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Autore: BluCamelia    10/10/2023    1 recensioni
Anno 1994. Costretta a cambiare scuola per via della separazione dei genitori, Milly affronta il trasferimento con ironia, una certa ansia sociale e un pizzico di presunzione dovuta al suo passato di studentessa modello. Non sa che dovrà affrontare sfide che hanno ben poco a che fare con la media dell'otto.
Una delle sfide in particolare potrebbe rivelarsi troppo difficile per una liceale: il professor Vanini.
Non è una storia d'amore.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«La preparazione non è un gran che» disse D'Auria.

Arrossii. Da quando Vanini mi stava ignorando non davo più il massimo con lui, ma mi concentravo sui miei studi personali. Comunque mi aveva messo otto in quel tema, e lui era il più esigente dei nostri professori. D’Auria doveva essere un drago.

«Ma si sentono delle idee e una certa originalità» continuò. «Se mancasse quello non ci sarebbe niente da fare, invece la preparazione si può sempre migliorare con uno studio più approfondito.»

La precisazione mi diede coraggio. «Sì, credo di poter fare di meglio. Quest’anno ho studiato molto per conto mio, ma sono cose al di là del programma e non aveva senso metterle nei temi.»

«Ah, certo, stai scrivendo la tesi» ricordò D’Auria in tono ironico. «Cosa pensavi di fare dopo il liceo?»

«Veramente non ci ho ancora pensato seriamente.»

D'Auria inarcò le sopracciglia con espressione incredula.

«Sono sempre stata brava in tutte le materie senza spiccare particolarmente in nessuna, e negli ultimi due anni francamente ho avuto altri problemi.»

«Hai mai pensato alla Normale di Pisa?»

«So a mala pena cos'è.» Le università più prestigiose non erano esattamente un argomento di conversazione alla nostra tavola.

«Procurati il bando e pensaci, ma non troppo a lungo. Se decidi di tentare devi già cominciare a lavorare sodo. Te ne parlerei io, ma come mi fa delicatamente notare il mio ragazzo sono un relitto d'anteguerra e le mie informazioni sarebbero storie del tempo che fu.»

«Eh?» Non riuscii a frenarmi. Qualunque cosa avessi sospettato, sentire le parole ‘il mio ragazzo’ dalla bocca di D'Auria era sconcertante.

«Sei sorpresa? Ma allora davvero non avevi ascoltato la cassetta?»

Allora non mi aveva creduto. «Solo un pezzo, a un certo punto è diventata veramente molto personale...»

«Capisco, sì. Leandro è ossessionato dalla segretezza. Prima pensava a sua madre, ma adesso che lei non c'è più, non capisco il motivo. Mi pare che oggi la notizia non interesserebbe più a nessuno. Forse è solo l'abitudine.»

«Comunque mi piacerebbe molto sentire storie del tempo che fu. Davvero è stato in classe con Enrico Fermi?»

«Certo che no, non sono così vecchio!» Non capii se fosse una battuta o se il tono offeso fosse sincero. «Me l'ha raccontato mio fratello. Ho una foto della sua classe, la vuoi vedere?»

«Scherza? Certo che la voglio vedere.»

D'Auria uscì dalla stanza e tornò con un cofanetto di legno che sembrava antico.

«Dovrai cercarla tu. Non preoccuparti, non c'è niente di troppo personale.»

Trovai la foto di una classe ma era così piccola che le facce si distinguevano a malapena. Comunque le foto antiche mi avevano sempre affascinato, così approfittai del permesso e ne presi una manciata per guardarle una per una. Immagini bellissime di Roma negli anni Quaranta o Cinquanta... due ragazzi bruni con lo sguardo fiero che dovevano essere D'Auria e suo fratello... Vanini in un'affascinante foto in bianco e nero che ne addolciva i lineamenti e lo rendeva più bello... no, un attimo, non poteva essere lui, c'era quella luminosità sfumata tipica delle foto antiche. La guardai meglio. Il viso era un po' troppo squadrato, il naso più corto e le labbra avevano un disegno diverso. Mi avevano ingannato la pettinatura anni Quaranta, le sopracciglia e soprattutto gli occhi, non ancora sbiaditi ma neri e intensi. Sollevai il viso per guardare il mio ospite. Adesso che lo sapevo mi accorsi della somiglianza con Vanini.

