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Autore: FluffyHobbit    04/10/2023    0 recensioni
[Un Professore]
One shot originariamente scritta per la Simuel challenge "Onemoretales", qui in versione estesa.
Ispirata alla canzone "Andrea" di Fabrizio De André.
Tw: morte
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Manuel era seduto ai piedi di un grande mandarino i cui rami proiettavano un'ampia ombra sull'erba soffice, da solo.

Il Sole stava scomparendo dietro la linea dell'orizzonte ed il cielo era di un arancio acceso, ma Manuel lo vedeva di un cupo grigio. C'era un venticello leggero, caldo e morbido, inusuale per dicembre, che gli accarezzava il viso e sfiorava i capelli, ma a lui sembrava un vento di bufera, freddo e pungente, di quelli che entrano sotto la pelle e ti congelano fino alle ossa. Non gli pareva possibile che ci fossero cose belle al mondo, non più, dopo ciò che era successo.

Tra le mani stringeva due lettere, entrambe datate ad un paio di mesi addietro, che aveva letto e riletto innumerevoli volte tanto da averle imparate a memoria, nella speranza di aver inteso male qualcosa, ma il contenuto non cambiava mai.

La prima era un foglio di pergamena giallastro, spesso e ruvido al tatto, ripiegato accuratamente a metà, giunto in una busta chiusa da un sigillo di cera rosso. In poche righe vergate con inchiostro nero in un'elegante grafia corsiva annunciava cosa fosse successo: Simone Balestra, soldato del regno, è caduto sui monti di Trento il dì 24 ottobre 1917. In basso a destra, ad ufficializzare quel messaggio, chiudeva la firma d'oro del Re. A Manuel tutta quell'eleganza sembrava grottesca, oltre che un insulto a chi era stato mandato a morire da un porco coronato che se ne stava al sicuro nel suo porcile di marmo e velluto.

La seconda, invece, era un foglio più modesto, praticamente di carta velina dato che quella vera era impossibile da trovare, così sottile che ci si poteva quasi vedere attraverso e che il mittente aveva ripiegato in quattro parti per cercare di darle un po' più di spessore prima di infilarla in una busta stropicciata. In fitte righe che ricoprivano tutta la superficie disponibile del piccolo foglio, tracciate con una grafia incerta e tremolante, in stampatello, raccontava il come ed il perché: la lettera era stata scritta e firmata da un certo Matteo, un uomo che Manuel non conosceva di persona, ma di cui Simone gli aveva parlato nelle poche lettere che era riuscito a spedirgli dal fronte, dicendogli che era uno dei pochi amici che era riuscito a farsi lì e che lo aveva aiutato molto ad ambientarsi in quella situazione del tutto nuova per lui. Matteo aveva a propria volta saputo di Manuel dai racconti di Simone -dimostrazione di quanto quest'ultimo si fidasse di lui-, e per questo aveva deciso di scrivergli. Simone, diceva Matteo nella lettera, era morto per salvarlo. Gli si era gettato addosso durante un attacco nemico e gli aveva fatto da scudo con il suo corpo, salvandolo dai colpi della mitragliatrice. Con il suo sacrificio non aveva salvato soltanto lui, ma anche Chicca, la moglie che Matteo aveva lasciato a casa, ed il bambino che stava per nascere. Se fosse stato maschio, ci teneva a precisare il soldato, l'avrebbero chiamato Simone, Simona invece se fosse stata femmina. A Manuel quel gesto di riconoscenza parve più che sincero, e pianse anche per quello.

Lui e Simone si erano conosciuti, se così si poteva dire viste le circostanze, tre anni prima, ancora adolescenti, e non avevano mai smesso di ringraziare il Destino, la Provvidenza, o quel che era, per averli fatti incontrare.

Simone era un contadino, viveva da solo nell'antica villa che i genitori gli avevano lasciato ormai da più di un anno, e pur essendo ancora molto giovane gestiva la fattoria sulla quale sorgeva. Si occupava dei campi e degli animali senza aiuti, preferiva fare tutto da sé, e viveva dei frutti del proprio lavoro, vendendo o barattando ciò che aveva in più per ciò che non poteva procurarsi autonomamente, come vestiti o attrezzi nuovi, o medicine quando servivano. Era un'esistenza semplice, a tratti dura, ma gli piaceva.

