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Autore: avalon9    28/09/2023    0 recensioni
[Sugar Apple Fairy Tale]
Ci sono diversi tipi di domande.
E poi ci sono le domande di Anne.
Domande che arrivano senza preavviso, come il fulmine che spazza il cielo. Domande che hanno il peso di una montagna e sfuggono dalle labbra con la leggerezza di una piuma.

Una domanda, una risposta che non arriva e molti sottintesi di timida vicinanza.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Auotre: Avalon9
Titolo: Sindanë - Iniziando
Genere: Introspettivo; Malinconico; Slice of live
Personaggi: Shall Fenl Shall; Anne Halford
Altri personaggi: Mitril Lid Pod solo accennato
Raiting: verde
In propositoCi sono diversi tipi di domande.
E poi ci sono le domande di Anne.
Domande che arrivano senza preavviso, come il fulmine che spazza il cielo. Domande che hanno il peso di una montagna e sfuggono dalle labbra con la leggerezza di una piuma.
Una domanda, una risposta che non arriva e molti sottintesi di timida vicinanza.
Disclaimer: Miki Mikawa per la storia e Aki per le illustrazioni; il missing moment è mio
Note: flash fic; missing moments
Cose: Io cavalco le onde. Tante onde. E ciò che mi colpisce lo macino, lo reinvento e lo trascrivo. Questo anime è stata una cavalcata notturna nella prima stagione e il gusto dell’attesa nella seconda. Con buona dose di delusione finale per allusioni che potevano osare di più ma non lo fanno, nella paura di offendere qualcuno (?) o uscire dal seminato di un eroe per un eroe-ma non troppo puro. Lo confesso: speravo di più; non tanto per la storia d’amore in sè (che procedesse lenta - o facesse due passi avanti e tre indietro - me lo aspettavo; ma le imbeccate ci sono, e passano come acqua fresca. Senza lasciare strascichi, non dico da psicanalisi, ma almeno una riflessione piccola piccola.
Questa storia l’ho iniziata alla fine della prima stagione; e si colloca in quel tempo indefinito fra la partecipazione di Anne al primo e poi al secondo concorso. 
Sono piccole riflessioni; piccoli indizi che ho reinterpretato mentre speravo che la seconda serie procedesse su altri binari. Come puntualmente non è successo, alla prova dei fatti. Non fa nulla. Abbiamo la fantasia, giusto?
Questa è raiting verde; in verità, la prima che ho scritto e che ho in fase di labor limae è a raiting rosso. Rosso fuoco. Quello che la storia non oserà mai scegliere di far raccontare. Perchè distruggere i propri eroi dalla necessità e dal cinismo non va bene, giusto?
Ah. Piccola nota conclusiva: Shall parla elfico. O lingue delle fate. Due parole (nel titolo e spaventapasseri traslato). Ma Tolkien occhieggia; non potevo resistere. 

 
 
