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Autore: AncientDust    27/09/2023    5 recensioni
1961, America: caffè scadente, uomini nello spazio e di come Aziraphale decise di indossare una gonna di tweed.
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Un tentativo di raccontare uno dei flashback che la serie non ci ha mostrato, ma che Neil Gaiman aveva in mente di realizzare. [fem!Crowley / fem!Aziraphale]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un paio di note iniziali: Questo breve episodio si propone di raccontare uno dei flashback “mancanti”, a cui Neil Gaiman ha accennato in un tweet, ma che alla fine non sono stati inseriti nella serie (almeno per adesso). Nello specifico, si tratta dell’episodio ambientato negli anni ’60, in America, in cui Crowley e Aziraphale sarebbero dovuti essere female presenting.

Riguardo a questo, nella storia ho deciso di definire entrambi i personaggi al maschile, utilizzandolo come neutro, anche quando sono female presenting. Questo per due motivi: per una maggiore chiarezza e scorrevolezza del testo, ma soprattutto perché, tristemente, l’italiano non offre molte altre possibilità di rendere il neutro in un modo gradevole per la scrittura, perciò vi prego non me ne vogliate.

Detto questo, buona lettura!

 

RED INTERLUDE

 

 

1961 - Da qualche parte in America              

L’interno del diner era fin troppo affollato per i suoi gusti. Aziraphale richiuse la porta a vetri dietro di sé. Subito, uno sgradevole misto di olio di frittura scadente, caffè nero, tabacco e sudore, gli aggredì il naso.

Frugò in avanti con lo sguardo, fra la gente accalcata attorno al bancone nel clima indolente della mattina. Un piccolo televisore, dall’alto di una mensola, gracchiava in sottofondo irritanti jingle pubblicitari. Fra i tavolini cromati accanto alle finestre, Aziraphale trovò infine ciò che cercava.

Lui – o meglio, lei, da quello che sembrava – sedeva scomposto su uno dei divanetti in pelle rossa. Un braccio steso lungo lo schienale, l’altro, piegato a mezz’aria, reggeva una sigaretta accesa. Un paio di gambe accavallate, foderate da calze scure e stivaletti lucidi, sbucavano da sotto il tavolino.

Aziraphale si fece strada fra i corpi vocianti, accennando diversi mi scusi e permesso fra un sorriso tirato e una smorfia di generico dispiacere.

«Crowley!» chiamò.

Le lenti di ampi occhiali da sole alla moda, in bilico su zigomi spigolosi, si rivolsero subito verso di lui. Un sorriso sghembo al di sotto.

«Angelo! Non ti facevo un tipo da diner di periferia.» sogghignò Crowley, mentre Aziraphale prendeva posto sul divanetto di fronte, lisciandosi le pieghe del cappotto.

«Ero nei paraggi, e ho avvertito che ti trovavi qui.» parziale verità, che ostentò con disinvoltura, ma comunque non una bugia. Gli angeli non mentono. Quasi mai almeno.

«Qualche incarico demoniaco?»

Crowley scrollò noncurante la cenere della sigaretta sul pavimento a scacchi.

«Naaah, diciamo che sto portando avanti qualche mio piccolo hobby. E ai Piani Bassi non sta dispiacendo.» con un movimento liquido, staccò la schiena dal sedile per farsi più vicino, «È assurdo quanto casino possano causare un gruppo di donne incazzate, solo per aver sostenuto di poter pensare e decidere con la propria testa.»

«Mi stai dicendo che è opera tua? Le proteste, la polemica su quel farmaco lo scorso anno, e tutto il resto?» Aziraphale mostrò sorpresa, ma in realtà quella era esattamente il tipo di diatriba in cui si sarebbe aspettato di vedere il suo zampino demoniaco.

Crowley si riabbandonò sullo schienale e tirò dalla sigaretta, compiaciuto. «Non proprio, angelo. Diciamo che sto dando una mano. Ma la faccenda di quella pillola è stata un bel colpo di genio, ha fatto impazzire tutti.»

