Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: laprimadonna    13/10/2023    4 recensioni
Il racconto è ambientato tra la fine della saga di Dressrosa e l'inizio di quella di Zou.
Gli ultimi avvenimenti hanno l'asciato a Nami l'amaro in bocca e ha cominciato a ricordare fatti del passato che credeva di aver dimenticato...
Una one shot dal dal sapore agrodolce... e un po' salato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Sanji | Coppie: Sanji/Nami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non poteva crederci che lo avesse fatto davvero.
Lasciarli così, senza una spiegazione e andare via con i nemici. Come poteva abbandonarli in una situazione del genere? Metà della ciurma era a Dressrosa, mentre loro si trovavano su quella strana isola che nessun log pose registrava, senza sapere quando o se il gruppo di Rufy li avrebbe raggiunti, e per di più erano sotto assedio. E Sanji aveva deciso di andarsene, voltare le spalle ai suoi compagni e seguire il nemico senza dare loro una motivazione.
Si era parlato di matrimonio, di accordi tra famiglie e nobiltà. Che storia era mai questa?
Nami non riusciva a venirne a capo. Per quanto ci rimuginasse non riusciva a trovare una motivazione abbastanza valida che giustificasse quella scelta. Tutto quello che capiva era che Sanji era andato via per sposare un’altra donna. E questa era una cosa che bruciava, anche dopo anni.
Pensava di essersi lasciata alle spalle quella notte di due anni fa. In fondo ora non era più una ragazzina debole, ma una donna forte in grado di proteggere se stessa e le persone a lei care.
Quando lo aveva rivisto alle Sabaody era lo stesso identico Sanji, lo stesso pervertito ruffiano che cercava di lusingarla con squisite pietanze e paroline dolci. Addirittura si era quasi vergognata di esserci cascata quella notte, dopo Thriller Bark. Nami lo sapeva benissimo che quelle parole, le attenzioni, le lusinghe, non erano mai state un’esclusiva, ma quella volta ci aveva creduto davvero, sembrava tutto così vero.
 
Erano appena ripartiti sulla Sunny, lasciandosi alle spalle una Thriller Bark distrutta. Avevano guadagnato un nuovo membro nella loro ciurma, Brook, che aveva portato una nuova ventata di allegria con la sua musica vivace.
Quella sera, la prima da quando erano ripartiti, Nami non riusciva a dormire. Continuava a ripensare a come si era lasciata fregare a Thriller Bark. Dopo tutti i suoi sforzi era ancora una debole, bisognosa dell’aiuto di qualcuno che corresse a salvarla in ogni situazione di pericolo. Vero è che era una donna astuta, lo riconoscevano tutti e se lo riconosceva lei stessa, ma quando si trattava di dover usare la forza fisica la sua astuzia era di ben poco aiuto. Aveva cercato di diventare più forte, di raggiungere il livello dei suoi compagni, ma a ogni passo avanti che faceva loro ne avevano già compiuti altri dieci. Tutto questo era frustrante. È così che si sentiva, frustrata, e prima ancora di accorgersene stava già piangendo.
Uscì sul ponte, nella speranza che l’aria salmastra potessero calmarle i nervi, ma riuscì solo a ottenere l’effetto contrario, un punto di disperazione tale da dover soffocare le urla mordendosi il braccio.
«Nami!» la chiamò una voce dall’alto.
Nami sussultò nel sentire il suo nome in quel momento, di notte, mentre gli unici suoni erano il fruscio del vento sulle vele le onde che si infrangevano contro la polena della nave.
Sanji era sulla torre di osservazione, era stata lei stessa a chiedergli di tenere il primo turno di guardia, ben conscia del fatto che non avrebbe mai rifiutato una sua richiesta.
«Aspetta, vengo giù».
«Non ce n’è bisogno. Stavo tornando a letto» si affretto a rispondergli, mentre alla meglio cercava di asciugarsi le lacrime.
Si era già rialzata e stava tornando sottocoperta, ma Sanji le si piazzò davanti bloccandole la porta.
«Non posso restare insensibile alle lacrime di una donna. Nessun uomo che osi definirsi tale dovrebbe».
Nami cercò di mostrare il suo sorriso migliore. «Va tutto bene, Sanji. Davvero, sto bene».
