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Autore: Dorabella27    04/09/2023    16 recensioni
In teoria sono in ritardo di qualche giorno, o, se vogliamo proprio essere fiscali, in anticipo di circa 356 giorni: comunque, ispirata da una stupenda fan art, ho immaginato un compleanno fra i tanti di quelli di André trascorsi in servizio con Oscar alla Reggia; un André giovane giovane che si sente trascurato e forse anche un pochettino dimenticato... Buona lettura e grazie per la pazienza (l'ospite inglese, si sa, attende..)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dolce compleanno, André.
 
1 . La mattinata di fine agosto era ancora torrida, nonostante l’estate stesse volgendo al termine; erano solo le nove del mattino, ma il sole batteva già impietoso: Oscar si sentiva già fradicia, e spossata.
Il colletto ruvido dell’uniforme, rinforzato dalla passamaneria dorata, le sfregava sul collo bagnato di sudore, provocandole un fastidio sordo, che nel tempo aveva imparato a ignorare, come ogni buon militare; ma sapeva che, la sera, quando si sarebbe spogliata, avrebbe visto nello specchio, prima del bagno, un segno rosso, un graffio dolente che avrebbe a lungo dovuto frizionare con acqua di rose e crema al latte d’asina, per tentare di lenire l’irritazione e la tentazione irrefrenabile a grattare e ferire, sino a rompere e spaccare la pelle delicata.
Sospirò, mentre si chiudeva la porta dell’ufficio dietro le spalle.
C’era un importante dispaccio del Generale Bouillet cui rispondere, certo; ma prima doveva concordare con Girodelle i turni di guardia del suo reggimento, le esercitazioni per le reclute, cui doveva anche tenere un discorsetto di benvenuto; e poi c’era da fissare il servizio d’ordine e di protezione per il figlio della zarina di Russia, che nei prossimi giorni sarebbe giunto in visita alla Reggia con la moglie e alcuni scelti dignitari del suo seguito; senza contare che, in serata, quando il tempo avesse rinfrescato, sarebbe stato necessario scortare la regina dal castello di Meudon, dove aveva trascorso alcuni giorni cercando di sfuggire alla calura estiva, sino a Versailles.
Decisamente, quel 26 agosto 1776 si profilava come una giornata intensa.
Oscar sedette per un attimo alla scrivania, la sua bella scrivania intarsiata in legno di ciliegio, davanti allo stipo olandese di lucido ebano con i profili dorati: la tentazione di alzarsi, aprire lo sportello, trarne la bottiglia di brandy che vi era custodita e un bicchiere di cristallo, e versarsi una generosa dose di alcolico; ma poi, prima ancora che il fatto che in servizio un militare non dovrebbe bere, pensò che il brandy, caldo in quella calura, sarebbe stato micidiale; si strinse la base del naso fra il pollice e il medio della mano sinistra, chiudendo gli occhi; con le dita della mano destra tamburellava  con tocco leggero sul ripiano della scrivania, concentrandosi prima di iniziare la giornata che prometteva di essere interminabilmente lunga.
Pensò alla Regina, alla sua ugualmente interminabile cerimonia di vestizione, alla assoluta mancanza di spontaneità e libertà delle sue giornate, di ogni attimo delle sue giornate – eccetto quei pochi momenti che riusciva a strappare, inevitabilmente esposta ai rimproveri e ai biasimi dei cortigiani – e si intenerì; in fondo, anche se irta di doveri, la sua era una vita incomparabilmente più libera di quella della sua Regina. E con questo pensiero, una volta impugnata la penna e intintala nel calamaio, si dispose a mettere su carta i turni di guardia della giornata.
Pochi minuti dopo, un bussare discreto alla porta del sui ufficio annunciò l’arrivo di Girodelle.
Adesso si comincia davvero, pensò Oscar, disponendosi spiritualmente a immergersi del tutto nella pesante giornata di lavoro.
