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Autore: OrnyWinchester    02/10/2023    4 recensioni
In ritardo per gli allenamenti, Artù e Merlino trovano i cavalieri che si dilettano con un passatempo alquanto singolare. Ben presto anche il principe si lascerà coinvolgere da quel gioco così travolgente, con dei risultati del tutto imprevedibili.
La storia si colloca tra le stagioni 3 e 4 della serie BBC “Merlin”.
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum Ferisce la penna.
Genere: Commedia, Fantasy, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gaius, Gwen, I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Un calcio alla noia
 
«Sbrigati, Merlino! Sono già in ritardo per gli allenamenti!» lo incitò Artù, mentre il servitore stava terminando di sistemargli l’armatura.
«Ancora un attimo, Artù! Ho quasi finito!» ribatté questo, sbuffando. «I vostri uomini non si accorgeranno di qualche minuto di ritardo, mentre potrebbe essere un problema se vi ritrovaste a terra senza un’adeguata protezione!»
«Finiscila di parlare così tanto e datti una mossa. Non mi piace farmi aspettare, nemmeno dai miei uomini!» replicò Artù pragmatico. «E comunque, perché non mi hai svegliato prima? Se lo avessi fatto, ora non saremmo in questa situazione!»
«Credete che non ci abbia provato? Non vi sareste svegliato nemmeno se qui dentro fosse entrato un elefante!»
Il giovane Pendragon, quindi, sbuffò, ma non rispose, consapevole della veridicità di quelle parole.
Il servo adagiò con cura i bracciali sugli arti, poi strinse quanto bastava le cubitiere, nonostante l’impazienza del principe non gli rendesse facile il compito.
«Ecco, ho finito!»
Allora, Artù si avviò a grandi passi lungo i corridoi del castello per raggiungere in fretta il cortile, dove gli altri cavalieri lo stavano aspettando.
«Muoviti, Merlino!» si sentì riecheggiare.
«Arrivo!» rispose prontamente il mago.
Poi scosse la testa e lo seguì silenzioso.
 
***
 
La mattina era calda e soleggiata a Camelot. Nel cortile d’allenamento, per ingannare l’attesa, i cavalieri si erano intrattenuti con un passatempo insolito, ben diverso dagli esercizi con la spada a cui erano abituati. Un intenso vociare si levò sul campo, tanto da attirare l’attenzione di Artù ben prima di giungere a destinazione. Ancora molti schiamazzi si susseguirono ripetutamente, lasciandolo alquanto interdetto.
«Cosa stanno combinando?» sbottò il principe.
«Non saprei.»
«Non posso tardare nemmeno qualche minuto senza che si scateni una rissa?! E’ un atteggiamento ingiustificabile! Adesso mi sentiranno!»
«Non mi sembra che stiano litigando, Artù!» convenne Merlino, non appena svoltarono verso la via che conduceva alla corte.
Artù si fermò a fissarli attentamente, ma i loro intenti continuarono a restargli sconosciuti.
«Ma che stanno facendo?» domandò, strizzando gli occhi.
«Non ne ho idea!»
Artù e Merlino restarono impalati ad osservare quello che avveniva nello spiazzo, senza essere in grado di darsi una spiegazione plausibile.
Smessa l’armatura, sir Lancillotto, sir Leon, sir Galvano e sir Elyan correvano da una parte all’altra del cortile, inseguendo qualcosa che veniva calciato via e osteggiandosi l’un l’altro, mentre sir Parsifal se ne stava immobile da un lato a protezione di tre bersagli d’allenamento che erano stati disposti molto vicini tra loro. Il suo sguardo seguiva con entusiasmo le azioni degli altri e si spostava di tanto in tanto sull’oggetto in movimento.
Artù, che ancora non riusciva a capire cosa stesse accadendo, si avvicinò con aria interrogativa, seguito da Merlino che, invece, sorrideva nel vedere i suoi amici così divertiti.
