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Autore: io_sono_piu_forte    06/09/2023    0 recensioni
Bradley ha un disperato bisogno di soldi, ed è grazie alla sua amica Delilah che il ragazzo trova lavoro presso uno studio di tatuaggi. Il padrone del negozio è Joel, un attraente ragazzo cosparso di tatuaggi che non si lascia chiedere due volte dall'amica in comune dei due di assumere Bradley, incupito da un fascino silenzioso.
L'unico problema è che Bradley continua a tenere nascoste le braccia mentre Joel ha il vizio di lasciare prendere il sole ad ogni suo centimetro di inchiostro e pelle.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: PWP, Tematiche delicate
Capitoli:
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Il volto di Bradley era corrugato a causa del sole insistente puntato sul suo viso, al quale il ragazzo non era più abituato. Delilah lo aveva costretto a mettere finalmente piede fuori dal suo appartamento, diventato ormai la tana di Bradley da più tempo di quanto potesse calcolare. Lei era l'unica persona rimastagli vicino capace di insistere con lui e di non infastidirsi mai del suo silenzio remissivo. Il rumore dei veicoli in movimento lungo le strade di Brooklyn non facevano altro che nutrire l'espressione di malcontento che Bradley continuava a mostrare per quell'imposizione ormai impossibile da evitare. Lo tramortivano tutti quei rumori, quegli odori, quella folla di gente in continua agitazione per pensieri troppo superficiali. Delilah evitava di toccarlo, faceva sempre un'enorme attenzione a quanta distanza mantenere tra lei e la presenza di Bradley, senza però perderlo di vista.

Camminare senza inciampare per Bradley richiedeva un immenso spreco di energie. 

Inspira ed espira. Ingoia e inumidisci la gola secca. Tacco e punta sull'asfalto. Tacco punta, respira ancora.

Ecco la sua storia: lui si chiamava Bradley Wolfe, conosciuto dai pochi come Brad, diminutivo che odiava poiché gli sembrava appartenere ad un grasso uomo patriottico con dei folti baffi scuri e una croce d'oro al collo, testimonianza dei suoi incoerenti principi religiosi. Il padre non era una persona molto diversa da quella che Bradley disprezzava nella sua immaginazione. Si rendeva conto che in realtà non sopportava farsi chiamare Brad perché aveva il terrore di essere anche in minima parte simile a suo padre, ma quel pensiero veniva sempre allontanato, come se Bradley cercasse di scappare anche da quella cruda e disdicevole verità. Sua madre invece non aveva nulla da raccontare. Bradley sapeva solamente che lei lo odiava da sempre, per il semplice fatto di non essersi abortito quando lei aveva provato a mandar giù delle pillole nel tentativo di staccarlo dal suo utero. Le motivazioni di quel tremendo tentativo di sbarazzarsi di lui erano semplici, sua madre non aveva mai veramente amato suo padre e per colpa sua, per via di suo figlio Bradley, era stata costretta a sposarsi. Se solo Bradley fosse stato un embrione debole, proprio come lo era adesso, forse sua madre sarebbe riuscita ad amare un figlio migliore.

Trovò un po' d'ombra sotto il ponteggio di un palazzo, polveroso e avvolto con nastri di strisce arancioni catarifrangenti. Bradley teneva gli occhi bassi per terra, continuando maniacalmente ad osservare i propri piedi andare avanti, prima uno e poi l'altro, destra e sinistra, con moderata velocità, seguendo la ragazza sua amica. I jeans strappati sulle ginocchia gli stavano larghi come al solito. Bradley si era dimagrito troppo in quelle ultime settimane, un po' per la mancanza di cibo, avendo più difficoltà del solito a comperarlo, un po' per il suo umore in generale. La pesante felpa nera con una tasca larga al centro del ventre gli calzava molto più grande di come avrebbe dovuto, in questo caso il capo d'abbigliamento era stato scelto di proposito di una o addirittura due taglie più grandi, e pur essendo maggio inoltrato con il caldo alle porte che cuoceva l'asfalto della città lui indossava quell'indumento invernale e scuro con le mani cacciate in tasca. Gli serviva, a costo di rischiare un calo di pressione o altri piccoli incidenti di percorso simili dovuti alla caloria. Bradley non poteva permettersi di tenere le braccia scoperte, o almeno, di scoprire quel braccio