 
2 - La mattinata di fine agosto era ancora torrida, nonostante l’estate stesse volgendo al termine; erano solo le nove del mattino, ma il sole batteva già impietoso, e André già si sentiva grondare di sudore; lanciando i suoi soliti sguardi attenti e furtivi verso Oscar, mentre cavalcavano, come ogni giorno, di buonora verso la Reggia, poteva indovinare come già si sentisse già fradicia, e spossata. Lo vide distintamente, osservando il passo impercettibilmente barcollante – solo per un attimo, che però non sfuggì all’occhio esperto di André – quando scese da cavallo e si avviò verso il suo bureau, non senza essersi volta verso di lui per il consueto: “A dopo, André”, mentre gli affidava il cavallo: sotto il tricorno, il ciuffo di ricci biondi sulla fronte era già floscio, madido di sudore, le sue guance in controluce erano lucenti e bagnate, e un’ombra scura le cerchiava gli occhi color fiordaliso.
Lo sguardo di André andò subito al colletto ruvido dell’uniforme di lei, un colletto rigido ed elegante, rinforzato dalla passamaneria dorata, che sicuramente le sfregava crudelmente sul collo bianco e delicato, già bagnato di sudore, provocandole un fastidio sordo, che nel tempo Oscar aveva naturalmente imparato a ignorare, come ogni buon militare; ma André sapeva che, la sera, quando si sarebbe spogliata, avrebbe visto nello specchio, prima del bagno, un segno rosso, un graffio dolente che avrebbe a lungo dovuto frizionare con acqua di rose e crema al latte d’asina, per tentare di lenire l’irritazione; un segno rosso che, nel corso dei loro duelli, quando Oscar indossava un’ampia camicia bianca dal colletto slacciato, avrebbe catturato la sua attenzione, distraendolo, e suscitando una battuta di Oscar: “André! Ma dove è finita la tua concentrazione?!”.
Sospirò, mentre conduceva i loro cavalli verso le scuderie, pensando alla giornata intensa che attendeva Oscar, e di cui le aveva parlato la sera prima, mentre, sulla terrazza del suo appartamento, cercavano di godere della sottile brezza che precede la notte, sorseggiando champagne ghiacciato: c’era un importante dispaccio del Generale Bouillet cui rispondere; ma, prima, come ogni giorno, Oscar doveva concordare con Girodelle i turni di guardia del suo reggimento, le esercitazioni per le reclute, cui, in qualità di Comandante, Oscar avrebbe anche dovuto tenere un discorsetto di benvenuto; e poi c’era da fissare il servizio d’ordine e di protezione per il figlio della zarina, che nei prossimi giorni sarebbe giunto in visita alla Reggia con la moglie e alcuni scelti dignitari del suo seguito; senza contare che, in serata, non appena il tempo avesse rinfrescato, sarebbe stato necessario scortare la regina dal castello di Meudon, dove aveva trascorso alcuni giorni cercando di sfuggire alla calura estiva, sino a Versailles.
Decisamente, quel 26 agosto 1776 si profilava come una giornata intensa: mentre strigliava lo stallone bianco di Oscar, André scuoteva la testa, malinconico: erano passati i giorni in cui il suo compleanno era un giorno tutto speciale, da vivere con Oscar, fra giochi, cavalcate e bevute clandestine in riva al lago, con una bottiglia – o due – rubate dalla cucina, o, addirittura, dalla riserva speciale del Generale.
Ora, non era più solo il rango a separarli: quello, André non l’aveva mai dimenticato; ma prima, negli anni che avevano preceduto la nomina di Oscar a Comandante delle Guardie Reali e il suo ingresso nel teatro crudele di Versailles, erano sempre riusciti a ritagliarsi un loro spazio speciale, a trovare una dimensione tutta per loro, separata dal resto del mondo.
Adesso, invece, Oscar era un Colonnello, il Comandante del Reggimento delle Guardie Reali, una figura di prestigio, con un ruolo ufficiale alla Reggia, esposta agli sguardi e ai giudizi di tutti, gravata da pesanti responsabilità: naturale che Oscar si fosse completamente dimenticata del suo compleanno: in coscienza, avrebbe mai potuto rimproverarglielo? No, certo che no. André scosse la testa, mesto, mentre traeva da una sacca in un angolo una mela per il cavallo di Oscar, che la mangiò golosamente ,sbuffando grato mentre il ragazzo lo carezzava con delicatezza sul muso, fra gli occhi e appena sopra le froge, sussurrandogli qualcosa all’orecchio prima di passare a offrire lo stesso trattamento al suo cavallo.