«Ahem! Ahem!» si schiarì la voce per richiamare l’attenzione. «Che diamine sta succedendo qui?»
I cavalieri si interruppero dal rincorrere lo strano oggetto e si immobilizzarono in evidente soggezione alla sua vista.
«Le nostre scuse, maestà.» mormorò sir Leon, accaldato e in palese imbarazzo di fronte all’occhio indagatore di Artù.
«Sir Leon, che sta succedendo? Cosa state facendo?»
«Stavamo giocando…» rispose il cavaliere impacciato.
«Giocando?» ripeté Artù, allibito.
«Sì, con questa.» s’intromise sir Galvano, rigirandosi tra le mani l’oggetto di forma sferica che fino a qualche istante prima stavano calciando per tutto il cortile.
«E cos’è quella?» domandò il principe, sempre più stupito.
«Una pila.» ribatté sir Elyan, quasi con ovvietà.
«Una pila?»
«Una vescica di maiale riempita con piume e peli di animali.» spiegò sir Lancillotto. «Ce l’hanno data dei bambini giù alla città bassa. Sembra che sia un passatempo molto diffuso.»
«E in cosa consiste questo passatempo?» chiese ancora Artù, d’un tratto interessato.
«Beh, bisogna colpire la pila solo con i piedi, senza l’uso delle braccia, e farla rotolare fino ad uno dei lati di uno spiazzo, cercando di calciarla dentro a dei cesti per segnare un punto.» illustrò con precisione sir Leon.
«Noi non avevamo dei cesti sottomano e abbiamo usato i bersagli dell’allenamento.» aggiunse Galvano.
«Li avete usati per divertirvi?» sbraitò il regnante con gli occhi fuori dalle orbite. «E Parsifal? Che ci fa lì davanti con l’aria confusa?»
«Io sono il custode dei bersagli, sire.» rispose con fierezza il cavaliere dalla posizione in cui si trovava. «Devo impedire che vengano colpiti dalla pila.»
Artù si guardò attorno non troppo convinto di quello che stava ascoltando.
«E vi siete messi a giocare anziché allenarvi? Credete che in battaglia basterà lanciare una di quelle addosso ad un nemico per avere la meglio su di lui?!» replicò sarcastico.
I cavalieri si guardarono l’un l’altro e tutto intorno a disagio, ma senza mostrare alcun segno di pentimento che li facesse tornare sui loro passi. Artù se ne accorse, sentendo crescere anche in lui grande curiosità per quello svago.
«Allora, che state aspettando? Avanti! Almeno fatemi vedere come si gioca! Giusto per farmi un’idea di cosa ci sia di così divertente da farvi comportare come tanti ragazzini infervorati.» esclamò di colpo.
Poi, si precipitò verso il centro del cortile, dove pochi istanti prima i cavalieri si stavano disputando la pila, e attese che lo raggiungessero. Questi si guardarono stupiti, ma compiaciuti e, ridacchiando, lo seguirono per sfidarlo.
«Merlino, vieni anche tu a giocare con noi!» gli propose Elyan.
Il servo stava osservando la scena rallegrato, consapevole che Artù si sarebbe lasciato convincere dagli altri a prendere parte a quella piacevole distrazione, ma decise di restare in disparte e godersi il divertimento.
«No, grazie, Elyan. Preferisco rimanere qui a vedere come vi azzuffate per contendervi quella sfera.» gli sorrise.
Mentre Leon stava spiegando ad Artù le ultime cose che doveva sapere riguardo a quel gioco che ormai era popolarissimo tra i bambini della città bassa, Merlino si sedette a terra con le mani appoggiate sulle ginocchia, notando con quanta serietà il principe stesse prendendo le direttive del cavaliere.
