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Autore: Harriet    16/09/2009    1 recensioni
Quel ragazzino è un bel problema, per il giudice Kheil. Fa parte di una sospetta congrega di maghi. E continua a farsi beccare nel tempio sulla collina, dov'è proibito entrare. La legge imporrebbe una pena per la violazione del confine sacro.
Eppure, forse c'è un buon motivo, per violare un confine. E dopo il primo passo, c'è un intero mondo, oltre quel confine, anche per il giudice. Possono ben dirglielo lo strano ragazzo mago, o una venditrice maliziosa e la sua gente un po' fuorilegge. A volte violare un confine è solo una benedizione.
{Storia in 3 capitoli, conclusa.}
Genere: Avventura, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II – Molto lontano dai confini


La parte più complicata della sua giornata, a differenza di ciò che si potrebbe potuto pensare, non era l'esercizio delle funzioni di giudice, il districarsi tra il codice penale e il suo irrimediabile spirito di compassione, la sopportazione del segretario e della maggior parte della guardia cittadina o il confronto con i suoi superiori riguardo la sua presunta leggerezza nel giudizio.
La parte più complicata della giornata di Kheil Davral, funzionario del governo (e fiero di ciò), giudice, ex-vice capitano dell'esercito ed ex-capitano della guardia cittadina, era attraversare il mercato per tornare a casa dopo il lavoro.
Kheil non era particolarmente amante dei mercati in generale, ma quel mercato, quel maledetto mercato del quartiere Est, era un genere differente di problema. C'era qualcosa di perverso e inafferrabile, nel modo in cui gli abitanti del quartiere Est disponevano le loro bancarelle e portavano avanti i loro affari. Anmaad era una città come tante, ma tutto sommato poteva considerarsi una capitale ordinata, controllata, ben tenuta. Il mercato del quartiere Est vanificava ogni cosa. Era come fare un tuffo in un altro tempo, un tempo passato in cui la città era giovane e scalpitante di vita irrequieta. Tra i banchi e i colori di quel mercato era rimasto un che di arcaico, lontanissimo dalla quiete sonnolenta delle grandi piazze o dalla folla prevedibile che percorreva le vie del centro.
Il mercato si snodava per tre vicoli e si spandeva in due piazzette, eppure era molto più labirintico che qualsiasi altro posto della città. Ogni giorno, da mezzogiorno fino al tramonto, quel pezzo di città diventava preda di una frenesia indomabile.
La gente che frequentava il mercato sembrava deridere l'ordine e il controllo anche solo con la sua apparenza esotica: tinte insolite, fogge straniere, ornamenti che non si vedevano in altri luoghi... E poi merci impensabili per qualsiasi vendita rispettabile, ciarlatani, saltimbanchi e suonatori a tutti gli angoli, commercianti improvvisati che si spenzolavano dalle finestre per vedere al primo stupido pezzi della loro stessa casa, e così via.
Per Kheil, entrare in quel mercato era come spostarsi dai confini conosciuti, per addentrarsi ben oltre le linee nemiche. Ogni sera vi si addentrava con la circospezione del soldato, consapevole di essere in un territorio insicuro e pieno di pericoli. Pericoli sconosciuti, di sicuro ben peggiori di quelli che aveva incontrato in guerra o tra le aule della giustizia.
Nemici armati, tribunali e superiori li poteva anche gestire. Ma quella folla vociante e confusionaria, lo zig-zag tra le bancarelle, la fuga da ladri e profittatori (e perché no, le signore che lavoravano in quel campo anche di giorno), ecco, quel genere di faccende lo mettevano in crisi. Era un uomo fatto per il suo piccolo mondo di cose ben conosciute, e di certo conosceva meglio i campi di battaglia e le leggi, piuttosto che l'animo umano dispiegato nei suoi innumerevoli volti e colori lì, in quel caos insopportabile.
