Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: Quebec    02/10/2023    1 recensioni
Un incubo. Un libro. Follia e gelosia. Matt dovrà combattere contro un subdolo nemico, se stesso.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

1.
C'era una luce sotto il mio letto. Una luce rossastra che baluginava sulle pareti e pulsava come un lampeggiante. Forse stavo sognando, oppure no. Mi sporsi dal materasso e guardai giù.
Una mano cadaverica sbucò da sotto il letto e mi strinse il collo, le dita che premevano sulla pelle, le unghie che mi laceravano la carne. Urlai per il dolore, ma non avevo voce.
Mi svegliai.
Ero nel mio letto e sudavo copiosamente con il cuore che mi martellava nel petto. Era stato solo un incubo. Un orrendo incubo. Guardai sotto il mio letto. Nessuna luce. Niente di niente.

 

— Sembrava reale — dissi. — Quella mano... era reale.
Io e Garry sedevamo a un tavolino fuori dal bar. C'erano molte persone attorno a noi.
Lui beveva un sorso di caffè dalla tazzina. — Non ti fa bene restare alzato fino a tardi.
— Ma non c'entra niente con i miei incubi — risposi. — Sono sempre stato un nottambulo. E poi soffro d'insonnia, lo sai. Credo che significhi qualcosa.
— Cosa? — chiese Garry. — Per me non significa niente. E poi fai sempre lo stesso sogno ogni notte. Devi rilassarti.
Soffiai sul mio caffelatte bollente. — Perché non mi credi?
— Dici sul serio?
— Sono serio, sì.
Garry scosse la testa con un sorriso e bevve un altro sorriso di caffè. — Devi farti vedere da uno bravo.
— Sì, scherza pure. Ma ti dico che quell'incubo significa qualcosa.

Verso sera mi sedetti sul divano con il portatile in grembo e cercai sul web il significato del mio sogno. Non sapevo bene come fare una ricerca mirata, così andai a tentoni. Cercai il significato del colore rossastro nel sogno, della mano cadaverica, della mia stanza. Cercai ovunque, ma trovai solo vaghe risposte. Ogni sito diceva le stesse cose e sembrava una copia di quello precedente.
Ero sicuro che il mio incubo significava qualcosa. Lo sentivo nella pelle. Una sensazione sgradevole che cercava di mettermi in guardia. Da cosa? Non lo so. Ma ero deciso a scoprirlo.
Continuai a cercare per tre ore, poi mi addormentai per la stanchezza.

 

L'indomani, a pausa pranzo, andai a mangiare un boccone nella tavola calda dall'altra parte della strada.
Garry mi raggiunse poco dopo. — Hai saputo di Courtney? È stata licenziata.
Aggrottai la fronte. — Cosa? Perché?
— Non lo so, ma ho sentito dire che ci saranno tagli al personale. Spero di non essere il prossimo. Questo lavoro mi serve. Fa schifo, ma mi serve. Ho due figli da mantenere.
Non risposi. Non mi importava molto di essere licenziato. Lavoravo come magazziniere in una delle grandi catene di supermercati degli Stati Uniti. Avrei trovato qualcos'altro da fare. La cosa più importante era il mio incubo, il suo significato.
— Mi hai sentito? — chiese Garry.
Annuii.
— Non ti frega niente?
— Certo, che mi frega — mentii. — E solo che è inutile pensarci. Se ci vogliono licenziare, lo faranno.
Una cameriera sui trent'anni raggiunse il nostro tavolo. Garry le lanciò un'occhiata.
— Altro caffè? — domandò lei.
— Sì, grazie — risposi.
— Anche per me — disse Garry.
La cameriera ci versò il caffè con un sorriso e si allontanò.
— Perché non la inviti a uscire? — chiese Garry. — Hai bisogno di svagarti, uscire di casa. Se non fossi spostato, l'avrei fatto io.
— Non è una buona idea — risposi, cupo.
— Perché?
— Perché... perché non le piaccio.
— Se non glielo chiedi, non lo saprai mai. Ma sono sicuro che le piaci. Si vede da come ti guarda.
Soffiai nella tazza e bevvi un sorso di caffè. Il mio incubo era più importante e non aveva né la testa né la voglia di stare con una donna.

