Titolo: Rendila d’argento, Samurai.
Autore: ballerinaclassica [EFP.]
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo.
Avvertimenti: One Shot.
Rating: Giallo.
Credits: Tutti i personaggi citati non mi appartengono, ma sono di proprietà del maestro Hideaki Sorachi. Questa FanFiction non è stata scritta a scopi di lucro.
Citazione/Frase di partenza: C’è chi aspetta la pioggia, per non piangere da solo. Fabrizio de André, il Bombarolo.
Introduzione:
S
i
sveglia di scatto, il samurai. Si
porta una mano al petto, rendendosi conto solo in quel momento che il
martellare contro la cassa toracica non è che il suo cuore
che probabilmente
cerca di fuggire.
E solo in quell'attimo, in quel buio istante, capisce di aver avuto
l'ennesimo
incubo - quell'incubo. Tetro, fosco e macabro
incubo, che volentieri lo
turba ogni notte da chissà quanto, ormai.
Il futon è umido e la sua fronte è fredda. E'
come la lama di una katana - e
non quella del Lago Toya. E' come una lama d'argento,
stretta nelle
viscere di un'anima d'argento, macchiata del sangue
dei soldati e sporca
delle loro interiora, del loro ribrezzo, del loro terrore.
- Solo uno stupido incubo. - si ripete, Shiroyasha.
Ma è già troppo se non se l'è fatta
addosso. […]
{ Gintoki Centric }
Note dell’autore: Ho utilizzato alcuni termini Giapponesi che spesso compaiono nel manga Gintama, tra i quali: Bushido (codice di condotta del Samurai), Shiroyasha significa “demone bianco” (soprannome di Gintoki al tempo della guerra), Jump è il fumetto che Gintoki ama leggere (uno Shonen Jump, fumetto per ragazzi), il seppuku è un’antica pratica giapponese (nota anche come “taglio del ventre”), il nabe è un piatto di carne, gli Amanto sono una razza aliena (i nemici, in parole povere).
Rendila d’argento, Samurai.
Urlare,
gridare,
ribellarsi e non cedere; riporre tutte le proprie energie nella spada
per non
tradire il loro bushido, né il suo;
cancellare lo stramaledettissimo ed
angoscioso ricordo e proseguire senza vacillare, ancora.
La sua vita è appesa ad un filo, più debole
e
addirittura più evanescente della
sua anima, eppure Shiroyasha continua a fissare l'enorme distesa di
fronte a
lui, colma di lame affilate, di sangue e di morte.
Non ci sono più Zura, quel nanerottolo di Takasugi o
Sakamoto. Non c'è nemmeno Gintoki...
O Kintoki.
Non ci sono i compagni e quasi sembra che anche i nemici da sconfiggere
scompaiano. Subentrano la paura, l'ansia e le urla disperate, le ultime
occhiate gettate, lanciate ai dardi del sole che, ovattati, non
riescono a
vincere più nulla.
C'è solo il pallido raggio, infatti, che in un arabesco
illumina uno scenario
pietoso, fatto di guerra, di sudore e di lacrime, che in tutta la sua
umiltà
abbaglia, anche se per un attimo, gli spettatori di un macabro palco
messo in
scena da assassini. E i riflettori emettono solo una fioca luce.
Una luce che ha il colore del dolore.
Si sveglia di scatto, il samurai. Si porta
una mano al petto,
rendendosi conto solo in quel momento che il martellare contro la cassa
toracica non è che il suo cuore che probabilmente cerca di
fuggire.
E solo in quell'attimo, in quel buio istante, capisce di aver avuto
l'ennesimo
incubo - quell'incubo. Tetro, fosco e macabro
incubo, che volentieri lo
turba ogni notte da chissà quanto, ormai.
Il futon è umido e la sua fronte è fredda. E'
come la lama di una katana - e
non quella del Lago Toya. E' come una lama d'argento,
stretta nelle
viscere di un'anima d'argento, macchiata del sangue
dei soldati e sporca
delle loro interiora, del loro ribrezzo, del loro terrore.
- Solo uno stupido incubo. - si ripete, Shiroyasha.
Ma è già troppo se non se l'è fatta
addosso.
Si alza. A fatica, ma ci riesce. Strano che non ci sia voluta una
miriade di
tentativi di auto-convincimento, Shinpachi ne sarà felice.
Probabilmente tutti
ne rideranno di gusto. Sì, quasi tutti.
Probabilmente, il ragazzo che se ne stava accanto a lui, tutto tremante
prima
della loro ultima battaglia, non potrà ridere. Quando lo
aveva rivisto, di lui
non restava granché. Ed era sicuro che fosse tutto intero,
prima.
