Fata Morgana
Fjor accarezza la fronte di Ren che è sdraiata sulle sue ginocchia – le dita scivolano sotto la lana del cappello, cercano l’attaccatura dei capelli. Sono così belli e magri e fragili che il vento potrebbe portarseli via, farli diventare statue di sabbia nera come la pece.
Quello che c’è tra loro è evidente a tutti tranne che ai diretti interessati. Hans guarda l’orizzonte, le spalle curve e le braccia attorno alle ginocchia, chissà cosa sogna. Invece Laurits il suo sogno ce l’ha davanti, personificato dall’immagine speculare di suo fratello, dal muoversi lento della sua mano e dal suo sorriso dolce.
Qualcuno a cui accarezzare la fronte senza paura. Non riesce a immaginarselo.
Come sono i tuoi capelli, i tuoi occhi, la tua pelle e le tue dita? Come ti chiami, dove sei?
Domande e ancora domande. Sicuramente più interessanti di quelle dell’ora di algebra. Quella che ha deciso di saltare per seguire il suo gruppo di amici in spiaggia. Per loro è l’ultimo anno di scuola e ormai sono più i giorni in cui cercano il futuro che quelli in cui guardano al passato.
- Guardate – dice Hans, indicando l’orizzonte – C’è Morgana!
Fata Morgana. L’aria calda si scontra con quella fredda e nell’aria stranamente limpida di fine gennaio il cielo sembra capovolgersi. Come una foto scattata in movimento. Che strana cosa, la luce.
È ovunque, riflette Laurits. Su Fjor e Ren e Hans e me.
Si alza, inquieto e felice e corre sulla spiaggia fredda. Vuole andare incontro a quel cielo e vuole acchiappare la Fata. Lui, prima di ogni altro vichingo, di ogni suo predecessore. Prenderla, stringerla tra le mani, riempirsi di magia. Lasciami amare.
Fjor gli urla qualcosa – Attento!
- Ti gelerai così! – gli fa eco Ren, mettendosi a sedere. Hans invece ride e non lo ferma, lascia andare le gambe che stava trattenendo, scioglie le spalle.
Laurits ha già immerso le gambe fino alle ginocchia dentro l’acqua limpida. È gelida. La Fata rovescia il cielo.
Esprime un desiderio.
È felice.