 

Verso le sette e mezza di sera parcheggiai la mia auto nello spiazzo davanti alla biblioteca. Un edificio di due piani al centro di un grande giardino curato. Varcai la porta.
C'erano centinaia di scaffali pieni di libri e dozzine di persone sedute ai tavoli o sparsi nella grande sala.
Raggiunsi l'anziana donna alla reception e le chiesi se avesse dei libri sui sogni.
Lei pigiò alcuni tasti sulla tastiera del computer e osservò lo schermo per un momento. — Sì, fila ventidue. — Puntò il dito ringrinzito verso un punto lontano della sala. — Lo vede lo scaffale vicino alle scale? Lì ci sono i libri che cerca.
— Grazie — dissi.
Attraversai la sala e mi fermai davanti allo scaffale. C'erano solo una ventina di libri. Ne presi uno e lo scrutai. Sembrava vecchio di trent'anni. Lo aprii e lo lessi a saltelli. Non era quello che cercavo. Lo riposi e ne sfogliai altri, finché ne beccai uno interessante.
Andai a sedermi. Non era il solito libro sul mondo dei sogni. Era scritto in modo criptico, assai inquietante. L'autore era un certo Thomas Blake, un inglese affascinato dall'esoterismo. Nella sua mini biografia c'era scritto che aveva vissuto per venti anni da solo arroccato in un caseggiato in rovina in mezzo alle montagne. Non diceva dove, ma spiegava che questo lo aveva portato alla conoscenza divina. Aveva incontrato un essere che lui chiamava Dio e gli aveva detto di scrivere quel libro. Poi era impazzito e aveva ucciso il suo amico. Non si era mai capito il motivo, ma si diceva che fosse stato a causa del libro che aveva scritto. L'amico gliela aveva rubato e lui l'aveva ucciso. Personalmente non credevo a quella storia, perché sembrava troppo surreale. Uccidere per un libro? Era da pazzi.
Girai pagina e cominciai a leggere il primo capitolo. Le parole scorrevano inquietanti e strane, le frasi si ammassavano nella mia mente e un tremolio strano mi pervase la testa.
Smisi di leggere.
Che stava succedendo? Che il libro fosse davvero in grado di far impazzire la gente? No, era ridicolo.
Mi voltai.
La gente era sparita e regnava un silenzio spettrale. Tutte le luci erano spente, tranne quella che illuminava il mio tavolo. Ero circondato dall'oscurità. Un'oscurità impenetrabile. Non riuscivo a scorgere nemmeno le luci dei lampioni fuori dalle grandi vetrate.
Il cuore mi batteva all'impazzata. — C'è nessuno?
Silenzio.
— C'è qualcuno?
Mi guardai attorno. Solo una parete oscura che mi cingeva da ogni lato. Ci allungai una mano e quella sparii nel buio. Sbarrai gli occhi e ritrassi la mano, sconvolto. C'era un moncone al suo posto. Indietreggiai e mi ritrovai col sedere sul pavimento. Le gambe avevano ceduto. Non le sentivo più. Cercavo di muoverle, ma quelle erano pesanti come macigni. Sudavo freddo e avevo la gola secca.
— Volavano troppo in alto — bisbigliò una voce da donna attorno a me.
Sobbalzai e lanciai sguardi in tutte le direzione in preda al panico. — Chi c'è? Chi sei?
Una forte luce rossastra mi accecò per un momento. Giungeva a diversi metri da me e illuminava un corridoio fiancheggiato da scaffali pieni di libri. La luce si affievolì lentamente e una porta di legno si aprì con un cigolio.
Una figura era ferma sulla soglia.

 