Le afferrò il braccio. «Allora perché ti sei fatta questo?».
Il segno del morso che si era autoinflitta sul braccio era ben evidente, e ancora bagnato di lacrime e saliva. «Ecco... cioè, io...» qualsiasi cosa, qualsiasi scusa sarebbe andata bene in quella situazione, una qualsiasi stupida scusa che potesse salvarla dal compatimento. «Volevo assaggiarmi. Sì, cioè, mi sono chiesta, “chissà che sapore ha la mia pelle?”, così ho provato, per sapere com’è». Non era assolutamente credibile, ma almeno le dava il tempo di pensare a un modo per uscire da quella situazione.
Sanji continuava a fissarla. Era chiaro che non aveva creduto a una scusa tanto assurda e sembrava quasi divertito da quella risposta. «E com’è?».
Nami non riusciva a reggere il suo sguardo, ma neppure riusciva a trovare una via di fuga che non la mettesse in una posizione di inferiorità. Tanto valeva restare al gioco.
«Bhe, ecco... un po’ salata».
«Salata?».
«Sì, salata».
A quel punto successe una cosa che cambiò completamente il modo in cui Nami avrebbe guardato il suo compagno. Negli anni si chiese più volte se quella situazione sarebbe potuta andare diversamente, varò tutte le possibilità, ma in un modo o nell’altro nessuna sembrava accettabile, o comunque sempre meno accettabile di quello che accadde davvero.
Sanji posò le labbra sul punto in cui Nami aveva lasciato il segno del morso, lo assaggiò.
Quel gesto era così assurdo e spiazzante. E ora? Come avrebbe potuto reagire a una cosa del genere? Come si usciva da questa situazione?
«Hai ragione. È salata. Ma è anche dolce».
«Che cosa stai facendo, Sanji?».
«E tu? Cosa stai facendo?».
«Lasciami andare. Voglio tornare in camera».
«Le ho sentite le tue urla dalla torretta, Nami. Se hai intenzione di tornare in camera e continuare a piangere non te lo lascerò fare».
Fu quello il punto di rottura. Le lacrime ricominciarono a scendere copiose, iniziò a tremare e le ginocchia le stavano cedendo. Sanji la strinse a sé e la lasciò piangere, e non disse nulla.
Non riuscì a definire quanto tempo restò tra le sue braccia, forse furono venti minuti, forse un’ora e mezza. Stretta in quell’abbraccio riuscì a consumare tutta la sua disperazione. Tutta la frustrazione si era sciolta in lacrime e il suo corpo se ne stava liberando come ci si libera di una cosa superflua, un vestito indossato fino al punto di consumarlo, logorarlo, e alla fine gettato perché non più utilizzabile. Nami aveva gettato quel vestito di autocommiserazione e si era completamente spogliata tra le braccia di Sanji. Gli aveva mostrato la nudità delle sue emozioni, gli aveva permesso di toccare le sue paure e tutto questo le sembrava così liberatorio da permetterle di uscire completamente dal suo corpo. Le sembrò di guardarsi da fuori, da lontano, da vicino, analizzarsi, scrutarsi, fino a rivedere parti di lei che credeva di aver abbandonato, poi tornò nel suo corpo e si sentì nuova, e alla fine le lacrime cessarono.
Quella notte, sul ponte della Sunny parlarono molto. Nami gli raccontò di tutte le sue preoccupazioni, il suo senso di inferiorità, la paura di non soddisfare le aspettative. Buttò fuori così tanta roba che in certi momenti lei stessa si stupì di pensare certe cose. Arrivò al punto di confessare a Sanji e a se stessa la paura che un giorno di sarebbe svegliata e avrebbe capito che tutto quello che stavano facendo in realtà non avrebbe portato a nulla, che in fondo nulla aveva importanza.
Sanji stette in silenzio tutto il tempo, seduto accanto a lei fumando un’interminabile sigaretta, attento a ogni parola, a misurare ogni reazione.
Alla fine anche le parole finirono, come erano finite le lacrime e il dolore. Rimase solo il silenzio di una notte che volgeva al termine. Sanji si accese l’ultima sigaretta di quella lunga notte e insieme restarono in silenzio a guardare il fumo che usciva dalla sua bocca e opacizzava il cielo rosato dell’aurora, e tutto era così tranquillo, così giusto.
