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Autore: Giandra    14/10/2023    1 recensioni
❧ PangWave
➥ missing moments + post canon; brief mention of s3xual fantasies involving blowjobs nel 3o capitolo
Scritta per la challenge 'Componi il puzzle' indetta da me sul gruppo Facebook 'We are out for prompt'.
Storia partecipante alla Challenge "BTS — Love Yourself, Speak Yourself" indetta sul forum Torre di Carta.
2+1: Un regalo che Pang fece a Wave e un regalo che Wave fece a Pang + un ultimo regalo che fu senz'altro proficuo per entrambi
1. La giacca verde: Missing moment del momento in cui Pang regala a Wave (mio headcanon) la giacca che lui indosserà per tutta la s2.
2. L'orologio: Missing moment del momento in cui Wave regala a Pang l'orologio con il quadrante dorato che Pang indosserà per tutta la s2.
3. Il cielo stellato: Momento post-canon in cui Pang e Wave si baciano per la prima volta.
Dedicata a Kendra26. ♥
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. La giacca verde

 

Those days with you, those moments are now in memories/I said, grasping my crushed shoulder/I really can’t do any more/Every time I wanted to give up/By my side you said/Bastard you can really do it/Yeah, yeah I remember back then/When I was fed up and lost/Back then when I fell into a pit of despair/Even when I pushed you away/Even when I resented meeting you/You were firmly by my side/You didn’t have to say anything

 