 
Sindanë
 
 
Ci sono diversi tipi di domande.
Alcune sono soffi di brezza che increspano appena l’erba; e come la brezza lambisce e scompare, sono le domande più semplici, quelle per cui basta una risposta banale. O non rispondere affatto.
Ci sono domande che pungono come gli aghi dei pini, sottili e affilati. Sono domande che stuzzicano e pretendono una risposta, anche solo di scherno. E quando sono passate si depositano nella memoria in un tappeto dorato che profuma della resina dei ricordi.
Ci sono domande come sassi, lanciati in un stagno per infrangerne la quiete indifferente. Sono le domande più scomode, perchè affondano nelle questioni come i sassi nell’acqua e la risposta ha lo stesso peso e colore del sasso che si è scelto di lanciare. Può essere minuscolo ghiaino o appuntita selce o un ciottolo ben levigato, ma ognuno di quei sassi provocherà una increspatura che si allargherà sempre di più. 
E poi ci sono le domande di Anne.
Domande che arrivano senza preavviso, come il fulmine che spazza il cielo. Domande che hanno il peso di una montagna e sfuggono dalle labbra con la leggerezza di una piuma.
Sono domande ingenue, quasi pensieri sussurrati. Ma fanno male; fanno più male di ogni altra domanda.
“Shall” ti chiama Anne, il cigolio del carro che si confonde con il frinire delle cicale. “Com’è volare?”
Già; le domande di Anne fanno male. Scavano nel punto dove sei più vulnerabile, graffiando con una dolcezza lenta, quasi sadica. Non se ne accorge nemmeno, di quanto le sue domande ti possano ferire, soffrire. Annientare.
È curiosa; e ingenua. E ha un desiderio immenso di conoscere te e il tuo mondo. In modo imbarazzante; in modo doloroso.
“Shall?” ripete, il labbro inferiore pizzicato di lato dai denti. É un’abitudine di Anne. Quando é nervosa, si mordicchia il labbro in quel modo, la testa incassata fra le spalle da uccellino e due occhi smarginati che implorano di non farli piangere.
E tu la trovi dolce come il sentore di zucchero argentato che la avvolge, quasi una seconda pelle. E senti l’ala, la sola che ancora ti arabesca le spalle, fremere. Un misto di mancanza e tenerezza.
“Pensa a condurre il carro” le rispondi, la testa che si inclina di lato perché Anne e la sua espressione restino al margine del tuo campo visivo. Non del tutto fuori, ma nemmeno dentro.
La campagna è una distesa gialla di girasoli punteggiata dal verde dei pioppeti, sotto un cielo così terso da essere abbagliante. E tu la lasci scivolare davanti ai tuoi occhi senza rincorrere nessun pensiero, senza concederti di indugiare su un ricordo o una assenza.
Anne non ha protestato; ha imparato a non protestare davanti a quel tuo isolarti mentre viaggiate. Oh, è caparbia e testarda e capace di impuntarsi per banalità che ritiene tanto importanti da averci fondato il suo mondo. Come quando voleva che fossimo amici. Hai imparato a riconoscere la sua esasperante determinazione, e anche come di punto in bianco sia capace di mostrare un’arrendevolezza disarmante, più graffiante e travolgente della sua stessa risolutezza.
É proprio quando indossa quella contrita remissività, il sorriso lieve mentre parla con Mitril da cui sfugge ogni tanto una risata di cristallo, lo sguardo ostinato a non essere ancora sfacciata, che sai di aver perso e che le darai una risposta.
Magari non subito; magari quando la domanda sarà solo uno sbuffo instabile quasi dimenticato; ma le darai la risposta. Anche se farà male; un male terribile.
E la tua risposta arriva quando ormai Anne ha dimenticato la domanda stessa. O meglio, e tu lo sai bene, quando Anne ha deciso che quella sua domanda è una domanda che non si deve porre. A volte lo decide da sola; altre, semplicemente, lo intuisce dal modo in cui la guardi o da qualcosa che Mitril snocciola con la sicurezza di chi ha visto il mondo o crede di averlo visto. 
E poi ci sono volte come questa, quando ti raggiunge nel chiarore del bivacco, uno scialle di lana dai toni caldi delle foglie d’autunno a proteggerla della frescura notturna. Ti appare così fragile e inconsistente che qualcosa, dentro di te, si stringe in modo languido, mentre Anne cerca in fondo allo stomaco il coraggio o forse solo la sfacciataggine per dirti qualcosa che non sa come prenderai e che ha paura sia indiscreta. Terribilmente inadatta.
“Shall. Ecco” incespica nelle parole, gli occhi indecisi che vagano fra l’alone di luce e te. “Mi dispiace” ti dice così, all'improvviso, come se fossero quelle le parole rimastale intrappolate in gola. Come se in quelle scuse semplici e assieme infantili fossero racchiuse altre domande, sottintesi difficili da esplicitare.
E tu? Tu la osservi, l’istinto che ti urla di non fidarti. Perché gli esseri umani sanno mentire, ingannare, dissimulare, glissare. E poi. Poi l’altro istinto, più profondo e sfuggente, un qualcosa che non è ancora una sensazione ed è più di una percezione.
“Perché?” 
“Perché é stata una domanda inopportuna; e indelicata” ti risponde, le mani che si stringono sui lembi dello scialle. “Sono stata maleducata e curiosa e non ho pensato a te. Dico che ti voglio essere amica, ma sono un’amica orribile. E…”