Che stupida, Vanini non era il giovane amante del suo professore, era il figlio! Dovetti premermi le mani sulla bocca per soffocare una risata. Mi uscì comunque uno strano sbuffo, ma forse D'Auria lo prese per uno starnuto represso, mentre la sua aiutante che era venuta a portarci il tè mi guardò con rimprovero.

Continuai ad armeggiare con le foto per avere una scusa per riflettere. Dunque Vanini aveva rifiutato di insegnare all'università per proteggere la madre. Doveva essere anche lei nell'ambiente universitario, probabilmente un'allieva di D'Auria. Certo che il prof che mette incinta una studentessa e poi alleva il figlio illegittimo come membro della sua scuola filosofica sarebbe stata una bella storia anche considerando il famigerato nepotismo dell'ambiente, soprattutto perché all'epoca avere un figlio al di fuori del matrimonio era più grave. E poi mio padre aveva detto che la famiglia di Vanini era in vista.

Chissà se tra quelle foto c'era sua madre. Continuai a frugare ma c'erano poche donne, e nessuna dell'età giusta.

Se fossi stata una studentessa di D'Auria mi sarei innamorata di lui? Sembrava avere un carattere ancora più difficile di Vanini, ma in qualche modo più onesto. Non ce lo vedevo ad usare gli stessi metodi. Mi immaginai mentre camminavo per i corridoi della facoltà di filosofia con indosso una gonna ampia, le scarpine col cinturino, i capelli arricciati e il rossetto rosso che mi faceva la bocca a forma di cuore... dato che la logica conclusione di quella fantasia ero io che partorivo quello stronzo del mio prof, deviai bruscamente il corso dei miei pensieri.

Chissà se l'anello nero era un gioiello di famiglia. No, che stupidaggine, un vecchio gioiello di famiglia in duplice copia. Visto che ormai sapevo il peggio la questione dell'anello era una sciocchezza, così lo chiesi direttamente a D'Auria.

«Lo portano i miei allievi. La storia del nostro circolo è iniziata così tanto tempo fa che vi si possono trovare delle tracce residue di romanticismo.»

Notai che D’Auria lo portava all’anulare destro, mentre Vanini al mignolo. Forse era quello di sua madre e gli stava piccolo, ma non capivo perché non ne avesse ordinato uno per sé. Senza riflettere chiesi: «Chi è l'ultimo che l'ha ricevuto?»

«Ma che strana domanda. Forse aspira ad una copia?»

L’aveva detto in tono ironico ma arrossii, un po’ per il piacere e un po’ per il senso di inadeguatezza. «Solo se riesco a evitare i disturbi psichici» scherzai, per nascondere il mio imbarazzo. «Posso chiederle cosa significa questa battuta? L’ho sentita anche all’università.»

«Diciamo che la ricerca del quarto ordine tende a diventare ossessionante, al punto che qualcuno ne ha risentito a livello di vita quotidiana. Ma non è che a leggere il mio libro si diventi matti, eh. Guardi com’è tranquillo e ragionevole Leandro!»

«La ricerca? Quindi il metodo del quarto ordine in effetti non esiste?»

«Temo di no, e dal suo tono deluso direi che sono intervenuto appena in tempo.» Capii che il mio prof doveva aspettarsi una bella ramanzina. «Quanto a noi, facciamo un patto, cerchi di entrare alla Normale e decida cosa le interessa veramente. Se deciderà per la filosofia potremo riprendere il discorso sulla mia scuola.»