     Leggere una pagina del diario di Wave fu un incidente. A dirla tutta, Pang neanche aveva capito che appartenesse al suo diario: non lo aveva esattamente ricondotto a quello, un foglio strappato e spiegazzato sulla sua scrivania. In seguito avrebbe imparato che Wave non aveva la pazienza, o forse l’indole, di portarsi appresso un singolo taccuino ovunque andasse, per cui, di tanto in tanto, quando ne aveva voglia e se c’erano eventi o pensieri sparsi da annotare, strappava una spilletta o qualcosa del genere da un quaderno, ci scriveva la data e poi la aggiungeva a un raccoglitore che teneva riposto nel cassetto più in basso della sua scrivania. Quando però Pang vide quel singolo foglio immaginò si trattasse di altro e, pure in modo non intenzionale, con la coda dell’occhio, si mise a leggerlo. Attraverso le linee ondulate della bella grafia di Wave, scoprì che a quanto pareva l'amico si era scocciato della sua felpa nera con zip e cappuccio e che presto o tardi avrebbe voluto comprarsi qualcosa di diverso, qualcosa di distintivo, ma non troppo appariscente, che poteva indossare al di sopra dell’anonima uniforme scolastica, qualcosa di simbolico per iniziare il nuovo anno con una marcia in più.
     Fu quella nozione appena acquisita che portò Pang a farsi un giro per tutti i negozi di abbigliamento della zona per cercargli una giacca o un’altra felpa che facesse al caso suo. Sapeva che il colore preferito di Wave fosse il verde e conosceva la sua taglia, quindi fece del suo meglio per trovare qualcosa che unisse entrambi quegli elementi e che riusciva nella sua mente a vedere bene addosso a Wave. Quando una delle tante commesse con cui dovette interagire quel giorno gli propose di provare addosso la giacchetta verde smeraldo che gli stava mostrando, per assicurarsi che calzasse, Pang le disse: “Uhm, non è per me”.
     Lei gli rispose solo un “Oh, okay. La tua ragazza porta una S?”
     Pang si disse di aver sbagliato a frugare nella sezione unisex del negozio non appena udì quelle parole. “Uhm, non è per una ragazza.” La commessa si limitò ad annuire e a portargli altri capi della taglia che Pang richiese. La sua domanda era, in realtà, stata fuori luogo e Pang avrebbe anche potuto farglielo notare: cos’era, un ragazzo non poteva comprare una giacca per un fratello, per un cugino, per un collega, per un compagno di classe o per un’amica? Dare per scontato che fosse lì per una fidanzata era stato un errore suo, non certo di Pang non averne una per cui fare acquisti. Specificare che il regalo fosse per un maschio non significava implicitare che suddetto maschio fosse il suo ragazzo. Senz’altro un’altra persona avrebbe glissato sulla questione e si sarebbe fatta una grassa risata di fronte alla domanda della commessa, rispondendole che il capo d’abbigliamento era destinato a un amico, e basta, ma lui non se l’era sentita di aggiungere alcunché.
     Alla fine, Pang arrivò a fine serata senza la benché minima idea del perché le ragazze amassero tanto fare shopping. Non era ancora riuscito a trovare nulla che si figurava bene attorno al corpo di Wave e ogni delusione lo aveva reso solo più frustrato e stanco.
     Sulla strada del ritorno, tuttavia, a meno di duecento metri dal loro dormitorio, l’universo gli spedì una fortuna condita di cappuccio e tasche laterali, proprio quella che aveva cercato per l’intero pomeriggio. Un venditore ambulante di vestiti e accessori fatti a mano — come annunciava il cartello che portava con sé sotto al suo braccio — se ne stava con ogni probabilità tornando a casa dopo un’intensa giornata di lavoro, trascinandosi dietro uno stender di alluminio con magliette, giubbotti e felpe appesi a delle grucce nere.
     “Mi scusi!” Pang lo richiamò.