Manuel, invece, aveva sempre vissuto in città; anche lui era rimasto orfano, ma molti anni prima, da bambino, e dopo pochi anni trascorsi in un istituto religioso dal quale era scappato, la propria casa era stata la strada. Si arrangiava con qualche piccolo lavoretto e, più spesso, furtarello, con i quali guadagnava il tanto che bastava per mettere un tozzo di pane sotto ai denti e bagnarsi la gola con litri di vino scadente, che lo aiutava a non pensare. Era un'esistenza che a stento poteva definirsi tale, infima ed infame, ma non riusciva a cambiarla.

Simone aveva trovato Manuel un giorno in cui si era recato al mercato, tutto rattrappito sulle scale di una chiesa. All'inizio gli era sembrato un mucchio di stracci, poi avvicinandosi si era accorto che si trattava di una persona, una persona che respirava ancora, anche se a fatica ed anche se aveva la pelle gelida. Aveva fatto molto freddo, quella notte. Senza esitare l'aveva preso in braccio -non pesava praticamente niente, aveva trasportato sacchi di patate ben più pesanti di lui- e l'aveva caricato sul carretto trainato da Fulmine, il suo fidato ed in realtà lentissimo asinello che però, capita forse l'urgenza della situazione, per una volta aveva fatto onore al suo nome.
Una volta arrivati a casa, Simone l'aveva fatto stendere nel proprio letto, che era il più confortevole, -il ragazzo era ancora incosciente- ed aveva atteso che si svegliasse. Non aveva pensato ai rischi che correva nel portarsi uno sconosciuto a casa, ma ora che lo vedeva, con i suoi riccioli sporchi e spettinati ed il suo viso emaciato e pallido che sembrava quello di un Cristo in croce, era certo di non correrne alcuno.

Da quando Manuel si era svegliato, Simone non aveva smesso un attimo di prendersi cura di lui come se fosse stato un cucciolo o un bambino: gli aveva dato da mangiare -più di quanto Manuel avesse mai mangiato in vita propria-, gli aveva preparato bagni caldi, dato vestiti nuovi e, soprattutto, gestito le sue crisi di astinenza da vino senza mai chiedere nulla in cambio.

Manuel, in poco tempo, aveva recuperato colore e sorriso. Si era offerto, una volta rimessosi in sesto, di aiutare Simone nel lavoro nei campi, ma questo richiedeva una praticità che Manuel non aveva, oltre che una prestanza fisica che poteva soltanto sognarsi -e a tal proposito Simone lo prendeva affettuosamente in giro dicendogli cose del tipo: 'Secco come sei, fai concorrenza al manico della zappa.', che tuttavia non erano mai insulti-, e così Simone gli aveva detto che bastava gli facesse compagnia mentre lui lavorava.

Nessuno dei due aveva pensato di andarsene o di mandare via l'altro, separarsi non era proprio un'opzione.

Manuel, allora, per adempiere a quel compito meglio che poteva, si era trasformato in un'autentica radio vivente e passava ore intere a leggere per Simone storie e poesie dai libri dell'immensa biblioteca che il padre Dante, contadino anche lui ma con la passione della lettura, aveva formato negli anni, oppure ideate sul momento da lui stesso, delle quali non mancava mai di annotare i dettagli per poi trascriverle in seguito, perché sapeva che a Simone piaceva anche riascoltarle.

L'amore era sbocciato da sé nel giro di poche settimane, improvviso e spontaneo come un fiore in un campo. Si erano costruiti una vita tranquilla, scandita da un ritmo che suonavano insieme, erano felici. Poi, qualche mese prima, la loro musica era stata stravolta: Simone aveva ricevuto la lettera di convocazione per il servizio militare, che lo obbligava a recarsi in una caserma fuori Roma per sostenere la visita medica prevista per determinare l'idoneità all'arruolamento. Manuel aveva ricevuto la stessa lettera un anno addietro, ma era stato scartato per insufficienza toracica e collocato tra le riserve, la carne da macello chiamata nei casi di più estrema necessità; Simone, invece, era forte e robusto, passò la visita senza difficoltà e gli fu detto di avere una settimana di tempo per recarsi presso una caserma di Napoli dove cominciare l'addestramento. Manuel, in quel momento, si sentì morire dentro: subito propose a Simone di non partire, lo implorò di non farlo, suggerendo di vendere la fattoria e tutto ciò che avevano per tentare un viaggio verso la Svizzera, dove la guerra non c'era e avrebbero potuto ricominciare una nuova vita. Attraversare il confine illegalmente sarebbe stato rischioso, ne era perfettamente consapevole, ma andare al fronte significava tuffarsi tra le braccia della morte.