Il viso era solcato dalla stanchezza che gli deturpava in maniera affascinante e misteriosa gli occhi, gli zigomi e persino la fronte. Le carnose labbra dal colore dei petali di un fiore estremamente simili a quelle di una donna erano però incorniciate da una barbetta scura ed incolta lungo tutto il volto, che rendeva l'aspetto di Bradley ancora più sciupato e triste. Era proprio quel sentimento che traspariva da ogni sua parte, la più silenziosa e misteriosa delle tristezze. I capelli castano scuro cadevano ai lati delle guance con naturalezza, lunghi e morbidi con una compostezza non imposta. Nonostante la malinconia evidente gli occhi di Bradley continuavano ad essere ricchi di colore, grandi e chiari come se il sole continuasse a riflettere i propri raggi su di essi di proposito, scaturendo lo stesso effetto che dà all'acqua cristallina. La motivazione di tale uscita era alquanto comprensibile, Delilah era andata a trovarlo frequentemente nelle ultime due settimane, portandogli molto spesso la spesa che a Bradley mancava. La ragazza l'aveva ammonito con il suo solito fare superiore ma amorevole, dicendogli che stava davvero esagerando, che aveva ormai toccato il fondo e che era così al verde da non potersi permettere di pagare né l'affitto né quel poco cibo in scatola che lui chiamava pasto. Bradley aveva bisogno di un lavoro, qualsiasi tipo di lavoro. Delilah lo aveva preso pure in giro proponendogli persino di fare il gigolò con qualche bel ragazzo ricco. Bradley aveva simulato una risata stanca, rabbrividendo all’assurda idea di doversi presentare a braccia scoperte di fronte a qualcuno. Così la giovane donna dopo giorni interi di ricerche aveva finalmente trovato un lavoro per il suo tanto affezionato amico. Tramite un conoscente Delilah era venuta a sapere che un suo vecchio compagno di college, in passato suo grande amico, aveva aperto uno studio di tatuaggi in periferia, un posticino piccolo ma pieno di clienti, così, tramite suppliche sconvenevoli, la ragazza era riuscita ad ottenere, se poteva definirsi tale, un colloquio per Bradley. Certo, la sua mansione consisteva nel rispondere al telefono e segnare gli appuntamenti; quello gli sembrò già un compito ricco di responsabilità fuori dalla sua portata, invece disinfettare da cima a fondo ogni tipo di attrezzatura presente in negozio non era un grande motivo di ansie, ma considerando tutta la premura e la fatica che ci aveva messo Delilah e lo stipendio più o meno sufficiente per saldare i debiti prioritari che Bradley aveva in sospeso, non poteva di certo rifiutare l'occasione. La situazione economica di Bradley era disastrosa, continuava a vivere in quel piccolissimo appartamento cupo solamente grazie alla pazienza del proprietario, che si limitava a mandargli per posta avvisi di sfratto sempre più minacciosi senza mai avere il coraggio di buttarlo sul serio in strada. In fondo, tutti conoscevano la situazione di Bradley, tutti sapevano che il semplice fatto che fosse ancora vivo era un enorme privilegio. E lui odiava che la gente sapesse la sua storia, che tutti provassero pietà sapendo della sua situazione. E' pazzo poveretto, chissà quanti lo avevano esclamato alle sue spalle, provando a compatirlo e trattandolo come un malato incurabile.

Bradley aveva dichiarato la propria omosessualità alla sua famiglia alla giovane età di diciassette anni; il padre lo aveva sbattuto fuori di casa, spintonato e quasi picchiato, mentre la madre non aveva fatto nulla per fermarlo, dopotutto non la biasimava, aveva pensato Bradley, era stato un pessimo figlio, aveva già causato troppe difficoltò alla propria famiglia e forse dichiararsi gay era stato solo un semplice pretesto per tutti di levare di torno il problema, che era lui.