André sospirò, e provò a immaginarsi Oscar seduta alla scrivania, alla sua bella scrivania intarsiata in legno di ciliegio, davanti allo stipo olandese di lucido ebano con i profili dorati. Immaginava l’arsura nella sua gola, il senso di affollamento nella sua testa, e la sua tentazione di alzarsi, aprire lo sportello, trarne la bottiglia di brandy che André sapeva che vi era custodita, e un bicchiere di cristallo, e versarsi una generosa dose di alcolico; ma poi, prima ancora che il fatto che in servizio un militare non dovrebbe bere, Oscar avrebbe di certo pensato che il brandy, caldo in quella calura, sarebbe stato micidiale. André la immaginò alla scrivania, esteriormente quieta, ma con una tempesta pronta a montare nell’animo, mentre si teneva la base del naso fra il pollice e il medio della mano sinistra, chiudendo gli occhi: con le dita della mano destra tamburellava con tocco leggero sul ripiano della scrivania, concentrandosi prima di iniziare la giornata che prometteva di essere interminabilmente lunga.
Forse Oscar pensava alla regina, alla sua interminabile e paradossale cerimonia di vestizione, alla assoluta mancanza di spontaneità delle sue giornate. Sapeva bene che, pensando alla regina, Oscar avrebbe avuto un moto di tenerezza, misurando la differenza fra la propria esistenza e quella di Maria Antonietta, e concludendo che in fondo, anche se irta di doveri, la sua era una vita incomparabilmente più libera di quella della sovrana.
Povera, la sua Oscar: chiusa in una gabbia che aveva imparato ad amare, e da cui giustificare chi aveva fatto della frivolezza e del divertimento gli unici scopi della vita!
Da una delle finestre della scuderia, vide passare, impeccabile come sempre e come intangibile dal caldo estivo, il tenente Girodelle, diretto verso l’ufficio di Oscar.
Adesso si comincia davvero, pensò.
3  - Il buio della notte era già calato, quando rimontarono a cavallo per tornare a Palazzo Jarjayes; Oscar sembrava davvero stanca, più provata del consueto, così André azzardò la domanda: “Oscar, non sarebbe meglio se ti fermassi a dormire nel tuo appartamento alla Reggia? Tra meno di dodici ore dovrai comunque essere ancora qui, e ti risparmieresti il viaggio di andata e ritorno”.
“Perché mai questa domanda?”, chiese lei, stupita.
“Perché ti vedo più stanca e accaldata del solito”, rispose André con la consueta, pacata schiettezza.
“André, ti prego, non ho bisogno di queste premure da signorina di buona famiglia. Sono perfettamente in grado di sopportare un po’ di caldo e un po’ di stanchezza”, rispose, ferma e gentile come sempre.
Cavalcarono in silenzio verso casa. Poi, dopo che ebbero varcato la soglia di Palazzo Jarjayes, Oscar si tolse il tricorno, e sembrò trasfigurata in un sorriso che le faceva riapparire sul volto le fossette che André aveva ammirato sul viso della sua compagna di studio e di giochi undicenne.
“Aspettami qui!”, disse, decisa e sorridente, e sparì nelle cucine. Ne uscì reggendo in bilico un vassoio su cui faceva pericolosamente mostra di sé una pletora di dolcetti virtuosamente rifiniti con panna, disposta in artistiche volute, e scaglie di cioccolato.
“E questi? Non vorrai darmi a intendere che li hai cucinati tu?”, provò a scherzare André, con un groppo in gola.
“Non fare lo sciocco, André! Certo che no!”, scosse la testa lei, con una smorfia buffa e gli occhi al cielo, come a dire: “Sei sempre il solito!”.