No, lui non avrebbe riso.
E non avrebbero riso nemmeno i sostenitori dello Shogun, mandati a
mille pezzi
dagli ordigni di chissà quale attivista
politico - o terrorista. No,
nemmeno loro avrebbero riso.
Non riderebbe Takasugi, lontano da loro e ancor più distante
da un bushido
ormai troppo vecchio per essere ricordato anche da lui. Lui che solo di
disordine e di rumore è ormai la causa ed è ormai
capace.
Non riderebbe molta gente, ora che ci pensa.
Si ride di incubi sciocchi, non della cruda realtà che era
il suo passato. E
soprattutto, si ride quando si ha così tanta voglia di
piangere che ogni
sentimento appare sfocato, coi contorni iridescenti, irraggiungibile.
Si ride,
per non sentire il vuoto dentro, che attraversa il corpo senza lasciare
alcuna
traccia se non l'amaro sulla lingua e i segni indissolubili - ma spesso
celati
- di orribili consapevolezze.
E Shiroyasha impara presto ad ignorarli, impara ad indossare una
maschera che
celi i sentimenti e nasconda le paura. Shiroyasha impara a non piangere
per i compagni,
per le vittime, per qualunque cosa. Shiroyasha non piange nemmeno se
perde
l'ultimo numero di Jump, perché la sua anima deve essere
forte, solida come una
lama d'argento.
Prepotentemente, il demone sopito vuole
iniziare a ricordare, a
rimembrare i caduti e l'acre odore della battaglia e dei corpi
martoriati.
Non è la katana appesa al suo fianco a fare di lui un
samurai, ma il suo
bushido, è il riconoscere e il cercare qualcosa per cui vale
la pena lottare.
Non è una bestia feroce, assetata di vendetta e desiderosa
di sangue, di
schizzi di morte un po' ovunque, non è Takasugi. Non
è ottimista, è un demone,
non crede che sempre si possa tutto risolvere nel migliore dei modi -
sempre
che i problemi ci siano realmente -, non è Sakamoto. Non ha
il cuore pieno di
orgoglio, desideroso di commettere seppuku al minimo errore, non vive
con onore
e dimostra debolezza al momento della morte, non è Katsura.
Shiroyasha è Gintoki, il demone con l'anima d'argento,
macchiata del sangue del
nemico.
Shiroyasha è un tutto-fare, uomo quasi fallito che tenta di
arrancare sino alla
fine del mese.
Shiroyasha è una persona senza lacrime, asciugate dalle
fiamme della guerra
tanti anni prima.
E probabilmente, solo in questo modo ha capito per cosa vale davvero la
pena vivere.
Gintoki lascia la stanza giapponese ed
attraversa a grandi passi
il corridoio - e già a quell'ora del mattino, ha assunto la
sua espressione
annoiata.
Vorrebbe preparare una colazione accettabile, chissà quando
capiterà di poter
degnare nuovamente Shinpachi di tale sorpresa, ma non è per
niente stupito dal
fatto che non ci sia nulla di anche solo lontanamente decente nel
frigorifero
del minuscolo appartamento - pensandoci bene, non c'è
assolutamente
niente.
Kagura dorme ancora, c'era da aspettarselo, proprio per questo ne
approfitta
per uscire. Vuole far loro una sorpresa e comprare del nabe, qualcosa
del
genere od altrimenti del riso in bianco, qualora non avesse abbastanza
soldi.
Non vuole fare nuovamente la figura dello squattrinato cronico, lui.
Proprio
per questo ha preso tutti i suoi risparmi ed è uscito di
casa.
Perché adesso sono loro il motivo per cui
Shiroyasha sceglie di andare
avanti.
E sbuffa Gintoki quando si accorge che a causa della pioggia, il
sellino del
suo scooter è talmente fradicio che macchierebbe il suo
impeccabile - nonché
unico - kimono. E sbuffa, sbuffa, sbuffa, fino ad infilarsi l'indice
della mano
destra nella narice sinistra, per la frustrazione.
- Ah, mi toccherà andare a piedi. - borbotta, accigliato.
Anche il tempo sembra
avercela con lui.
- Ketsuno questo non l'aveva detto. - aggiunge. Perché anche
lei gli
volta del spalle? In fondo lui la adora, il minimo che lei possa fare
è
avvertirlo.
Quello che ci vorrebbe ora è proprio quel goccio di
saké che non guasta mai.
Sì, quello che bevuto in compagnia o meno riesce a placare
le urla strazianti
di ricordi non ancora abbastanza lontani. Quel saké bevuto
per il semplice ed
unico, ma troppo necessario scopo di dimenticare anche solo per poche
ore.
