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Autore: Giandra    30/09/2023    1 recensioni
❧ PatPran
➥ post-canon; parents fic; brief & implied sexual content
La storia partecipa alla "To Be Writing Challenge 2023" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce la Penna (trope: OTP).
«Volevo accertarmi che i ragazzi avrebbero preso bene la mia partenza, ma lo so che, in realtà, sei tu il mio bambino più bisognoso» gli sussurra a un certo punto rasente al suo orecchio, con un tono affettuoso e divertito insieme. A Pat viene voglia di ridere e di piangere allo stesso tempo. «Ti amo» Pran gli dice.
«Ti amo anch’io» gli risponde. Pran gli asciuga con l’indice l’unica mezza lacrima furtiva che ha rischiato di scivolare dal suo occhio destro. Pat non si sente di aggiungere altro mentre suo marito lo stringe a sé come se volesse proteggerlo da tutti i mali del mondo.
Genere: Hurt/Comfort, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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My clingiest baby

            Pat è consapevole che tutti i suoi muscoli e tutta la sua forza di volontà non possono nulla contro la minaccia emotiva dell’assenza di Pran. La sua mente lo trasporta a quelle giornate che non finivano mai abbastanza presto, a quei pomeriggi che gli parevano tutti uguali, scontati, noiosi, o a quella rabbia accecante che aveva sentito crescere sempre di più nel suo petto, man mano che le settimane diventavano mesi, finché non era esplosa coinvolgendo chiunque gli era attorno nella deflagrazione.
            Pat sa, ed è disposto ad ammettere tra le mura private e accoglienti della loro casa, di non poter vivere senza Pran; e se ne è così sicuro è proprio perché dovette provarci: dovette riuscire, in passato, ad adattarsi dall’oggi al domani a quel vuoto soffocante che gli aveva fatto male al cuore e, a volte, mancare il fiato. Quando invece Pran partì per Singapore, subito dopo la fine dell’università, la certezza che la loro relazione sarebbe durata, e che entro due anni l’amore della sua vita sarebbe tornato tra le sue braccia per non andarsene mai più, aveva reso quel groppo alla gola e quel peso sul petto più sopportabili, ma non meno dolorosi.
            Pat è anche conscio di star esagerando; questa volta, infatti, Pran dovrà solo occuparsi di alcune faccende di lavoro, per la breve durata di sei giorni e mezzo. Si potranno telefonare e videochiamare tutti i giorni e, in men che non si dica, considerando che Pat sarà pure impegnato con il suo, di lavoro, Pran sarà di ritorno. Per qualche motivo, però, questa constatazione razionale non ha successo nel frenare la tachicardia e la sensazione di freddo ansiogeno che lo assalgono non appena Pran glielo annuncia.
            «Hanno bisogno che io stia lì a dirigere la presentazione» gli spiega, con un tono morbido e pragmatico, nel tentativo di tranquillizarlo pur senza usare effettive parole di conforto. «Non sarò via neanche per una settimana intera. Se riesco a velocizzare un po’ i passaggi dei Nong, può darsi che rientrerò anche prima.»
            Pat gli sorride, cercando di celare la tristezza, ma sa che la gioia non arriverà ai suoi occhi e sa ancora meglio che Pran se ne accorge sempre quando succede. «Non ti preoccupare, non mettergli fretta. Fai tutto con calma. Noi ti aspettiamo qui» gli dice.
            Pran lo squadra con uno sguardo indagatorio e dubbioso, fa un paio di passi nella sua direzione e si ferma di fronte a lui. Non risponde, non emette suono, ma gli passa la mano destra fra i capelli, mentre con la sinistra gli carezza una guancia. Pat avverte subito i muscoli rilassarsi e stavolta riesce a rivolgergli un sorriso sincero. Pran lo ricambia, poi senza preavviso sposta la mano alla sua nuca, vi esercita una lieve pressione e avvicina lentamente la sua testa verso il proprio petto. Pat si irrigidisce per qualche secondo, preso alla sprovvista, ma poi si crogiola nelle coccole di suo marito e gli cinge in una solida stretta il busto, ponendo gli incavi dei gomiti al livello dei suoi fianchi in un abbraccio che, in altre circostanze, Pran definirebbe “spaccacostole” e “appiccicoso”; stavolta, però, non lo rimprovera: piuttosto, lo stringe forte forte a sé.