“Però”, continuò lei, togliendo una mano da sotto il vassoio e ponendosela in tasca, a frugare alla ricerca di qualcosa, “ho pensato che non fosse un compleanno senza un dolce di panna e cioccolato … e senza un regalo. Buon compleanno, André”, concluse, porgendogli un piccolo involto dorato dall’aria morbida.
“Oscar, non dovevi!”, obiettò lui, come educazione e cortesia imponevano, mentre, dentro di sé, esultava. E un attimo dopo, pratico come sempre, dopo aver messo in tasca il pacchettino, aveva preso, con la solita maestria elastica e disinvolta, il vassoio con l’altra mano, togliendolo a Oscar, che lo stava facendo pericolosamente traballare. “Direi che però è meglio se questi li reggo io, non trovi?”, sorrise.
“Cedo alla violenza!”, sorrise lei, alzando le mani.
“Non pretenderai che me li mangi tutti da solo, questi dolcetti?”.
“Certo che no! Oppure sei così ingordo da aver ventilato questa opportunità e mi stai mettendo alla prova?”, ribatté Oscar. “Pensavo”, ventilò, come incerta, “che se non sei troppo stanco dopo la giornata di lavoro, potremmo andare a festeggiare con calma sulla mia terrazza. Di solito la notte spira anche una brezza fresca…”, aggiunse, come per invogliarlo.
André si intenerì: come se Oscar, per passare del tempo con lui, dovesse ingolosirlo con un vassoio di dolcetti, o col miraggio di un filo di venticello ristoratore.
“Andata!”, sorrise lui, facendole segno di avviarsi lungo lo scalone d’onore, e osservando, mentre la seguiva, la sua andatura severa e aggraziata, la postura delle spalle, degna della prima ballerina dell’Opéra, e le sue lunghe gambe snelle e toniche inguainate nei pantaloni bianchi.
4 -  Due ore dopo, André, solo nella sua stanza, gustava la frescura della notte fra le lenzuola profumate di spigo che la nonna cambiava con meticolosa frequenza. La serata con Oscar era stata una carezza per il suo cuore innamorato e anche se, come sempre, i silenzi di lei l’avevano fatta da padrone, era riuscito a farla distendere, a farla ridere, a godere della bellezza del suo profilo, mentre divoravano i dolcetti che Oscar aveva fatto preparare alla nuova cuoca per il suo compleanno.
“Credevi che me ne fossi dimenticata, eh?”, gli aveva chiesto a un certo punto, allungata sul canapé che avevano trascinato fuori dal salottino, senza muovere un muscolo del suo corpo elastico e flessuoso, ma solo girando il collo verso di lui con un sorriso furbo.
André se ne stava comodamente allungato a sua volta su un canapé che aveva sistemato accanto a quello di Oscar, con ancora in mano una coppa piena di champagne, mentre le due bottiglie che avevano preso dalla riserva del Generale, come ai vecchi tempi, giacevano a terra, rotolando piano, sospinte dal venticello notturno; non aveva osato dire che sì, credeva proprio che se ne fosse dimenticata, presa com’era dalle tante incombenze imposte dal suo ruolo e dal suo stato, ma che era stato felicissimo, sollevato e commosso allo scoprire che così non era stato.
“Beh, certo il mio compleanno cade in una data meno indimenticabile del tuo”, aveva aggirato la domanda, con un sorriso.
“Però non hai ancora scartato il mio regalo”, soggiunse lei.
“Hai ragione. Provvedo subito”, aveva risposto André, prendendo dalla tasca il pacchettino che, aperto, rivelò contenere un nastro di seta blu, di un blu profondo e sontuoso.
“Grazie, Oscar. Ma, ripeto, non dovevi prenderti tutta questo disturbo per me”.
“Ma che dici, André. Solo, avevo notato che il nastro che usi abitualmente è ormai un po’ logoro, e allora…”
André aveva valutato di sostituire subito il nastro vecchio con il nuovo, ma si bloccò, con una strana remora al pensiero di sciogliersi i capelli di fronte a Oscar, anche se solo per un attimo.