Simone, però, nonostante tutte le sue preghiere e tutti i discorsi fatti nel tentativo di convincerlo, aveva deciso comunque di donare il proprio corpo alla Patria, perché credeva che fosse il proprio dovere. La Patria, tuttavia, non era stata altrettanto premurosa nei suoi confronti ed aveva gettato via il suo corpo come si fa con un giocattolo rotto: non sarebbe stato restituito alla famiglia -dunque a Manuel, dato che Simone non aveva nessun altro- perché troppo complicato da recuperare e trasportare, come era precisato nella prima lettera, quella del Re. A Manuel, del suo Simone, non restavano altro che le poche ciocche di riccioli neri che Matteo aveva frettolosamente tagliato con il suo coltellino e che gli aveva spedito insieme alla seconda lettera, in cui tra l'altro lo informava anche di aver provveduto a seppellire Simone in una buca che aveva scavato con le proprie mani per non lasciarlo alla mercé di animali ed intemperie.

La notte prima che Simone partisse, nessuno dei due aveva chiuso occhio: se n'erano stati a letto, stretti l'uno all'altro come a voler fondersi in un unico corpo, a guardarsi ed accarezzarsi, a sussurrarsi parole che si perdevano nel silenzio della stanza, per tenere con sé ogni dettaglio della propria metà che veniva strappata via dal destino. In quei lunghi mesi, a Manuel era spesso capitato di credere che Simone non se ne fosse mai andato: gli sembrava di sentire il suo corpo caldo accanto al proprio quando dormiva, una sua carezza calda e leggera quando si svegliava ma non apriva ancora gli occhi, la sua voce che lo chiamava da un'altra stanza, la sua risata morbida e fanciullesca quando uno dei loro animali faceva qualcosa di buffo, ma tutte le volte doveva ricredersi. Era solo.

Ciononostante, non era rimasto a crogiolarsi in quel vuoto, anche se lo sentiva pesante in mezzo al petto, si era rimboccato le maniche e aveva messo tutto se stesso nell'occuparsi della fattoria. Impiegava il doppio del tempo per fare metà del lavoro che Simone normalmente svolgeva, ma era comunque soddisfatto perché i campi erano in ordine, gli animali curati, con qualche sacrificio in più stava anche riuscendo a mettere da parte un gruzzoletto con il quale concedersi qualche piccolo lusso quando sarebbero stati di nuovo insieme, insomma Simone al suo ritorno avrebbe trovato tutto come, più o meno, l'aveva lasciato e ne sarebbe stato felice. Ma ora sapeva che Simone non sarebbe tornato, e allora che senso aveva occuparsi di tutto il resto?

Il Sole era ormai calato, il cielo aveva indossato il suo manto notturno, e Manuel si alzò, stringendo ancora le lettere in una mano. Si avvicinò ad un pozzo in pietra grezza che chissà da quanto tempo era lì e chissà per quanto lo sarebbe stato ancora, e si fermò ad uno o due passi di distanza: stava aspettando quel momento da tutto il giorno.

Il pozzo non faceva parte della fattoria Balestra, sorgeva fuori, in aperta campagna, ed era usato un po' da tutti. Tutt'intorno vi crescevano violette rigogliose che non si trovavano nel resto del prato, ma oltre a questo non aveva niente di particolare. Simone gliel'aveva mostrato durante una passeggiata che si erano concessi una domenica mattina, all'epoca stavano insieme da appena un paio di mesi e a Manuel, adesso, sembrava trascorsa una vita intera.