 
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            Isra non si ritiene affatto una persona irragionevole, al contrario: è certa di avere la testa sulle spalle e una mente razionale e logica, altroché. Sono quei pensieri intrusivi che la colgono nel bel mezzo delle sue giornate a farle roteare gli occhi per le assurdità che il suo cervello è in grado di concepire. In quel momento, per esempio, le sta suggerendo di afferrare il suo fratellino per una gamba e di lanciarlo dal balcone, così da non dover ascoltare i suoi pianti isterici. Isra non può dare del tutto torto alla sua mente per inviarle iniziative di quel tipo, ma deve costringersi a tenerle a freno.
            «Vuoi stare zitto?!» si limita a esclamare, sbattendo il libro che ha tra le mani sul bracciale della poltrona. «Sto leggendo. Mi stai disturbando.»
            Per tutta risposta, Anurak piange ancora più forte e il suo Pho si affretta a prenderlo in braccio e a cullarlo, disegnandogli dei cerchi concentrici sulla schiena con le dita nel tentativo di calmarlo. «Su, su» gli dice; poi spedisce un’occhiataccia a Isra, pur condita di fossette, e la redarguisce: «Sii più gentile con tuo fratello.»
            Ma come?, Isra si domanda, non l’ho buttato giù dal balcone. Pensavo che quello fosse già un gesto gentile. Non dà voce ai suoi pensieri. «Pho», si alza dalla poltrona, inserisce un segnalibro tra le pagine del romanzo che stava leggendo e poi si avvicina a lui, «su TikTok ho visto che, nella città dove devi andare tu per lavoro, c’è una libreria indie molto bella. I libri che vendono là puoi trovarli solo, beh, . Quindi mi domandavo se potessi comprarmi un titolo in particolare...» Abbassa lo sguardo verso il pavimento, come sempre quando chiede un favore a qualcuno. Si affretta ad aggiungere: «Ovviamente se devi lavorare tanto e non hai tempo per farci un salto, non fa niente. Non ci sono problemi. Non ti preoccupa-»
            «Isra, stai tranquilla. Mandami su WhatsApp il titolo del libro, così non me lo dimentico. Quando ci vado, magari ti mando anche qualche foto: se ti interessano altri romanzi, ti prendo anche quelli.»
            Alza la testa e si scontra con gli occhi gentili e affabili del suo Pho, che allunga la mano per farle una breve carezza sul capo. La accetta senza lamentarsi e incurva le labbra all’insù in risposta. «Grazie, allora.»
            «No!» Anurak strilla dritto nell’orecchio del genitore. «No, no, pho, ti prego, ti prego, non andare via... non andare via...» Isra riesce a decifrare quelle parole per abitudine, considerando che il naso chiuso e la voce mozzata di Anurak rendono difficile una comprensione chiara e pulita del suo discorso.
            Alza gli occhi al cielo. Pho invece lo stringe forte a sé e gli dona un bacio sullo spazio tra la fronte e gli occhi. «Che cosa ti ho detto giusto un paio di minuti fa?» gli chiede, con tono accondiscendente e intenerito.
            «Che... che...» balbetta Anurak, «che possiamo, p-possiamo se-sentirci tutti i giorni con il telefonino di Pa
            «Esattamente» approva il Pho, parlandogli come per congratularsi con lui, neanche avesse appena scoperto la cura per tutti i mali al mondo. «Proprio così. Ci potremo sentire e vedere ogni giorno e prima che tu te ne accorga io sarò tornato.»
            Anurak non pare convinto. Isra considera già una vittoria che almeno abbia smesso di frignare. Nasconde la faccia contro il petto del genitore e si aggrappa al suo pigiama con le manine chiuse a pugno. È uno spettacolo dolce, in fondo, lo deve ammettere, e riesce ad apprezzarlo di più adesso che non ci sono troppi stimoli sensoriali a sovraccaricarla.
            Il loro Pa sceglie proprio quel momento di quiete per uscire dal bagno con un asciugamano attorno alla vita e i capelli bagnati. Si dirige verso marito e figlio e sfiora la testa del secondo con le labbra prima di accarezzargliela. «Vieni qui, piccolo, che Pho deve preparare la valigia» gli dice; e Anurak si butta tra le sue braccia senza fare troppe storie.
            Isra legge il labiale del Pho, che rivolge al compagno uno sguardo malizioso e mima con la bocca la frase: «Stai mettendo in bella mostra quello che mi mancherà di più in questi sei giorni e mezzo?»
            Il Pa, per sommo orrore di Isra, alza le sopracciglia in risposta con un’espressione strafottente e si lecca le labbra. Lei registra soltanto in quel momento il fatto che sia a petto nudo.
            Ha dei genitori davvero disgustosi.