A Bradley era stato diagnosticato il BIID, meglio catalogato come Body Integrity Identity Disorder, una condizione psicologica assimilabile al disordine dell'identità di genere, nella quale il soggetto sente di abitare un corpo che non corrisponde all'immagine idealizzata che ha di sé stesso. Non pensate assolutamente che Bradley avesse tendenze, per così dire, transessuali, il suo disturbo era alquanto diverso e molto più minuzioso, se vogliamo. La particolarità di questo disturbo, infatti, risiede nel fatto che il corpo immaginato e desiderato è un corpo amputato: i pazienti chiedono infatti di poter farsi amputare gambe o braccia per raggiungere una completezza che sentono di non possedere. Queste sensazioni di estraneità con il proprio corpo e questi desideri di amputazione insorgono in età preadolescenziale. È praticamente impossibile stimare quante persone soffrano di questo disturbo, anche se qualche medico ha suggerito a Bradley che potrebbe essere più frequente del prevedibile, e nascondersi nei casi di amputazioni accidentali degli arti avvenute in circostanze non chiare. L'informazione non lo consolava, provava sempre più paura soprattutto perché nessuno era stato in grado di dirgli quale era il motivo del suo vizio, come lo definiva sua madre agli esordi dei sintomi. Delle cause infatti non si sa praticamente nulla, anche se sono state proposte diverse teorie, come ad esempio l'incomprensione in età infantile, oppure una condizione neuropsicologica nata da un'anomalia strutturale o funzionale della corteccia cerebrale che collega gli arti. No, Bradley non avrebbe mai ammesso di essere pazzo. Sapeva di non esserlo.

Non era pazzo.

I sintomi del disturbo erano anch'essi molteplici, e Bradley li aveva manifestati tutti, all'inizio e durante tutta la sua condizione. All'età di sei anni aveva provato una strana ed insolita sensazione di incompletezza e disabilità simile a quella che potrebbe sperimentare un individuo normale dopo aver subìto un'amputazione. Avvertiva un formicolio eccitante che iniziava dalle punta delle dita e terminava poco prima della spalla. A dieci anni aveva drasticamente dato sfogo alla sua ossessione, ovvero quell'idea fissa concerne l'arto e il livello di amputazione richiesto, manifestatosi in Bradley nel braccio sinistro. Bradley vedeva dei film alla TV, horror soprattutto a notte fonda, provando un altro scioccante stimolo, ovvero, un sentimento di intensa gelosia alla vista di un amputato, e subito dopo un'enorme vergogna per questi ultimi sentimenti. Sentiva di essere sporco e sadico, come l'assassino che riduce in pezzi le giovani donne con una motosega. Ma se lui avesse avuto una motosega cosa avrebbe fatto se non tagliare di netto quel magro braccino? Dai quindici ai sedici anni poi un ennesimo sintomo si era aggiunto alla sua infinita lista, attraverso episodi di depressione e qualche volta pensieri suicidi, nutriti anche dalla confusione per quanto riguardava il proprio orientamento sessuale. Fu in quel periodo che cominciò a sperimentare l'autolesionismo. Non aveva mai provato paura nell'infliggersi quei tagli sottili e orizzontali sulla pelle interna del gomito, il dolore poi andava via, le ferite si cicatrizzavano ma quegli sfregi parevano avvicinarlo sempre di più all'amputazione. Pensava che un giorno, tagliuzzando sempre più in profondità con le lamette del rasoio di suo padre, sarebbe arrivato all'osso, la parte più difficile da spezzare per separarsi dal braccio.

La diagnosi era stata formulata quando Bradley aveva avuto undici anni, dopo continue visite in diversi specialisti di qualsiasi tipo. La sua famiglia aveva cercato di accettare questa strana patologia spacciata sin dall'inizio come un capriccio, aggravandosi quando Bradley aveva iniziato a ferirsi più frequentemente.