Quando passò davanti al banco dove una donna con un velo verde sui capelli cercava di convincere due malcapitati a comprare cianfrusaglie, non stava pensando a niente: era troppo impegnato a passare tra quella gente senza farsi contaminare in nessun modo. Il pensiero lo colpì che aveva già passato il banco di un minuto almeno. Tornò indietro, dandosi dell'idiota. Però tornò indietro.
Aveva una vaga idea di cosa fosse la merce esposta.
I due malcapitati se n'erano appena andati con diversi pacchetti e Kheil si avvicinò alla donna. Era probabilmente poco più vecchia di lui, alta e leggermente in carne, ma molto bella. Aveva gli occhi di un verde chiarissimo e lunghe ciocche scure e mosse che scivolavano fuori dal velo. Indossava una veste azzurra e verde, di taglio bizzarro, anche se i suoi tratti fisici la descrivevano in tutto e per tutto come una donna di Anmaad.
- Cosa sono questi oggetti che vendi?- Le chiese, indicando collane, bracciali, coppe, specchi, piccole borse e simili cose esposte sul banco. - Dal modo in cui li presentavi ai tuoi clienti, si direbbe che tu li consideri oggetti magici o dotati di qualche potere.
- Chi sei, tu, che mi fai questa domanda?- Rispose lei, con una voce profonda, venata da una gocci di ironia.
- Sono un funzionario del governo.
- Oh. In tal caso, sono semplicemente cianfrusaglie senza valore.
- E se non fossi un funzionario del governo?
- Potrebbero anche essere oggetti magici.
- Sai che dovrei arrestarti per truffa?
- Non ho affermato niente. Stiamo solo parlando per possibilità.- Gli sorrise in maniera perfida e deliziosa. Kheil provò il desiderio di arrestarla, per vedere che faccia avrebbe fatto. Ma probabilmente non ci sarebbe riuscito. Quella donna gli metteva quasi paura, anche se si vergognava ad ammetterlo.
- Va bene. Diciamo che sono un funzionario del governo che però non prenderà provvedimenti se sarai sincera.
- Anche i funzionari del governo hanno un lato oscuro, eh?- E se mai Kheil aveva creduto di conoscere il significato del sarcasmo, il modo in cui la donna pronunciò quelle parole riscrisse completamente la sua idea in merito.
- Non sono qui per comprare un artefatto per me. Sto cercando un oggetto in particolare, per una faccenda importante.
- Certo. E' per un tuo amico.
- Potrei arrestarti per mancanza di rispetto ad un funzionario governativo.
- Semmai, per mancanza di rispetto ad un amico di un funzionario governativo.
Perché, perché la sua esistenza doveva essere tormentata da esseri insistenti come quello?
- Mi ascolti o no? Sto cercando una cosa, ti ho detto.
- E io ne ho tante, da vendere. Guarda.- Sollevò una manciata di braccialettini dal suo banco. - Il tuo amico potrebbe apprezzare questo genere di cosa?
- Ti ho detto che...-
- Niente è come sembra, qui. Guarda questa.- La donna prese tra le dita una conchiglia appoggiata su un drappo rosso. - Se il tuo amico la compra, mi darà da mangiare per tre mesi. E' un oggetto raro.
- Smettila con questa storia e rispondimi. Tra la tua roba c'è qualcosa che viene dal tempio di Aht?
La donna rimase in silenzio, pensierosa, per qualche momento. Poi scrutò fin troppo a lungo il viso di Kheil, come per leggere il vero significato di quella richiesta.
- E' per te?- Domandò alla fine. - Senza scherzi, stavolta.
- Sai di cosa sto parlando?
- Forse. Ma non è qualcosa che si possa vendere con leggerezza.
- Lo immagino. Non è per me. Voglio solo rimetterlo a posto.
La donna lasciò passare altri istanti silenziosi, durante i quali fece del suo meglio per guardare Kheil come se si fosse appena trasformato in qualche creatura strana e disgustosa.
- Che stai dicendo?
- Voglio rimettere a posto quell'oggetto. Ammesso che sia lo stesso che hai tu. - Perché vuoi rimetterlo a posto?
- Perché non è solo un oggetto potente. E' la chiave di una maledizione.