2.
Mi svegliai.
Ero seduto sul divano del mio appartamento con il libro dei sogni tra le mani. Fissai la copertina in cui c'era una donna vestita con lungo vestito bianco che danzava sotto la luna piena e sopra la scritta, Il sogno un lungo abisso.
Mi accigliai, confuso. Cos'era successo? Perché ero nel mio appartamento? Perché non ricordavo niente?
Posai il libro sul divano, mi alzai e andai alla finestra. La strada sottostante era deserta e il cielo era di un nero pece senza stelle. C'era un silenzio inquietante. Nel quartiere in cui abitavo c'era sempre un via vai di veicoli che sfrecciavano a tutte le ore e gente che strillava senza motivo. Ora sembrava che non ci fosse più nessuno. Che stessi sognando?
Mi pizzicati il braccio e smorzai un gemito di dolore. No, era tutto reale.
Raggiunsi il divano, presi il libro e lo aprii. Il frontespizio era bianco. Nessuna parola, nessuna frase. Niente di niente. Aggrottai la fronte, turbato. Sfogliai rapidamente le altre pagine e mi fermai. Il libro era vuoto. Lo chiusi e lo gettai sul divano.
Mi guardai intorno, confuso. Il soggiorno era avvolto dalla penombra e il fascio di luce di un lampione illuminava un quadro paesaggistico acquistato mesi fa da un pittore in Nebraska. C'era qualcosa di strano in quel dipinto. Mi avvicinai. Le fronde dei pini, un tempo verdi, ora erano neri. E una strana figura era vicino al ruscello. Quella figura non era mai stata lì. Era la stessa del mio sogno. Ora ricordavo.
Arretrai, confuso. Non stavo capendo più niente. Che diavolo stava succedendo?
La figura prese a camminare nel dipinto. Avanzava con passo deciso verso di me e la sua sagoma vibrava come una sorta di interferenza.
Corsi verso la porta e girai la maniglia. Non andava. Sembrava bloccata. Girai e tirai freneticamente, finché qualcosa cadde alle mie spalle. Mi voltai, terrorizzato.
La figura era in piedi davanti al dipinto. Era grigia e senza volto. Le linee del corpo ricordavano le curve sottili di una donna e una soffusa luce rossastra le pulsava nel petto.
La fissai tremante per un momento. Non avevo mai avuto così paura in tutta la mia vita.
La figura si mosse verso di me. Mi voltai e girai la maniglia come un matto, la fronte imperlata di sudore. — Apriti! Apriti! Apriti!

Mi scusi disse una voce da donna alle mie spalle.
Mi voltai, frastornato. Ero di nuovo in biblioteca.
Dobbiamo chiudere continuò la bibliotecaria. Poi aggrottò la fronte, preoccupata. Si sente bene?
Cosa diavolo era successo? Sì, sto bene. Grazie.
La donna si allontanò.
Abbassai lo sguardo sul libro dei sogni. Ero arrivato a pagina ventuno e una frase mi saltò all'occhio. Volarono troppo in alto per sfiorare le nuvole e le nuvole sfiorarono le loro menti. Una fitta dolorosa mi costrinse a chiudere gli occhi e smorzai un grido di dolore. La testa mi pulsava e mi coprii gli occhi infastidito dalla luce. Cosa diavolo mi stava succedendo?

 

Una volta a casa, passai tutta la notte a leggere il libro seduto al balcone. Più leggevo, più mi sentivo strano. Mi sembrava di essere un altro. Qualcuno che era sempre stato nelle mia testa. Un prigioniero a lungo dimenticato. La luce rossastra doveva essere una sorta di collegamento tra me e lei. Un ponte che legava i nostri spiriti. Ma non capivo cosa significasse la sagoma che era uscita dal dipinto.
Sollevai gli occhi dal libro. Il cielo era grigio dietro i tetti dei palazzi e il sole stava per sorgere. Guardai l'orologio al polso, le sei e ventuno minuti. Dovevo prepararmi per andare a lavoro.
Passai tutto il giorno a pensare a ciò che mi era accaduto. Mi sentivo strano, alienato. Mi era apparso tutto reale. Non poteva essere un sogno. Le sensazioni che aveva provato erano state palpabili, reali.
Evitai di parlarne con Garry, perché non avrebbe capito. Qualcosa mi diceva di non farne parola con nessuno, che il libro era solo mio. In che senso era solo mio? Non capivo. Ma la stessa vocina mi diceva che presto lo avrei capito.
Stavo diventando matto? Sentivo una specie di voce nella mia testa e non era la mia. Assomigliava a quella della strana sagoma, una voce da donna. E poi c'era quel prigioniero nella mia testa. Adesso lo sentivo in modo chiaro e riuscivo persino a scorgerlo nella mia mente. Era me. Ero io. Ero nessuno e tutto. E lui mi parlava del libro. Mi diceva quanto fosse importante. Più importante della mia stessa vita. Io non avevo la forza di rispondere. Annuivo e basta. Ero ipnotizzato.
Per tutto il giorno vagai nel magazzino come un fantasma. I miei colleghi mi guardavano in modo strano e mi sparlavano alle spalle. Sentivo i loro bisbigli, gli sguardi puntati su di me, le loro risatine. Stava succedendo qualcosa che io ignoravo. Forse stavo facendo qualcosa di strano, qualcosa che non apparteneva al mio modo di fare. Eppure lavoravo, non facevo altro. Ero solo prigioniero del mio prigioniero.