*


I miei compagni si accorsero che era cambiato qualcosa tra me e Vanini ma avevano problemi più importanti a cui pensare, per esempio la maturità. Comunque qualche curiosità l'avevo suscitata. Chiaramente Noemi sospettava che, alla faccia della mia palese mancanza di attrattive, fossimo finiti a letto e lui mi avesse trattato malissimo. E un giorno che Federico era venuto da me per studiare si azzardò a dire: «Comunque tifiamo tutti per te. Sei tu la vera anima gemella di Vanini. Non arrenderti!»

«Ma di che stai parlando? E perché sarei la sua anima gemella?» Vista la stronzaggine del soggetto non ero sicura che fosse un complimento.

«Non solo sei strana, sei strana proprio come lui» disse Federico, in un tono entusiasta che contrastava con le sue parole poco lusinghiere. «Non si capisce niente. Ti giuro che siamo impazziti cercando di capire perché quando hai saputo che si scopa Desirée Cavalieri ti sei solo un po' stranita e invece quando hai saputo che insegna al Newton hai avuto una crisi isterica!»

Non riuscivo a credere di aver sofferto per quella faccenda di Desirée. Mi sembrava che fosse passato un milione di anni. Decisi di cessare le ostilità e, in un momento in cui lo trovai da solo, consegnai la cassetta a Vanini.

«Molto saggio, Barbier, specialmente con la maturità in arrivo.»

Non era la prima volta, ma quel suo modo di interpretare tutte le mie azioni nel modo più squallido possibile mi irritò.

«Professore, ho deciso di provare a entrare alla Normale...» Lui non disse niente ma parve riflettere. Forse sospettava lo zampino di D'Auria. Poi, accorgendosi che i progetti universitari della sua migliore allieva richiedevano un commento, aggiunse: «Buona idea. Volevi aggiungere qualcosa?»

«Solo che si entra per concorso e il voto della maturità è irrilevante.» Girai sui tacchi e uscii dalla sala professori.


*


Diedi la maturità in trance e iniziarono le vacanze. Anche se dopo gli ultimi fatti stavo un po' meglio dal punto di vista psicologico, lo studio per l'ammissione alla Normale mi rese ancora più stanca e tirata. Mio padre quando mi vide si spaventò e mi volle portare una settimana ai tropici. Accettai, a condizione che venisse anche mamma e che cercassero di non litigare. Non l'avevo fatto sperando di farli tornare insieme, semplicemente mi sembrava che dopo tutta quella merda mia madre si meritasse una vacanza.

Mi ammisero alla Normale, e a mente fredda decisi che in realtà non mi interessava studiare nel dettaglio complicati sistemi filosofici, ma che il metodo che avevo imparato da Vanini avrebbe reso le mie analisi più efficaci in qualunque materia avessi scelto. Così scelsi di specializzarmi in studi storici. Quando scrissi la tesi di dottorato ci aggiunsi una prefazione dove spiegavo il mio debito verso la scuola di D'Auria e gli mandai una copia.

Qualche anno dopo mi arrivò un pacchetto con l'anello, senza ulteriori messaggi. Forse pensava che il dono fosse abbastanza eloquente. Dalla misura capii che non ne aveva fatto fare uno nuovo ma mi aveva dato il suo. Il tempo trascorso tra l'invio del mio libro e il dono mi fece pensare che sapesse di non avere molto da vivere e come ultimo gesto gli facesse piacere accogliere nella sua famiglia filosofica un'allieva onoraria. Con il cuore stretto cominciai a tenere d'occhio le notizie dalla facoltà di filosofia della nostra città e, dopo poco tempo, venni a conoscenza della morte del professore emerito e del fatto che sarebbe stato sepolto nella sua città natale, Roma.

Dopo la maturità non avevo più visto Vanini, anche se tornavo a casa spesso per vedere i miei genitori e i miei amici: Federico, Alberto, le ragazze del maneggio... e naturalmente Grendel. La prima cosa che avevo fatto appena avevo cominciato a lavorare era stata prenderlo in fida. Avevo rivisto il resto della classe ai funerali della professoressa Guida, ma Vanini non c'era. Ma non poteva certo mancare a quelli del padre, quindi dovevo prepararmi psicologicamente.

   
 
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