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Autore: 9oum_nomi    15/09/2023    1 recensioni
«Noi due siamo come il tempo!»
«Imprevedibili?»
«No. Instabili.»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Sehun, Sehun, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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October!

(Tom Odell-another love)

Stampate sopra il fango, quattro impronte di scarpe se ne stavano l’una vicino all’altra, dietro l’itinerario di due giovani scalatori. Tra le foglie dai vari colori autunnali, quelle impronte sparivano, per ricongiunsi là dove uno strato terroso era l’unica cosa da poter calpestare, per quei brevi spazi privi di alberi ormai alleggeriti. Sempre affiancante, sempre insieme, quelle impronte salivano lungo la ripidità di un’alta montagna, finendo solo dove giacevano gli appartenenti di quelle traccie composte.

Il vento soffiava là gelido, quando la vetta era a pochi metri di altezza e loro tenevano lo sguardo sollevato per non perderla di vista, finalmente così vicina. La cima del monte Snowdon, con altitudine mille metri e poco più dal livello del mare, li attendeva, e loro attendevano lei con il fiato corto e il cuore stanco da far male. Un cielo completamente limpido li acclamava dalla cima, e loro erano convinti di poterlo toccare in vetta.

Il fiato corto, il pesante battito cardiaco accelerato, il dolore alle gambe, le nocche viola, non sono che una miseria da pagare per esporsi alla vista del mondo dall’alto, capace di far sentire l’uomo, con tutti i suoi problemi e difetti, infinitamente piccolo. La sensazione di leggerezza è spesso associata a questo, quando il vento che soffia sul viso scoperto sembra ripulire chiunque di quei mali della vita.

Lì, tra il cielo e la terra, in sintonia con la madre di tutti gli esseri, gli occhi smettono di vedere e cominciano a guardare. Il sorriso diventa ingiustificato, solitario, libero. Solo lì, in capo al mondo, nessuno può chiederti perché sorridi.

Sfamati dall’aria pulita, quei due giovani si ricaricarono di ossigeno e il loro cuori, in simbiosi, decelerarono. Le loro spalle si sfioravano ma i loro sguardi si dividevano per scrutare due diverse facciate del mondo.

Oh Sehun, giovane ed improvvisato escursionista, inesperto e dissociato da tale attività, scrutava le catene montuose che, più basse, gli si presentavano sotto gli occhi. Le più vicine erano visibili e colorate; dalle seconde, per metà nascoste dalle sagome dai bordi frastagliati delle prime, si nascondevano dei dettagli, finché la pallida foschia oscurava le successive, mostrando solo possenti ombre che sembravano vegliare sulle gemelle che vi erano dinnanzi. Sembravano tenersi per mano, sembrano seguirsi l’un l’altra, sembravano volersi conformare ma allo stesso tempo dissociare in forma ed aspetto. Sopra le loro cime non vi erano boscaglie, alcune di loro erano solo rocciose, altre terrose ed altre riportavano un verde omogeneo, visibile così da quella distanza.

Alle sue spalle, i lievi raggi del sole gli battevano sulla nuca, non infastidendolo affatto ma cullandolo un minimo. In verità, in un primo momento, Sehun aveva scordato che ci fosse il sole, da quella parte, convinto di essere riscaldato da una diversa fonte di calore.

«Mi hai portato fin qui per vedere questo?»

«Te l’ho detto che ti sarebbe piaciuto!»

Ma Sehun non era come l’altro, alle sue spalle. Sehun trovava il mondo bello, sì, ma il suo hyung di più, perché Sehun non l’aveva mai solo visto, l’aveva sempre guardato ed era finito con l’avere segretamente occhi solo per lui.

Lui che nel frattempo si lasciava ammaliare dalla facciata opposta del minore, scorgendo con i suoi grandi occhi il panorama che si apriva come un fiore sotto i raggi del sole. Cadeva con le sue irridi nocciola tra le basse colline; tra la strettoia che circondava un piccolo lago, come un alto muro a difenderlo; tra i piccoli tetti raggruppati in una porzione misera di terreno; e là dove si poteva intravedere una riga del mare d’Irlanda. Il sole, in procinto di tramontare, era proprio lì sopra, che sembrava cadere lentamente in quelle acque. Da quella prospettiva, il mare avrebbe spento quella piccola palla di fuoco per ridarla al mondo dal lato opposto.

Sehun indugiò un momento su quel sole, poi invece sugli occhi del maggiore, affascinato del suo sguardo innamorato, quando però, quel tardo pomeriggio, si rese cosciente di una pesante verità che metteva in stallo le sue incontrollabili emozioni: gli occhi di LuHan riflettevano molto meglio quel panorama.

«Sehun!»

Proprio in quel momento di spossatezza, il maggiore lo chiamò senza però distaccarsi da quel panorama che sentiva, sotto sotto, di appartenergli.

Sehun neppure distolse da lui il suo sguardo, neppure quando LuHan decise di incrociarlo.

«Sei già stato qui, non è vero?»

Gli chiese LuHan in un sussurro timido, o forse solo vagamente abbattuto.

Il sole, tra di loro, cominciava a perdere pezzi, affogando lentamente nel fondo dell’oceano. Gli ultimi raggi sembravano appartenere solo a LuHan. Per un breve attimo fu il piccolo figlio del sole, ad illuminare il pianeta erano i suoi occhi.

Sehun assunse un espressione confusa, anche se dentro di sé si beava di quella magnificenza che da sempre era appartenuta al suo amico.

«Non mi sembri chissà che entusiasta. Forse hai già visto questo posto?»

Prova a chiedermi se ho mai visto una simile bellezza, in giro, da qualche parte.

«Sì.»

Rispose Sehun, accennando un breve sorriso mentre la luce del sole si attutiva sino a lasciare un caldo arancione ad avvolgerli. Mentì, e parve che con la sua bugia il sole si congedò. LuHan si spense quando il suo volto si chinò verso il basso, sul suolo roccioso.

«Credo di aver già visto tutto questo!»

Concluse, tornando un ultima volta verso le catene montuose, ritrovando in loro un oscurità di cui non aveva memoria. Il cielo, da quella parte, era di un celeste scuro e poco illuminava di quelle montagne. Trovò anche la prima stella, ma troppo lontana era lei per poter dare alla sua prospettiva una luce adeguata per distinguerne i dettagli. Ormai non vi era che un ombra di tutte quelle catene, un’oscurità perpetua nelle loro fondamenta.

In qualche modo, Sehun si sentì simile a quella facciata.

In qualche modo, LuHan, invece, si rispecchiava alla sua, ancora illuminata da quel cielo rossiccio, anche se l’oscurità da cui il maggiore veniva incombeva con gradualità anche su quella porzione.

Era LuHan che illuminava Sehun, tanto quanto Sehun portava oscurità nel cuore di LuHan.

 

«Hannie, credo sia ora di andare!»


 


 


 

November!

(Ed Sheeran-afterglow)

Sulla sabbia, il vento dissolveva con una certa insistenza delle impronte di scarpe ben stampate. Ne erano quattro, allineate sul bordo delle acque, alcune delle quali scomparivano gradualmente sotto quelle onde del mare che con più foga si battevano sulla riva.

Il clima era stabile, persino le temperature non erano esageratamente basse. Una felpa era sufficiente per attenersi al riparo dai gentili dieci gradi, cosi che i giubbotti potessero essere lasciati sull’asfalto e loro potessero trovare posto sopra quelle stoffe imbottite, prendendosi un piccolo pezzo di quella distesa sabbiosa, lì dove ebbero la visuale perfetta di un eclissi solare al tramonto.

Una birra tra le dita che venivano fuori da lunghe maniche tirate più su dei polsi, quando il vento scompigliava i loro capelli provocando delicate scariche di brividi. Era pur sempre novembre.

Sehun e LuHan attendevano insieme il fatidico momento in cui la luna avrebbe sovrapposto il sole per un breve tempo, prima di allora vagheggiavano in chiacchiere futili, come loro solito nella lunga durata della loro amicizia.

Era sempre LuHan a tirare fuori qualche idea e sempre Sehun a seguirlo.

Persino scalare una montagna per un dislivello di mille metri, senza la minima preparazione fisica, Sehun poteva dire di averlo fatto con piacere fino ad un certo punto.

Ma LuHan si era mai forse domandato il perché?

Il termine amicizia era forse tutto ciò che poteva dire di conoscere, solo guardando Oh Sehun, incosciente di quanto si fosse da sempre sbagliato.

 

«Oi Lu, vacci piano, non abbiamo ancora cenato!»

Lo rimproverò il minore, notando come l'altro si fosse già scolato più della metà della sua zero quattro.

«Oggi è come se fosse capodanno, chi se ne frega della cena, Sehun. Sai quanto ho atteso questo giorno?»

«Solo per vedere la luna coprire il sole?»

«La luna coprire il sole davanti ad una distesa di acqua salata.»

Sehun si sforzò di cercare dove si nascondesse tale magnificenza. Era tutto così naturale per lui, tanto che il livello di entusiasmo era pari a quello che avrebbe avuto bevendo una birra all'interno di uno squallido locale, all'oscuro da quella che LuHan faceva sembrare una magia. Forse lo era, e forse lui non riusciva a vederla perché l'apice della magnificenza l'aveva incontrata conoscendo LuHan.

«Dalla cima di una montagna tu guardi il mare. Hannie, cosa ti piace di più delle due?»

«Se tu avessi visto quanto bello era da quella prospettiva, non mi biasimeresti!»

L'ho visto sul riflesso dei tuoi occhi.

«Non è una risposta!»

LuHan distaccò gli occhi dal cielo solo per guardare il più piccolo. Ebbe il coraggio di lasciare il cielo solo per un breve tempo, mentre Sehun ancora non si affacciava su quel panorama. Mentre LuHan aveva paura che con un po' di distrazione avrebbe potuto perdere quello spettacolo che tanto aveva atteso, Sehun dava la sua impotenza a tutt'altro.

Ci pensò su, ad una risposta, ma ne venne fuori solo scrollando le spalle e tornando a guardare il tramonto, mentre la luna era ad un passo dal sole, e sorrise.

«Io non ho una scala di preferenze. Anche Xiaotong mi ha chiesto di guardare questo spettacolo con lei, eppure io sono con te. Perché lei è la mia ragazza non significa che io debba rimandare un impegno con te! Siete sullo stesso piano.»

«Sei venuto con me... perché te l'ho chiesto prima di lei?»

 

Quindi se io ti baciassi, varrebbe come un bacio dalla tua –ancora per poco– ragazza?

 

Si ritrovò a pensare Sehun, mentre LuHan aveva già smesso di ascoltarlo perché la luna finalmente aveva spezzato i raggi del sole, in quel momento, scandendo tutto d’improvviso la sua circonferenza abbagliante. LuHan si distanziò da sé stesso solo per immergersi in quel monumentale spettacolo.

