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Autore: LaTuM    12/09/2023    1 recensioni
Da anni la loro sveglia suona alle 6.43 di mattina, un'ora ridicola scelta quando la loro testa era ancora e solo piena di compiti in classe, allenamenti ed esami.
Poi si cresce e la sveglia deve inizare a suonare al minuto giusto.
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Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tetsurou Kuroo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il minuto sbagliato

Disclaimer: Haikyuu! non mi appartiene e io non ci ricavo neanche uno zellino.



Il minuto sbagliato





La sveglia suonò come di consueto alle 6.43.

Era un’abitudine ridicola, nata quasi per scherzo durante una delle loro lunghe chiacchierate al telefono, quando ancora avevano la testa piena di compiti in classe, allenamenti ed esami ma al tempo stesso ancora abbastanza vuota da potersi permettere di ridere sul minuto sbagliato in cui la fastidiosa suoneria di entrambi gli smartphone gli dava il buongiorno. Molto stupidamente Tetsurou – ovviamente – aveva insistito perché ognuno impostasse la suoneria dell’altro. E se del tutto privo di fantasia Kei aveva scelto un'inaspettata – ma al tempo stesso prevedibile – colonna sonora di Jurassic Park, Tetsurou aveva fatto sì che per anni la sveglia del biondo fosse una discutibile versione remix – ancora peggio dell’originale – della Caramelldansen. E quando Kei aveva obiettato che l’uso di personaggi tipici degli anime era solo un modo per confondere le acque, visto che l’originale era svedese, Kuroo aveva ribattuto che lui era sufficientemente biondo per poter sopportare la musica svedese.

Kei aveva sbuffato, ma ogni volta che si era ritrovato costretto a cambiare telefono, la sveglia veniva sempre impostata alle 6.43 e vi associava il file che anni prima Tetsurou gli aveva scaricato nel telefono e di cui Kei non si era mai liberato.

Non che il biondo non avesse ricambiato il favore, impostando sul telefono dell’altro il suono prima di un ruggito giurassico e poi del gracidio di una rana che avvisava Tetsurou dell’identità del mittente dei messaggi ricevuti.

Kei agguantò lo smartphone, storcendo le labbra alla vista del vetro protettivo leggermente crepato prima di posticipare la sveglia di altri sette minuti, altra abitudine scema che si portavano dietro da quando erano due ragazzini.

Si strofinò gli occhi, rimanendo a guardare inerme il soffitto, lo sguardo concentrato a osservare il lampadario argentato dai contorni sfocati che non era mai riuscito a vedere veramente, tranne il giorno in cui l’avevano comprato. La stanza sarebbe stata immersa nel buio se non fosse stato per uno sciocco vezzo che si erano regalati anni prima: un orologio fatto con un vecchio disco in vinile a cui avevano fatto ritagliare il profilo di un gatto che osservava la luna e che cambiava colore grazie alle luci a led. Nonostante la luce, leggere l’ora con le lancette nere era impossibile, ma da che l’avevano appeso, non era mai stato spento.

Kei allungò il braccio sul comodino afferrando quel telecomando mai utilizzato e premendo per la prima volta il tasto dello spegnimento. Non aveva senso che continuasse a rimanere acceso, lui senza occhiali non avrebbe visto nulla e non c’era nessun più altro in quella stanza che avrebbe gradito un po’ di luce per non inciampare nel letto e trattenere le imprecazioni durante la notte. Non c’era più nessuno che lo costringeva ad alzarsi sdraiandosi addosso a lui e facendogli indossare gli occhiali con gli occhi ancora chiusi perché voleva che non si perdesse nemmeno un secondo di quella vita che iniziava con il suono delle loro stupidissime sveglie. Non c’era più un’altra sveglia stupida che suonava insieme alla sua, le battute sceme e quei piccoli rituali che si erano costruiti nel corso degli anni e consolidati solo da quando – per ovvie ragioni anagrafiche – Kei aveva appeso le scarpe da pallavolo al chiodo e aveva fatto richiesta per andare a lavorare al Museo di Storia Naturale di Tokyo.