Prima di utilizzare le lamette si era graffiato con le unghie quasi per caso in una crisi di rabbia, e lo aveva fatto a lungo, fino a far diventare quei segni arrossati dei veri e propri lividi sanguinolenti, mordendoli poi con tutta la forza che aveva e successivamente, quando aveva la possibilità di stare solo in casa, rubava con timore le lamette dal bagno di suo padre e iniziava a tagliuzzare ripetutamente lembi diversi di pelle, più vasti ad ogni seduta. Le ferite le fasciavano e ricucivano, ma Bradley non gli dava mai il tempo di guarire.

Non era una forma di autolesionismo basata sul punirsi o nel tentativo di togliersi di dosso tutta la frustrazione e il dolore, non lo faceva per sfogarsi o cercare aiuto, semplicemente era la sua testa che glielo imponeva, l'unico mezzo che aveva per sbarazzarsi in tutti i modi di quel braccio non suo era solamente tagliare, ogni singolo giorno. Lo aveva sempre pensato ma mai detto, che gli faceva più male quando non sanguinava piuttosto che quando le cicatrici iniziavano a rimarginarsi. Quando i suoi lo avevano sbattuto fuori di casa chiamandolo frocio, non si preoccuparono né di cosa avrebbe fatto per cavarsela da solo né di come la sua condizione avrebbe avuto libero sfogo nella totale solitudine, anche perché in casa sua madre aveva controllato in tutti i modi l'autolesionismo di Bradley, nascondendo quanto possinile gli oggetti affilati e contundenti. Poi era arrivata Delilah, una compagna di scuola che aveva saputo dell'accaduto, soprattutto dopo che Bradley aveva deciso di ritirarsi dal liceo. La ragazza gli era andata dietro per qualche settimana avvicinandosi con cautela quasi fosse un animale selvaggio, infine riuscendo a conquistare la fredda fiducia del ragazzo sempre a maniche lunghe, facendosi raccontare a poco a poco tutta la sua storia. Delilah era stata la prima a non giudicarlo, a non dargli torto o ad aggredirlo sulle sue motivazioni -ne era certo- più che logiche. Lei era stata l'unica a comprenderlo e a dargli ragione e per questo Bradley si era fidato a tal punto da raccontarle più di quanto volesse dire in fondo.

 

Il campanello sopra la propria testa tintinnò quando Delilah aprì la porta di vetro dello studio di tatuaggi, invaso da un odore di incenso. Il piccolo ambiente dalle mura ricoperte di disegni ben incorniciati aveva un bancone pieno di album e candele, affiancato da un divano in pelle nera. Bradley osservò attentamente ogni dettaglio di quel posto, non facendo caso nemmeno a Delilah davanti a lui che stava parlando con un ragazzo afroamericano. Bradley scrollò la testa, richiamato dallo sguardo dell'amica.