«Immagino che ti sarai preso tutto il merito, con i tuoi

«Beh, certo. Del resto, a loro interessa solo che venga sparsa in giro un po’ di zizzania. Io invece me ne sto in tranquillità e mi svago anche. Tutti felici.» incurvò gli angoli delle labbra un istante, dubbioso sulla sensatezza della sua stessa affermazione, poi sollevò le spalle, «Per quanto si possa essere felici all’Inferno.

«Comunque, trovo questa faccenda molto stimolante da seguire. E vedrai che siamo solo all’inizio: ho già una mezza idea sui reggiseni. Quegli affari sono delle trappole, non provarli mai.» aggiunse serio, spostando una lunga ciocca di capelli all’indietro; rosso sul rosso del divanetto.

Aziraphale lo scrutò. Lo affascinava come Crowley riuscisse ad assimilare così naturalmente gli atteggiamenti umani e i loro cambiamenti. Calzava sempre alla perfezione nella nuova pelle che sceglieva di indossare, decennio dopo decennio, pur rimanendo sempre il solito Crowley. Inconfondibile.

«Ti dona il nuovo…look.» si lasciò sfuggire.

Crowley sollevò le sopracciglia. Prese una boccata, poi espirò un filo di fumo.

«Dovresti provare anche tu qualche volta. Aspetto nuovo, cose nuove. Gioca un po’, angelo, divertiti!», gesticolò a mezz’aria con il mozzicone, «E poi da quant’è che non cambi quel cappotto, un centinaio d’anni?»

Aziraphale si aggiustò il bavero. «Centoventidue.» precisò, seccato. «Certe cose hanno un’eleganza senza tempo.»

Crowley ridacchiò beffardo, spiando appena dal bordo superiore degli occhiali. «Oh, non lo metto in dubbio.»

«Ancora caffè?»

Una ragazza dalle guance rosa, stava porgendo una caraffa trasparente in direzione della tazza vuota abbandonata sul tavolino. Sulla targhetta, appuntata all’uniforme turchese, il nome “Lucy” spiccava in caratteri rotondi. Crowley le rivolse un breve assenso con il capo.

«E a lei cosa porto?» cinguettò di nuovo Lucy, questa volta a lui, mentre versava il liquido fumante. «Il mercoledì abbiamo i menù colazione in offerta. Anche quello per le coppie: french toast con frutti di bosco e doppio frullato alla fragola con due cannucce.»

Crowley tentò senza successo di trattenere una risata che, tra l’altro, suonò un po’ troppo sguaiata per il suo nuovo aspetto. Aziraphale lo fulminò con un’occhiata.

«Oh no, decisamente, non siamo una coppia.» solo dopo si rese conto di aver calcato quel decisamente più del necessario.

La ragazza balbettò delle scuse, imbarazzata. Le sue guance, da rosa, erano diventate dello stesso colore del rivestimento dei divanetti.

Aziraphale tentò di sdrammatizzare.

«Nessun problema, mia cara. Allora, vediamo…prenderò una porzione di crostata alla ciliegia, grazie.» disse, sbirciando il cartoncino unticcio del menù che sbucava da sotto il portatovaglioli.

La ragazza farfugliò un qualcosa che assomigliò a un la porto subito e si allontanò in fretta, sparendo dietro il bancone. Crowley sembrava ancora molto divertito dalla situazione.

«Magari il french toast era buono.»

Aziraphale evitò di dargli corda, come era solito fare in questi casi. Esaminò invece, con rimprovero, la superficie appiccicosa e piena di macchie del tavolo. Con un piccolo miracolo, la rese nuovamente linda e idonea ad un utilizzo civile.

Crowley pigiò il residuo della sigaretta nel posacenere e artigliò la tazza di caffè. «In ogni caso, non mi hai ancora detto cosa ti ha portato qui, angelo. Sei un po’ lontano dalla tua libreria.»

«Beh, ecco, in verità…»

Dietro le sue spalle, il vociare degli altri avventori del diner aumentò di colpo, catturando l’attenzione di Crowley e salvando lui da una spiegazione scomoda.

«Hey, Margie, alza il volume!» latrò qualcuno.

Aziraphale si voltò. Una cameriera, arrampicata con un ginocchio sul bancone, si sporse per regolare una rotella del piccolo televisore sulla mensola. Inscatolato nello schermo, un mezzo busto in giacca, cravatta e spessi occhiali da vista, impose improvvisamente la sua voce metallica su tutte le altre.