 

Dopo il lavoro tornai a casa. Non ricordavo nulla di quello che avevo fatto a lavoro. Più mi sforzavo di capire, più tutto si faceva distante. Perché non ricordavo nulla? Perché avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di strano in me, come una presenza che serpeggiava silente nella mia mente?
Presi il libro dal basso tavolino del soggiorno e mi accigliai con fare turbato. Ricordavo di averlo lasciato a pagina trentuno, ma ora era a pagina cinquantatré. Che fosse stato il vento? Lanciai uno sguardo alla porta-finestra del balcone, ma era chiusa. Guardai di nuovo il libro. Qualcuno aveva girato di nuovo le pagine.
Mi guardai attorno, nervoso. — C'è qualcuno?
Mi aggirai e controllai ogni angolo dell'appartamento. Niente e nessuno.
Fissai il libro. Ora la pagina era girata a pagina settantasette. Aggrottai la fronte e lanciai uno sguardo alle mie spalle, spaventato. Doveva esserci per forza qualcuno. Le pagine non si sfogliavano da sole. E se c'era qualcuno, allora come aveva fatto a girare le pagine? Avevo il libro in mano. Non poteva averlo fatto senza che me ne accorgessi.
C'era un fantasma?
Sbarrai gli occhi e mi diressi rapidamente alla porta d'ingresso. Quando posai la mano sulla maniglia, una luce rossastra si propagò alle mie spalle. Restai fermo con un groppo in gola. Non osavo girarmi per paura di vedere cosa ci fosse dietro di me. La sagome con lineamenti femminili? Oppure qualcos'altro?
La luce diventava più intesa mentre si avvicinava a me. Mi voltai di scatto e la luce svanì, come se non ci fosse mai stata. Tutto era normale. Gli ultimi spiragli del sole illuminavano il soggiorno e dalla finestra scorgevo il cielo rosato dietro i palazzi. Cosa diavolo era successo? Stavo impazzendo?

 

3.
Quella sera dormii poco e male. Avevo tutte le luci accese e il cuore che mi batteva in gola. Ingigantivo ogni rumore e scrutavo ogni angolo della stanza. Ero in totale paranoia. Avevo pensato di andare a dormire in un hotel, ma le stanze costavano un occhio. E poi non ero sicuro che quella cosa non apparisse anche là assieme allo strano bagliore rossastro.
Così me ne stavo seduto sul letto, il libro stretto tra le braccia. Non sapevo perché l'avevo portato persino nel letto, ma non riuscivo a distaccarmici. Qualcosa mi diceva di tenerlo stretto. E più cercavo di capire il motivo, più la mia mente si annebbiava. Non riuscivo nemmeno a pensare a cosa avessi fatto per tutto il giorno. Continuavo a perdere pezzi di ricordi, fette importante della mia vita. Non ricordavo più la mia infanzia, i volti dei miei genitori. E non ricordavo più nemmeno perché fossi qui. Lavoravo? Ero sposato? Chi ero?
L'alba giunse dopo un'eternità. L'ansia mi aveva lacerato l'anima e ogni suono era ingigantito. Mi alzai con un improvviso conato di vomito e mi precipitai in bagno a vomitare bile. I conati erano così forte che mi faceva male lo stomaco e mi mancava l'aria. Annaspavo per respirare e poi tornavo a rimettere.
Poi vomitai vermi.
Mi allontanai velocemente dal gabinetto con gli occhi sbarrati. I vermi si contorcevano ai piedi del gabinetto. Abbassai lo sguardo e mi scacciai i vermi da sopra i pantaloni e la maglietta. Scalciavo e mi dimenavo come un matto, finché mi resi conto che scacciavo il nulla.
Restai immobile per un momento. Mi ero immaginato tutto. Come diavolo era possibile? Mi alzai e guardai dentro il gabinetto. Nessun verme.
Mi guardai intorno, turbato. Poi il libro si palesò nella mia mente e corsi verso il letto. Era sparito. Il libro era sparito.
Rivoltai le lenzuola e il materasso in preda all'ansia. Mi sentivo morire. Non poteva essere sparito. Era qui fino a un momento fa. Forse lo avevo portato in bagno? No, era sul letto. Ricordavo di averlo lasciato qui.
Mi voltai a guardare ogni angolo della camera da letto, poi incominciai a mettere sotto sopra tutto. Cacciai magliette e pantaloni fuori dall'armadio e mutande e calzini dai cassetti. Aprii il case del computer per vedere se era lì dentro. Non stavo capendo più niente.
Mi sentivo morire. Morire!
Ero impazzito. Quel libro era mio. Mio! Lo avevo trovato io. Nessuno poteva averlo.
Girai per tutto l'appartamento con gli occhi sbarrati. Setacciai ogni angolo, ma non trovai nulla. Strinsi le mani a pugno e lanciai un urlo disperato. Poi mi accasciai sul pavimento a piangere. Non so cosa mi stava succedendo, ma non avevo più il controllo delle mie emozioni. Fluivano prorompenti senza nessun limite. Mi governavano, mi tormentavano e mi schernivano. Volevo solo il libro. Il mio libro! Era l'unica cosa a cui riuscivo a pensare.