"Questo, Manuel, è il pozzo dei desideri. Ti mostra ciò che desideri di più al mondo e in cambio di una piccola, ma significativa offerta, te lo esaudisce!", gli aveva detto Simone, con il tono allegro e sicuro di chi credeva davvero alle proprie parole.

Manuel aveva ridacchiato, respingendo quell'affermazione con un gesto della mano.

"Ma va', Simo', non esistono cose del genere...altrimenti nessuno avrebbe più problemi!"

Simone gli aveva rivolto un'espressione decisa e risoluta, con un sopracciglio alzato, e si era allontanato di qualche passo, ma solo per indicare il pozzo con un braccio esteso.

"Prova, se non ci credi! Tanto, se non è vero, che hai da perdere?"

Manuel aveva sospirato, divertito, e pur di assecondarlo si era avvicinato al bordo umidiccio e aveva sporto di poco il capo verso l'interno. Come volevasi dimostrare, l'acqua sul fondo non faceva altro che restituirgli la propria immagine riflessa e lievemente distorta.

"Qua nun ce sta niente, Simo'.", aveva replicato, facendo per allontanarsi.

Simone lo aveva fermato portandogli un braccio intorno al busto, un gesto delicato, e gli si era affiancato, sporgendosi a propria volta. Ora i loro riflessi erano vicini, tanto che i bordi indistinti si fondevano in un'unica immagine.

"E invece io ci vedo tutto ciò che ho sempre voluto."

Sussurrò piano, e le sue parole rimbombarono piano tra le pareti in pietra. Sollevò il capo, poi, e si voltò verso Manuel, sorridendogli dolcemente.

"E che adesso è diventato realtà."

Aggiunse ancor più morbidamente, per poi prendere il viso di Manuel tra le mani e posarvi un bacio leggero. Manuel ricambiò immediatamente, uno sfiorarsi di labbra appena accennato, e bastò loro uno sguardo per capire di dover tornare subito a casa, tanta era la voglia di stare insieme, in modo da proteggere il loro amore da occhi indiscreti.

Manuel si avvicinò ancora, annullando la distanza tra lui ed il pozzo. Sfiorò con una mano il bordo umidiccio e ruvido, un sorriso radioso gli illuminava le labbra.  Quando, quella mattina stessa, aveva capito che le due lettere che aveva ricevuto non erano da parte di Simone come invece sperava, gli era stato subito chiaro cosa avrebbe dovuto fare: l'idea, un fulmine a ciel sereno, si era mostrata davanti ai propri occhi in tutta la sua concreta semplicità, e a Manuel era sembrata logica, giusta, l'unica alternativa valida.

Si era spostato subito nella stalla, aveva aperto ogni singolo recinto e facendo un po' di baccano era riuscito a cacciar fuori tutti gli animali, che lì, in campagna, non avrebbero fatto fatica a trovare un nuovo padrone che si prendesse cura di loro. Tutti tranne uno: Fulmine era rimasto immobile nel suo recinto e guardava fisso verso Manuel, senza muoversi. Manuel aveva provato a fare più rumore, a dargli una forte pacca sulla groppa e perfino a spingerlo, ma l'asino, testardo, aveva piantato gli zoccoli a terra e non si smuoveva di un solo centimetro.

"Ma lo capisci che Simone non tornerà più? Simone non c'è più, Fulmine! Non ha senso restare qua! Te ne devi annà via!"

Aveva urlato Manuel, disperato, con le lacrime che gli inondavano il volto.

Fulmine era avanzato di un solo passo, quanto bastava a poggiare la grande testa, con una delicatezza estrema, sulla spalla di Manuel. Emise un verso sordo, quasi un lamento che era diverso dal suo solito ragliare, e Manuel capì che condividevano lo stesso dolore. Lo abbracciò per il collo ed affondò il viso nella sua pelliccia grigia, facendosi travolgere dal pianto. Lo aveva lasciato lì, nella stalla, ma con il cancello aperto così che avrebbe potuto decidere di andarsene, se avesse voluto: di più, per quell'asino fedele, non poteva fare.