Non c’era più niente di tutto ciò perché Kuroo Tetsurou non viveva più con lui e Kei Tsukishima si era ritrovato costretto a iniziare le sue giornate da solo.





Kuroo era stato gentile e gli aveva lasciato la casa, lui ne aveva già preso un’altra in affitto finché non si fossero sistemati. Il come non l’avevano ancora deciso, ma in fondo era passata solo qualche settimana da quando il moro aveva chiuso l’ultima valigia e aveva salutato Kei chiudendosi la porta di casa loro alle spalle. Gli aveva preso il volto dal mento con una mano, l’aveva osservato con uno sguardo denso e penetrante, quasi volesse imprimersi il volto di Kei nella memoria. Sembravano tutti e due sul punto di dire qualcosa, ma alla fine nessuno aveva aperto bocca. Non sarebbe servito a nulla.





I primi segni che qualcosa non andava si erano presentanti l’anno prima, in modo così stupido che nessuno dei due ci diede peso. Era stata colpa di una lavatrice, o meglio, di un maglione leggero con lo scollo a V che Kuroo amava indossare quando andava a giocare a golf con i suoi colleghi. Sì, era ridicolo come dei maniaci della pallavolo avessero iniziato a giocare a golf, ma Kei l’aveva preso bonariamente in giro per parecchio tempo. Era rimasto sul fondo del cesto della lavatrice, nessuno dei due se ne era accorto, finché un giorno, quando Kei era tornato a Sendai per fare un saluto alla sua famiglia, Tetsurou non gli aveva mandato un messaggio alquanto indispettito sul fatto che l’altro volontariamente non gli avesse messo da lavare il maglione nell’ultimo bucato.

Kei gli scrisse una veloce risposta piuttosto caustica e piccata, prendendolo come uno dei loro soliti bisticci e punzecchiamenti, ma quando tornò, il moro sembrava essersela legata particolarmente al dito. Non servì molto fargli notare che anche lui era dotato di mani e che poteva farsi da sé il bucato o scegliere un altro maglione. Rimasero offesi l’uno con l’altro per circa un giorno e mezzo, poi tutto sembrò tornare alla normalità, ma con il passare del tempo le prese in giro sul golf divennero sempre meno bonarie, cariche di un rancore che stava cominciando pian piano a insinuarsi nelle loro vite.





Il secondo strano episodio nacque quando Kei, tornando a casa dopo una giornata particolarmente difficile a lavoro dove non si riuscivano a far quadrare i conti per poter aprire e garantire l’apertura di quattro nuove sale della mostra permanente a cui Kei aveva dedicato il proprio tempo da che si era trasferito, aveva trovato i resti di una cena bruciata incrostati a una padella abbandonata nel lavandino e il sacchetto del kombini in cui andavano di solito, abbandonato con mala grazia sul tavolo. Dentro un sandwich schiacciato e una crostata con una fragola ridotta in poltiglia. Kei sentì un moto di rabbia impossessarsi di lui al pensiero che Tetsurou quel giorno era rimasto a casa da lavoro e l’unica cosa che era stato in grado di fare era lasciargli una cena bruciata (e una padella da lavare) e un panino disgustoso. Ovviamente di Tetsurou neanche l’ombra perché quella sera c’era la cena del Nekoma – o quanto meno, di chi ancora era nei paraggi – e Kei, con stizza e sdegno, buttò tutto nella pattumiera prima di andare a letto senza preoccuparsi né di bere né di mangiare. Voleva che Kuroo, una volta tornato a casa, vedesse che fine avesse fatto quello schifo di cibo che gli aveva lasciato sul tavolo a fare la muffa.

La mattina dopo Tetsurou, che aveva dormito sul divano perché probabilmente era troppo brillo per riuscire a raggiungere la camera da letto, gli chiese come mai avesse buttato tutto e Kei rispose scocciato che l’odore non lo convinceva, forse per colpa della puzza di bruciato rimasta in casa.

La cosa, quella volta, iniziò a finì lì, anche se la padella non venne lavata per giorni.