–ussia ha tagliato il traguardo della corsa alle stelle. Yuri Gagarin, cosmonauta sovietico, è ufficialmente il primo uomo ad aver volato nello spazio. Un grande avvenimento per la scienza quest’oggi, quando alle 6:07 UTC, ancora notte fonda nel nostro amato paese, la capsula spaziale Vostok ha compiuto ciò che fino a ieri sembrava impossibile: portare in orbita un essere umano. Il cosmonauta che ha compiuto l’incredibile impres–

«Ah! Lo sapevo!»

Crowley era scattato in piedi, sbattendo la tazza di nuovo sul tavolino. Il caffè, esondato dai bordi, aveva infradiciato tutto intorno, vanificando il miracolino di poco prima.  

«Lo sapevo che ce l’avrebbero fatta prima o poi, Diavolo! Che fottuta meraviglia che sono gli esseri umani. Non credi, angelo?» si allargò in un sorriso estatico, così simile a quelli che Aziraphale gli aveva visto sfoggiare in passato. Ma stretto tra i denti c’era qualcosa di amaro.

«Quando meno te lo aspetti: boom! Se ne escono sempre con qualche cosa di assurdo. E che io sia dannato di nuovo, non gli bastava guardarle da qui le stelle, oh no, ci sono andati!» Crowley gesticolava, agitando frenetico tutti i suoi spigoli; da dietro le lenti scure traboccava elettricità. «Vogliono esplorare, scoprire, osservare da vicino! L’universo non è più solo un’eccentrica carta da parati, angelo.»

Aziraphale si rese conto di stare sorridendo in risposta, catturato dallo spettro di quell’entusiasmo antico. Crowley lo tirò su per la stoffa di una manica. «Vieni, dobbiamo festeggiare.»

«Crowley, aspett- Crowley

Aziraphale riuscì solo a gettare una manciata di banconote sul divanetto, prima di essere trascinato fuori. Lucy, che stava ritornando con una fetta di crostata su un piattino, li guardò confusa mentre si allontanavano fra la calca, che rumoreggiava ancora più di prima attorno alla televisione, esultando o inveendo contro quei maledetti russi.

L’aria fresca di aprile pizzicava sulla pelle, dopo la soffocante caligine dell’interno. Aziraphale si lisciò la manica del cappotto, ora libero dalla presa di Crowley.

«Mi dici cosa ti prende?» sbuffò, ma in fondo era divertito.

Per un istante, Crowley sembrò sospeso in una misteriosa riflessione. Si morsicò il labbro acceso di rossetto, poi risfoderò il ghigno. «Ecco il piano, angelo: rimediamo un paio di buone bottiglie di rosso, quello che preferisci, e poi ce ne andiamo anche noi.»

«Ce ne andiamo?» ripeté lui, ora colto da un certo smarrimento.

«Una gita, angelo. Fra le stelle. Io e te, che ne pensi?»

Aziraphale si irrigidì. «Crowley…ti rendi conto che non possiamo semplicemente andarcene via, vero? Lasciare la Terra, i nostri incarichi, i doveri.» magari lui, da angelo, se la sarebbe anche potuta cavare con una nota sul registro e qualche decennio di compiti avvilenti, come uno scolaretto disubbidiente, ma giù all’Inferno non erano avvezzi a tali indulgenze.

«E perché no? Fanculo gli incarichi e fanculo i doveri!» sbottò Crowley, scuotendo la testa.

«Perché se ne accorgeranno e verranno a cercarci. Non fare il bambino. E poi, non posso lasciare così la libreria.»

Aziraphale vide l’entusiasmo estinguersi sul volto del demone, ritirarsi come una marea che lascia la spiaggia. Detestò vederlo succedere.

Ma era andato fin lì spinto dall’apprensione, maturata in quasi vent’anni di mancati incontri. Ora che si era accertato che Crowley se la stava passando più che bene, non avrebbe acconsentito a fargli rischiare ritorsioni – forse anche gravi –, solo per assecondare un capriccio.

«Non posso fare il bambino, angelo, ho seimila anni.» sibilò Crowley, «Ho solo voglia di dimenticarmelo, qualche volta.»