“Lo metterò già domani”, si limitò ad annuire, non senza aver provato un piccolo brivido di piacere alle parole di Oscar: dunque, lei lo guardava, anzi, lo osservava, e non le sfuggivano nemmeno particolari come quello del nastro con cui legava i capelli, che effettivamente si era un pochino sfilacciato ai margini….o forse, si corresse in un sussulto di realismo, più che affetto, quello di Oscar era solo il colpo d’occhio dell’ufficiale esperto, abituato a scrutare e valutare i sottoposti, e a notare subito i particolari trascurati, come gli stivali non perfettamente lucidi, una macchiolina quasi invisibile sulla divisa o un bottone allentato o, Dio non voglia, addirittura mancante.
“Non mangi l’ultimo dolcetto?”, chiese Oscar. Il vassoio, sul tavolino posto davanti a loro, mostrava l’ultimo goloso pasticcino, abbandonato e solo, e come desideroso di essere addentato.
“No davvero, Oscar! Rischio un’indigestione: con questo caldo, poi!”.
“Che stomaco da signorina di buona famiglia che hai, André!”, rise lei, ritorcendogli contro l’offesa che aveva creduto di ricevere da lui poche ore prima. “Comunque”, riprese, stiracchiando le braccia sopra la testa, e lasciando intravedere così, dall’ampia scollatura della camicia bianca, la curva del seno tenero, ancora da adolescente, “io nemmeno ho più spazio nello stomaco, neppure per una briciola. E poi, ho sonno: me ne vado a letto!”, indicando così, implicitamente, ad André che era ora anche per lui di ritirarsi nella sua stanza.
E ora, André, fra le lenzuola fresche e rigide del suo letto, i capelli sciolti, dopo essersi tolto la camicia, i calzoni e la biancheria, si teneva davanti sul comodino il dolcetto superstite, e nella mano reggeva il nastro di seta blu, pensando alle dita bianche e affusolate di Oscar che l’avevano scelto e maneggiato, e, a giudicare dalla precisione millimetrica dell’involto e dal suo pudore, anche incartato; e passandosi la seta sulle labbra e sul petto immaginava di sentire il tocco leggero delle dita bianche di lei.
Era stato un bel compleanno, quello; bello e inaspettato: e non era ancora finito, perché l’avrebbe concluso sognando di lei, complice il suo profumo inebriante che sentiva ancora nelle nari.
E l’anno a venire … chi sa.
 
++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++Ringrazio di cuore Alessandra DF3 per la strepitosa fan art che mi ha ispirato questo racconto.
L’Autrice a chi legge.

Lo so, lo so: il compleanno di André è stato il 26 agosto, e sono dunque ampiamente fuori tempo massimo. Però … voi sapete già che ho in uggia gli anniversari, i compleanni, le ricorrenze; e sapete che il 26 agosto è una data per me brutta, brutta davvero; quest’anno, poi, c’è stato un ulteriore motivo, decisamente altrettanto brutto, che mi ha tenuto lontana dalle consuete attività.
E dunque, ecco adesso questo raccontino senza pretese su un compleanno di André collocato quando i nostri beniamini errano poco più che ventenni. Il racconto mi è strato ispirato dalla stupenda fan art di Alessandra DF3, che ho voluto omaggiare costruendo la narrazione di quanto il suo tratto aggraziato e insieme pieno di vita mi ha suggerito. Quanto alla giornata gemella, con il racconto in parallelo della mattinata di Oscar e André, questo è un piccolo divertissement, ma vi suggerisco di leggere un autentico gioiello, di ben altra tensione narrativa: "Io, Es e Super-Io" di Agrifoglio. E, se siete in vena di ridere, o se non lo siete affatto, e volete tirarvi su, "I Gemelli", di Ivan Reitman, vecchio film Usa (1988), con una delle coppie comiche più impreviste e più felici della storia del cinema, che interpretano due gemelli molto diversi, diciamo, che però fanno gli stessi movimenti, hanno la stessa gestualità, si comportano allo stesso modo. A voi tutti, un saluto caro e a prestissimo, con la prosecuzione delle “Cortesie per l’ospite”.
 


   
 
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