Era bello vedere come Artù e gli altri riuscissero a ritagliarsi pochi momenti di spensieratezza dopo tutto quello che avevano dovuto affrontare. Il tradimento di Morgana, la scoperta della sua natura di strega e della parentela che la legava ad Artù, lo stato di semi-incoscienza in cui versava re Uther e le sorti del regno costantemente minacciate erano un fardello fin troppo pesante che gravava sulle spalle del giovane principe. Il lato positivo che era scaturito da tutta quella situazione era che ora Artù poteva contare sul sostegno di alleati fidati, che avevano e avrebbero combattuto al suo fianco contro ogni nemico e che erano diventati molto di più che semplici cavalieri per lui. Erano degli amici, per quanto Artù si sforzasse di mantenere i ruoli, ed era con loro che avrebbe potuto trovare sollievo a molte delle sue sofferenze, proprio come stava avvenendo in quel preciso momento.
«Allora, cominciamo?» insistette Galvano, richiamando l’attenzione degli altri.
Pochi istanti dopo Parsifal aveva ripreso il suo posto davanti ai bersagli e gli altri cinque erano fermi sul lato opposto del cortile, pronti a contendersi la pila. Sir Leon, che la teneva salda in mano, la lanciò in aria con gran forza e fu curioso per Merlino assistere alla scena di cinque soldati grandi e grossi che se ne stavano con il naso all’insù in attesa che questa ricadesse a terra. La traiettoria che aveva preso la fece rotolare proprio vicino ad Artù, che non perse tempo ad arpionarla con i piedi e a portarsela in avanti, puntando in direzione di Parsifal. A turno i cavalieri provarono a togliergli la sfera e a sostituirsi a lui per calciarla verso i bersagli, ma prima questo la fece passare tra le gambe di sir Lancillotto, poi, in un colpo solo, scartò sia Elyan che Galvano. Anche il tentativo di Leon non ebbe buona sorte, con il cavaliere che ruzzolò a terra. Rimasto solo di fronte a sir Parsifal, al momento di calciare impresse alla pila una leggera rotazione che le fece aggirare il cavaliere e colpire il bersaglio centrale. Merlino sorrise compiaciuto, constatando il talento innato del principe, che a sua volta ridacchiò e allargò le braccia, contento. La prodezza non passò inosservata nemmeno tra gli altri. Galvano sbuffò e scosse la testa, Lancillotto sorrise amaro, Elyan sbatté le braccia e Parsifal si stava ancora guardando intorno disorientato, incapace di comprendere come la sfera potesse averlo oltrepassato senza che se ne accorgesse.
Nel prosieguo del gioco altri punti furono appannaggio di Artù, che con precisi colpi di piede riuscì a superare un incredulo Parsifal con grande facilità. Anche Galvano e Lancillotto riuscirono a metterne a segno alcuni, mentre Leon ed Elyan erano molto cauti e precisi quando si trattava di recuperare la pila o di sradicarla dai piedi di un compagno, ma lo stesso non poteva dirsi della loro bravura nel colpire i bersagli.
Merlino si stava divertendo molto ad assistere alle schermaglie che avvenivano per la contesa della pila, per qualche spinta di troppo o per un tiro mancato all’ultimo. Il mago si meravigliava di come un simile passatempo, riservato perlopiù ai bambini del ceto povero, potesse intrattenere così a lungo partecipanti e spettatori.
Dopo l’ennesimo punto segnato, Artù si avvicinò a lui per tirare un po’ il fiato.
«Vi state divertendo?»
«Ti dirò, Merlino: è un discreto svago e aiuta a tenere il corpo allenato più di quanto credessi.» convenne, compiaciuto. «Mi raccomando, tu tieni a mente il punteggio perché li sto stracciando.»
«Certo, sire. Non temete. E’ tutto ben al sicuro in questa testa.» replicò il mago con un enorme sorriso, indicandosi il capo.
«Non farmene pentire. Sappiamo entrambi quanto può essere smemorata la tua testa, Merlino!» disse Artù, irriverente.