 
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            Fare l’amore mentre i loro figli sono in casa è qualcosa che non si concedono quasi mai: un po’ per paura di essere beccati (nonostante la porta chiusa a chiave), un po’ per la difficoltà fisica ed emotiva del dover essere quanto più silenziosi è possibile. Non che questa volta si siano lasciati andare causa ormoni scalpitanti e irrefrenabili: non hanno più vent’anni e il mero pensiero di poter essere intercettati dalla loro prole è abbastanza per far colare a picco la libido. Semplicemente, Pran lo ha sorpreso all’improvviso, ha girato la chiave nella serratura mentre lui era di spalle e gli stava facendo una domanda stupida su cosa avesse messo in valigia, gli si è avvicinato e lo ha attirato a sé, incollando le proprie labbra alle sue. Pat si è sentito come se quel singolo gesto avesse appena sciolto tutti i nodi che gli si erano formati in petto e si è lasciato trascinare sul materasso, tra le lenzuola bianche intrise del profumo di Pran, il suo preferito e l'unico che riesce a stendergli i nervi e a riempirgli il cuore.
            Adesso se ne stanno abbracciati l’uno all’altro in un silenzio rilassato, la pelle nuda del petto di Pran sotto la sua testa. Suo marito gli accarezza i capelli alla base del collo con il pollice della mano destra, il cui palmo è invece spalmato sulla sua nuca, con un ritmo lento e delicato, mentre con l’altra gli vezzeggia la guancia. Pat è aggrappato al suo corpo come un koala al suo albero di eucalipto, braccia attorno alle sue spalle e gambe avvinghiate alla sua vita, e di nuovo gli viene da pensare che Pran in un’altra circostanza lo prenderebbe in giro per il suo atteggiamento appiccicoso, ma stavolta non fa nessun commento. Dopo all’incirca una decina di minuti di coccole calde e rassicuranti, Pran gli fa cenno di spostarsi e Pat gli consente di assumere una posizione più comoda, con la schiena poggiata alla spalliera del letto; si rende conto solo adesso che sul comodino di Pran ci sono una ciotola piena d’acqua e una spugna. «Stenditi» gli dice e Pat obbedisce subito, preparandosi alla spugnatura che il compagno sta per fargli: è sempre piacevole, ma questa volta un po’ di più, e Pat chiude gli occhi crogiolandosi nel tocco di Pran, che con gentilezza gli passa il tessuto poroso per tutto il corpo, accostandolo di tanto in tanto a un bacio o a una carezza a mano nuda.
            «Volevo accertarmi che i ragazzi avrebbero preso bene la mia partenza, ma lo so che, in realtà, sei tu il mio bambino più bisognoso» gli sussurra a un certo punto rasente al suo orecchio, con un affetto e sarcasmo insieme. A Pat viene voglia di ridere e di piangere allo stesso tempo. «Ti amo» Pran gli dice.
            «Ti amo anch’io» gli risponde. Pran gli asciuga con l’indice l’unica mezza lacrima furtiva che ha rischiato di scivolare dal suo occhio destro. Pat non si sente di aggiungere altro mentre suo marito lo abbraccia come se volesse proteggerlo da tutti i mali del mondo.

 
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            «Sul serio non ti mancherò nemmeno un pochino?» le chiede il suo Pho, quasi con aria di sfida, costringendola implicitamente a roteare gli occhi verso l’alto.
            «Sì, Pho, per carità, ma si tratta di sei giorni, la state facendo troppo drammatica come cosa. Piuttosto, mi preoccupa quello che mangeremo in questa settimana, lasciati alla mercé di Pa
            Pho reagisce con una mezza risata prontamente nascosta dal palmo della sua mano, mentre Pa accoglie la battuta con indignazione: «Ti ho dato da mangiare un’infinità di volte, per tua informazione, anche se eri troppo piccola per potertelo ricordare.»
            Isra increspa le labra e alza le sopracciglia con sfrontata irreverenza. «Perché non ero abbastanza autonoma per opporre resistenza...»
            «Avrei dovuto lasciarti morire di fame allora» ribatte il genitore, con un ghigno a metà tra il divertito e l’offeso.
            Isra gli risponde con un sorrisetto sbilenco, che lui ricambia. È il loro modo di comunicare e il suo di mostrargli affetto. Il giorno in cui smetterà di punzecchiarlo potrà essere quello in cui dovrà davvero preoccuparsi delle sorti del loro rapporto.
           
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            Il tempo scorre, ma non abbastanza velocemente, non quanto Pat desidererebbe. È una tortura svegliarsi al mattino in un letto vuoto, troppo grande per lui solo, così come lo è affrontare la giornata senza la consapevolezza che sarebbe rientrato in casa accolto dalla sua famiglia al completo, da un bacio amorevole di suo marito. Non c’è però niente di peggio del fatto che l’odore di Pran ha iniziato a svanire dalla sua maglietta, quella che si è tolto proprio prima di indossare il completo nero giacca e cravatta che indossa sempre agli eventi ufficiali — e che gli sta così bene che ogni volta a Pat passa per la testa di strapparglielo di dosso con i denti —; il profumo ormai non si sente quasi più e anche le lenzuola cominciano ad averne uno più neutrale, comunque buono, ma che di Pran sa veramente poco.
            Si tratta di soli altri due giorni e mezzo. Pat sa, per esperienza, di poter sopravvivere per altri due giorni e mezzo.