“Respira, gwaihirhîr“ la interrompi, una piega a incresparti le labbra. Anne ha le guance come mele mature e uno sbuffo di colpevolezza e frustrazione. Quando si agita, parla sempre in modo frenetico, accavallando fra loro le parole senza quasi più farsi capire.
“Non volevo…ferirti” sussurra alla fine.
“Lo so” e ti sorprendi tu stesso della calma sicurezza che provi nel dirlo. E Anne ti guarda da sotto le ciglia, un misto di speranza e incredulità. Perché non é da te essere così tranquillo nel riconoscere qualcosa a un essere umano; nel riconoscere qualcosa a lei senza tingerlo di ironia.
Anne sbuffa, forse rasserenata forse solo esasperata di come tu riesca sempre a lasciarla interdetta. Scrolla le spalle e alla fine siede accanto a te, nel riverbero di un fuoco di tarda estate.
Lo hai acceso ormai per abitudine, e ne avverti il calore come un’eco morbida che culla il vostro silenzio. Lo scialle é scivolato lungo una spalla di Anne e ti ritrovi a pensare a cosa proveresti nel risistemarglielo addosso.
“Perché vuoi saperlo?”
Lo scialle rimane dov’è e tu scegli di glissare quel rimescolio che senti, deviando su altro. Non é necessità, lo sai bene. É solo curiosità: anche una fata può avere una punta di interesse verso la logica umana. E ti aggrappi a quella possibilità per sfuggire a qualcos’altro. 
Anne é un concentrato di logica contraddittoria, sfugge a qualsiasi tuo tentativo di comprenderla.
“Per il falco” ti risponde, intrecciando le mani attorno alle ginocchia. “Hai guardato la caramella che ho fatto a forma di falco in modo…strano” continua, inanellando una parola dopo l’altra senza darti il tempo o solo il pensiero di ribattere. Quasi avesse paura di essere interrotta e perdere la possibilità di spiegarsi.
“Mi sembravi triste” sospira alla fine, e ti accorgi che ti sbircia di sottecchi, ostentando un’attenzione per il riverbero del fuoco che in realtà non esiste.
E tu? Tu resti in silenzio, accarezzando il sottinteso di quelle semplici parole, lasciando semplicemente che il tempo si dilati nel riverbero caldo del fuoco che buca la notte sempre più densa.
“Mi manca” sussurri appena, quando il silenzio è diventato il respiro del fuoco e il tepore del delle fiamme. Hai aspettato che continuasse, che ti incalzasse, e invece Anne si è raggomitolata nel suo corpo in un'attesa che non chiedeva nulla se non vicinanza. E in quegli occhi socchiusi e languidi per il calore del bivacco hai scorto un’innocenza tanto disarmante da intenerirti.
“Volare, voglio dire” continui. “Fa” ti interrompi, una smorfia di sarcasmo a incresparti le labbra. “Faceva parte di me. Come respirare.”
E ricordi: il dolore, l’assenza, lo straniamento. Quando l’ala ti è stata strappato, è stato come precipitare. 
Anne ti guarda, negli occhi grandi si riflettono i riverberi del fuoco e un tremolio di malinconia e tristezza che le parole non potrebbero raccontare.
“Scusa” sussurra in un soffio, lieve e graffiante come un crepitio. E lo ripete ancora e ancora, due lacrime a disegnarle il contorno del viso e ai suoni della notte si confonde il suo singhiozzare sempre più basso, così straziante. 
“Perchè piangi?” ti sorprendi a chiederle, mentre le carezzi una guancia e il sentore di umido e salato ti resta sulla punta delle dita. Nella luce incerta, gli occhi acquosi di Anne intrappolano lo scintillio delle stelle; sfiori le palpebre che si chiudono sotto il tuo tocco, respiri a un soffio dalle labbra di Anne che fremono come ali di libellula cercando un fiato per calmare il petto e il cuore.
Sei strana. E bella ti sorprendi a pensare, scorgendo in Anne un grumo di emozioni che palpita come un uccellino che tenta il primo volo. E sorridi lieve quando la mano dal viso scivola sulle spalle e te la porti contro il petto, nel piacere sfumato che ti dà la sua vicinanza e l’imbarazzo frastornato di Anne che si rilassa lenta, il tuo corpo ad avvolgerla come un bozzolo di protezione. Non sai da cosa, ma la sensazione che provi è un groviglio in fondo allo stomaco che strugge e disorienta, e cui lentamente stai realizzando di non voler rinunciare.
“Shall” pigola alla fine, cullandosi nella carezza ipnotica della tua mano sulla sua. “Davvero. Scusa”.
“Perchè?” le chiedi di nuovo, rincorrendo un ragionamento che sfuma labile e confuso nella tua mente. 
“Per la tua ala. Perchè te l’hanno strappata. Perchè…”
“Tu me l’hai restituita” e la libertà, la interrompi, la banalità della verità che si insinua fra voi con il profumo del gelsomino notturno. 
“Non piangere per me, Anne. Non scusarti” sussurri,  le labbra ad accarezzarle  la tempia in un gesto che non è ancora un bacio ed è più di uno sfiorarsi. “Non umiliarmi”.
“Cosa posso fare allora?” ti chiede, le spalle che si fanno piccole fra le tue braccia. Sa di mele e zucchero e di un misto di aromi che non riesci a definire, l’odore del carrozzone con il sole che arroventa le assi. 
“Ridi” le dici alla fine. “ E vivi. Facendo quello che vuoi” quello che io non ho potuto scegliere di fare finchè ti ho incontrato.
“Assieme a te?” una timidezza che è più dolce del sentore di zucchero.
“Sempre assieme a me”.
  
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