Kei riusciva a ricordare benissimo il giorno in cui con Tetsurou aveva pianificato quello che sarebbe venuto dopo. Aveva appena compiuto trent’anni, non era certo vecchio, ma pur giocando in seconda divisione gli allenamenti richiedevano sempre più tempo e le giovani nuove promesse della pallavolo scalpitavano. Certo, non come per entrare nei Jackals, ma comunque anche i Frogs non passavano così inosservati. Erano diventati forti e a Kei piaceva pensare di esserne stato un po’ il co-autore. Avrebbe continuato a giocare ancora un po’, ma la sua caviglia destra da un po’ cominciava a dargli problemi e dopo l’ultima distorsione i suoi legamenti erano diventati completamente lassi e quando, svegliandosi la mattina, si era reso conto che stiracchiarsi gli provocava dolore, aveva capito che era arrivato il momento di dedicarsi con tutto se stesso ai suoi fossili e all’uomo a cui doveva buona parte di quello che aveva fatto nella sua vita. Sicuramente a livello sportivo. In fondo, i Frogs, erano diventati forti perché Tetsurou gli aveva insegnato a essere un centrale forte.

“Sei serio?”

“Ti sembro in vena di fare scherzi?”

“Tu non sei mai in vena di scherzi, al massimo rispondi con una battuta ironica al vetriolo che capiscono in due – io e te – e generalmente nemmeno non sono molto sicuro di capirla.”

“Vedi che ti sei dato dell’idiota e risposto da solo?”

Kuroo gli sorrise, a dimostrazione di quanto aveva appena detto.

“Cosa pensi di fare?”

“Ho mandato il curriculum, alcune lettere di raccomandazione e ora aspetto.”

“E se non ti chiamassero?”

Kei gli rivolse un sorriso.

“Sarebbero degli idioti a non farlo.”

E in effetti, dopo qualche settimana, Kei ebbe quel colloquio al Museo di Storia Naturale di Tokyo e poco dopo, un contratto pronto da firmare per trasferirsi all’inizio del nuovo anno, il tempo di ultimare i progetti che stava seguendo a Sendai e – finalmente – cercare insieme a Tetsurou una casa. La loro casa.


Non fu una ricerca molto lunga, per loro fortuna un conoscente dell’agenzia immobiliare appena appena messo in vendita la casa della madre e loro furono i primi a vederla. Era una casa abbastanza vecchia ma ben tenuta, una camera da letto piuttosto grande, bagno ridotto ma funzionale, un salotto e un cucino lungo e stretto adiacente. Insieme all’ingresso era forse la più grande delle case che avevano visto… pur non essendo una reggia, non riuscivano a togliersela dalla testa. E così avevano deciso di comprarla. Insieme.

Acquistarla fu stressante, renderla casa loro fu invece uno dei periodi più assurdi ma divertenti (anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura) della sua vita. I mobili erano moderni e assolutamente normali, ma il loro tocco si vedeva nelle piccole cose: soprammobili e immagini di gatti e lune sparsi ovunque, dalle tazze ai soprammobili, e qualche inevitabile ranocchio (e uno con una corona d’oro e la scritta una volta ero un principe, poi Tsukki mi ha baciato che gli aveva regalato Tetsurou la mattina dopo la prima notte che avevano trascorso nella loro casa. A colazione, accanto al natto, Kei aveva trovato quell’assurdo salvadanaio che era diventato il suo soprammobile preferito… dedica compresa).

Avevano scelto dei lampadari assurdi, più per decorazione che per altro, visto che la maggior parte del tempo c’erano sempre accese le luci di Natale che non toglievano mai. Trecentosessantacinque giorni l’anno facevano bella mostra in quei pochi metri quadrati delle strane decorazioni di Natale di dubbio gusto, ma Kei non era riuscito a protestare a quel tocco personale scelto da Kuroo: avevano iniziato a frequentarsi veramente durante il Natale del secondo anno di liceo di Tsukki, e quindi erano rimasti legati a quella festa. C’erano le coppie che avevano la loro canzone, loro – grazie al Natale - avevano a disposizione intere discografie a tema. Ogni anno ridevano davanti a quel All I want for Christmas is you ma in fondo, era da anni che il loro desiderio era sempre realtà e ben presto divenne quotidianità.