 
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            Si chiude la porta alle spalle quanto più silenziosamente è possibile, per evitare di destare Isra o Anurak. Sa che Pat ha il sonno pesante e che per svegliarlo ci vuole ben altro, quindi si addentra nella loro stanza senza troppe cerimonie, dopo essersi lavato le mani; si spoglia dei vestiti del lavoro, si infila in velocità il pigiama, che Pat ha già riposto sotto al suo cuscino, e si stende nel loro letto. Suo marito stringe al petto la maglietta che gli ha appositamente lasciato tra le lenzuola qualche ora prima di uscire di casa per recarsi in aeroporto, sei giorni prima; ha le guance bagnate, segno che deve aver pianto prima di addormentarsi o mentre ha avuto un incubo. Il suo primo istinto è quello di avvicinarglisi e di asciugargliele con le labbra e Pran lo ascolta.
            I suoi colleghi di Koh Larn si son trovati sulla stessa lunghezza d’onda nel fare battute bonarie rivolte a mogli e mariti che a casa sentivano la loro mancanza o li riempivano di messaggi e alcuni, addirittura, si son detti anche sollevati di avere un po’ di tempo per sé, da passare separati dai loro consorti. Non è che Pran non capisca il concetto alla base di queste lamentele, ma non lo condivide neanche un po': per lui, stare lontano da Pat è sempre un dolore, riapre una ferita mai rimarginata e lo fa sentire come se gli mancasse un arto, senza il quale svolgere le quotidiane occupazioni non è del tutto impossibile, ma è senz’altro più difficile. Riesce a viverla in modo più tranquillo rispetto a Pat, quantomeno all’apparenza: sa che per il suo compagno è soffocante passare intere giornate senza vederlo, senza poterlo toccare, senza poter sentire il suo profumo; Pran lo considererebbe un tradimento andare in giro a prendersi gioco di questa sua vulnerabilità, pertanto si è limitato a sorridere e ad annuire ai discorsi degli altri senza mai inserirvisi, poiché la sua prospettiva è fin troppo distante dalla loro.
            Si infila sotto le coperte e gli bacia gli zigomi umidi e morbidi, prima di vezzeggiarli con le dita. Pat mugugna qualcosa in dormiveglia, aggrottando la fronte e arricciando il naso: uno spettacolo adorabile; Pran è orgoglioso di essere l’unico a cui è consentito assistervi. Gli dà un bacio leggero sulla fronte, colpo di grazia che porta suo marito ad aprire gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per rendere la vista di fronte a lui più vivida; la prima cosa che fa una volta sveglio è annusare i suoi dintorni, azione che porta Pran a ridacchiare. Quando avverte la sua risata, Pat si desta completamente, spalanca gli occhi e farfuglia: «Pran? Sei qui?». Le sue parole suonano più come una preghiera che come una domanda. Parte di lui si sente ancora sopraffatta dalla proporzione del bisogno che Pat ha di lui, dalla maestosità dell'amore incondizionato che prova nei suoi confronti; lo fa sentire desiderato e adorato in un modo che nutre tanto il fantasma del se stesso quindicenne che alberga nel suo animo e che non accenna a dirgli addio, quello che si nasconde dietro la scorza dell’uomo quarantenne che sa ormai di essere amato e apprezzato dalla sua famiglia e dai suoi amici e che ha imparato ad affermare a testa alta quello che desidera e che lo fa stare bene.
            «Sono qui» gli risponde; e Pat non se lo fa dire due volte prima di accoccolarsi sul suo petto, avviluppandosi al suo bacino con le gambe e inspirando profondamente, quasi come se stesse cercando di fare scorta del suo odore nelle proprie narici. Pran ricambia subito l’abbraccio e prende a carezzargli la schiena con una mano e i capelli con un’altra. «Sono tornato un po’ prima.»
            Pat annuisce, facendogli senza accorgersene il solletico con le punte dei capelli che gli sfiorano il collo sensibile. Non dice nient’altro, non accenna a mollarlo; Pran non ha né la voglia né la forza di allontanarlo da sé, per cui semplicemente si addormentano così, uno stretto all’altro, con i reciproci respiri regolari a fare da colonna sonora al loro riposo.



 
   
 
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