Quella notizia sembrò sconcertarla, ma in modo diverso da come aveva colpito Kheil. Lui aveva preso il ragazzino Ayna per un esaltato. Oh, insomma, un po' continuava a crederlo anche in quel momento, che il ragazzino Ayna fosse un esaltato. La donna, invece, pareva sconvolta dalla maledizione, ma non dal fatto che esistessero cose come le maledizioni.
- E che ci fa, una maledizione in un tempio dedicato al Dio dei Puri di Cuore?- Chiese lei, scuotendo la testa.
- E' una faccenda complicata che temo di non essere in grado di spiegarti. Ma ho bisogno di quell'oggetto. Al più presto.
- Quanto presto?
- Stanotte. Te la pagherò.
- Quello era ovvio. Non faccio buone azioni gratis.
L'ironia tornò nella voce e negli occhi della donna. Kheil si domandò che razza di persona potesse pretendere di fare buone azioni a pagamento. Rifletté che in fondo anche i funzionari governativi spesati potevano far parte della categoria. E il più delle volte facevano solo finta di fare buone azioni.
- E puoi darmela?
- Non ce l'ho qui. Stasera. C'è una locanda, in questo quartiere. Non ricordo il nome, ma è conosciuta come La buona idea. Meglio che tu non sappia perché. Vieni dopo l'ultimo tocco dell'orologio cittadino e chiedi di Naima.
Ma c'era un solo motivo al mondo per cui un uomo sensato dovesse presentarsi di notte ad una locanda equivoca, per incontrare una ricettatrice di oggetti magici, il tutto allo scopo di aiutare un ragazzino membro di una congrega di pazzi convinto di dover salvare la città?

Non era una buona idea per nulla. No. Proprio per nulla. Posto del cavolo. E che avevano da guardare, quei quattro bestioni armati nell'angolo? E la danzatrice che si districava tra i tavoli gettando sorrisi ovunque? E la barista? Non l'aveva mai visto lì, e allora? E quel tipo lì dietro stava facendo oh no no no non voleva sapere cosa. No. Perché era lì? Non riusciva a ricordare come mai qualche ora prima gli era sembrata un'idea così buona.
- Cerchi qualcuno?
Una creatura piccina e scheletrica, con un ammasso di capelli scuri, l'aveva appena fermato. Gli ci volle qualche momento per capire che era una ragazzina. Era infagottata in una tunica enorme e si portava dietro un'arpa più grossa di lei.
- Uhm... Beh... Cerco... Naima.
- Non è ancora arrivata. Puoi sederti e ordinare da bere, mentre l'aspetti. La manderò da te non appena sarà qui.
- Oh. Ordinare da bere. Certo. Tu sei la proprietaria di questo posto?
- Neanche per sogno. Oppure sì. Tutti, lo siamo. Cosa vuoi bere?
Kheil arrancò verso un tavolino con due sedie e prese il suo posto.
- Acqua?
La ragazzina rise.
- Un... Una... Tisana?
- Si può fare. A modo mio. Ti fidi?
- No.
- Sei tra amici. Se sei amico di Naima non hai da temere dalla maggior parte di quelli che sono qui. Allora, ti fidi?
- Diciamo di sì.
Lei sorrise e sgattaiolò via. Lasciando Kheil a darsi dello stupido, per la millesima volta.
La cameriera improvvisata arrivò insieme a Naima. Posò sul tavolo due boccali pieni di roba indefinita e spostò la sedia per far accomodare la donna. Naima non indossava il velo e l'abito del mercato. Aveva una veste rossa assolutamente dignitosa, che le lasciava scoperte soltanto le spalle, e un piccolo diadema rosso sui capelli scuri. Di sicuro infrangeva ogni credenza che le donne fossero belle solo nella giovinezza e con poca stoffa addosso.
- Allora, signor funzionario governativo. E' un piacere vederti qui. Beviamo alla tua salute e alla tua amicizia duratura con questo posto!
- Io, veramente...