Avanzava sino ad entrare nel suo cuore ardente, la luna, lungo in cui parve soffermarsi, quasi volesse godere dell'abbraccio di quella palla di fuoco. Intorno ad essa, il sole si affacciava. Allora la luna esaltò, quando finalmente, alla luce del giorno, lei prese i riflettori del suo amato palcoscenico. Era quella l’unica occasione in cui, la luna, abbassando lo sguardo, poteva vedere le strade affollate, in piena autonomia, e tanti occhi su di lei, occhi luminosi.

Una circonferenza infuocata illuminava di poco l'intero cielo, all'interno della quale non vi era che un vuoto oscuro. Era il suo cuore buio e i suoi bordi splendenti a rilasciare una calda luce ad invadere una buona porzione del pianeta, un arancione scuro che rifletteva sulle rilassate acque del mare.

Sehun tenne gli occhi in quella fusione, ma solo per poco, perché nel momento successivo fu involontario lo sguardo che lanciò a LuHan, scorgendo nei suoi occhi quel riflesso, più mirabile visto su di lui, sopra il suo sorriso che, alla faccia del sole, illuminava più di una gigantesca palla di fuoco.

Sehun si soffermò su LuHan persino mentre l’universo seguiva un corso tanto affascinante da sembrare il primo nella storia.

Lo vide trattenere il fiato. Lo vide irrigidirsi con gli occhi fissi in cielo, mentre un alone ombrato prevalse sulle loro sagome, logorando sull’asfalto una porzione di terra dentro cui vi erano solo Sehun e LuHan, facendoli sentire, per un breve momento, distanti dal resto del mondo.

LuHan guardava il cielo. Sehun guardava come l’universo sembrasse volerli tendere in disparte dal resto del mondo.

 

«LuHan...»

Sehun strinse un pugno sulla sabbia, lasciando che alcuni granelli si infilassero sotto le unghie, mentre venne prevalso da sensazioni uniche. Sentì, in quella follata di vento, come se tutto intorno a lui non potesse andare male, si sentì libero dai pensieri angoscianti, libero dal tormento che si avvinghiava al suo cuore, quando aveva promesso di reprimere i sentimenti che aveva scoperto di nutrire nei confronti di un vecchio amico, quei sentimenti che si era convinto fosse preparato a lasciare dentro di sé finché non si sarebbero eclissati, come la luna in quel momento faceva con il sole.

Ma un satellite così piccolo poteva mai tenere il sole, una stella tanto grande, nascosta in eterno?

Si sentì pronto per dire qualcosa, perché in quel presente non esisteva pentimento, non esisteva una versione sbagliata di come le cose sarebbero potute andare.

Dischiuse le labbra per dire qualcosa, per dire quella cosa, ma l’ultimo granello di sabbia della sua clessidra precipitò, indicando che il suo tempo era ormai scaduto. Quell’alone, che li aveva tenuti distanti, scomparì con la stessa velocità con cui li aveva ricamati dal resto del mondo, e con lo sgretolarsi di quelle mura di luce opaca, tornò l’angoscia, tornò la paura del pentimento e del rischio.

In breve, tornò la realtà.

Toccò a Sehun ora congelarsi, quando LuHan lasciò andare un lungo respiro prima di voltarsi verso di lui per rispondere a quel richiamo avvenuto solo pochi secondi prima. Era stato un richiamo così vicino, ma per Sehun infinitamente lontano, ora che il mondo sembrava aver ripreso a girare.

L’angolo delle sue labbra si incurvò lievemente verso l’alto, mimando un sorriso di rilascio allo stesso pensiero che aveva invaso con prepotenza i suoi pensieri, l’idea che fosse quello il momento perfetto per confessarsi di quei sentimenti costretti a vivere in gabbia.

«A me non piace il mare, ci vengo solo con te!»

Disse qualcosa, qualsiasi cosa, perché LuHan attendeva solo che il minore parlasse dopo che l’aveva chiamato.

Il biondo si strinse le gambe contro il petto volgendo all’altro un sincero sorriso.

 

«Sii sincero, Sehun, cosa ti è mai piaciuto a te, di ciò che ti circonda?!»


 

Te.

 


 


 

Dicember!

(Nf-mistake)

Solo qualche minuto prima che scattasse la chiusura della vigilia di Natale e segnasse il venticinque dicembre, quei fiocchi di neve che si lasciavano cadere copiosamente sulla superficie del mondo, si tramutarono in piccoli granuli danzanti soavemente nell’aria, fitti e leggeri, fino a quando si dissolsero e gli ultimi si adagiarono sul doppio strato di neve a ricoprire il suolo.

Le nuvole, che fino a quel momento si erano avvinghiate attorno ad una porzione ridotta di terreno, tanto da far sembrare che non vi fosse una fine a quella fitta nebbia addolcita dal calar dei bianchi fiocchi, si erano finalmente disgregate, strappate come pezzi di carta, finché le più piccole composizioni si dissolsero, scomparendo nel nulla.

Allora il cielo tornò ad appartenere alle stelle e alla luna, dove, quest’ultima, vincente e modesta si mostrava a chi, in strada a quella tarda ora, decideva di alzare lo sguardo per salutarla.

Sehun e LuHan furono forse i primi e anche gli ultimi, perché i soli, molto probabilmente.

Llansannan sembrava disabitata. La neve fresca intorno sembrava ovattare il minimo suono, come i loro lenti passi.

Sul fango, sulla sabbia ed ora sulla neve, LuHan e Sehun lasciavano le loro tracce allo stesso modo, quasi fosse una firma.

Il freddo tanto atteso era finalmente giunto con il trascorrere dei giorni angoscianti. Quei programmi che tanto avevano avuto attesa si erano frantumati dall’oggi al domani, lasciando il tempo al caso che, logicamente, si spacciava per un amico sempre disponibile alle chiamate.

 

«Mi dispiace, Sehun!»

Persino la nuvoletta di condensa che straripava dalle labbra del maggiore aveva un bell’aspetto quando formulava il suo nome. Sehun lo notò a sottecchi.

Il minore non rispose, non poté dire di essere invece contento di trovarsi fuori casa, con tutti i meno due gradi per accompagnare il maggiore lungo una passeggiata senza alcuna meta.

Tenne lo sguardo sul bianco immacolato che ricopriva l’asfalto, illuminato dal riflesso del sole sulla luna, che a sua volta rifletteva sul loro pianeta ed in particolar modo sul bianco della neve. I pochi lampioni presenti ai bordi della strada si tribolavano nella loro inutile presenza, quando la loro luce era misera rispetto a quella naturale, persino in una simile tarda notte.

«Lu, devo dirti una cosa!»

Proprio nello stesso istante, le labbra di LuHan si erano dischiuse per confessare la stessa dichiarazione, come una coincidenza piuttosto usuale tra loro, quando una vita insieme non era valsa solo per ciò che giaceva in quei cuori vivi.

«A-anche io, sai?!»

Gli fece notare LuHan, solo, decise di attendere che fosse l’altro a parlare per primo con il più bello dei sorrisi da cui mai lo spazio circostante era stato abbagliato in tarda notte. Illudeva una luminosità propria che sembrava deflettere sulla neve intorno, e sembrava fosse proprio la sua luce, riflessa sul bianco immacolato, a riverberare sulla luna.

Sehun però insistette per cedere al maggiore il primo posto, perché ad affiancare quella stella era lui, che nella sua debolezza doveva subirsi i suoi raggi più intensi, necessitando di tempo per accusare quei colpi di bagliore. La luna, che invece brillava distante, poco pativa quella magnificenza che apparteneva a LuHan. Sehun la invidiava, perché solo da quella prospettiva, magari, avrebbe potuto reagire in maniera così flessibile, senza vacillare.

Vinse, anche se perse immediatamente dopo, quando prima di parlare, LuHan, aveva abbassato il mento, rimangiandosi quel sorriso e riportando l’oscurità a circondarli.

«Veramente… Sehun, non volevo dirtelo oggi, ma sono per metà entusiasta di dirtelo!»

«E l’altra metà?»

Le labbra nascoste sotto la sciarpa a sfiorare il mento, mascherando i residui di un sorriso forzato, mortificato. Sehun scorse anche quello a sottecchi, fianco a fianco al suo simile, amico e distante nel contempo.

«Perché sono un codardo.»

Sehun per un momento si sentì sollevato per aver insistito sul lasciare a LuHan per primo la parola. Qualcosa gli diceva che, in caso contrario, avrebbe potuto pentirsene.

«Me ne vado per un po’, Sehun.»

Sehun mancò un passo, rimanendo poco più indietro dell’altro, quando il suo sangue parve interrompersi bruscamente nel mezzo del suo flusso che si illudeva perpetuo, quasi si fosse congelato ma non coinvolto dal freddo che li circondava.

LuHan lo imitò, fermandosi poco più avanti e voltandosi in direzione dell’altro, incontrando immediatamente il suo sguardo che, preso dalla sprovvista, non fu in grado di mascherare il miscuglio tra incredulità e devastazione che erano ad affliggerlo. Non era proprio una bella notizia, ma tra amici ci si sopporta anche nel brutto, no? Tuttavia, in quel momento, Sehun non riuscì a trattenersi affatto.

Mentre lui stava per confessare al maggiore il suo amore, quest’ultimo si preoccupava di avvisarlo della sua partenza; si preoccupava di fargli sapere che l’avrebbe abbandonato.

Una reazione spropositata non sarebbe stata biasimata, magari, se LuHan avesse saputo…

«Dove?»

Lo chiese in un profondo sospiro, divenendo pallido quando già davanti ai suoi occhi parve aprirsi un buco nero nella distanza che lo teneva lontano dal maggiore. Quasi non esistesse altro posto fuorché quello in cui vivevano, quasi Sehun temesse che LuHan stesse per spostarsi su un altro pianeta o in un altra linea temporale.

«A...Pechino.»

«Perché?»

«Ho bisogno di cominciare da capo, Sehun.»


Tienile per te, Sehun, tieni per te le tue debolezze.


Si disse a mente, quando aveva già dischiuso le labbra per contestare l’idea del maggiore, a parer suo ingiusta. Avrebbe tanto voluto far uscire la sua ignoranza, lasciare a lei la parola, perché chiudere le labbra per convincersi a smontare quell’espressione scioccata, fu doloroso, molto. Convincersi di voler reprimere i suoi sentimenti e fingersi un ottimo amico, anche mentre dentro, lo stesso, lo stesse consumando di dolore.

«Che tradotto significherebbe scappare!»

«Andiamo, Sé!»

Quello sguardo ora impassibile era tutto ciò che la forza gli concedeva.
E la sua parola, la sua confessione, venne dimenticata dietro quell'amara notizia.

«Va bene, Lu. Non devi dar conto a nessuno, neppure ad uno stupido amico.»