Innamorarsi quando si è così giovani è difficile, ancora più difficile se si vive a quattrocento chilometri di distanza, però loro erano sempre riusciti a trarre forza da quella separazione. Anzi, a volte, a ripensarci - a letto, nudi senza nemmeno un lenzuolo a coprirli perché che senso avrebbe avuto quando fuori faceva così caldo e il pudore tra loro era solo un vecchio ricordo legato a due adolescenti – si ritrovavano d’accordo che forse questo gli aveva permesso di non bruciare le tappe e vivere al massimo i pochi momenti passati insieme perché chissà quanto sarebbe passato fino al prossimo incontro.

Kei adorava dormire su un fianco mentre Tetsurou non aveva mai smesso di cercare di soffocarsi con i cuscini che erano anche il suo parrucchiere di fiducia. A volte il moro si svegliava prima delle 6.43 e rimaneva a osservare l’uomo che dormiva accanto a lui, le labbra leggermente socchiuse, l’espressione finalmente distesa e rilassata, priva di quel tipico cipiglio irritato che indossava come maschera ogni volta che usciva di casa. Era la sua corazza e Tetsurou si sentiva sempre un eroe nell’essere riuscito a perforare quell’armatura e far breccia nel cuore del biondo.


Il passare del tempo però spesso gioca brutti scherzi e quello che un tempo era un pretesto per ridere insieme, avere l’ennesimo pretesto per toccarsi e sfiorarsi fino a saltarsi addosso, ora era solo un lontano ricordo.


A Tetsurou avevano sempre dato fastidio i piedi gelidi di Tsukki, fin da quanto erano dei ragazzini ma, puntualmente, quando dormivano assieme, con la scusa di riattivargli la circolazione, il moro si infilava sotto le coperte iniziando a sfiorare, carezzare e baciare ogni singolo lembo di pelle che incontrava, quasi lo stesse venerando (anche senza il quasi).

Ovviamente la sua bocca si fermava fin troppo spesso a mordere le gambe di Tsukki, soffermandosi soprattutto sull’interno coscia, stando ben attendo che i segni di morsi e succhiotti rimassero ben nascosti al di sopra dell’orlo dei pantaloni da pallavolo che l’altro indossava. Da che poi il biondo aveva smesso di giocare, Tetsurou non si era fatto più remore e non esitava a marchiarlo come suo senza il minimo pudore. Era delizioso vedere Kei contorcerci per il piacere e supplicarlo – sempre con un tono molto poco accondiscendente – di smetterla di fare il coglione e usare quella bocca in modo decente. E Kuroo, con i suoi soliti sorrisi beffardi, lo accontentava fino a che non si ritrovava con le gambe di Tsukki che gli circondavano la vita e i piedi freddi sulla schiena che lo spingevano sempre più a fondo dentro di sè. Oppure se li metteva lui di sua iniziativa sulla spalle o intorno al collo nei giorni in cui era particolarmente bisognoso e si ritrovava ad affondare con decisione del corpo di Kei che – nonostante tutto – adorava quel lato più selvaggio e istintivo di Tetsurou. I gemiti che era in grado di produrre erano musica per le orecchie di Kuroo che sempre più eccitato aumentava il ritmo fino a venire e collassare sul corpo dell’altro e rimanendo lì, immobile in un groviglio di arti, saliva, sudore e disgustoso sperma appiccicoso che era sempre una scocciatura da lavare via (ma nessuno dei due se ne lamentava veramente).