Sulle prime il servo rimase male a quelle parole con un’espressione abbastanza adirata che sostituì il sorriso sul suo volto. Poi, però, comprese che quello era uno dei tanti modi bruschi di Artù di dimostrare la propria stima. In apparenza poteva sembrare diversamente, ma si lasciava andare a simili commenti e battute solo con lui, con i cavalieri, di tanto in tanto con Gwen, e con Morgana in passato. Era la sua maniera di mostrare vicinanza alle persone a cui teneva. Mentre si era distratto, soffermandosi a riflettere su questo particolare aspetto del carattere del principe, la pila, calciata a tutta forza da sir Galvano, stava vorticando pericolosamente in direzione della sua faccia. Non c’era il tempo di spostarsi: pochi istanti e lo avrebbe colpito. Così, percepito il pericolo, d’istinto, i suoi occhi si illuminarono e la sua magia allontanò la sfera giusto un attimo prima che impattasse con il suo viso, spedendola alla sua destra. Ma…
Bonk!
La deviazione che i poteri di Merlino avevano impresso alla pila l’aveva mandata dritta sulla testa di Artù, che, anch’egli distratto, non si era accorto assolutamente di nulla. Con un’espressione furente sul volto arrossato, si voltò in direzione dei cavalieri e, a giudicare dalla faccia costernata di Galvano, si rese conto che era stato proprio lui a scagliargliela addosso.
«Mi dispiace, Artù!» si giustificò.
Artù aveva preso in mano la sfera e si stava avvicinando di nuovo verso il centro del cortile.
«Cerca di fare più attenzione la prossima volta!» lo redarguì, ma senza troppa enfasi.
Poi la lanciò con entrambe le mani per riprendere il gioco, sbattendola forte a terra, mentre il cavaliere gli faceva cenno di sì con la testa. Merlino poté, quindi, tirare un sospiro di sollievo.
 
***
 
Ancora nella mischia, il principe e gli altri cavalieri mostrarono una sempre maggiore confidenza con la pila. I movimenti divennero più fluidi e ben orchestrati e permisero loro di segnare diversi punti a scapito del malcapitato Parsifal, che, tuttavia, si divertiva ugualmente come un matto cercando di sradicare la sfera dai piedi degli altri per evitare che andassero a bersaglio. Ciascuno diventava man mano più abile nel capire cosa richiedesse il gioco e provava a prendere la giusta decisione per avvantaggiarsi sugli altri nelle opportunità che capitavano. Con il passare delle ore, però, se da una parte il divertimento cresceva, dall’altra le energie iniziavano a scemare e i tiri diventavano sempre meno precisi.
Un primo lancio, con il quale sir Leon voleva provare a centrare direttamente i bersagli, andò completamente fuori traiettoria e tracciò una strana parabola che finì con il colpire sir Agravaine sul fondoschiena. Lo zio di Artù, giunto da poco a Camelot per aiutare il nipote nella gestione del regno, si era recato nei pressi del cortile per osservare più da vicino gli allenamenti e prese molto male l’intera situazione. Già squadrava, adirato e risentito, i cavalieri che mancavano le esercitazioni quotidiane per dedicarsi ad “una frivolezza per bambini e buoni a nulla”, come l’aveva definita. Quando ricevette quel colpo, poi, la sua furia e la sua collera furono implacabili, come un’onda rossa di rabbia che sommerse tutto e tutti. Furono necessarie le scuse di Artù e di tutti i presenti, affinché si calmasse e decidesse di andarsene, lasciando continuare lo svago senza interferenze.
Poco dopo anche Ginevra si trovò a passare da quelle parti e, casualmente, un tiro sferrato proprio da suo fratello Elyan fece rimbalzare e rotolare la pila vicino ai suoi piedi. La giovane serva, che non aveva la più pallida idea di cosa fosse, la raccolse con le mani e la fissò per diversi istanti, prima che dalla corte le voci dei cavalieri la reclamassero indietro. Gwen strabuzzò gli occhi e, non sapendo come rimandarla verso di loro, si lasciò convincere dal suggerimento di Merlino che sedeva poco distante.