«Sam ti presento Bradley, il ragazzo di cui vi ho parlato, Bradley lui è Samuel.» disse Delilah sorridendo, indicando con le braccia i due l'uno all'altro. Samuel sorrise a labbra serrate, porgendo la mano destra a Bradley, che con fare impacciato ricambiò debolmente la stretta, ritirandosi immediatamente. La mano sinistra, martoriata, era ben cacciata nella grande tasca della felpa, mentre ringraziò mentalmente il ragazzo di avergli porto l'altra mano, dandogli l’opportunità di ricambiare con la parte buona di sé. La voce cauta di Delilah continuò a parlare nel vano tentativo di inserire Bradley nel cordiale discorso tra lei e Samuel, che cercò di non tenere troppo il proprio sguardo sul ragazzo; la donna aveva avvisato i pochi dipendenti del negozio dei problemi economici di Bradley, senza approfondire troppo sul resto, e di quanto quel lavoro sarebbe stato di vitale importanza per lui. Bradley non riuscì nemmeno a sorridere con gentilezza, limitandosi ad annuire con fare stanco e lento, ignorando ciò che i presenti a fianco a lui sapevano tramite Delilah. La musica rock che faceva da colonna sonora nello studio parve abbassarsi di volume, regolata dal ragazzo alto che si presentò davanti a loro. Ampie spalle bilanciavano armoniosamente il suo fisico atletico e ben impostato; il collo spesso e le braccia fasciate dalla medesima massa muscolare poco contratta, cosparsa su ogni centimetro roseo di pelle da centinaia di tatuaggi colorati e grigi. Bradley non poté fare a meno di soffermare la propria attenzione sugli arti superiori del ragazzo, tenuti scoperti grazie alla t-shirt nera aderente che accentuava la vita stretta. Quell'uomo intrigante aveva una miriade incalcolabile di tatuaggi che dalle mani salivano alle spalle nascoste dalla maglietta, continuando fino al collo, per terminare con qualche piccolo contorno stilizzato sul viso. Una lunga barba castana gli incorniciava il volto chiaro, del medesimo colore dei capelli morbidi tirati indietro in un ciuffo voluminoso. Gli occhi blu accendevano tutta la creatività che teneva in mente, e il suo sorriso gentile trovò immediatamente motivo sull'immagine di Bradley.

«Devi essere la nuova recluta, l'amico di Delilah. Molto piacere, Joel Hall.» disse il tatuatore, porgendo la mano sinistra a Bradley. Quest'ultimo deglutì stringendo il pugno sinistro dentro la tasca, iniziando a percepire un lieve stimolo di panico dentro di sé, irrigidendosi con espressione seria. Bradley annuì, guardandolo negli occhi e accennandogli un sorriso insofferente per cercare di essere meno scortese possibile mentre rifiutò quella stretta data con il lato sbagliato.

«Il piacere è mio, sono Bradley.» rispose, cercando di trasmettere simpatia per farsi perdonare della maleducazione del suo saluto negato, tenendo la mano in tasca che scaturì una leggera curiosità in Joel. Il ragazzo dalla pelle colorata non diede peso a quella strana reazione, sorrise ancora grazie agli occhi vitrei di Bradley, che lo trovò di un fascino unico. Oppresso da quelle occhiate insistenti che sembravano quasi esaminare Bradley chinò il viso in maniera imbarazzata, accorgendosi di tutto l'interesse che Joel nutriva nei suoi riguardi. Come se avesse potuto farsi regalare un cenno confidenziale di Brad, Joel gli sorrise ancora, ammiccandogli d'improvviso. Bradley aggrottò la fronte, irrigidito da uno scatto confuso avuto con il capo, ricambiando quel segnale alquanto fraintendibile ed imbarazzante da parte di Joel con una smorfia stranita.

«Mi fido ciecamente di tutto ciò che ha detto Delilah sulle tue capacità, quindi da domani puoi iniziare qui da noi. Ti tratteremo bene, sta tranquillo, ci serviva proprio una mano! Sam lascia un porcile in giro quando finisce di tatuare, ed è una frana con l'agenda!» disse Joel sorridendo, avvicinandosi di più a Bradley con gentilezza allegra, facendolo indietreggiare istintivamente di due passi.

«Oh, davvero? Cercherò di fare del mio meglio...» si limitò a rispondere lui con voce bassa, tenendo comunque gli occhi sulle punte delle sue scarpe. Joel si permise ancora una volta di scrutarlo, approfittando di un movimento lento verso il bancone per odorare il profumo fresco che stava sulla pelle di Bradley. Anche se il suo aspetto era alquanto cupo e trascurato l'odore di Bradley sapeva di zucchero filato, a parer di Joel. Un'essenza delicata e impercettibile che di sicuro soltanto lui poteva sentire. Si dice che chi riesce a distinguere così nitidamente il profumo di una persona sia destinato a stare insieme a quest'ultima, una bella teoria ipotizzata sicuramente da qualche diceria, ma di una cosa era certo Bradley, che di quegli occhi cerulei non sarebbe riuscito a sbarazzarsi tanto facilmente.

 
   
 
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