanfic scritta per il gruppo Facebook Prompts are the way
 
Fandom: Attack on titan
Prompt: Eren/Armin, pov Eren: « Avrei voluto mostrarti il mare senza avere le mani sporche di sangue »
Personaggi e ship: Eren e Armin
Titolo: Una pioggia di sangue
Genere: angst, introspettivo, drammatico, shonen ai, scenari di guerra, post canon
Rating: giallo per tematiche delicate
Avvertimenti: riferimenti, appunto, a tematiche delicate, autolesionismo, problemi psicologici seri, crimini di guerra, spoiler per chi non conosce la parte finale del manga.
 
 
UNA PIOGGIA DI SANGUE


 
Un passo dopo l’altro, i piedi nudi del giovane comandante affondarono nella sabbia sempre più sfuggente, laddove l’andirivieni delle onde la lambiva.
Lasciò che la medesima, ritmica carezza gli avvolgesse le caviglie, rabbrividendo al contatto della pelle nuda con l’acqua.
Sentiva gli spruzzi fino alle ginocchia, al di sopra delle quali aveva arrotolato i pantaloni eleganti.
Era il suo modo per riprendere il contatto con se stesso, dopo aver esaurito le proprie energie mentali davanti ad una folla sempre troppo divisa: chi voleva vendetta, chi ancora colpevolizzava gli inviati di Paradis, chi inneggiava al genocida mosso da una distorta sete di libertà.
Lui in mezzo, a bramare la pace che non aveva mai avuto, che aveva sempre rincorso, che aveva, lui stesso, macchiato di sangue innocente.
Per sottrarsi al senso di disperazione che le sue missioni gli appiccicavano addosso, se poteva, una volta finito, cercava il mare.
Non sapeva perché ne sentisse a tal punto il bisogno, nonostante tutto: in fondo, anche il mare era colpevole dell’inferno che il genocida aveva portato sulla terra.
“Io sono colpevole” mormorò, con lo sguardo sull’orizzonte, tinto da un tramonto troppo infuocato.
Non poteva vedere tutto quel rosso senza che l’angoscia opprimesse il suo cuore.
Il colossale nasceva dalle acque incendiando tutto ciò che era vivo nei dintorni…
Il sangue tingeva l’oceano e la terra…
Si recava al mare per ritrovare dentro di sé un po’ di pace.
Quel che riceveva era solo l’ulteriore strazio di ricordi che incidevano nella sua anima cicatrici mai rimarginate.
Il suo sogno si era trasformato nel peggiore degli incubi.
“Il nostro sogno…” mormorarono le sue labbra, prima che il capo crollasse, affondando tra le mani mai state così magre.
Armin Arlert era l’ombra di quel che era stato un tempo: la liberazione dal colossale aveva significato una continua sofferenza del corpo, più che gli altri mutaforma lui, da sempre fragile, si consumava, giorno dopo giorno, in una consunzione fisica e morale davanti agli occhi impotenti di chiunque provasse affetto per lui.
Armin sapeva che erano in tanti ad amarlo e, anziché giovare di tutto questo amore, lo viveva come un peso, perché lui non riusciva a lasciare alle spalle colui cui, fin da bambino, aveva donato il proprio cuore: quel genocida del quale tentava, invano, di alleviare gli irreparabili danni.
“Come si può porre rimedio a un tale orrore, Eren? A tutto quello che hai… che abbiamo fatto”.
Non avrebbe mai smesso di considerare se stesso parte del problema: Eren aveva usato il loro sogno per compiere il delitto più atroce. E c’era una voce che martellava, costante, nella testa di Armin, scavando ulteriori ferite, sgomberando ancor più la strada verso l’autodistruzione:
“La colpa principale è tua… tu hai rovinato Eren, tu non l’hai capito, gli hai messo in testa ciò che lo ha reso un mostro. Sei più mostruoso di lui”.
Quando quella voce diventava insopportabile, arrivava l’istinto a punirsi.
Se in quel momento avesse avuto qualsiasi cosa tra le mani, l’avrebbe usata contro se stesso.
Non aveva niente, poté solo cadere in ginocchio, tra i flutti che ora lo avvolgevano fino ai gomiti e ai fianchi, mentre la marea cresceva.
Lasciarla crescere, lasciarsene rapire e trascinare via, fino ad affogare…
Troppo facile…
Aveva una missione da compiere, alla quale non poteva sottrarsi.
L’aveva promesso ad Eren, al mondo… ciò che ne restava.
“Mi avevi anche promesso che avresti provato ad essere felice”.
Sollevò il capo e, dietro al velo delle lacrime, lo vide.
Non si chiedeva neanche più se fosse sogno, follia o materializzazione del suo desiderio, ma ormai viveva per quegli istanti.
“Eren…”.
Il…
Fantasma...?
Visione…?
Si trovava in piedi, davanti a lui, la figura evanescente che si fondeva con le prime ombre della sera, i flutti e la spuma che lo circondavano, silhouette insanguinata dal tramonto e dai crimini di cui non si sarebbe mai liberato.
Tendeva una mano verso di lui.
“Mi avevi promesso che avresti tentato di essere felice” ripeté, con tono impersonale, così come il volto che non tradiva emozione.
Ma una lacrima scarlatta gli attraversava la guancia, riflesso di quella che solcava il viso di Armin.
Dando vita ad un’ulteriore immagine speculare, anche Armin tese la mano, le loro dita si sfiorarono.
“Pretendi troppo da me” rispose la voce arrochita di Armin. “Hai sempre preteso troppo… ti sei sempre aspettato troppo…”.
Sull’ultima parola le loro mani si raggiunsero e si allacciarono, come sempre avevano fatto, fin da quando, bambini pieni di sogni e speranze, correvano ridendo tra i vicoli di Shiganshina.
Ora, al posto delle risate, c’erano lacrime di sangue.
La mano di Eren ne era impregnata e il liquido scarlatto contaminò la pelle bianca di Armin, che neanche ci fece caso.
Gli occhi di Eren scesero su quell’intreccio di dita:
“Avrei voluto mostrarti il mare senza avere le mani sporche di sangue”.
“Avrei voluto che tu condividessi tutto con me, fin da subito. Forse non saremmo arrivati a questo…”.
La risposta di Armin si spense in un singhiozzo.
“Ci saremmo arrivati comunque, io non avevo scelta…”.
Il viso di Armin si sollevò di scatto, l’intento era quello di ribattere con rabbia, ma Eren lo prevenne di nuovo:
“Non voglio giustificarmi dicendo questo, niente mi giustifica…”.
Nel petto di Armin esplosero parole che non avrebbe mai pronunciato:
“Ti odio!”.
Invece, si gettò in avanti, la stretta di mano divenne un abbraccio disperato, il suo “Ti amo! Perché non riesco a smettere di amarti?!” si levò verso il cielo che, ancora, riversava una pioggia di sangue sulla terra.
 
   
 
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