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Autore: E_AsiuL    01/10/2023    0 recensioni
Il rapporto tra il medico legale Tessa Beale e il detective Gabriel Giuliani non è mai stato idilliaco. Ma le cose potrebbero cambiare per via di un serial killer, il cui operato toccherà Tessa un po' troppo da vicino.
Genere: Introspettivo, Noir, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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19
Un’altra settimana.
Alex era praticamente tutti i giorni in ospedale e Tessa, quando era sveglia, si rifiutava di vederlo. O, almeno, così gli diceva Emmeline, la figlia del Capitano, guardandolo col disgusto riservato solo a uno scarafaggio schiacciato sotto le scarpe nuove.
«Dimmi che non sono morta e questa non è la mia camera ardente…» sussurrò Tessa, un occhio aperto e l’altro chiuso, notando l’ennesimo mazzo di fiori comparso nella stanza.
«Sei viva e ancora in ospedale», la prese in giro Emmeline, seduta accanto al letto. «E lui è sempre fuori. Quasi quasi mi fa pena» aggiunse con una smorfia.
A quell’uscita, Gabriel, in piedi accanto alla finestra, trattenne una risata. «Come va oggi, doc?»
«Invece di un carrarmato, oggi ho la sensazione che mi sia passato un paio di trattori addosso», rispose Tessa. «Lo prendo come un miglioramento». Non era stato facile. Una costola rotta e una incrinata, alcune ossa della mano e del polso rotte (la martellata), diversi tagli e si era giocata la milza.
Nonostante tutto, però, avrebbe potuto andarle peggio.
«Ottimo. Ti porto buone notizie: abbiamo preso la sua complice. Era la segretaria della clinica», riprese Gabriel. Tessa sgranò gli occhi. «A quanto pare, Grace Pierson faceva parte dello stesso gruppo di esaltati di Evans. Lei gli forniva i dati e lui organizzava il piano, poi lei si prestava a spacciarsi per le vittime. Con la lista che le stiamo preparando, butteranno la chiave».
Tessa chiuse gli occhi e sospirò. Ottimo. Gabriel dovette interpretare quel sospiro in modo diverso.
«Ci abbiamo messo troppo. E non abbiamo controllato come dovevamo…»
Tessa lo fermò scuotendo la testa. «Non potevi saperlo, Gabriel». Nell’ultima settimana, avevamo abolito le formalità. Succedeva, quando il detective che sembravi non sopportare ti trovava praticamente nuda con più lividi che pelle sana. «Non è colpa tua».
«Nemmeno di Alex», il detective colse l’occasione. Dall’altro lato del letto, Emmeline sbuffò.
«Emmie…» la redarguì Tessa. Ma d’altronde quella ragazza aveva le sue opinioni ed era una leale sostenitrice della zia.
Gabriel si spostò vicino al letto. «Dagli una possibilità, Tessa. Lui mi pare te ne abbia data più di una». Quando Emmeline aprì di nuovo la bocca per protestare, ben consapevole di cosa era successo tra sua zia e Alex, Gabriel la fermò con un’occhiataccia.
Tessa chiuse gli occhi e annuì. Gabriel cercò di trattenere il sorrisetto di trionfo. Non era ancora detta l’ultima.
Emmeline guardava Tessa con le labbra compresse in una linea sottile, poi sbuffò. «Ho bisogno di un caffè, vero», dichiarò, avviandosi alla porta. «Detective, mi accompagna? Per la salute fisica del suo collega, è meglio se me ne vado».
«Per fortuna, siamo già in un ospedale» ridacchiò Gabriel, prima di fare l’occhiolino a Tessa e scortare Emmeline fuori dalla stanza, lasciando la porta aperta per Alex.
 
Era la prima volta che riusciva a entrare. Emmeline, di solito, si prendeva i fiori e lo sbatteva fuori con un gelido “non vuole vederti”. Comprensibile. In fondo, era lì per colpa sua. Se lui non le avesse detto di ammazzarsi, lei probabilmente non avrebbe deciso di liberarsi del bambino e non sarebbe finita in mano a Evans. E, di conseguenza, in quel letto, ricucita, fasciata, steccata, con una mano praticamente rimontata che nemmeno un puzzle.
E tutto solo perché lui non ce l’aveva fatta un’altra volta. Con che diritto andava a strisciare da lei, adesso? A prometterle di nuovo la luna, per poi scappare? Seduto accanto al letto Alex aspettava che Tessa si voltasse verso di lui.
«Emmie ha detto che eri sempre qui. Perché?» chiese, continuando a guardare la finestra. «Perché sei venuto, perché continui a venire e riempirmi di fiori?»
Alex deglutì rumorosamente. Che doveva risponderle? Scelse la verità. «Perché è solo colpa mia», disse sottovoce. Tessa si voltò verso di lui, le sopracciglia aggrottate.
«Come può essere colpa tua una mia decisione? Potevo andare da un altro medico. Potevo anche non decidere di…» rispose, cogliendo il filo dei pensieri di Alex.
«Vuoi ancora farlo?» la interruppe lui. Tessa iniziò a masticarsi un labbro: dopo tutto quello che era successo, sembrava che l’unico a non aver riportato danni fosse il piccolo ospite del suo utero. Testardo come il padre…
«Vuoi che lo faccia? O vuoi fermarmi?» ribatté lei.
Alex si passò le mani sul viso. Qualsiasi risposta sarebbe stata sbagliata, a prescindere: se le diceva che voleva che lo facesse, era uno stronzo perché così si liberava del problema; se diceva che voleva fermarla, era uno stronzo perché non doveva permettersi di immischiarsi. A conti fatti, era uno stronzo e basta.
«È il tuo corpo, Tess. Decidi. Tu. In ogni caso, io non ti fermo. Qualsiasi sia la tua scelta, io non mi opporrò. E non me ne andrò», rispose. Tessa lo aveva ascoltato senza un fiato o un commento. «Me ne sono andato una volta di troppo e non ho intenzione di rifare lo stesso errore».
  
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