Poi anche quella sigaretta finì, allora tornarono a guardarsi. «Tu sei forte, Nami».
A Nami quelle parole sembravano quasi una presa in giro, dopo tutto quello che era successo quella notte e le scappò un sogghigno. «Sì, certo».
Sanji restò infastidito da quella reazione e d’impulso le afferrò le spalle. «Ascoltami bene. Tu sei forte. Sei la donna più forte che io conosca. Sei più forte di tutti noi messi insieme. E tutti noi saremmo già morti prima ancora di raggiungere la Rotta Maggiore senza di te, e questo lo sai bene. Se non ci fossi stata tu a darci una lezione, io e quell’idiota di uno spadaccino ci saremmo già ammazzati a vicenda, a causa di Rufy saremmo già morti di fame almeno una volta a settimana, facciamo tutti affidamento su di te su questa nave, perché sei l’unica che sa davvero dove stiamo andando, cosa stiamo facendo. Tutti noi abbiamo paura, Nami, tutti. Tutto quello che mi hai detto sono pensieri che abbiamo fatto tutti, anche Rufy, ma permettere che queste cazzate ti annebbino la testa, quella è debolezza, e tu non sei debole».
Era davvero Sanji quello che le stava parlando? A Nami sembrava di vederlo davvero per la prima volta. Quello non era l’idiota pervertito che la seguiva come un cagnolino, non aveva il suo solito sorriso lascivo e gli occhi a cuore. Le sembrava di avere un uomo davanti, un uomo con le fattezze di Sanji. Ora anche quelle strane sopracciglia arricciate le sembravano attraenti, e le mani forti e morbide che la stringevano le davano un piacevole calore.
Quelle parole, la voce ferma, lo sguardo deciso la stupirono al punto da creare un vuoto totale nella sua mente.
«Scusa, Nami, ho esager...».
Senza pensare minimamente a quello che stava facendo, Nami gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Furono pochi secondi e neanche lei si rese conto di quello che stava facendo. Non notò il calore delle labbra, non fece caso a quello che stava provando in quel momento, solo chiuse gli occhi e premette le sue labbra su quelle di Sanji. Pochi secondi di black out mentale, solo azione.
Alla fine di quegli attimi realizzò cosa era successo, spinse via Sanji e corse in camera da letto.
 
Non ricapitò più di stare di nuovo da soli come quella notte, non parlarono mai di quello che era successo, mai uno sguardo di complicità o una situazione di imbarazzo tra i due. Nami non lo raccontò neppure a Robin o a Chopper, e probabilmente lo stesso fece Sanji. Non ci fu mai nessun riferimento a quello che successe, un’allusione velata. Fu semplicemente cancellato, come se non fosse mai accaduto.
Poi ci furono i fatti alle Sabaody e per due anni non seppero nulla l’uno dell’altra e quando alla fine si rividero sembrava una cosa così piccola e lontana che neanche valeva la pena riparlarne. In due anni potevano essere cambiate così tante cose, e magari Sanji neanche se lo ricordava cosa era successo quella notte sulla Sunny due anni prima. E a confermare i pensieri di Nami c’era questo matrimonio, accettato senza battere ciglio, chissà che in quel momento non avesse sul volto quella stupida espressione da pervertito solo perché aveva appena visto la foto della sua bella futura moglie.
 
Quello che Nami non sapeva è che Sanji non aveva mai dimenticato quel bacio. Mai. Nemmeno per un istante.





[N.d.A.] Salve a tutti, sono l'autrice. Ho da un po' ricominciato One Piece da capo (mi sono lanciata nell'assurda impresa di leggere il manga dall'inizio) e ovviamente mi sono venute in mente tantissime idee per alcuni racconti. Questa è la prima di molti altri e sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate. Sono aperta a consigli e critiche, va bene anche un messaggio privato, ma in ogni caso voglio scriverne di più e voglio migliorarmi e avere un parere da lettori esperti di fanfic mi incoraggerebbe moltissimo. Grazie per la lettura, a presto.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: laprimadonna