Naima aveva già sollevato il boccale e Kheil decise di imitarla per cortesia. Bevvero, e ingoiare il liquido, sebbene palesemente alcolico, non fu una brutta esperienza.
- Allora, signor funzionario.- Cominciò Naima, dopo il brindisi. - Prima di tutto, mi piacerebbe avere un nome con cui chiamarti, ma sospetto che non sia proprio felice di rivelarmelo, eh?
- In effetti...
- Ci sono tuoi colleghi che frequentano posti peggiori di questo. Almeno qui alcol, truffatori e meretrici sono simpatici, onesti e di buon cuore.
Quel discorso era un capolavoro di incoerenza ma Kheil rinunciò a farglielo notare.
- Lasciamo perdere me. Tanto non penso che tornerò più. Mi serve l'oggetto che ti ho chiesto. E' importante. Ed è una faccenda che ha a che fare con il mio ruolo pubblico, anche se potrai non crederci. E' per il bene della mia città.
- Ma io ci credo. Potrei dubitare delle parole di un collega di lavoro, ma non certo di un funzionario governativo così tenero, ingenuo e senza difese.
- ... molto lusinghiero, come ritratto.- Borbottò lui, concentrandosi su ciò che rimaneva nel boccale. Era questione di poco. Comprare la chiave, portarla all'esaltato su al tempio e poi fine fine fine fine fine.
- La chiave è questa.- Naima trasse fuori qualcosa da una borsa che aveva con sé. Un involto di stoffa che srotolò velocemente. Conteneva uno specchio di forma esagonale, piuttosto piccolo, ornato di una cornice d'argento scurito dal tempo.- Mi è stato portato da un trafficante di Anmaad. Se cerchi un oggetto che proviene dal tempio di Aht, non può essere che questo.
- Dovrò fidarmi e tentare. Quanto ti devo?
- Ti farò un prezzo di favore per le tue buone intenzioni e per la tua indescrivibile dolcezza. Quattrocento wen.
- Cosa? E' quasi quanto mi pagano ogni mese!
- E' la metà del valore di questo oggetto. E in omaggio ti offro una protezione contro le maledizioni. Non è molto sicuro portare in giro una cosa simile senza protezione.
- Non importa. Ho già una protezione. Ma tu non ti senti in colpa a commerciare oggetti pericolosi come questo?
- E' una minaccia del tipo “se non mi fai lo sconto ti arresto”?
- Sì. No. Lascia perdere. Pago e me ne vado, e ti giuro che non sentirai più parlare di me.
- Che peccato. Mi è piaciuto, fare affari con te.
- Eh, già, dove lo trovi un idiota come me?
- Guarda che ti sei portato via un pezzo raro alla metà del prezzo. Non sei un idiota. Il piacere dell'affare è puramente spirituale.
Le gettò i soldi sul tavolo con una certa stizza. Lei gli passò l'involto, senza aggiungere altro.
- Bene. Da chi devo andare, per pagare da bere?
- Offro io.
- Lascia perdere. Dimmi dove...
- Lascia perdere tu. Offro io. Vattene. Non stai bene, in questo posto, si vede. Non trattenerti oltre.- Si era fatta seria, e Kheil si sentì quasi in colpa per averla incupita in quel modo.
Mentre si alzava il ciondolo che gli aveva regalato il ragazzo scivolò fuori dalla sua tunica. La donna ebbe un'esclamazione soffocata di sorpresa.
- Te l'ha dato un Ayna, quello? E' la tua protezione?
- Sì.
Naima fece un sorriso quasi dolce.
- Penso di aver fatto bene, a fare affari con te.





***

Naima sono io, la bancarella l'ho montata con lo stendino e i copridivani di mia mamma, le cianfrusaglie sono tutte mie, la location è il mio giardino, l'autoscatto è il male.
L'immagine più grande: qui. Se vi garbasse l'idea di vedere altre foto da questo set, le trovate qui, qui e qui. Sempre me, sempre l'autoscatto. Con l'aiuto del vento.
Al prossimo – e ultimo capitolo.
   
 
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