Aziraphale si rigirò l’anello intorno al mignolo. Lo stemma angelico brillava dorato alla luce del sole. «Eppure è quello che siamo. Un angelo e un demone. Non possiamo sfuggire a questo.»

Per un po’, tra loro rimase il silenzio. Un sipario invernale calato su una mattina di aprile.

Poi Crowley tirò un sospiro.

«Già. Beh, allora alla prossima, angelo.» disse, asciutto. Si portò indietro i capelli e risistemò gli occhiali sul naso adunco, «Se ti serve posso darti un passaggio.» indicò la Bentley parcheggiata sul lato opposto della strada.

Aziraphale declinò l’offerta con un sorriso soffocato. «Non serve, ma grazie.»

«Allora, stammi bene.»

Crowley alzò una mano in segno di saluto e si allontanò con la solita andatura ondeggiante, esasperata dalla gonna attillata e dal tacco alto degli stivaletti.

Aziraphale lo vide aprire la portiera della Bentley e partire a tutta velocità, mentre uno strano malessere gli saliva in gola.

Sentì il bisogno di camminare.

Prese la direzione opposta, infilandosi in una strada fitta di persone e negozi, poi in un’altra, e in un’altra e in un’altra ancora.

Un dedalo di strade per un dedalo di pensieri. Una trappola perfetta, in cui il proverbiale filo di Arianna era tinto di un rosso troppo demoniaco per poter essere seguito verso l’uscita. Un rosso tuttavia così familiare.

Quando decise di fermarsi, si ritrovò in un vicolo spoglio, di fronte alla vetrina polverosa di un locale in disuso. Sulla porta, di uno scheggiato color verdino, un cartello vendesi scritto a mano e, al di sopra, un’insegna sbiadita raffigurante un libro aperto, penna d’oca e calamaio. Una vecchia libreria.

Aziraphale osservò il proprio riflesso nel vetro. Immutato, fermo nel tempo. Polveroso, come l’interno di quel posto. Passò fra le dita il bordo del cappotto, ripensando alle parole di Crowley.

Gioca un po’, divertiti.

Gli angeli non giocano. Non si era mai vista una cosa del genere.

Ma, in effetti, gli angeli di solito neanche assaporano il cibo, o bevono, o danzano. Non possiedono librerie e non vanno ai concerti. E, di sicuro, non si intrattengono a cena con i demoni.

Schioccò le dita e, all'istante, la camicia gli si strinse intorno al torace, tendendo il tessuto ai lati dei bottoni. A calzoni e scarponcini si sostituirono una lunga gonna di tweed e mocassini di vernice, mentre qualche ciocca di capelli iniziava a solleticargli la base del collo.

Si rimirò nella vetrina, compiaciuto del proprio operato, e decise che il cappotto sarebbe rimasto dov’era. Dopotutto, non era un tipo troppo avvezzo ai cambiamenti.

Alle sue spalle, un gridolino soffocato lo costrinse a voltarsi.

Un senzatetto, sdraiato in un angolo fra dei cassoni, occhi sbarrati e barba incolta, lo stava additando terrorizzato.

«Ma come hai- », deglutì, «Cosa sei, dannato demone

Aziraphale gli si avvicinò, gli tese una banconota e sorrise.

«Oh no, caro, non temere. Non sono nessuna delle due cose.»

 

 

____________________________

 

Note dell’autrice:

Salve.

Ebbene, sono uscita di nuovo dal mio antro con un qualcosa di (forse) più allegro rispetto all’altra volta. Questo episodio in realtà è nato come parte di un tentativo di stesura di un’ipotetica terza stagione (e spero che Mr Gaiman non mi fulmini dall’alto dell’Olimpo degli scrittori per questa mia presunzione). In pratica un flashback a tutti gli effetti che, tuttavia, stava tanto bene anche in piedi da solo, perciò ho deciso di pubblicarlo come OneShot. Se mai dovessi finire di scrivere e pubblicare il resto della storia, questo sarà collegato (lo dico giusto per  fornire informazioni totalmente non richieste).

Comunque, grazie mille a chiunque sia arrivato fin qui a leggere e a chi mi farà sapere cosa ne pensa.

Torno a rintanarmi. Adieu.


   
 
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