 

L'indomani qualcuno bussò alla porta. Io me ne stavo rannicchiato in un angolo del soggiorno con gli occhi arrossati per il pianto e per la rabbia. Per tutta la notte non avevo fatto altro che pensare al libro. Il mio libro! Piangevo e reprimevo le urla. Mi sentivo come un bambino a cui avevano rubato il suo giocattolo preferito.
Mi alzai e andai a sbirciare dallo spioncino. Era un uomo sui trent'anni, spalle larghe e mascella squadrata. Aveva gli occhi azzurri, il naso a patata e portava i capelli biondi pettinati tutti da un lato. La sua faccia mi era tremendamente familiare, ma non riuscivo a capire dove lo avessi visto.
L'uomo bussò di nuovo. — Lo so che sei in casa, Matt. Ho visto la tua ombra sotto la porta. Forza, apri.
Sgranai gli occhi. Era Garry. Come avevo fatto a dimenticarmi di lui? Aprii la porta.
Lui mi guardò, turbato. — Ma...
Lo trascinai dentro per un braccio e chiusi la porta. Iniziai a fare avanti e indietro. — Ho perso il libro. Devi aiutarmi. — Scoppiai a piangere e caddi sulle ginocchia. — Ti prego, devi aiutarmi. Non posso vivere senza quel libro. Non posso!
Garry restò impalato per un momento. Ero confuso. Non mi ero mai mostrato così vulnerabile davanti a lui. Anzi, ero io quello forte. Quello che lo sosteneva quando aveva gli attacchi di panico. E ora le parti si erano invertite.
Garry mi prese per le braccia e mi fece alzare. — Che ti è successo? Cos'hai? Sei malato?
Lo guardai negli occhi. — Aiutami a trovare il libro. Ti prego! Ti supplico!
Garry mi fissava, sconvolto. — Quale libro?
— Il libro dei sogni. È sparito. L'avevo lasciato sul letto, poi... poi è sparito. Non so dove sia. È sparito!
— Ehi, rilassati. Sei troppo agitato.
— Non posso calmarmi. Ho perso il libro, lo capisci? È il mio libro! Mio!
Garry arretrò di un passo con fare turbato. — Sono sicuro che è qui. Magari lo hai messo da qualche parte e te ne sei dimenticato.
Lanciai uno sguardo nel soggiorno. Ero nel panico più totale. Sudavo freddo e avevo le labbra secche. Avevo controllato da cima a fondo l'intero appartamento. Lo avevo fatto più volte e non avevo trovato niente.
— Cerchiamolo insieme — disse Garry.
— L'ho già fatto! — risposi, nervoso. — Non c'è. È sparito!
— In che senso è sparito?
— È sparito! Svanito nel nulla! Prima era qui, poi non più.
Garry mi guardò, perplesso. — È un libro. Non può svanire nel nulla. Sicuro che l'hai lasciato sul letto?
— Ti ho detto di sì! — urlai. — L'ho lasciato lì! È così difficile da capire?!
Garry non rispose.
Sapevo di essermi comportato male. Non dovevo gridargli in faccia, ma ero disperato. Avevo perso il mio libro. Era svanito nel nulla. Non potevo perderlo. Era mio!
Garry si guardò attorno e iniziò a girare per l'appartamento. Voleva aiutarmi, anche se mi ero comportato male. Mi sentivo uno schifo. Uno schifo di amico. Era il mio migliore amico e io lo avevo trattato male. Non se lo meritava. Eppure c'era qualcosa che spazzava via il mio senso di colpa. Un pensiero ossessivo che mi faceva ribollire il sangue. La cosa più importante, più della mia stessa vita. Il libro!
Garry uscì dalla camera da letto e mi raggiunse in cucina. In mano aveva un libro. Il mio libro. — È questo? L'ho trovato in bagno. Era nella vasca.
Sgranai gli occhi per la gioia e glielo strappai di mano. Lo strinsi forte al mio petto, scoppiai a piangere. Singhiozzavo come un bambino.
Garry mi fissava, interdetto. — È soltanto un libro. Perché stai dando di matto?