«Smettila Sehun! Non deve essere per forza una cosa negativa, per noi due. Ci vedremo di meno, certo, ma sarà solo un po' di distanza. Ci conosciamo sin da bambini, cosa potrebbe mai allontanarci ormai?»

Sehun annuì debolmente tenendo lo sguardo inchiodato in basso, non osando alzarlo in quanto era cominciata quella triste lotta con sé stesso; doveva combattere da solo le sue debolezze.

Non condivideva le parole del maggiore, perché lui, segretamente, si era ossigenato fino a quel giorno della presenza di LuHan e se solo quest'ultimo avesse condiviso i suoi sentimenti, allora l'avrebbe capito.

 

Alla fine diede le sue spalle come risposta, a LuHan che ne frattempo si era fermato per studiare quel silenzio veritiero. Il biondo si morse la pellicina che ricopriva il suo labbro inferiore, mentre osservava la schiena del minore continuare ad allontanarsi, finché anche lui si fermò, rimanendo però di spalle al suo hyung.

E Sehun finalmente alzò gli occhi al cielo sereno e alla luna che ora si mostrava sconsolata ai loro occhi mentre seguiva un frettoloso ma lento cammino in direzione della cima di una montagna, una qualunque pur di abbandonare un simile scenario sopra il quale si era ritrovata costretta a vegliare nelle ore in cui toccava a lei mostrasi, quando il sole se ne andava e finalmente lei poteva godere dei riflettori diretti di un immenso teatro, dinnanzi al quale il pubblico acclamava sempre il sole e trascurava lei perché buia e piccola.

 

Sehun la comprese quella sera, quando al solo sguardo si sentì simile a lei: triste e trascurata.

 

«Sehun... buon natale!»

Volle rispondere a LuHan ma non ci riuscì. Sembrava già così distante da percepirlo come un ronzio nel totale silenzio, come il sottofondo di una traccia melodica all'interno di uno scenario colmo di emozioni.

Strinse le palpebre per scacciare il desiderio di piangere, lasciando andare solo una lacrima lungo la sua guancia, che nel frattempo si era fin troppo caricata di tossicità e non c’era stato alcun verso di trattenerla.


Fu la luna a vederla, quella lacrima, e solo lei.


 


 



January!

(LuHan-medals)

Un foglio bianco immacolato rifletteva il bagliore di una piccola lanterna al suo fianco. Per tutta la durata delle ore comprese nella notte, le quali appartenevano all’oscurità, quel foglio aveva riflesso quella luce all’interno di quattro strette mura. Due occhi stanchi erano rimasti lì a farsi abbagliare, mentre una penna a inchiostro era rimasta stretta tra le lunghe e sottili dita. Tante ore e quel foglio era ancora limpido. Tante cose da poter scrivere, e quel foglio, nelle primi luci dell’alba era ancora nuovo.

In quella mattinata LuHan avrebbe preso il treno in direzione Cina e loro due si sarebbero divisi per chissà quanto tempo. La rabbia si era per metà sgretolata con il passare del tempo, si era consumata in pugni su pareti e lacrime che non era riuscito a contenere nell’angolo della disperazione, straripando.

Aveva capito, con il passare dei giorni, che non c’era niente che lui potesse fare. Da quando LuHan si era separato dalla sua compagna, Sehun aveva visto aprirsi sotto i suoi occhi un bagliore di speranza, eclissato però subito dopo da un volto oscuro rinominato realtà. Ora quella realtà lo stava divorando internamente e non c’era assolutamente niente che lui potesse fare per negarglielo, se non accettare di aver perso una battaglia contro quell’amore che aveva creduto di poter tener per sempre nascosto in un pezzo del suo cuore.

Si era preparato un discorso e non era mai riuscito a darlo alla luce, ora rifletteva su quel discorso e tante ore non erano state sufficienti per dargli un volto con lettere incise su carta bianca. C’era solo un pallido volto sofferente, che rifletteva quelle parole che esistevano solo nel suo cuore, come gesti simili ad abbracci.

A scorrere davanti ai suoi occhi erano i ricordi di sorrisi che avevano urlato il suo amore, ma evidentemente Sehun non era mai stato bravo neppure in quelli ma solo ad osservare quei bagliori che nascevano sul volto di LuHan e morivano sul suo.

Forse avrebbe potuto scrivere questo, ma come? Le parole erano così insignificanti, in qualunque modo egli pensasse di impostarle.

 

Nel frattempo, sotto le stesse luci che avevano sovrapposto la luminosità riflessa su un foglio bianco, i primi raggi di un triste sole d’inverno si imbatté sul volto di LuHan.

Mentre tra le dita di Sehun era stretta una penna, LuHan stringeva il manico della sua valigia piena, pronto a partire. Il suo treno era arrivato, ma LuHan ancora non oltrepassava la linea gialla, mentre i suoi occhi si disperavano nella ricerca del suo amico. Gli rimanevano pochi minuti, troppo pochi e di Sehun non vi era ancora alcuna traccia.

I movimenti bruschi che avevano avuto il suo collo nella ricerca, alla fine gli avevano procurato un dolore che lo costrinse ad abbassare il capo ed abbandonarsi.

Sehun non sarebbe venuto, ecco la sua triste realtà.

Ma attese ancora, speranzoso di sollevare il viso e di incontrare finalmente il suo più caro amico. Attese fino allo scroccare dell’ultimo minuto e allora risollevò il capo, ancor più ferito di come l’aveva abbassato.

Il tempo era scaduto e dunque lui, lentamente, si arrese, raggiungendo la linea gialla. Entrò nel suo vagone e prese distrattamente il suo posto, stringendosi tra le esili spalle.

Non era costretto a raggiungerlo, Sehun, ma LuHan aveva dato per scontato che l’avrebbe fatto. Non sapeva che il contrario lo avrebbe ferito tanto.

 

Le porte del vagone si chiusero e il treno, pochissimo dopo, cominciò a fare i suoi primi piccoli passi. Fu in quel momento che LuHan scoppiò in un pianto silenzioso. Fu in quel momento che Sehun mise piede in stazione, col fiato corto per una corsa che aveva consumato parte di quelle energie che gli sarebbero servite per mandar giù la partenza del suo amato.

Tra le dita ora giaceva una lettera stretta con insistenza contro il palmo, per paura che potesse sfuggirgli lungo la corsa. Una pagina stropicciata ora condivideva il suo grande segreto, quel pezzo di carta che soffocava nella stretta del palmo di Sehun quando apparteneva a LuHan.

Gli occhi di Sehun si buttarono sull’unico treno presente, già in moto. Era arrivato tardi ma la sua speranza, persino in bilico su un filo sospeso nel vuoto, si aggrappava alla vita e lui la seguì senza neppure pensare di aver già perso quella sfida.
 

Le sue gambe tornarono a correre, anche se scorreva ancora acido all’interno dei suoi vasi sanguigni, sangue che sembrava non avere il tempo di venir ripulito e quindi mandava morsi al suo piccolo e debole cuore. Nessun ossigeno raggiungeva le sue cellule morenti, eppure lui correva, correva di fianco al treno, convinto che avrebbe potuto continuare fino a quando non si sarebbe fermato. Convinto di poter saltare per aggrapparsi alle sue estremità e lasciarsi trascinare ovunque LuHan sarebbe andato. Correva di fianco a LuHan, che nel frattempo aveva perso la vista dietro un doppio e persistente stato di lacrime, mentre stringeva le ginocchia al petto per nascondere tra di esse il suo viso persino a chi non vi era in quel treno. Abbracciava le sue gambe, perché le sue braccia si erano preparate a quell’abbraccio che avrebbe dovuto prendersi Sehun.

Sehun non poté vederlo, ma sentì i suoi singhiozzi –che confuse per i propri– tra il chiasso del treno che nel frattempo iniziava a correre, lasciandolo sempre più indietro, finché di lui ebbe solo la facciata del suo ultimo vagone.

Una follata di vento gli riportò l’odore di LuHan, mentre andava a consumarsi nell’aria fino a sparire. Era andato e di lui poteva vedere solo quella facciata allontanarsi sempre di più. La sua corsa si annullò gradualmente, mentre la resa parve raggiungerlo da dietro, quasi lo avesse seguito e, solo quando Sehun si era fermato, lei era riuscito a prenderlo in un abbraccio che lo aveva appesantito sino a che le ginocchia ebbero un imbatto contro il suolo. Un pianto soffocato si sfogò, perché l’ossigeno doveva usare quella entrata per tornare a tenerlo in vita. Questo trattenne le sue grida e lui poteva solo accasciarsi a terra, disperato. La lettera stropicciata ancora soffocata dalla sua stretta, svolazzava i bordi mossi da un vento gelido, ed ora spoglio.

 

Quel giorno il sole trovò subito rifugio dietro un doppio strato di nuvole, e lì rimase fino al tramonto, perché la luna lo aveva avvertito e difatti, di Sehun e LuHan, non voleva saperne proprio niente e nessuno.


 


 


 

March!

(Nf-got you on my mind)

Il pianeta ha continuato a girare, il tempo ha continuato a scorrere, il sole e la luna, in fasi alterne, hanno continuato a presentarsi, quando più luminose e quando meno, eppure nessuno dei due aveva più visto Sehun. Non che l’avessero cercato, perché meno sapevano del suo stato e meglio loro riuscivano ad esibirsi sopra l’immenso palco scenico che era il cielo.

Lo stesso, tuttavia, non poteva dirsi per Sehun. Per lui il tempo sembrava ormai sempre lo stesso secondo. Guardare il soffitto fino a parlarci, affondare sul materasso sino a cambiargli forma, era ormai una routine piuttosto preziosa, per chi di valore, al tempo, non l’aveva mai dato.

Sehun sentì come se all’orologio della sua vita fossero state strappate le lancette e di udibile c’era solo il suo ticchettio. Questo da quando LuHan aveva lasciato il paese. Non c’era più desiderio di bersi quella birra con gli amici, non c’erano più quelle visite inaspettate a casa, di colui che lo obbligava a mettersi qualcosa addosso per uscire anziché crogiolarsi sul letto. LuHan, sin da bambino, era sempre stato colui che seguiva in ogni dove, quasi il maggiore lo trascinasse in spalla per visitare i valori della vita. Valori ai quali, Sehun, non aveva mai dato niente. L’unico valore l’aveva associato al suo migliore amico.

 

Niente si muoveva più nei dintorni di casa Sehun, fatta eccezione per una persona: una volta a settimana, nel primo mese, solo un uomo raggiungeva quella soglia tenuta chiusa, questi era il postino, guidato unicamente dalla sua occupazione, quando LuHan scriveva lettere al suo amico. Ma nel secondo mese, l’uomo raggiunse casa di Sehun una sola volta. Perché tante lettere entravano e mai nessuna usciva, aveva forse portato l’emittente a stufarsi di parlare da solo, di salutare nessuno?