     Quello si girò di soprassalto, colto alla sprovvista, e poi indirizzò a Pang un sorriso gentile, il primo sincero e spontaneo che gli era stato rivolto quel giorno. Aveva la carnagione molto scura, forse anche per le tante ore passate sotto al sole cocente, ed era vestito di bianco, con abiti di lino e un cappello più che singolare sul capo, di forma triangolare; Pang suppose che anche quello fosse stato fatto a mano da lui. “Che c’è, ragazzo?”
     “Khun, posso chiederle- Posso vedere questa giacca?” gli domandò, puntando con l’indice il capo che aveva fin da subito catturato la sua attenzione.
     L’uomo annuì, poggiò per terra il cartello e il borsone che aveva sulle spalle, poi afferrò la stampella della giacca verde che Pang aveva adocchiato e gliela porse. Era stupenda. Morbida al tatto, ma chiaramente resistente agli urti, forse impermeabile; Pang non conosceva il nome di quella tonalità precisa di verde, ma ricordava di aver scorto una maglietta a collo alto nell’armadio di Wave dello stesso esatto colore, e se la sua memoria non lo stava tradendo era possibile che gliel’avesse anche vista addosso, quindi era certo che dovesse piacergli; il cappuccio, come meglio notò una volta che la ebbe tra le mani, non era un cappuccio vero e proprio, ma un cappello, legato ai lati della giacca con dei cordini dorati attaccati a delle asole verde militare a malapena visibili, che poteva insomma tanto essere portato assieme alla giacca, quanto essere scartato. Pang se lo rappresentò mentalmente in testa a Wave e, non seppe perché, l’immagine lo fece ridere: gli avrebbe conferito un’aria buffa, o forse solo insolita, diversa, senz’altro lo avrebbe reso più facilmente approcciabile, cancellando una parte dell’aura tenebrosa che ormai lo circondava anche solo per fama.
     “La prendo” proclamò. Gli sarebbe stata un po’ larga addosso, ma essendo un pezzo unico sapeva che fosse inutile chiedere se ce ne fosse una taglia più piccola. Ormai aveva deciso che lo avrebbe comprato e di rado Pang non dava ascolto a quella voce nella sua testa che lo spingeva a fare le cose senza rifletterci troppo sopra.
     Porse all’uomo i 1500 bath che gli doveva. Il suo portafogli inveì contro di lui, ma Pang non gli diede retta. Il commerciante impacchettò la giacca piegandola su se stessa con meticolosità fino a farla diventare un terzo delle sue dimensioni originali, la avvolse in carta velina e poi in carta da regalo e per finire le strinse attorno un filo d’oro che increspò ai lati con delle forbici per farlo venire ondulato; terminò il lavoro aggiungendo una coccarda verde al centro del pacchetto.
     Pang lo ringraziò, quello gli rispose con un altro sorriso genuino e poi si incamminò di nuovo per la sua strada. Pang fece altrettanto.
     Se Wave gli avesse domandato come mai aveva deciso di prendergli un regalo, Pang non avrebbe saputo cosa rispondergli. “Perché per me ci sei sempre stato, e non so come avrei fatto senza di te nell’ultimo anno e mezzo, e perché anche quando non ci credo io, in me stesso, tu non smetti mai” non gli sembrava un’affermazione che potesse realisticamente rivolgergli — non perché non fosse vera, ma solo perché tra loro due non funzionava così, non aveva mai funzionato così e con ogni probabilità non lo avrebbe mai fatto.
     E poi, non era per la gratitudine che provava nei suoi confronti che aveva scelto di comprargli quella giacca. Era uscito dalla stanza di Wave e si era precipitato di corsa in città con il solo intento di fare qualcosa per lui, che potesse renderlo felice, che potesse farlo sorridere, per donargli qualcosa che era sicuro Wave desiderasse: nient’altro; e rispondergli con questa verità sarebbe stato ancora più imbarazzante che farlo con quell’altra.