«Dalle un calcio, Gwen! Con le mani non arriverà mai laggiù. Forza! Puoi farcela!» la incoraggiò.
Ginevra, allora, sollevò la pila con una mano e le sferrò un abile e potente calcio, al punto che inspiegabilmente questa percorse tutto lo spiazzo, volando con precisione in direzione dei bersagli fino a colpire quello più a sinistra senza che Parsifal potesse nemmeno provare a fermarla. Urla di acclamazione si levarono dal cortile e la ragazza continuò a guardarsi attorno costernata.
«Bravissima, Gwen!» le sorrise Merlino.
«Perché? Cos’è successo?» gli domandò lei confusa.
«Oh, ecco, vedi, con un unico tentativo hai raggiunto l’obiettivo che quei sei si contendono da ore.» provò a spiegarle.
Gwen annuì, ancora perplessa.
«Avanti! Vieni a sederti vicino a me. Così potrai vedere con i tuoi occhi quello che intendo.»
«Va bene. Ma solo un istante perché i miei doveri mi aspettano.» accordò, sedendosi di fianco a lui.
«Oh, anche i miei, se è per questo. Ma quel gioco ha rubato l’attenzione di chiunque si sia fermato a vederlo anche solo per pochi attimi. Non so spiegarti di cosa si tratti, ma è travolgente!»
«Non c’entrerà la magia…» osservò lei spaventata. «Perché non voglio avere altri problemi a causa sua.»
«No, tranquilla, la magia non c’entra niente, anche se penso che “magia travolgente” sia quello che meglio spiega quello che sta accadendo. Ha incantato veramente tutti!» osservò Merlino, ben conscio che la magia in atto non aveva nulla a che vedere con poteri e stregoneria, bensì con i sentimenti che suscitava nel cuore di chiunque giocasse o si fermasse a guardare, prendendo le parti di uno o dell’altro giocatore.
«E chi sta vincendo?» domandò Gwen, più serena in volto.
«Artù! Chi altro?»
«Ovviamente!» concordò la ragazza.
Merlino e Ginevra continuarono a conversare amabilmente, mentre si dilettavano a seguire le mosse che ciascun cavaliere compiva per prevalere sugli altri, anche se ormai era evidente come fossero tutti spossati e al limite delle forze.
All’improvviso, un lancio della pila da parte di Artù, che si era coordinato male e l’aveva colpita nel punto sbagliato, andò nella parte opposta a quella voluta, oltrepassando la corte, la zona dove sedevano Gwen e Merlino, fino a…
Bonk! Crash!
Un tonfo secco e un forte rumore di vetri infranti riecheggiarono per tutta l’area circostante e attirarono l’attenzione dei presenti. Infatti, nel momento in cui la pila era atterrata in prossimità della stradina che costeggiava il cortile, il malcapitato Gaius stava facendo ritorno nel suo alloggio in tutta tranquillità, recando in mano una cesta piena zeppa di boccette di vetro e rimedi curativi che avrebbe dovuto distribuire ai popolani nei giorni a venire. La pila lo raggiunse a discreta velocità e, senza che questo ne avesse il benché minimo sentore, lo centrò all’altezza del busto, tra l’incavo del braccio e la spalla. Il medico cadde a terra da un lato, forse più per la sorpresa che per il colpo ricevuto, mentre la cesta volò in aria e, tra l’impatto e l’atterraggio, le ampolle si frantumarono in tanti piccoli pezzi che si sparsero tutt’intorno a lui, rilasciando il loro contenuto ovunque. Frastornato, si guardò attorno per vedere cosa fosse successo, quando Merlino e Ginevra erano già arrivati in suo soccorso.