E inesorabilmente, la pioggia comincia poi a bagnare la chioma d'argento.
-
Guarda,
Zura, piove così forte che non si vede niente. -
- Non chiamarmi Zura, sono Katsura. -
- Fa lo stesso. Hai visto la pioggia? -
- Sì, ma non credo ci sia niente di speciale. -
- Zura? -
- Non chiamarmi Zura, sono Katsura. -
- E va bene. Katsura? -
- Che vuoi? -
- La pioggia è molto più speciale di quello
stupido libro. -
Ognuno
ha seguito le
proprie inclinazioni e lui non è cambiato affatto - o
almeno, questa è la sua
umile, semplice e probabilmente sbagliata opinione.
Quando Zura gli propone di entrare nel proprio gruppo di ribelli Joi,
lui
rifiuta; quando Takasugi chiede di risvegliare la belva sopita, tenuta
a bada
da invisibili corde, così forti da risultare resistenti come
scaglie d'argento,
lui non risponde affatto.
Il suo bushido è cambiato, eppure lui si sente tremendamente
e pericolosamente
simile a prima.
E se ne rende conto sempre. Esattamente allo stesso modo di adesso,
mentre con
quell'aria ancora assonnata e i tipici occhi di un nullafacente
incallito,
osserva il cielo tetro, complice e guastafeste di quella giornata
già iniziata
nel peggiore dei modi.
- Devo anche comprare l'ultimo numero di Jump. - sdrammatizza,
insensatamente e
senza nemmeno accorgersi che ancora una volta sta tentando - vanamente
- di
sotterrare le memorie del suo passato.
Eccole, le braccia dei soldati, inutilmente tese verso il bagliore
inesistente
colto soltanto da occhi moribondi. Eccoli, tutti i samurai,
completamente
assorti nella contemplazione della loro probabilmente ultima sfida.
Si tratta di una battaglia che non avrà mai vincitori o
vinti, perché ci
saranno vittime in entrambe le fazioni.
E non c'è onore nella morte.
L'onore sta solo nella katana dei samurai, bagnata dalle gocce di
pioggia,
talvolta paurosamente tendenti ad un colore cremisi, tinte dal sangue
delle
carneficine. L'onore risiede nel loro bushido e nel loro ideale di pace
e
libertà, lontano anni luce dallo scopo dei combattenti
Amanto.
E questo Gintoki riesce a vederlo, semplicemente chiudendo gli occhi e
lasciando che le gocce di pioggia tiepida bagnino il suo viso.
Può scorgere i Samurai che rompono le file e attaccano, il
fragore di centinaia
di katane che cozzano l'una contro l'altra. Gli affondi che, lentamente
e
dolorosamente, squarciano la carne e uccidono.
Shiroyasha li ricorda troppo bene.
C’è
chi aspetta la pioggia, per non
piangere da solo.
E ora, non sa nemmeno da quanto tempo
è uscito di casa.
Semplicemente, si lascia cullare dalle dolci – o macabre
– note suonate dai
ricordi, taciti accordi di un pianoforte abbandonato da un dimentico
musicista,
ormai assopito.
Ma ricordi per lui talmente dolorosi da risultare acuti alle sue
orecchie,
quanto i gemiti stridenti di un violino.
- Gin-san! -
- Gin-chan! -
Semplicemente, ascolta la pioggia ed il suo scrosciare, quasi
assuefatto da
quel rumore ritmico.
- Dov'eri finito?! -
Si volta e li guarda entrambi, per niente stupito di vederli grondanti
d'acqua
- come lui, del resto - ed affannati, nel bel mezzo della strada.
Lui rimane comunque il loro superiore, no?
E nonostante siano mesi e mesi che non ricevono uno stipendio, che
patiscono la
fame e non possono permettersi abiti ed accessori lussuosi, lo seguono
ovunque
e comunque.
Come farebbe lui stesso, d’altronde.
Perché adesso sono loro
il motivo
per cui Shiroyasha sceglie di andare avanti.
- Gin-chan. -
Riesce perfino a sentire lo stomaco di Kagura che brontola, adesso.
- Stai piangendo? -
Mentre una goccia, dello stesso colore dell'argento,
attraversa la sua
guancia in una lenta ed esasperante caduta verso il vuoto.
- Gin-chan... -
Ha quasi l'impressione che anche China ed occhialetto lacrimino. E
forse non è
solo l'ingannevole impressione dipinta dai giochi della pioggia. Quale sciocca menzogna!
Chissà, magari sono realmente preoccupati per lui.