Tetsurou invece russava. Non tanto, ma c’erano quelle volte che anche a pancia in giù – come era solito dormire – il rumore che era in grado di produrre era così intenso che svegliava Kei all’improvviso nel cuore della notte senza che poi riuscisse più a riaddormentarsi (e se si riaddormentava, puntualmente si risvegliava). Aveva provato a girarlo, spingerlo, fargli cambiare posizione in tutti i modi, ma le volte che Tetsurou russava, sembrava imparentato con Godzilla. Esasperato, Kei aveva trovato il modo migliore per farlo smettere di produrre suoni sgradevoli in favore di altri ben più appaganti: lentamente scostava il lenzuolo che lo copriva e iniziava a sfiorargli la base del collo con le labbra mentre con la punta delle dita disegnava ghirigori fantasiosi sulla pelle, usando quei pochi nei che spiccavano come riferimento per tracciare la sagoma di una costellazione immaginaria. Le prime volte Tetsurou si svegliava e si girava verso Kei, ritrovandosi il biondo che sorrideva come solo lui sapeva fare prima di avvolgerlo con il calore della sua bocca. Poi una volta si era svegliato ma era rimasto fermo com'era, l’aveva lasciato fare, sentnedolo scendere sempre più inesorabile verso il basso, tracciando il profilo della colonna vertebrale con la lingua. Aveva sussultato quando aveva sentito le mani di Kei stringergli con decisione il sedere, ma nulla a che vedere con il gemito indecente che non sapeva nemmeno di aver emesso quando aveva sentito quella lingua iniziare a lambirlo, mentre lentamente le dita di Kei si facevano strada, una alla volta, dentro di lui. Tsukki adorava vederlo così, ridurlo a un ammasso informe di gemiti e suppliche. E Kei adorava sentire Tetsurou supplicarlo di smetterla e daregli di più. Solo quando lui stesso non ce la faceva più, lo accontentava, entrando in lui senza difficoltà. Non erano mai amplessi lunghi, troppo eccitati e pressoché già al limite entrambi, ma erano sicuramente così appaganti da lasciarli senza fiato e cadere tra le braccia di Morfeo non era più un problema, finalmente troppo stanchi per essere infastiditi da quei dettagli che potevano essere un po’ di russare o degli arti gelati.

Il problema è che ultimamente queste tattiche non funzionavano più.

Nessuno dei due aveva più voglia di scaldare l’altro o farlo smettere di russare. Tetsurou aveva comprato a Kei delle calze per dormire e l’altro aveva ricambiato con dei cerotti da mettere sul naso per non russare. Avevano riso, ma da quella volta che Kuroo era tornato abbastanza tardi dopo una serata di lavoro che si era protratta a lungo anche dopo cena ed era collassato sul divano (complice probabilmente qualche birra di troppo), la loro routine era cambiata.

Spesso Kuroo finiva per dormire sul divano per buona parte della notte, venendo a letto solo verso le cinque, quando si svegliava, andava a lavarsi i denti e poi finiva per dormire un’oretta scarsa con Kei, perché in fondo gli piaceva svegliarsi accanto al biondo, sentire le loro sveglie suonare all’unisono al minuto sbagliato, ma passare tutta la notte insieme… anche no.

E Kei non aveva mai detto nulla per dissuaderlo dal dormire in salotto.

Per fortuna, quando stavano arredando casa, avevano scelto di acquistare un divano molto grande e molto comodo.


Capitava spesso che Tetsurou tornasse tardi dal lavoro, soprattutto prima e in dirittura della fine del campionato o in occasione di grandi eventi sportivi che vedevano impegnate le Nazionali maschile e femminile. Con il passare degli anni il nome di Kuroo Tetsurou era diventato importante negli uffici della JVA, quel ragazzino strafottente con dei capelli ridicoli era diventato un punto di riferimento, il coordinatore di tutto ciò che era la promozione della pallavolo giapponese in tutto il mondo. Ne aveva fatta di strada e Kei era orgoglioso di lui. I primi tempi che vivevano insieme, le volte che Tetsurou tornava tardi, Kei si sentiva sempre in qualche modo in difetto: si fidava di lui, ma non riusciva a togliersi dalla testa che qualcuno potesse interessarsi troppo al suo compagno, quando era successo però era stato il moro il primo a dirgli che prima una sua collega e poi un tizio di un altro ufficio, l’avevano invitato a bere un drink con intenti diversi dal rilassarsi dopo il lavoro. Tetsurou aveva ammesso che era stata ridicola la scena perché aveva incespicato tantissimo come non gli era mai successo (forse solo quando si era dichiarato a Tsukki, sotto sua stessa ammissione) e aveva declinato l’offerta dicendo che c’era qualcuno che lo aspettava a casa e da cui non vedeva l’ora di tornare.