):)


 
     “Cos’è?” fu la prima cosa che Wave gli disse dopo averlo salutato, quando Pang appoggiò il regalo sul suo letto. Avevano l’abitudine di vedersi ogni sera prima di andare a dormire, per fare un riepilogo generale della giornata o, se non era successo nulla che valesse la pena ricapitolare, semplicemente per stare assieme prima di tornare ognuno nella sua stanza. Quel giorno, fu Pang ad andare nella sua, anche perché era consapevole di essersi trattenuto più del dovuto fuori e che a Wave dava molto fastidio quando non rispettava gli orari stabiliti.
     “Il motivo dei miei venti minuti di ritardo.”
     Wave abbassò gli occhi sul pacchetto e poi di nuovo su Pang — e così fece come un disco rotto per almeno dieci volte. “È per me?” gli chiese a un certo punto.
     Pang ridacchiò. “No, per carità. L’ho messo sul tuo letto per fartelo vedere, ma in realtà è un regalo per qualcun altro” ironizzò.
     Wave rispose con una smorfia infastidita, alzò gli occhi al cielo e gli diede un leggerissimo calcio sulla caviglia per buona misura. Pang allargò il suo sorriso. “Lo apro, allora” annunciò. Lui annuì, improvvisamente teso. Sperava sul serio che gli sarebbe piaciuto. Wave era una persona abbastanza schietta e, quando non diceva una parola, era sempre e comunque la sua faccia a parlare per lui: lo avrebbe capito subito se non era di suo gusto.
     Quello che successe, però, fu qualcosa di molto diverso: non appena Wave ebbe strappato con poca grazia la carta che avvolgeva l’indumento, i suoi occhi si spalancarono, le palpebre raggiunsero quasi l’altezza della fronte, e le labbra si schiusero a formare una buffa ‘o’. Non stava sorridendo, ma Pang riuscì comunque a percepire la commozione che la vista del suo regalo gli aveva appena causato. Avvertì subito un senso di orgoglio invadergli il petto e un’ubriaca felicità esplodergli nel cuore.
     Quando Wave alzò lo sguardo su di lui, la sua faccia era un turbine di emozioni, prime fra tutte sorpresa e incertezza. Pensò di dirgli: “Per sbaglio ho letto quella tua pagina di diario”, poi, di fronte al lampo di paura che vide nei suoi occhi, si affrettò ad aggiungere: “per sbaglio e solo quella. Non- Non avevo capito fosse un diario, all’inizio.”
     Wave non disse nulla per qualche secondo e lo guardò con aria impassibile, dopodiché annuì. “Okay” gli disse soltanto.
     “Allora, sono perdonato?”
     “Uhm?”
     “Per il ritardo. Sono perdonato?”
     Wave dovette sopprimere un sorriso a trentadue denti, a giudicare dal modo in cui si morse l’interno delle guance per non permettere alle sue labbra di andare troppo all’insù. Sbuffò, ma il divertimento nel suo tono era troppo evidente per essere celato. “Ci devo pensare” gli rispose.
     Pang scosse il capo su e giù. “Provatelo” gli propose.
     Wave parve titubante, ma bastò una manciata di secondi a convincerlo. A volte Pang desiderava poter entrare nella sua testa e seguire il modo in cui la sua mente ragionava, per capirlo meglio e imparare a decifrare ogni suo silenzio. Lo osservò mentre si sfilava di dosso la felpa color porpora che era solito indossare e che, in realtà, sebbene lui se ne fosse stancato, Pang reputava gli donasse parecchio; quando afferrò la giacca verde, la prima cosa che fece fu stendersela addosso, per farsi un’idea delle misure. “Forse è un po’ larga” disse.
     Pang affondò i denti nel labbro inferiore per un singolo istante, nervoso. “Mh. Lo immaginavo. Ma è fatta a mano, quindi non ce n’erano di taglie diverse” gli spiegò. Uno strano senso di disagio si stabilì in corrispondenza del suo petto e lo portò ad aggiungere: “Se non ti piace, se è troppo grande, non devi metterla per forza.”
     Wave si limitò a scuotere la testa a destra e a sinistra un paio di volte. Indossò il giubotto e, per quanto secondo Pang gli stesse abbastanza bene, si notava parecchio che fosse almeno una taglia più grande della sua. Il suo cervello gli spedì un’immagine: se stesso con la giacca che aveva appena comprato addosso, che gli calzava alla perfezione, e le sue braccia attorno alle spalle di Wave. Pang serrò gli occhi e li riaprì bruscamente per farla sparire.
     “Mh” mugugnò Wave, con il tono che assumeva sempre quando riparava un aggeggio elettronico più complesso degli altri. “Beh, potrei...” Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, piuttosto che mettersela addosso, appoggiò la giacca sulle spalle. Definiva alla perfezione il suo contorno e, essendo lunga e grossa, nonché calda, doveva essere piuttosto confortevole anche portata in quel modo.
     Pang gli sorrise. Non poté fare a meno di credere che, forse, se si fosse trattato di un capo acquistato online, o che Wave aveva preso per se stesso, non si sarebbe ingegnato più di tanto a trovare un modo per poterlo indossare comunque; forse si stava illudendo, ma una parte di sé volle crogiolarsi nell’illusione che Wave ci tenesse a poter usare a tutti i costi quella giacca perché gliel’aveva regalata lui. “Ti sta bene” commentò; ed era un commento, niente di più, quasi oggettivo, a suo modestissimo parere; ma l’aria tra di loro si fece comunque strana, diversa, incandescente, tesa.
     Wave lo stava guardando come se fosse un quadro da restaurare, o un problema di matematica difficile da risolvere. “Grazie” gli rispose. “Del regalo, in generale. Non ce n’era bisogno.”
     Pang fece spallucce.
     Quando si comportava così, quand’era gentile, e un po’ in imbarazzo, gli veniva davvero voglia di baciarlo; a volte era un pensiero fugace, un’immagine visiva che la sua mente gli inviava, e per un po’ Pang non era neanche stato in grado di capire se corrispondesse a un effettivo desiderio o se si limitava a essere uno scenario che, a volte, il suo cervello metteva in piedi; poi, però, aveva iniziato a figurarselo apposta, nel bel mezzo della giornata, magari mentre Wave era impegnato a fare qualcos’altro e non gli stava prestando attenzione: immaginava come sarebbe stato camminare nella sua direzione, afferrare il colletto della sua camicia e attirarlo a sé in un bacio che non aveva niente di casto; altre volte, invece, pensava a che effetto gli avrebbe fatto sporgersi lentamente verso di lui mentre erano seduti vicini, revisionando un piano o guardando una mappa, centimetro dopo centimetro, si chiedeva come avrebbe reagito Wave, se sarebbe rimasto lì impalato aspettando che Pang lo baciasse o se avrebbe annullato lui la distanza tra le loro bocche. Più le svariate possibilità navigavano nel suo cervello, più Pang era portato ad ammettere che, sì: si trattava di qualcosa che voleva davvero, che desiderava accadesse.
     Non ancora, però. Avrebbe aspettato il momento più opportuno. L’anno era quasi finito, Namtaarn era da poco tornata in salute, e le scartoffie per farle cambiare scuola erano ormai state compilate, il Direttore era ancora a comando dell'istituto e il Programma Gifted era stato chiuso a causa dell’attacco del gruppo Anti-Gifted. Era tutto un casino e Pang non aveva ancora idea di come avrebbero fatto a risolvere le cose nel solo corso dell'ultimo anno che restava loro da spendere in quella scuola.
     Perciò, avrebbe aspettato. Il momento più opportuno sarebbe prima o poi arrivato.



   
 
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