- Non sto piangendo. -
Però Shiroyasha lo sa bene, tante volte le bugie si dicono
inconsapevolmente.
Sa bene che ha nascosto il suo cuore sotto un velo, per coprire quei
ricordi. E
sa altrettanto bene che quel velo è stato troppe volte
bagnato dalle lacrime e
mai potrà essere asciutto.
E’ come una corazza d’argento,
ormai
troppo opaca per tornare a brillare come un tempo; è come la
lama di una
katana, fatta di acciaio e di argento,
che squarcia le vittime e rende carnefici, ma se riposta in un fodero,
diviene
completamente innocua.
- Andiamo a casa. -
ballerinaclassica con Rendila d’argento, Samurai
(85/100 punti)
Testo nascosto - clicca quiGrammatica, sintassi e ortografia: 9/10
Stile: 9/10
Originalità: 3/5
Attinenza alla frase scelta: 10/10
Rispetto dei parametri: 5/5
Sviluppo della trama: 8,5/10
Testo nascosto - clicca quiTranne qualche virgola che non mi ha convinta, ho trovato il testo molto ben scritto, dal punto di vista grammaticale: il lessico è inoltre molto, molto buono. Scegli le parole adeguate per il posto adeguato, facendo sì che queste si susseguano in uno scorrere armonico ed elegante.
La trama è ben sviluppata, anche se inizialmente lascia un po’ perplessi: il sogno – ricordo, credo che definirlo ricordo sarebbe più corretto – non è ben chiaro, e per qualche attimo ci si chiede perché la scena, da un campo di battaglia, si sia spostata su un uomo dormiente. O, meglio: un uomo appena risvegliatosi da un incubo.
Ogni parola è ben dosata, incastrata nel contesto: affascina, quasi. E ci sono frasi evocative, magnifiche: ho particolarmente apprezzato il punto in cui Shiroyasha si dice che gli altri rideranno di gusto. E poi comincia a pensare: no, non rideranno tutti. Non c’è nulla da ridere, si ride degli incubi divertenti, non della realtà. La realtà non fa ridere.
I gesti del protagonista sono assolutamente naturali – cosa positiva, dato che spesso, gestendo personaggi non nostri, il tutto appare forzato – e corrispondono alla sua personalità. Non sembra messo lì per errore, si capisce che quella storia è su di lui.
L’attinenza era perfetta: la pioggia troppo spesso serve proprio a camuffare le lacrime. Spesso, non si riesce a piangere davanti a chi ci vuol bene, ed è forse per questo che ci nascondiamo sotto l’acqua: in questo modo, possiamo fingere di essere stati colpiti da una goccia – non è una lacrima, è solo la pioggia. Non stiamo piangendo, semplicemente piove con troppa forza.
Più si è devastati dal dolore, a volte, e più si sente il bisogno di nascondere le lacrime.
Lo stile è chiaro, lineare, scorrevole: presenta gli avvenimenti con la giusta lentezza: la storia non è una corsa disperata per raggiungere il finale, ma è bensì un’introspezione del personaggio.
In sintesi: una buonissima storia, sia sul fronte grammaticale che su quello stilistico. Un ottimo lavoro, complimenti.
Stile: 7,5/10 punti
Originalità: 4/5 punti
Attinenza alla frase scelta: 7/10 punti
Rispetto dei parametri: 5/5 punti
Sviluppo della trama: 8/10 punti
Stavolta inizio con il commentare l'attinenza alla frase che hai scelto, piuttosto che metterlo alla fine, perchè mi sembra che sia il problema più importante della storia.
Secondo me la citazione e la storia c'entrano poco tra di loro. Per spiegarmi meglio: è vero, la storia generalmente gira attorno al pezzo attinente alla frase e si ricollega. Solo che alcune parti mi sono sembrate superflue ed eccessive, e questo ha intaccato sia il parametro della frase che lo sviluppo della trama. Hai descritto troppo il resto e ti sei soffermata poco sulla parte inerente alla citazione.
Alcune frasi erano troppo lunghe, pesanti, rallentavano la lettura e come ho già detto erano in eccesso. Non sto qui a dirti che pezzi erano, perchè è un discorso generale ma poteva essere una storia meno lunga ma migliore.
Inoltre hai esagerato anche nell'uso delle parole giapponesi: capisco che si vuole dare il tipico contesto "giapponese" ma a volte è troppo. Stiamo comunque scrivendo in italiano, quindi sarebbe anche meglio scrivere la storia completamente in italiano: capisco per il nabe, gli Amanto, Jump ma ogni tanto a posto di Bushido e Shiroyasha avresti potuto scrivere la corrispondente traduzione italiana.