Sincerità era sempre stata la parola chiave del loro rapporto.

Kei avrebbe fatto lo stesso, ma il suo modo di fare era sempre piuttosto intimidatorio e, per sicurezza, quando cominciava a percepire che la persona di fronte a lui stava cercando di flirtare, casualmente si lasciava sempre sfuggire un qualche commento inutile sul suo compagno.

Tsukishima, ti andrebbe di cenare insieme questa sera?”

No, ti ringrazio, ho promesso al mio compagno che gli avrei preparato lo sgombro.”

Ah, ma quindi hai giocato a pallavolo come professionista?”

Sì, ed è colpa del mio compagno che ai tempi del liceo mi ha costretto a diventare un bravo centrale.”

… e cose così.

Quel senso però di preoccupazione per anni non lo aveva mai abbandonato, ma in fondo era giusto che fosse così, no?

Perché allora – una sera – con suo sommo orrore si rese conto che non gli interessava nulla del ritardo di Tetsurou e che se l’altro fosse entrato dicendogli che era stato con un altra persona, lui avrebbe scrollato le spalle?

Kei aveva semplicemente catalogato il tutto come la loro oramai consolidata routine, stavano insieme da così tanto tempo che non aveva bisogno di preoccuparsi e che finalmente aveva smesso di fare riflessioni sciocche più adatte a una studentessa del liceo che a un uomo che aveva oramai superato i trentanni da un po’.


Il problema però era che Tetsurou si era reso conto che oramai non si cercavano più. Non si volevano più come prima. Adorava Kei, per i suoi innuverevoli pregi ma anche per suoi (tanti) difetti. Gli era sempre andato bene così, l’aveva voluto proprio perché quello era Tsukki ed era bellissimo avere un rapporto dove era un continuo beccarsi, graffiarsi e amarsi. Kuroo non se n’era mai lamentato. Aveva sempre trovato che il loro rapporto fosse perfettamente bilanciato, Kei per lui era la perfezione una pura gioia per gli occhi. Ultimamente però si era reso conto che quando guardava il biondo si ritrovava ammaliato sì, ma come si resterebbe ammaliati alla vista di un bel quadro: un’opera d’arte che vuoi guardare all’infinito ma che non hai nessuna voglia (e nemmeno il diritto, altrimenti scatterebbe l’allarme) di toccare.


Ti basta osservarlo e ne sei appagato.

Però non puoi restare tutto tempo a osservare un quadro.

La vita va avanti.


Kei gli era sempre piaciuto, gli piaceva stare con lui, ma si era reso conto che con il passare degli anni avevano iniziato a cercarsi pian piano sempre meno, i loro rapporti erano diventati sempre più saltuari e meccanici, un qualcosa che facevano più per appagare per appagare il bisogno fisiologico che per sentirsi una cosa sola.

Non facevano più l’amore, ma semplicemente sesso, sempre intenso e soddisfacente, ma si limitavano a quello.

Anche il loro modo di parlare era cambiato e sembrava sempre più uno scambio di comunicazioni di servizio anche quando cercavano di esprimere dei sentimenti che avrebbero voluto essere ancora così forti e vividi come lo erano anni prima.

Kei non era mai stato molto espansivo, ma sapeva sempre quando era il momento giusto giusto per ricordare a Tetsurou quanto lo amasse, erano parole che pronunciava poco, dosandole, dandogli il giusto peso e per questo erano ancora più intense e ogni volta sconvolgevano l’animo del moro.



Oramai erano mesi che Tetsurou non glielo sentiva più dire e, in fondo, non era davvero certo di volerlo sentire perché, a sua volta, non era più sicuro di riuscire a pronunciare quelle parole.





Tsukki...” mormorò Kuroo sulle labbra di Kei, mordendogli leggermente il labbro inferiore, come gli era sempre piaciuto fare per farlo gemere e insinuare la lingua nella bocca dell’altro in un bacio languido e sensuale che era il preludio di quel sesso perfetto che aveva sempre funzionato, lasciandoli appagati, innamorati e soddisfatti di ciò che avevano.