Sehun non aveva mai neppure toccato nessuno di quei pezzi di carta, perché se finalmente era riuscito ad alzarsi, un giorno, niente toglieva che di LuHan non era ancora pronto a sentirne.

La coda del suo occhio finiva sempre in quell’angolo buio, dove quelle lettere giacevano là dove il postino le guidava attraverso la piccola buca che stava sulla porta d’ingresso, composta da una levetta. Le nuove arrivate erano l’unica cosa a smuovere lo strato di polvere che inevitabilmente andava a posarsi su quella montagnetta inconsiderata, quasi non ci fossero che quei granelli nell’aria all’interno di quell’abitazione.

Sehun li evitava quasi là ci fosse accostato l’uomo che gli aveva strappato via il cuore, portandoselo con sé a chilometri di distanza, incurante che Sehun, senza, non avrebbe potuto vivere.

Le evitava con tutto sé stesso, cibandosi di quel silenzio come cura della sua malattia.

Magari, un giorno, avrebbe dato importanza a quelle righe, nel frattempo non c’era bisogno che LuHan sapesse quanto lui stesse male.

Nel frattempo il silenzio era l’unica cosa che si sentiva di poter dare a LuHan, cosciente che mentre quest’ultimo era in grado di vivere felicemente senza un amico, Sehun non poteva vivere senza quel cuore.

Forse doveva solo trovare un modo per adattarsi alla mancanza, come una lunga terapia che avrebbe dovuto seguire senza LuHan, per cancellarlo dalla sua mente, tanto per cominciare.






 

May!

(Ludovico Einaudi-low mist2)

Non vi eran più traccia di neve tra le strade curate di Llansannan, dove non vi era trambusto alcuno in nessuna circostanza, se non quella legata al turismo ma sempre in maniera educata e cortese nei confronti del prossimo. Passare da Pechino al villaggio in cui LuHan era cresciuto assieme alla nonna, regalava un dolce senso di nostalgia sulla punta della lingua, oltre che un rilascio completo dell'anima e del corpo.

Era inverno quando LuHan aveva lasciato casa ed era primavera quando era tornato. Trovò difatti gli alberi per strada traboccanti di fiori dai caldi colori e ciliege sospese su di essi, ad invadere i vicoli del loro dolce profumo che mano a mano che il vento si portava via, rioccupava il nuovo e sempre più maturato.

Sul ciel sereno, il sole splendente rilasciava i suoi primi raggi cocenti, di cui nel cambio di stagione eran tutti innamorati. Una leggera brezza carezzava con garbo la sua pelle scolorita per via dell'ultima stagione trascorsa, la quale gli aveva lasciato addosso un freddo pallido.

LuHan si beò del suo bentornato, originale per via della mancanza di alcuna presenza fisica ma solo un abbraccio diretto della natura che tanto gli era mancata. Il cinguettio delle rondini sfuggenti sembravano salutarlo armoniosamente e lui dedicò all'intero contesto un sorriso infantile. Come il bambino che, solitario, vagava nei boschi fitti, scorgendo sempre più novità di cui era sempre più curioso. Finché un bel giorno, in quei boschi, conobbe Sehun. Allora quel sorriso si deformò, si rovesciò e i suoi occhi si spensero mentre delusione e tristezza lo assalirono.

Sehun era un nome che ormai stonava sulle sue labbra, che randellava il suo cuore e picchiava la sua testa.
Tutto parve spegneglisi intorno, nell'esatto momento in cui realizzò quella scomoda solitudine, che mai gli era parsa sgradevole quando da qualche parte vi era Sehun come un suo punto di riferimento, un punto simile ad un inizio e una fine, insieme.

LuHan si era impegnato nel mantenere con il più piccolo una salda amicizia sebbene la distanza non fosse indifferente, ma cosa c'era invece stato da parte di Sehun, che mai aveva risposto alle sue lettere, in cinque lunghi mesi?

Era lui, d'altronde, che lo aveva atteso alla stazione, il giorno della sua partenza. Era lui che, solo il giorno dopo, aveva sorriso amaramente al pensiero, giustificando il silenzio del suo amico con miliardi di scuse. Era sempre lui che lo stesso giorno si era preoccupato di scrivere a Sehun, di spedirgli la prima lettera ad un solo giorno di distanza dalla sua triste partenza. Era ancora lui che aveva continuato a scrivergli una volta a settimana, sebbene non ci fosse stata mai alcuna risposta. Se alla fine aveva diminuito con le lettere non equivaleva a non averlo pensato, semplicemente anche a LuHan rimaneva un minimo di orgoglio da mantenere. Era lui che seppur non ci fosse mai stata alcuna risposta, continuava a scrivere a quell'indirizzo. Era LuHan ad attendere ogni giorno una risposta, pur cosciente che mai sarebbe arrivata.

Ma come per il giorno della sua partenza, LuHan aveva atteso fino all'ultimo minuto, riscontrando un finale identico a come quello che gli era stato dell'ultimo giorno a Llansannan.

Quindi era naturale che una parte di lui gradisse delle risposte dopo tutto quel silenzio. Nel contempo l'altra parte era amaramente delusa dall'atteggiamento di Sehun, tanto che aveva già chiuso i ponti con lui. Voleva solo delle risposte e una parola per ricordare di aver chiuso quella bellissima amicizia che per anni aveva condiviso con lui.

Decise dunque di rimandare la visita dalla nonna, prendendo immediatamente la strada che lo avrebbe condotto a casa di Sehun, ricordando perfettamente dove questa si trovasse. La percorse con il cuore che, per ogni passo, si intensificava in battiti frettolosi e intensi, dolendogli in alcuni momenti, quelli in cui i suoi occhi si ricoprivano di un sottile strato di lacrime, le stesse che reprimeva con insistenza subito dopo.

E subito il sole trovò il primo fascio di nubi dietro cui scappare, loro che fino a qualche minuto prima sembravano non esistere. Lo seguì una brezza improvvisamente aggressiva, quasi fosse stata scossa dalle indesiderate emozioni che avevano in un attimo ribaltato lo stato di LuHan.

Lungo il suo itinerario, LuHan incontrò le sagome sbiadite dei loro fantasmi infantili. Incontrò il suo piccolo sé e il piccolo Sehun, intenti ad animare una pioggia artificiale con la presenza di una fontana, dove LuHan liberava le braccia e girava su sé stesso ridendo, dove Sehun, non di meno, si impegnava nel regalare al maggiore la più bella pioggia che si potesse desiderare in una giornata d'estate, tutto sotto lo sguardo innamorato del sole.

Schivò con dispregio quello che doveva essere un ricordo, ma tanto impresso nella sua mente da farlo apparire dannatamente vicino.

Incontrò loro due, ancora giovani ed innocenti, mano per la mano a girare su loro stessi sotto le flebili luci di lanterne, guidati da un sottofondo melodico di un classico pezzo usato per le fiere del villaggio.

Incontrò loro due sul portico di casa di Sehun, quando finalmente giunse a destinazione con il cuore in gola, a ripararsi da una pioggia, abbracciati l'un l'altro con l'intento di scaldarsi ma ugualmente sorridenti, ugualmente felici seppur bagnati ed infreddoliti.

LuHan passò di traverso a quell'immagine, smontando il loro ologramma che parve dissolversi nell'aria, lasciando unicamente spazio alla cruda realtà. Era una porta quella che gli si parò dinanzi, l'ingresso spoglio e silenzioso di Sehun.

Allora il momento era giunto, quel momento di cui si era viziato quando era a Pechino, solo, allora aveva creduto di bussare contro quel legno con il sorriso sulle labbra, eppure vi era solo un espressione irata e immensamente delusa, oltre che una serie di colpi bruschi.

Di positivo c'era solo che avrebbe potuto sfogare la sua rabbia sputandola fuori, ma per farlo Sehun doveva necessariamente aprirgli la porta e mostrarsi a lui – in tutto il suo splendore.

LuHan aveva paura. Temeva che una volta davanti a lui sarebbe crollato, perché dopo tanti mesi a nascondersi dietro sorrisi amari, la sua stabilità barcollava, lo percepiva chiaramente.

Ma per sua fortuna nessuno gli si presentò all'ingresso. Per sua fortuna Sehun non si presentò e quella porta restò chiusa. Il suo cuore continuava a pompare acido e rimanere fermo era solo più doloroso, desiderava strapparsi di dosso quelle brutte sensazioni con un colpo secco, come si usa fare con i cerotti su pelle. Eppure non vi fu modo dal momento che Sehun non si fece vivo, il che fu frustante per chi tratteneva in gola conati di rabbia e tristezza. Questi gli toglievano il respiro, urlare non gli avrebbe cambiato nulla.

Allora LuHan insistette, colpì ancora quella porta, due, tre quattro volte e alla fine ci si buttò contro, lasciandosi scivolare a terra ormai in lacrime.

«Proprio tu... che fai questo a me?!»

Ansimò in pesanti singhiozzi quando finalmente le ginocchia toccarono il suolo freddo ed abbandonato alla sporcizia.

«Sehun....»

«Sehun!»

Si ricompose tra lacrime e rabbia, insistendo sul tono. Avrebbe voluto urlare che lo odiava, ma avrebbe solo mentito.

Dunque si tirò in piedi sfregando sulle lacrime, sul volto, con la manica della leggera stoffa che copriva le sue braccia sino ai polsi.

Aggrottò le sopracciglia con gli occhi gonfi contro il legno scolorito della porta, quasi volesse sfidare proprio lei. Lasciò lì la sua valigia, abbandonandola con disinvoltura, quasi non contenesse i suoi abiti più costosi, e si recò sul retro casa per frugare tra i vasi alla ricerca della chiave di emergenza, quella di cui conosceva il posto, perché dopo una vita intera con Sehun sarebbe solo uno stupido a non sapere dove questa si nascondesse.

In altre circostanze LuHan non si sarebbe mai permesso di agire in tal modo, ma il dolore era troppo per attenersi a determinate buone maniere che, per quanto gli appartenessero in principio, è risaputo: in amore o in battaglia non ci sono leggi. Quale tra le due però faceva al caso di LuHan, lui neppure si pose la questione.

Dunque superò il limite, introducendosi in casa di Sehun senza alcun invito, senza alcun permesso, presso la porta sul retro e tramite la chiave di riserva. Si sentì quasi sollevato quando finalmente venne invaso dall'odore di quell'abitazione, legato indiscutibilmente al suo proprietario. Stupidi dettagli che gli annebbiavano i sensi. Stupido cuore che non sapeva distinguere l'amore dall'odio.

Nel momento dopo però ai suoi occhi si mostrò unicamente un abitazione buia, trascurata, cullata da un silenzio inquietante, quasi simile alla solitudine. LuHan venne prevalso da una scarica di brividi mentre avanzava tra quelle mura, lanciando occhiate timorose in giro, notando solo tanti granuli di polvere sospesi nell'aria.