Fu una pugnalata allo stomaco. Un dolore atroce che mi risalii lungo le mie interiora fino al cervello. La testa mi pulsava, mi formicolava e percepivo un sapore ferreo in bocca. Le mani mi tremavano e il mio sguardo era piantato su Garry. Sangue e morte, mi ripeteva la vocina in testa. — Mi hai rubato il libro! Ce l'avevi tu!
Garry si accigliò, confuso. — Io? Ma che stai dicendo? Perché dovevo averlo io? E poi quando l'avrei rubato? Sono arrivato un minuto fa.
I miei occhi erano due strette fessure infernali. Immaginavo il collo di Garry reciso, il sangue che sgorgava dalla ferita. Era un ladro. Aveva rubato il mio libro. E doveva pagare.
Garry indietreggiò. — Non mi piace il tuo sguardo.
Afferrai il coltello sul ripiano della cucina e mi lanciai contro di lui.
Garry mi bloccò il braccio con cui impugnavo il coltello — Ehi! Che cazzo fai?! Sei impazzito!?
— Devi morire! — urlai con gli occhi spiritati. — Hai rubato il mio libro! Lo volevi tutto per te! Ma è mio! Solo mio! Tu non l'avrai mai!
Garry mi spinse sul divano e si precipitò verso la porta d'ingresso. Io scattai in piedi e gli corsi dietro. Appena lui girò la maniglia, gli afferrai la testa e gliela sbattei contro la porta e lo spinsi per terra.
Garry mi guardò, stordito e incredulo.
Mi misi a cavalcioni su di lui e gli piantai il coltello nel petto. Una, due, tre, otto, venti volte. Il sangue sgorgava dal suo petto squarciato e si allargava sul pavimento. I suoi occhi mi guardavano e non mi guardavano. Cercava ancora di proteggersi, di scacciarmi via, ma i suoi movimenti erano molto deboli e io lo volevo morto. Morto! Aveva rubato il mio libro!
Gli piantai la lama nel petto ancora e ancora. Non riuscivo a fermarmi. Era come se qualcosa si fosse impossessato di me.
Garry non si mosse più.
Mi tirai in piedi con il fiatone, il coltello insanguinato in una mano e il libro macchiato di sangue nell'altra. Non avevo mollato il libro nemmeno per un secondo. Non potevo separarmici. Era mio!
Poi la nebbia si diradò nella mia mente e sgranai gli occhi, sconvolto.
Cosa avevo fatto? Guardai il coltello e il libro stretti nelle mani lorde di sangue e li lasciai cadere. Arretrai, schifato. Avevo ucciso Garry. Perché? Perché l'avevo fatto? Ero confuso e non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla sua faccia, i suoi occhi fissi al soffitto. Non si muoveva più. Avevo ucciso Garry! L'avevo ucciso!
Caddi in ginocchio accanto a lui e piansi. Non volevo ucciderlo. Non volevo.
Un lampo di luce rossastro mi accecò per un momento. La sagoma con i lineamenti femminili era davanti a me, il cuore rosso che le pulsava nel petto scuro. Raccolse il libro insanguinato. — Volarono troppo in alto per sfiorare le nuvole e le nuvole sfiorarono le loro menti. Sognavano ogni notte e ogni notte non ricordavano nulla. La realtà li attirava come falene alla luce e come falene morivano ogni mattino. Il caos della follia, la quiete nei sensi.
La figura si smaterializzò con un lampo accecante rossastro. La porta si spalancò e quattro agenti di polizia irruppero nell'appartamento, le pistole puntate contro di me.
Alzai le mani. — Non sparate! Non sparate!
Un poliziotto mi mise le mani dietro la schiena e poi le manette. Mi disse che ero in arresto, che tutto quello che dicevo sarebbe stato usato contro di me e che avevo diritto a un avvocato. Mentre mi portavano fuori, scorsi sopra la porta una falena disegnata con il sangue. Chi l'aveva fatta? La figura? Io? Chi? Sotto la falena c'era una scritta dalle cui lettere colava del sangue.
Morire per rinascere domani.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: Quebec