Kei aveva portato le mani sui fianchi di Tetsurou, ma senza afferrarlo con la solita forza e decisione, i suoi gesti erano svogliati, privi di desiderio, fatti più per abitudine che vera e propria voglia. Sembrava il Kei liceale che murava così, tanto per.

Sembrava il Kei del liceo che murava prima di conoscere Tetsurou.

Avevano continuato a baciarsi, impuntandosi nel voler fare l’amore pur percependo chiaramente che i loro gesti non corrispondevano al desiderio ancora silente nei loro boxer. All’improvviso il cellulare di Kuroo aveva cominciato a squillare e i due si erano allontanati di colpo, osservando lo schermo.


Uffici JVA


Devo rispondere” disse Tetsurou afferrando il telefono e iniziando una conversazione sulla partita imminente che si sarebbe disputata da lì a due giorni e per la quale pareva insorto qualche intoppo.

Kei aveva alzato le spalle e afferrato il cellulare, iniziando sfogliare Instagram svogliatamente, infilandosi sotto le lenzuola per nulla desideroso che Tetsurou tornasse.


Kei...” lo raggiunse la voce del moro dal fondo della camera mentre recuperava da terra la camicia e infilandosela svogliatamente prima di sedersi sul letto.

Il biondo alzò un sopracciglio e sospirò.

Credi sia arrivato il momento di parlare?”

Tetsurou annuì porgendogli una mano che Kei afferrò.

Non fu un litigio, non ce ne fu bisogno.

Fu solo una presa di coscienza di come le cose negli ultimi tempi fossero cambiate, di come si volessero bene e dovessero così tanto l’uno all’altro, ma non c’era più desiderio e la voglia di essere quello che erano stati per tanti anni.

Mi dispiace che tu abbia cambiato la tua vita per venire qui da me...” disse Tetsurou abbassando il capo e stringendogli la mano.

Kei aveva scosso la testa.

Sono venuto qui perché volevo, ho fatto carriera, faccio un lavoro che amo e ho vissuto per anni al tuo fianco.”

Tetsurou sorrise.

Tieni tu la casa, io posso trovare già domani un appartamento con la JVA visto che non ho mai sfruttato la parcella dedicato all’affitto.”

Non è giusto però...”

Per il momento facciamo così, ti dovrai accollare il mutuo ma dovresti farcela.”

Kei annuì… Gli si strinse lo stomaco al pensiero che erano lì, a letto, in mutande, a discutere di come avrebbero dovuto organizzare la loro vita separatamente senza poter e dover più contare l’uno sull’altro.

E’ così… strano” mormorò Kei accogliendo un’ultima volta Tetsurou tra le sue braccia e dandogli un bacio sulla tempia.

Kuroo ridacchiò, amareggiato ma al tempo stesso si sentiva come gli avessero tolto un peso.

Grazie Kei… è stato un bel viaggio.”

Già...” mormorò il biondo, cedendo al sonno, dividendo quel letto per l’ultima volta.





La sveglia aveva suonato come di consueto alle 6.43.

Kei si era alzato, andato in bagno, fatto colazione (largo circa) e vestito per andare a lavoro.

Si era voltato a osservare la casa buia e silenziosa che l’avrebbe accolto esattamente così al suo ritorno. Nessuna cena preparata per lui, nessuno che avrebbe messo a posto quello che lui aveva lasciato in giro.

Nessun Kuroo ad aspettarlo.

Un passo alla volta, un gesto alla volta e forse, come Kei era riuscito a fare entrare Tetsurou nella sua vita, forse prima o poi sarebbe anche riuscito a lasciarlo andare.

In fondo l’aveva già fatto molto tempo prima.

Era solo una questione di routine.

Forse avrebbe dovuto cambiare la sveglia e impostarla finalmente alle 6.45.


Questa volta, al minuto giusto.






Note dell’autrice:

Io dico sempre che loro sono il mio e vissero per sempre felici e contenti, ma sono anche sadica e masochista insieme, quindi ho dovuto scrivere di questo amore che si sgretola.

   
 
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