Sebbene fosse evidente che fu solo in quella casa, LuHan non si negò di indagare tra i vari locali nel suo interno, sorpreso nel notare che mentre di Sehun non vi era traccia, di tutta la sua roba sì.

Ma il peggio era proprio all'ingresso. Quando LuHan si trovò davanti la porta principale di quella piccola casa, sorrise amaramente. Inclinò la nuca per lasciare andare il capo verso l'alto, ridendo. Rise da solo, rise di sé stesso, di tutti quei mesi passati a parlare da solo, perché tutte le sue lettere erano proprio lì per terra, mai neppure toccate. Erano lì, sotto l'ingresso della posta, dove il classico postino le accompagnava al proprietario. Erano lì, abbandonate come Sehun aveva abbandonato lui. Rise tra le lacrime allontanandosi da quella prospettiva amara, ora cosciente più che mai. Vagò tra risate, inalando polvere finché non si buttò su una sedia e lasciò cadere il viso sui suoi palmi, sorreggendosi dai gomiti contro la superficie impolverata di un tavolo.

Espirò profondamente, sfregando con fin troppa forza sugli occhi imbrattati di lacrime, finché perse per qualche momento la capacità visiva, vagando in un vuoto riflessivo. Fu in quell'oblio che delle lettere incise su una carta abbandonata sul piano del tavolo si impiantarono nella sua coscienza oscurata, riaprendo un bagliore di luce.

Su quella carta era inciso in stampato il suo nome. Sembrava quasi una lettera dedicata a lui. LuHan riacquisì lucidità di grado, quasi per un momento si fosse domandato se quello fosse il suo nome, se non si stesse sbagliando, se fosse lui LuHan. Dopo svariati minuti di altra riflessione però si convinse. Prese quel foglio ripiegato su sé stesso. I lineamenti frastagliati, il colorito sporco facevano intendere quanto vecchio fosse quel pezzo di carta stropicciato. LuHan non stimò una tempistica, semplicemente scorse una certa verità e si impuntò su di essa quando aprì il foglio e lesse le uniche due parole incise nel centro.

Quella lontana notte di Gennaio e quella triste mattina, Sehun aveva trovato le uniche parole capaci di racchiudere i suoi tristi sentimenti. 

Quel semplice pezzo di carta, fornitogli valore dalla pesantezza di un segreto che si era ritrovato costretto a contenere, aveva, assieme a Sehun, lottato quella lontana mattina per raggiungere LuHan, che nel frattempo era già in viaggio per Pechino.

Cinque mesi dopo, LuHan finalmente riescì ad avere quel foglio. Sehun finalmente si vide vincente di una battaglia a sua insaputa, la stessa che credeva di aver perso tempo addietro.

LuHan tremava di un pianto che sfociò silenzioso dalla sua lettura, che seguitò all'infinito sebbene conoscesse perfettamente quelle parole. LuHan tremava mentre la sua prospettiva andava a sgretolarsi per ricomporsi davanti ai suoi occhi imbrattati di lacrime, sino al punto di non vedere più nulla. Tremava, mentre quel foglio venne imbrattato dalle sue lacrime sfuggenti.

Perché quel 'ti amo', LuHan proprio non lo conosceva.


 


 

 

July!

(David Kushner-daylight)

L’estate di montagna è più digeribile rispetto all’afa che, in quei mesi, ricopre le città più affollate. Il cielo non è mai opaco in quei mesi, limpido come le acque dei fiumi e dei laghi che lo riflettono.

LuHan, che aveva di buon grado preferito trascorrere i mesi estivi lontano dal caos e dallo smog di Pechino, lontano da quel clima umido e caldo, se ne stava tra gli alberi e l’erba, a gustare il silenzio dell’amata quiete composta da solitudine e intimità, credendo di non averne mai abbastanza.

Anche se il silenzio, dopo un po’, diventa baccano.

LuHan se n’era accorto quando dai pensieri suoi vi era nato un senso di disagio abissale, capace di farlo sobbalzare nel vuoto, sfiorato da un ingiustificato attacco di panico. Allora si rese cosciente di quelle sensazioni scomposte, le stesse che aveva solo pensato di evitare perché era in vacanza, e in questa poteva infilarci tutto fuorché una tabella di problemi da risolvere.

Si era sentito come in bilico su una sedia, penzolante tra due piedi anziché quattro. Allora il calcio*(improvvisa perdita di equilibrio che riporta dal sonno al risveglio) lo aveva risvegliato, ma oltre che una perdita di equilibrio, LuHan si era sentito afferrare da qualcosa che, al risveglio, aveva riconosciuto come l’immagine del male, tratto da tutte quelle sensazioni negative che lo abitavano nel subconscio. Insieme al risveglio indesiderato, lo aveva tormentato nelle successive ore un inspiegabile senso di tristezza e desiderio di piangere. Piangere cosa?

Aveva poi lasciato casa per vagare senza meta, solo, lontano da quel senso di soffocamento. Inutile dire quanto non conobbe alcuna liberazione se non briciolo di verità, quando sollevò il viso per incontrare l’abitazione che apparteneva a Sehun. Era la meta che raggiungeva quando non ne aveva alcuna; era il rifugio su cui sperava quando si sentiva esposto. Ma cosa potevano essere in realtà quelle quattro mura, se Sehun non era più lì?

LuHan non si pose alcun problema, non più, quando recuperò la chiave nascosta e si insinuò in quella casa quasi gli appartenesse in parte. Tutto era lì come lui stesso lo aveva lasciato solo due mesi addietro, quando era scappato portando però con sé quello che doveva essere uno straccio di carta insignificante, ma che racchiudeva il segreto di un’amicizia ormai in frantumi.

Raggiunse un angolo della casa, uno qualunque e si accovacciò. Strinse le gambe contro il petto e nascose il viso tra le ginocchia per piangere liberamente il senso di vuoto che viveva in quella casa come nel suo cuore.

Così fu per i giorni a seguire, per quella che sarebbe stata certamente una vacanza da dimenticare, ma con l’effetto contrario.

Un pomeriggio, mentre fuori si sfogava un temporale estivo, LuHan aveva deciso di spalancare tutte le finestre, recuperare una felpa di Sehun per indossarla, datosi l’improvviso abbassamento di temperatura, e tornare in quell’angolo. Quel pomeriggio LuHan pianse in simbiosi con l’acqua piovana, abbracciando non le sue gambe ma la stoffa di quella felpa che portava l’odore di Sehun.

Una parte di lui chiedeva in sussurri il perdono, mentre l’altra parte stringeva i suoi denti con rabbia e frustrazione per essere stato abbandonato con un simile dispregio. Una parte di lui si diceva che era ciò che meritava dopo essere stato così cieco nei confronti dei sentimenti di Sehun, l’altra parte lo scagionava per ingiustizia, perché se solo LuHan avesse saputo, allora…

Alla fine la questione non la vinse nessuna delle due parti, perché nel frattempo le lacrime erano cessate, così anche la pioggia e LuHan scrutava il vuoto da ore ormai, con la pelle rigata da lacrime asciutte.

Una via di mezzo tra pentimento e sdegno?

Qualunque fosse stata la risposta, LuHan si mantenne lì. La sua comunque divenne una routine, perché sebbene avesse esaurito le lacrime, quel senso di vuoto non si colmava d’ossigeno e cibo. La sua vacanza prese una piega diversa, quando scrutare il vuoto dentro una casa che neppure gli apparteneva era divenuta quotidianità. Finché un bel giorno, quando per caso aveva avuto una reazione allergica all’eccesso di polvere che viveva tra quelle mura, si era sollevato, sfuriato, e si era consumato ore ed ore di una giornata di luglio per rimettere in sesto quell’abitazione.

Aveva ridato vita a quella struttura, aveva gettato i fiori appassiti e ne aveva posti di nuovi, aveva buttato le scure tende impolverate e ne aveva rimesse di colorate e profumate. Aveva raccolto le sue lettere e le aveva poste in una cesta all’ingresso, per quando sarebbe giunto il loro momento di essere considerate, se mai ci fosse stato.

 

Ed infine aveva, insomma, abitato inconsciamente quella casa, usufruendo con superficiale dispregio di tutte quelle cose che non gli appartenevano, come gli abiti di Sehun, seppur di taglia superiore; il suo letto; il suo divano; le sue stoviglie; tutto. Di tutto finì con l’usufruire, muovendosi nel peccato, nello sfregio, mentre si prendeva ciò che non apparteneva a lui bensì a Sehun, e lo faceva diventare suo, perché il minore non lo meritava, non meritava niente di tutto quello che era finito con l’abbandonare così come aveva fatto con lui.

 

E se solo LuHan l’avesse desiderato, avrebbe potuto anche dar fuoco all’intera struttura, con tutte le cose di Sehun dentro e sarebbe stato un atto d’amore represso, quello di cui era stato ingiustamente privato. Eppure un minimo di coscienza glie ne privava l’atto madornale, limitandosi all’esatto contrario.

Alla fine prevalse quel senso d’amore che si celava nel suo cuore, prendendo in suo possesso quello che apparteneva a Sehun solo per creare un illusoria vicinanza tra di loro.

Nascosto sotto un aspetto vendicativo, LuHan si beava degli abiti di Sehun che sembravano abbracciarlo con il suo odore e lui ricambiava quegli abbracci. Questo era l’unico modo che aveva conosciuto per affievolire quel vuoto che si portava dentro.


 




 


August!

(Oasis-wonderwall)


 

LuHan ormai parlava con le piante. Tutti i giorni, tutto il giorno, sorrideva a loro mentre le accudiva in giardino.

La camicia che aveva indossato calzava di almeno tre taglie in più al suo fisico asciutto, le maniche erano state tirate sui gomiti, pasticciando la stoffa con terra bagnata.

Sehun la indossava spesso, quella camicia, e lui si prendeva la libertà di usarla durante il suo duro lavoro di giardinaggio. Alle volte rideva da solo, o con i fiori malvagi che lo assecondavano, immaginando l’espressione di Sehun se l’avesse colto d’improvviso momento, a rovinare i suoi abiti con dispregio, ma a fine giornata si prendeva sempre la briga di lavarli con cura e stirarli per farli tornare nuovi. Si rimangiava le sue risate malvagie con la premura che aveva nei riguardi del più piccolo.

I fiori lo seguivano divertiti da quei cambi di umore, ormai conoscendo chi fosse LuHan.

LuHan parlava con le piante da ormai un mese e mezzo, rendendosi conto di quanto solo loro potessero avvicinarsi appena a quel senso di amicizia che Sehun gli aveva presentato.

La sua vacanza si era trasformata in un alloggio culturale d’amore. Amore verso quell’invisibile che giaceva nello spazio circostante. Un amore che aveva distribuito nei dintorni e all’interno dell’abitazione che, legalmente, apparteneva a Sehun.