Adesso Manuel non piangeva più, e non perché avesse esaurito le lacrime, ma perché non c'era più bisogno: presto sarebbe tutto finito. Si affacciò oltre il bordo del pozzo, l'acqua scura illuminata dalla luce lunare gli restituì la sua stessa immagine, ma pallida, come se già non avesse più vita. Aveva un unico desiderio nel cuore ed era certo che il pozzo l'avrebbe esaudito. Ricordò che era necessario elargire un piccolo dono prima di procedere con la richiesta e lui decise di regalare al pozzo quanto di più prezioso avesse: estrasse da una tasca interna della giubba che indossava le ciocche nere che Matteo gli aveva recapitato nella lettera, tenute insieme da un piccolo nastro, e le vide scivolare nel buio profondo. Raccolse poi un sasso abbastanza pesante dal prato nei dintorni e lo usò per tenere ferme le due lettere che posò sul bordo del pozzo, così che il gesto eroico di Simone non venisse dimenticato. Fatto questo, risoluto e senza ripensamenti, fece risalire il secchio in superficie, sciolse il nodo della corda alla quale era legato, e se l'annodò in vita, fissandola bene, e così scavalcò il cerchio di pietra e cominciò a calarsi lungo la parete, un po' lasciandosi cadere ed un po' aiutandosi con i piedi e le mani, quando trovava qualche appiglio. La roccia era ruvida e lui si graffiò il palmo della mano destra, ma non si interessò nemmeno a controllare quanto grave fosse il danno, semplicemente perché non importava più. Ben presto nulla avrebbe avuto la benché minima importanza.
Il pozzo era profondo, più profondo di Manuel, e lui impiegò diversi minuti per arrivare a sentire l'acqua lambirgli i piedi, ma poi tutto accelerò ed in un attimo si ritrovò con l'acqua a mezza gamba, poi fino al bacino ed infine a metà busto. Slacciò la corda, così che se per caso durante la notte fosse passato qualcuno -per quanto poco probabile- non avrebbe potuto ritirarlo su a meno che lui stesso non l'avesse voluto...e non lo voleva.

Intorno a lui c'era un buio quasi completo, la luce della luna arrivava a stento lì in fondo, ed un silenzio assordante che Manuel non aveva mai sperimentato prima d'ora, ma non era spiacevole. Gli venne spontaneo paragonarsi, per contrasto, ad un bambino ancora nella pancia della mamma: così come quest'ultimo non era ancora nato, ma aveva già iniziato a vivere, così lui non era ancora morto, ma aveva già smesso di vivere.

Il pozzo era abbastanza ampio da permettergli di avanzare di tre o quattro passi, ma preferì non farlo, non vedendone l'utilità. Si lasciò semplicemente andare contro la parete fino a sedersi a terra con le ginocchia tenute strette al petto. Ora l'acqua gli artigliava la gola e se non avesse tenuto il capo più sollevato che poteva, gli sarebbe arrivata anche alla bocca. Era gelida.

Ne aveva passate di notti all'addiaccio, anche sotto i peggiori temporali, ma mai si era sentito così stretto nella morsa del ghiaccio, che già sentiva fino alle ossa, anzi fino all'anima. Si chiese se anche Simone prima di morire avesse provato tutto quel freddo o se invece non ne avesse avuto il tempo, e sperò ardentemente che gli si fosse stato evitato almeno quel supplizio: Simone era fatto per l'abbraccio caldo di una coperta di lana, per le fiamme scoppiettanti di un camino, per un buon piatto di minestra bollente dopo una giornata di intenso lavoro, non per il gelo. Scoppiò a piangere, scosso dai brividi e dai singhiozzi, fino a quando non pianse più.

Il corpo di Manuel venne ritrovato il mattino seguente da un paio di ragazzini, passati di lì per chissà quale motivo, ed il loro urlo squarciò la quiete delle prime ore del giorno. Recuperarlo fu complesso: uno dei soccorritori dovette calarsi nel pozzo, abbastanza stretto per due persone, ed afferrare Manuel per il busto mentre gli altri li tiravano fuori. Non ci fu niente da fare, il medico del paese più vicino poté constatare soltanto la morte avvenuta per ipotermia, come del resto testimoniavano le labbra cianotiche ed il colorito pallido.