«State bene, Gaius?» chiese la ragazza, mentre Merlino lo aiutava a mettersi seduto.
«Cos’è stato?» domandò questo, confuso.
«Siete stato colpito dalla pila con cui Artù e i cavalieri stavano giocando!» gli spiegò Merlino.
«Pila?»
«Sì, una vescica di maiale riempita, a forma di sfera.» aggiunse il mago, prendendola in mano e mostrandogliela. «State bene, comunque?»
«Sì, credo di sì. Anche se il lavoro di giorni è sparso sulla strada ora.» constatò, amareggiato.
Il medico fece per rialzarsi, ma era ancora molto indolenzito dalla botta. Merlino e Ginevra lo presero per le braccia e lo supportarono fintanto che non ritrovò la stabilità per reggersi in piedi da solo.
«Scusate, Gaius! Non era mia intenzione colpirvi. Sono mortificato!» sopraggiunse Artù con i cavalieri al seguito.
«Non fa niente, altezza.» «Ma vi chiederei la cortesia di prestare maggiore attenzione quando vi dilettate con cose così… singolari.»
«Avete ragione. Vi chiedo nuovamente scusa. Non accadrà ancora.»
Gaius tolse la pila dalle mani di Merlino e la rigirò tra le sue, mostrando stupore.
«Beh, credo che sia meglio che porti questa con me. Non si sa mai cosa può succedere.» convenne, dirigendosi verso il suo alloggio con l’oggetto sottobraccio.
Artù, i cavalieri, Gwen e Merlino rimasero fermi sul posto, dispiaciuti, a fissarlo mentre si allontanava mesto e dolorante. Poi, tutti si apprestarono a riprendere a malincuore i propri doveri, tranne sir Galvano, che attese che il medico fosse abbastanza lontano.
«Ahm, Merlino?!»
Prima che il cavaliere potesse aggiungere qualcosa, Merlino gli fece un cenno d’intesa e gli lanciò un tiepido sorriso.
«Sì, Galvano. Non ti preoccupare! Ci penso io a riportarvela!»
 
***
 
Il mattino seguente Merlino aveva approfittato di un momento di quiete in cui era libero dai suoi compiti di servitore e si era recato al cortile di allenamento per riconsegnare la pila che il giorno precedente Gaius aveva portato via con sé. Nell’attesa che qualcuno dei cavalieri lo raggiungesse, aveva iniziato a colpire la sfera con piccoli calcetti, che erano diventati sempre più insistenti. Aveva anche provato ad imitare una finta con cui Lancillotto aveva abilmente lasciato sul posto Elyan. Poi, si era dedicato a replicare un tiro magistrale che aveva visto eseguire ad Artù, utilizzando il muro di una rimessa lì vicino come bersaglio. Il giovane mago trovava quel passatempo davvero magnetico perché spingeva il partecipante a fare di più, a dare il meglio di sé. Nonostante non fosse predisposto per le prove fisiche, si sentì stranamente a suo agio nel calciare quella vescica e andò avanti per un po’. Fu così che si ritrovò a spingerla sempre più lontano fino a che un calcio secco non la fece alzare molto, troppo, e uscire dal suo campo visivo, rendendogli impossibile anche usare la magia per recuperarla. E…
Crash!
Il rumore di vetri infranti fu piuttosto eloquente e Merlino si colpì in faccia con una mano per quello che la sua disattenzione aveva causato. Poi, si voltò piano alla ricerca della finestra che aveva rotto. Non servì cercare troppo a lungo, perché Artù si era appena affacciato dalla sua stanza con la pila in mano e stava guardando fisso nella sua direzione. Allo stesso modo, non gli servì vedere il suo volto per capire che lo stava fulminando con lo sguardo proprio in quel preciso momento. Il principe non cercò parole elaborate per rimproverare il servitore. Anzi, ci fu un lungo silenzio seguito soltanto da:
«MERLINOOOOOOO!!!!!!»
   
 
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