Come un barbone innamorato, LuHan aveva occupato abusivamente quell’abitazione e magari un giorno degli agenti immobiliari si sarebbero fatti vivi con ospiti interessati alla struttura, allora lui li avrebbe cacciati malamente, non prima di averli obbligati a confessargli dove si nascondesse Sehun.

Aveva una malsana voglia di prenderlo a schiaffi. Assaggiava quel momento sulle sue labbra, forse perché in seguito lo avrebbe baciato, o magari nel contempo, chissà.
 

Come se avesse chiamato quel momento, cioè la presenza di qualcuno, ecco che dalle sue spalle si avvicinò una sagoma rilevante ed impacciata in passi pesanti contro il suo prato curato.

LuHan lo percepì quasi i fiori avessero gridato aiuto, perché alle spalle del loro sovrano, questi venivano schiacciati quasi fossero esseri immortali.

Si sollevò dalla sua postazione con furia e volse all’ospite indesiderato un occhiata severa, come quella di una bestia pronta a difendere le sue creaturine indifese.

Rammentò presto il volto che gli si mostrò, ma ciò non smontò la sua alta guardia, quando si armò di rastrellino che strinse tra le piccole e sottili dita.

 

«Park Chanyeol, oseresti calpestare i miei fuori anche dopo che ti avrò consumato di bastonate almeno un metro dei tuoi due pieni?»

 

Il nuovo arrivato, sorridente e spensierato, formulò con riguardo passi laterali, sino a rilasciare i suoi muscoli tesi solo quando i suoi piedi calpestarono grossi sassi impiantati nel suolo terroso.

«Uno e ottantacinque. LuHan è un piacere rivederti.»

«Imbranato come sempre, vedo.»

«Certe cose non cambiano, eh Lulù?»

«Lulù è morto a dodici anni, aggiornati Dumbo.»

LuHan si disarmò e, con particolare attenzione sul dove poggiare i piedi, raggiunse il suo vecchio compagno, dovendo però sollevare il capo per incontrare il suo viso. Ma quando era diventato così alto? E quanto erano cresciute le sue orecchie?

«Ringrazia che mi hai sentito, stavo per saltarti addosso convinto che fossi Sehun.»

«Mi hai scambiato per Sehun?»

«Beh, indossi perfino i suoi abiti.»

«È che non volevo sporcare i miei.»

Confessò con naturalezza, scrollando le spalle.

«Eh, sì. Ti avrei fatto molto male.»

«Niente in paragone a quello che avrei fatto io, a te.»

«Cosa ci fai qui?»

Chiese il minore. LuHan avrebbe potuto fargli la stessa domanda, ma la verità era che poco gli importava della presenza di Chanyeol, lì.

«Vacanza. Sai dov'è –quello stronzo di– Sehun?»

«Sehun non è qui? Allora che stai combinando? Non dirmi che ti ha assunto come giardiniere perché non ci crederei neanche se lo vedessi.»

«Perché scusa?»

«Perché conosco Sehun. Allora, cosa stai combinando?»

Già, Chanyeol era sempre stato un curiosone.

«Passo il tempo.»

«Lavorando il giardino di Sehun?»

«È meno strano di quanto può sembrare.»

«Convivete, adesso?»

«No. Io vivo a Pechino.»

«Ah. Mi sono perso.»

«A Pechino, Chanyeol?»

«Qui.»

«Qui, dove?»

«Aspetta, un passo indietro. Sehun sa che sei qui?»

LuHan roteò gli occhi quando vide aprirsi davanti a lui un dialogo senza fine oltre che filo logico.

Chanyeol poteva anche essere una brava e simpatica persona, ma per lui che viveva di pace e montagne se ne stufava presto della presenza.

«No, Chanyeol, non sa nulla!»

LuHan buttò a terra i suoi attrezzi e diede a Chanyeol le spalle per raggiungere i gradini sul portico di casa. Si accomodò su uno di questi e lasciò che il caldo sole riflettesse sullo strato superficiale di sudore a ricoprire la sua pelle.

«Ah, capisco. Sei un abusivo.»

Affermò Chanyeol seguendolo e trovando posto accanto a lui, lanciandogli pure quella sua occhiata divertita a trentadue denti luccicanti, là dove il suo sorriso finiva, invece, cominciavano a non finir le sue orecchie sporgenti. LuHan voleva prenderlo in giro, ma la conversazione era già fin troppo pesante per aggiungerci dell’ironia.

«Per chi mi hai preso? Sehun è in debito con me.»

«Per questo indossi anche le sue mutande?»

«Per questo indosso le sue mutande.»

Alla fine, con chiunque parlasse, Chanyeol riusciva sempre ad avere la sua vittoria con l’abbandono in campo del suo avversario.

«LuHan... per caso sei innamorato di Sehun?»

E questa poi. LuHan quasi si strozzò con la sua saliva, reagendo forse in maniera spropositata, quasi gli fosse stato addossata la colpa di un reato e lui, in preda al panico, tentasse immediatamente di prendere le sue difensive, accecato da quelle parole e quegli atteggiamenti che gli si sarebbero riversati contro.

«Cosa? No. È mio am-... era mio amico.»

«Per questo hai lasciato Xiao?»

«Non l'amavo, non davvero.»

«Perché sei innamorato di qualcun altro.»

«Dici cose senza senso.»

Ancora due a zero per Chanyeol, perché LuHan era ormai stanco di ribattere.

«Comunque sia, Sehun dov'è?»

Alle volte, Chanyeol, sembrava farlo apposta.

LuHan serrò la mascella formulando una sottile riga al posto delle labbra, chinando lentamente il capo in direzione del vecchio compagno di brevi avventure, fulminandolo. Se avesse avuto qualcosa in mano, qualsiasi cosa, non sarebbe riuscito ad negarsi di sbatterlo in testa a quella faccia da Dumbo.

Si ricordò che un giorno, a scuola, Chanyeol gli aveva fatto prendere un pessimo voto in biologia, questo perché, durante la spiegazione dell’argomento riguardante l’apparato genitale, il suo compagno di banco non aveva smesso un attimo di rifilare battute pessime a riguardo, deconcentrando l’intellettuale LuHan con i suoi quattro occhi momentanei. Alla fine l’insegnante si era intromesso durante un loro –non abbastanza silenzioso– battibecco, formulando ad entrambi una domanda riguardo un nome che nessuno dei due poteva conoscere, perché non avevano avuto modo di prestargli attenzione. Dunque presero entrambi un voto come lo zero, con la differenza che a Chanyeol poco gli era importato, mentre a lui fin troppo.

«Ma se l'ho chiesto io a te!! Dannazione Chanyeol hai seriamente qualcosa che non va!»

«Scusa, colpa mia, troppe informazioni contemporaneamente.»

«Quali informazioni?»

Sbuffò e Chanyeol rise. Come sempre lui raggiungeva il limite della pazienza e Chanyeol del divertimento. Il minore conosceva i sbalzi d’umore di LuHan, lo divertivano quelle sue espressioni perché riconosceva che oltre a quelle non facesse altro, non mordeva.

«Comunque se Sehun sapesse che sei qui, non ti lascerebbe toccare il suo giardino. A lui piaceva morto.»

«Che scemenza.»

«Ero preoccupato per Sehun, non lo sento da quando mi disse che voleva andarsene.»

«A quando risale?»

«Boh, poteva essere marzo.»

LuHan nascose un amaro sorriso, consapevole e deluso. Mimò un insonorizzato ‘stronzo’ per lui che a quanto sembrava aveva evitato di proposito tutte le sue lettere, le sue chiamate, voltandogli le spalle. E poi quel misero pezzo di carta stropicciato, abbandonato sulla scrivania, sopra il quale erano state incise quelle parole che spettavano a LuHan. Perché?

«Allora alla fine ce l'ha fatta, magari.»

«Quindi... perché tu sei qui?»

LuHan chinò il capo in basso, giocherellando con le sue dita e pizzicandosi sotto le unghie senza pensarci veramente.

«Pensavo di aspettarlo, non lo so.»

Confessò alla fine, più a sé stesso in verità.

Il vento scompigliò i suoi capelli, accompagnò le girelle sul portico a giare infinitamente, mosse il campanellino appeso accanto all’entrata creando un sottofondo melodico tra gli oggetti e piante che sfrusciavano. Rese meno pesante il silenzio che susseguì, riportando nella memoria di entrambi gli anni trascorsi colmi di spensieratezza e sorrisi. Loro che a presentarli era stato proprio Sehun, quando si divideva tra una compagnia e LuHan ma lasciando sempre a quest’ultimo la priorità.

Le estati sfrenate, gli inverni al chiuso davanti a televisione e giochi, gli autunni ai bar e le primavere in giro per i boschi e le campagne.


 

Tutto finito.


 

«Lu, e se Sehun non tornasse?»


 




 

September!

(Lord Huron-the night we met)

Nella penombra, quando il sole che esausto si lasciava ornare da un massiccio strato di nubi mammellari, il silenzio si succedeva al fischiar del vento, per niente gentile.
L'ultimo numero del mese d'Agosto, il trentuno, venne cancellato con gesti incerti, quasi non sembrasse reale il tempo trascorso. Un calendario riportava tutti quei giorni, aggrediti dalla presenza di grandi 'x' color rosso, in cui LuHan era rimasto ad attendere Sehun.
Ancora una volta, il tempo scadde e LuHan, sulla soglia di casa, era pronto ad abbandonare quelle pareti che, come se sapessero, tornarono tristi e fredde. I fiori piangevano in giardino, perché anche loro sapevano.  LuHan, invece, non piangeva più, né loro e né Sehun.

Ma, a dispetto dell'ultima volta in cui LuHan aveva lasciato quell'adorabile villaggio, adesso qualcuno lo salutava. Erano gli amici di Sehun, e gli unici che LuHan aveva percepito vicini, così come solo Sehun era stato.

Gli amici di Sehun, che stupidaggine.

Sehun non li aveva più, quegli amici. Loro erano stati accuditi da LuHan. I fiori, quella casa, avevano conosciuto da vicino colui che portava il peso del cuore dell'uomo che non c'era più. Per questo Sehun non dava nulla a niente e a nessuno, perché era troppo impegnato a bruciarsi d'amore per LuHan, in silenzio.

Alla fine, anche quel silenzio è stato in grado di parlare, ma quando ormai di Sehun erano sparite le tracce.

No, non l'aveva più atteso. Aveva solo passato del tempo in un luogo che lo aveva fatto sentire vicino a Sehun. Ormai però era andato. Doveva tornare in Città.

Non vi era alcuna valigia da portare con sé, perché, in quella casa, LuHan non aveva avuto bisogno proprio di niente. Quindi lo precedette unicamente uno sguardo intorno, poi un sorriso amaro, poi ancora un espressione piatta, ed infine le sue spalle.