Manuel, tuttavia, non si accorse del trambusto intorno a sé, non lo sfiorò nemmeno. Sentiva, invece, il cinguettare leggero degli uccellini, la luce del Sole dietro le palpebre calate, l'erba fresca sotto le gambe e, soprattutto, una mano morbida e calda che gli accarezzava dolcemente una guancia. Era un tocco, quello, che non aveva dimenticato.

"Manu, apri gli occhi."

Sussurrò Simone, con voce bassa e delicata.

Manuel scosse impercettibilmente il capo, strofinandolo contro la mano di Simone.

"Se li apro, tu scompari."

Mormorò con voce impastata, rotta da una punta di tristezza.

Simone soffiò una risatina che gli rimase sulle labbra nella forma di un sorriso.

"No, non scompaio. Sono qui."

Rispose piano, e per sottolineare ciò che aveva detto prese una mano di Manuel e se la posò sulla guancia, mantenendola ben salda nella propria.

Manuel sentì la pelle liscia e morbida, senza neanche un accenno di barba, di Simone sotto le dita, una sensazione famigliare che gli inumidì gli occhi. Li riaprì, e la luce del Sole alto nel cielo non gli diede fastidio nonostante il buio in cui era stato immerso fino a quel momento. Sopra di lui c'era il viso di Simone, giovane e bello, illuminato da un sorriso raggiante che arrivava fino a quei grandi occhi caldi che traboccavano d'amore. Realizzò di essere steso con la testa sulle sue gambe, sotto il loro mandarino.

"Simo...Simo, sei proprio tu?"

Mormorò, soffocando un singhiozzo.

Simone annuì lentamente e posò un bacio sul palmo della mano di Manuel, poi tornò a guardarlo e con quella libera salì a fargli una carezza tra i ricci ribelli.

"Certo che sono io. Quanto mi sei mancato, Manuel mio..."

Rispose a voce più alta, ma altrettanto commossa. Anche nei propri occhi si erano formate piccole lacrime di gioia che premevano per uscire.

Manuel emise un suono incredulo che era a metà tra un sospiro ed una risata. Aveva deciso di gettarsi nel pozzo per spegnere il dolore, ma non pensava che così facendo avrebbe ritrovato l'amore.

"Anche tu, anche tu...Dio, quanto sei bello!"

Esclamò accorato, passandogli la mano sul viso come se potesse scomparire da un momento all'altro. Scattò poi a sedere e si avvicinò al suo viso, ma all'ultimo secondo ci ripensò e si ritrasse, rabbuiato, trattenuto da un timore troppo difficile da mettere a tacere.

Simone, intuendo perfettamente le sue intenzioni che non erano poi diverse dalle proprie, gli rivolse un sorriso furbo, con l'angolo delle labbra appena sollevato.

"Non mi baci?"

Domandò divertito, cingendolo tra le braccia per sorreggerlo e attirarlo verso di sé con un movimento deciso.

Manuel, senza accorgersene, si ritrovò ad arrossire, ma ancor più preoccupato di prima si mise a guardarsi intorno.

"E se ce vede qualcuno?"

Replicò, anche se nei dintorni non scorgeva nessuno.

Simone ridacchiò piano e raggiunse il suo viso, lasciando soltanto pochi centimetri tra le punte dei loro nasi.

"Nessuno ci dirà o farà niente qui, Manuel: ci siamo solo noi. E adesso, per favore, baciami, perché vivo dalla voglia di farlo."

Rispose, quasi in un soffio.

Manuel, che non poteva credere alle proprie orecchie, non se lo fece ripetere una seconda volta e si tuffò sul viso dell'altro come se avesse avuto voglia di divorarlo, baciandolo sulle labbra, sulle guance, sul naso e sugli occhi, ovunque riuscisse ad arrivare, per dargli tutti i baci che aveva conservato in quei lunghissimi mesi.
Simone rideva e si lasciava baciare, beato, ma ben presto cominciò a ricambiare ogni bacio, perché anche lui ne custodiva nel cuore in gran quantità, ed anche Manuel rideva e si lasciava baciare, beato. Ben presto non fu più chiaro chi stesse baciando chi, le due metà troppo a lungo separate si riunirono in un groviglio unico di baci, risate e lacrime, che nessuno avrebbe più sciolto.

Intorno a loro, spontanee e leggere, fiorivano violette.
   
 
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