Aprì la porta e si portò fuori, accorgendosi che il tempo non lo aveva per nulla aspettato e un temporale si stava  ribellando con veemenza contro l'estate asciutta. Poco gli cambiò quella pioggia, quando si lasciò inondare dai suoi grandi goccioloni, rinfrescandogli il cuore e l'anima.

Seguì il vialetto fino a lasciare il giardino, fermandosi però a metà quando intravide con la coda dell'occhio qualcosa muoversi, tra i suoi fiori. A loro che si era rifiutato di lanciare anche solo uno sguardo, indolenzito nel profondo al pensiero di dirgli addio. Aveva solo buttato un occhio in profondità, davanti a sé, lontano.

Qualcuno era di spalle a lui, quando LuHan si voltò verso la sagoma oscurata da una divisa militare. Le sue spalle erano larghe, le sue ginocchia piegate verso il basso, ad esaminare da vicino, forse, i suoi fiori.

LuHan corrugò le sopracciglia, infuriato a morte, geloso marcio di qualcuno che dava attenzione a qualcosa che apparteneva a lui e solo a lui. Strinse i pugni, irrigidendo i muscoli delle braccia che ricadevano lungo i fianchi.

La vista era oscurata dalla fitta pioggia, la quale tratteneva uno sciame di umidità nella porzione di terra travolta dal temporale, rendendo la visuale scadente e grigiastra. Ma LuHan vide e percepì chiaramente la minaccia in quell'uomo, quando lo trovò a violare lo spazio vitale dei suoi fuori, rendendo il suo spazio vitale contaminato da una presenza indesiderata.

«Ehi, tu! Giuro che se tocchi anche solo un petalo di quel gelsomino te lo pianto nello stomaco!»

La sua divisa non lo trattenne, specialmente quando gli parve di parlare ad un pazzo dalla divisa fradicia e il viso, che chinato, si sollevava lentamente quando LuHan aveva praticamente gridato, per farsi sentire oltre quel trambusto piovoso.

Ma folle era anche chi, alle sue spalle, si lasciava impregnare dall’acqua piovana senza la minima preoccupazione, così come faceva quell'uomo misterioso.

«Scusami, Lu. È che… non ho mai visto il gelsomino nel mio giardino!»

La gola si seccò, la pioggia non bastò ad inumidirla.

Lui, con la sua divisa dai colori della classica natura, si sollevò, prima di voltare e poter dunque incontrare LuHan, che nel frattempo era andato via, scappato da qualche parte dentro di lui, come fanno le tartarughe quando hanno paura.

Sehun era proprio davanti a lui, a qualche metro toccato dalla pioggia che gli si buttava addosso di capofitto.

Sembrava più alto, più maturo, più distante, più di quanto non lo fosse stato in tutti i mesi trascorsi, quando LuHan nei suoi occhi trovò due profondi pozzi neri. Sehun era impassibile dinanzi a lui, forse coperto da una qualche specie di maschera. Nel frattempo i secondi passarono, e loro due sembravano fermi in una linea temporale dove il tempo non esisteva affatto.

Il primo passo, e finalmente, lo fece Sehun, ma LuHan reagì di puro istinto quando compiette quello stesso passo nella direzione opposta. Entrambi allora tornarono in quel presente e sul volto di LuHan, le lacrime, si facevano strada assieme alla pioggia.

«Ovviamente. Ovviamente, se non dai amore, come fai a riceverlo? Se non curi ciò che puoi amare solo guardandolo, come puoi farti amare da lui? È, d’altronde, quello che hai sempre fatto, non è cosi, Sehun?»

Il suo tono era calunnioso, il suo sguardo duro. Finalmente poteva dire tutte quelle cose che aveva trattenuto sulla punta della lingua, dal giorno in cui si era recato in quella casa per sputarle, ritrovandosi però spaesato in un abitazione vuota. Finalmente poteva alleggerirsi di tutto quello che lo aveva corroso dall’interno, in tutti quei mesi di agonia ingiustificata. Finalmente quel silenzio poteva avere una fine.

LuHan si caricò i polmoni d’ossigeno mentre un sorriso beffardo, amaro, ironico, triste, rimpiazzò quel bagliore che aveva, in tutti gli anni della loro amicizia, alimentato il cuore di Sehun. Non vi era alcuna luce, invece, in quell’espressione.

Finalmente, aveva pensato. Eppure la voce non gli uscì dalle labbra; nessun discorso preparato, niente da poter dire. Non aveva più alcuna parola, perché?

Sehun, che nel frattempo era rimasto al suo posto, impassibile, e pronto ad un colpo, sembrò non toccato neppure da quel silenzio, che valeva più di mille grida di rabbia. Le percepì anche se non vi fu niente di simile. Alla fine abbassò il capo, solo per darsi un momento di tregua, sbuffando un pizzico di aria e inclinando appena le labbra verso l’alto, solo di poco, anch’egli ironico.

«Quindi, lo sai?!»

Fu tutto ciò che Sehun fu in grado di dire, e non si mostrò neppure imbarazzato al pensiero che il suo più grande segreto era stato, finalmente, dato alla luce.

«Se aspettavo te, potevo anche morire in quella città!»

«Ti vedo soddisfatto, Lu. È bello pensare che la cosa ti abbia regalato un sorriso!»

«Vaffanculo, Sehun!»

«Continua, se ne hai bisogno!»

LuHan attese ancora quelle sue parole, ma niente cambiava i fatti. Che non avesse nulla di cui sfogarsi era impensabile, allora perché non riusciva a dire nulla? Arreso, fece cadere il viso contro il palmo, stringendosi tra le esili spalle per congedarsi solo a quel pianto liberatorio. Si nascose quanto possibile dalla vista del minore, tuttavia quest’ultimo riconobbe i suoi singhiozzi con il sobbalzare delle sue spalle.

Persino Sehun si sentì messo alla prova dinanzi a ciò, quando dentro di sé viveva ancora quel malsano istinto di proteggere il maggiore da qualunque male, a maggior ragione se era lui, il suo male.

«LuHan, io ti ascolterò, promesso!»

Le sue promesse erano però state una menzogna, fino a quel giorno.

Espirò profondamente, prima di alzare il viso e sfuggire immediatamente dagli occhi di Sehun, i quali sembravano imprigionarlo.

Negò con il capo.

«Bentornato, Sehun!»

Un ultimo sguardo, umile e triste. Poi, finalmente, scappò.

Si voltò per lasciarsi alle spalle il suo più grande amico, rilasciando adesso le sue lacrime che si abbracciarono con l’acqua piovana la quale gli batteva sul viso senza pietà, quando LuHan le espose il suo volto afflitto lungo un cammino che riuscì breve.

Perché Sehun lo aveva raggiunto presto, afferrandolo dal polso per attirarlo a sé, riportandolo di qualche passo indietro. Persino Sehun, che non aveva parole, fu in grado di richiamare LuHan pur presentargli altro silenzio, quando semplicemente lo abbracciò per tutto il tempo che non aveva potuto farlo ma solo desiderarlo.

E LuHan, che tanto credeva di voler scappare da Sehun, si aggrappò alle sue spalle per non cadere, quando le gambe sembravano volerlo abbandonare. Si aggrappò a lui e pianse con il viso sull’incavo del suo collo, entrambi cullati dal trambusto e dal mare di pioggia che credeva di potersi aprire tra di loro un varco dentro cui passare.

Rimasero in quell’abbraccio quanto lo desiderarono, perché il loro livello si rispecchiava perfettamente sull’altro.

Erano l’uno dell’altro, e in quel contatto marcato se lo dissero chiaramente.

Ora che entrambi conoscevano il significato di quella famosa, piccola, frase.


 




 

October!

(Michael Ortega-Broken hearts)

Se già aveva percorso su per giù duecento scalini, quanti ancora glie ne mancavano per arrivare a settecento?

Sehun non voleva proprio saperlo, tant’è che si era ormai abbandonato sull’acciaio posto a rete sotto i suoi piedi, a formare quell'immensa gradinata simile a delle montagne russe, lo spacewalk, nella città sud coreana di Pohang.

Una sigaretta consumata tra le dita e la bellezza di un panorama a… veramente non troppi metri di altezza, ma comunque sufficienti da riuscire a vedere bene il mare e la costruzione di edifici di diverse altezze a comporre la città, sfiorata dalle colline di Hwanho Park.

La visiera del suo capello nascondeva parte del suo viso a quei passanti che, con occhi un po’ invidiosi e un po’ critici, gli passavano accanto per tentare quanto meno di completare quell’originale percorso da trekking. Nel frattempo lui sedeva accanto alla ringhiera che confinava, ovviamente, la gradinata traballante ad ogni passo, quasi fosse instabile, e si lasciava coinvolgere dalla brezza autunnale, non esageratamente fastidiosa per lui che tanto amava quella stagione.

Rammentò, in quella visuale, che solo un anno prima scalava il monte Snowdon, anch’ella impresa interessante. Ed ora si trovava nel sud della corea, a scalare le montagne russe, quando dentro di sé aveva creduto fino all’ultimo di andare al luna park.

Ridacchiò silenzioso al pensiero, domandandosi chi glie l’avesse mai fatto fare. Sia quell’impresa che quella dell’anno prima.

«Sehun!!»

Poi, però, ricordò a chi doveva il suo fiato corto e il suo mal di gambe.

LuHan, in tutto il suo splendore rinato, gli si parò dinanzi per strappargli di mano la sigaretta per metà consumata e gettarla via senza alcun proposito, lanciando in seguito un occhiata fulminante a Sehun che neppure si oppose.

«Mi domandavo perché i passanti mi guardassero male!»

«Forse perché tutta la bellezza che ci è stata donata dal cielo l’hai presa tu, non lasciando niente a tutti gli altri?!»

«Ma cosa dici?! Mi hai lasciato continuare da solo senza dirmi nulla, io parlavo convinto che mi stessi ascoltando!»

«Lu, tu avevi anche l’ossigeno per parlare!»

«Se ti fermi a fumare non so cosa pensi di risolvere, alzati immediatamente!»

«Prometto che ti aspetto qui, dai!»

«Abbiamo aspettato fin troppo!»

LuHan non si sforzò quando afferrò la mano del minore per tirarlo in piedi, nell’angolo creato tra quei gradini, sfiorati da passanti che neppure sembravano esistere. Non si sforzò perché Sehun lo seguì, superandolo poi in altezza, senza però lasciare la sua mano. Piuttosto la stretta si intensificò, quando LuHan oltrepassò il minore, divenendo lui il più alto, trascinando per mano l’altro in modo d’esser certo che non andasse da nessuna parte. Il sole era in procinto di tramontare e LuHan lo voleva vedere bene, quel tramonto.

Sehun guardava la sua schiena –alternandosi con il suo fondo schiena– con un lieve sorriso sulle labbra. Del mare, del tramonto, del panorama, poco gli importava. Tante cose erano cambiate da un anno a quella parte, meno che la sua opinione verso ciò che lo circondava, dove dava valore solo ad una persona che nel frattempo ammirava le bellezze del pianeta per entrambi.

Settanta metri di altezza non erano nulla in confronto a quelli che avevano affrontato insieme, nulla in confronto ai tanti che LuHan aveva, anche da solo, scalato, quando si aggirava per le montagne senza dire nulla a nessuno. Da settanta metri di altezza vedevano ben poco del mondo e più di come si espandeva la città di Pohang, immensamente bella, la quale sfiorava la riva di un mare che si apriva infinito ai loro occhi, ed affiancava le basse colline ai confini di quel mucchio di edifici ben posti.

Sehun però, al punto più alto, e dopo svariati tentativi di recuperare l’ossigeno dal momento in cui l’altro non gli aveva concesso un attimo di tregua da quella che aveva trasformato in una corsa, vide il suo hyung immobilizzarsi alla vista del sole che toccava gli edifici della città, posti a muraglia da quella prospettiva, rigando il cielo di un arancione delicato il quale sembrava espandersi sino a che il mare prendeva quel colore, riflettendolo fin dove il cielo tornava celeste scuro.

LuHan era immobile e Sehun si sistemò poggiando gli avambracci sulla ringhiera, accanto a lui. Dedicò qualche momento della sua attenzione al panorama, finché si stufò e tornò su di LuHan.

Osservava il suo profilo silenzioso, scolpito da lineamenti delicati. Sehun voleva percorre quei lineamenti con la punta del dito, guardarlo lo istigò molto. Voleva partire dal tunnel nasale fino alla punta vagamente sporgente. Scendere sulla cunetta che spaccava le sue labbra a formare un cuore perfetto, sfiorare la cicatrice che si estendeva proprio lì sotto, dall’angolo del cuore fino al centro, quasi. Arrivare poi al mento, scendere fino al collo sottile dove sporgeva il pomo d'Adamo, poi magari scendere ancora, e ancora.


 

«Lu... quando il sole andrà via ti posso baciare?»

 

Chiese senza neppure rendersene conto. LuHan lo sentì subito ma ci mise un po’ a rispondere. Le sue labbra, che prima sorridevano appena, ora si aprirono per mostrare i suoi denti perfettamente dritti, rivolto ancora verso il panorama e forse senza il coraggio di guardare l’amico.

«Perché me lo chiedi?»

«Perché non l'ho mai fatto.»

Allora LuHan finalmente impose una manovra decisa fino a scontrarsi con gli occhi del più piccolo, ora che quel momento di imbarazzo incominciava a prendere posto dentro di lui e lui ad accoglierlo come se non ci fosse estraneità.

«Non pensi che sia questo il problema?»

«Vuoi farmi la morale?»

«Veramente un po' sì.»

Sehun distolse lo sguardo, improvvisandosi scocciato e fingendosi curioso di esplorare le luci del tramonto.


«Hai tentato di tenermi nascosta una cosa che mi apparteneva per principio.»

Continuò LuHan, ora toccando a lui guardare il profilo del più alto con sguardo duro.

«Che cosa?»

«I tuoi sentimenti.»

«Quindi sei arrabbiato?»

«Certo. Sono ancora arrabbiato.»

«Fino a quando lo sarai?»

«Fino a quando non smetterai di dire bugie.»

Sehun detestava quando gli davano del bugiardo, sopratutto se era LuHan a farlo. Non sorrise più quando si espose in tutta la sua serietà sull’altro, ora non voltando in sua direzione solo il capo bensì tutto il corpo, come per evidenziare la serietà che portavano le sue parole, quando contestò a denti stretti quella scomoda opinione che il maggiore aveva di lui.

«Non ti ho mai mentito, ti ho solo tenuto nascoste cose mie.»

«Cose che hanno rischiato di allontanarci.»

«Non è successo, Lu.»

«Perché io ti ho aspettato. Per nove mesi.»

«Non sei l'unico ad aver bisogno di scappare, ogni tanto.»

Fece un passo in avanti, abbassando di poco il mento per contrastare la differenza di altezza e non avere ostacoli che gli impedissero di mantenere gli occhi su quelli dell’altro, così grandi e luminosi.

«Ma io non voglio più farlo.»

Sehun non volle dirlo, ma dentro di sé lo urlò. Gridò al blasfema e forse dai suoi occhi sfuggì qualcosa.

Si smontò appena, rilassò i muscoli quando espirò profondamente, non arrabbiato, solo deluso.

«Io penso che tu non l'abbia mai voluto, questo mi fa credere che saresti capace di rifarlo.»

Disse con un tono quasi di appoggio il quale annunciava una certa compassione. Non per accusarlo, solo per dirgli che era pronto ad un dejavù.

LuHan, però, non lo tollerò.

«No.»

Insistette facendosi più vicino quando gli occhi di Sehun gli sfuggirono di dosso, guardando ovunque, dappertutto fuorché colui che più amava guardare.

«Sehun!»

Ma LuHan lo richiamò con autorità su di sé, finché vinse e si agganciò quegli occhi sui suoi, molto attento a non farlo scappare.

«Cosa me lo garantisce?»

«Il fatto che ti amo anche io è sufficiente, forse?»

Il vento fece silenzio, fermandosi a mezz'aria. Il tempo si crepò, sempre di più, senza fine, senza mai rompersi. Le voci intorno a loro svanirono, le sagome dei passanti si dissolsero, alleggerendo i gradini in acciaio di quell'alta montagna.

Sehun vedeva solo gli occhi di LuHan, così grandi e vicini. Li guardava a fondo, distaccandosi da quella realtà ed immergendosi nel suo mondo personale. Quel posto era caldo, era profumato di dolce, era leggero.

LuHan aveva detto qualcosa e Sehun non era riuscito ad afferrare quelle parole perché nessuno lo aveva avvisato. Erano sfuggite via, passandogli di traverso, investendolo come un treno merci a tutta velocità. Sembrava che gli avvessero portato via l'anima e di lui non restasse che un corpo vuoto.

Sembrava non esserci più Sehun, mentre la sua coscienza cercava qualcosa, dentro di lui.

«Sehun, mi senti?»

Ma Sehun era immensamente innamorato, non sentiva più nulla.

«Che cosa hai detto?»

Ebbe il coraggio di chiedere in un sospiro. Temeva che fosse tutto un sogno. Temeva di aprire gli occhi e ritrovarsi la sua casa buia e fredda. Temeva che non ci fosse realtà così dolce.

«Cosa ho detto?»

«Hai detto qualcosa.»

«E non hai capito?»

«Che ti costa ripeterlo? No, non ho capito.»

LuHan fece silenzio. Tutto intorno era tornato ma niente li disturbava.
Il sole li baciava a distanza con i suoi ultimi raggi, lasciandosi scoperto ancora per un terzo dai palazzi che si attenevano sulla superficie del mondo.

Ma LuHan non era abituato a quella parola, non trovò il coraggio di dirla ancora.

«Peggio per te, si vede che devi prestare attenzione a ciò che ti circonda.»

Fece per voltarsi, per riprendere il cammino che si presentava ad anello, scendendo dalla parte opposta da cui provenivano. Quando le sue spalle incontrarono il volto di Sehun, le sue labbra si incurvarono all'insù e ancor di più quando le braccia di Sehun gli aggrapparono i fianchi e lo riportarono indietro. Si lasciò guidare fino a quando non ebbero un leggero impatto e LuHan non nascose la sua espressione che dava sul felice e soddisfatto.

«Il sole è andato via!»

Sussurrò Sehun, alternandosi con i suoi occhi in quelli di LuHan e le sue labbra.

«Era ora, non trovi?»

Il cuore martellava come un tamburo nei loro petti, rimbalzando con quello dell'altro quando vi erano vicinissimi i loro corpi.

Sehun rispose qualcosa con una leggerezza che non riuscì a smuovere le sue corde vocali, mentre si prendeva millimetro per millimetro della distanza che lo divideva dal suo hyung. Finché una follata di vento gli si scatenò addosso nello stesso istante in cui le loro labbra, raggiunto l'ultimo millimetro, si fiondarono le une sulle altre, rianimansosi di quel respiro che si erano spezzati, proprio in quella fusione. Un aria dolce gli colmò i polmoni e loro se la passavano a vicenda nel bacio lento ma marcato che si scambiarono. Le braccia dell'uno si cinsero sull'altro, aggrappandosi a vicenda in più parti, ma più forza di tutte la mettevano nel bacio, scambiandosi sapori e carezze con la lingua. Il viso chinato per darsi più spazio, anneggandosi a vicenda nell'altro.
Si rilassavano, si fermavano di qualsiasi movimento ma sempre appoggiati tra le loro labbra bagnate, incurvando all'unisono gli angoli verso l'alto prima di rimettersi a danzare armoniosamente con l'altro, mai stanchi. La stretta del minore sui fianchi di LuHan era immobile, era promettente a non lasciarlo andare, come l'incastro tra i capelli di Sehun e dita del maggiore.

Quello stesso vento esultava su di loro, quasi li acclamasse con la sua lingua, correndo in direzione del sole per spettoglargli ciò che era accaduto quando lui era andato via, così che lui potesse dirlo alla luna, così che lei potesse splendere con gioia in alto in cielo, sotto i riflettori, piena d'amore. Così che tutto potesse ritornare, finalmente, come era prima. Ora che Sehun e LuHan si erano finalmente ritrovati, ridando ordine alla legge fisica.


 

Fine.


 



































 

-Angolino sconsolato-

Giorni fa sono capitata per caso qui, permettendo al mio cuore di stringersi alla vista di questa piattaforma, che un tempo era una fiera continua, ormai buia e abbandonata. Avevo già nel frattempo incominciato a buttare giù queste righe, con personaggi senza volti, finché ho deciso di dargli proprio quelli di LuHan e Sehun, che sono stati i miei presta volti per un intera vita. Comunque ho avuto modo di vedere, spinta dalla curiosità, che non c’è poi chissà quanto movimento in nessuna piattaforma, nella sezione degli exo, è possibile che siano stati abbandonati? Bho, mi dispiacerebbe.
Comunque sono certa che a chiunque capiterà di aprire questa pagina, non riconoscerà il nome di LuHan muahahah, perché gli anni più belli sono passati. Io comunque ho voluto realizzare questa cosa(c’ho praticamente messo metà di quello che sono quindi è stato bellissimo scrivere queste pagine), che a mente mia dovevano essere… 2, 3 mila parole? Aish faccio sempre gli stessi errori.
Magari invece mi sbaglio e la chiamerei sorpresa per chi, invece, mi potrà dare del filo da torcere.

Adios.

 

  
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