Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: channy_the_loner    16/10/2023    1 recensioni
Si dice che la Costellazione Lira abbia ispirato la leggenda giapponese di Hikoboshi e Orihime, gli amanti costretti a vivere in eterno sulle sponde opposte del Fiume Celeste. È anche un riferimento allo strumento musicale di Orfeo, figlio della musa Calliope, il cui suono ha incantato ogni elemento della Natura.
Ma non è tutto: Lira contiene dei sistemi planetari – e questa storia s’incentra proprio qui. Racconta di un gruppo di ragazzi le cui vicende, a prima vista singole o di poca importanza, riescono a intersecarsi perfettamente tra loro, creando un arcipelago astrale visibile sotto il cielo estivo e facendoli assomigliare alle stelle. La causa scatenante di tutto è una festa che va contro le regole dell’istituto: sembra una scena di ribellione firmata dai soliti studenti conosciuti per finire sempre nei guai, e invece si rivela una galeotta occasione per dare una svolta alle vite di ognuno di loro.
Una paura infondata e un sorriso leggero; un segreto asfissiante e un’indifferenza rissosa; una lontananza imprevedibile e un silenzio incoerente; una bugia bianca e un’ombra nera; una malinconia bruciata e un cuore metallico.
E tanto, tanto altro.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sabo, Tashiji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Nami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
7
Bleachers, Lightning and Surname



Le nuvole che soffocavano il cielo erano così nere che pareva dovesse cascare giù il finimondo da un momento all’altro, eppure nessuno si preoccupava di correre a trovar riparo da qualche parte o tenere a portata di mano un ombrello saldo: l’omino in televisione aveva detto che non avrebbe piovuto, quindi perché preoccuparsi? Quel vecchietto con la bacchetta sempre in mano non aveva mai sbagliato un colpo.
Le temperature, tuttavia, esprimevano appieno la stagione invernale ormai alle porte. Infagottata nel suo cappotto color cenere e avvolta nella sua sciarpa a quadri, gli occhi perlati di Bibi saettavano da destra a sinistra, poi da sinistra a destra, mentre al petto stringeva il libro di storia non ancora aperto come a volerlo stritolare.
«Siamo qui per studiare o per fare le cheerleader?»
A udir la domanda traboccante di sarcasmo di Nami, l’azzurra si affrettò a cambiare obiettivo da squadrare. Rispose balbettando: «Per studiare, ovvio.»
La rossa ridacchiò, la bocca coperta dalla cerniera del piumino tirata fino in cima. «Bibi, con tutto il bene che ti voglio, sto congelando. Dimmi chi è e facciamola finita.»
Il volto di Bibi divenne violaceo; prese ad osservare i gradini degli spalti, improvvisamente molto più interessanti dello spettacolo che la fronteggiava. «Quello che adesso sta bevendo dalla borraccia.»
Nami guardò nella direzione indicata discretamente. «Però, niente male!», decretò. «E brava la principessina!»
L’amica scattò sull’attenti. «Non insinuare nulla. Mi ha solo detto che sarebbe stato carino venire a vedere gli allenamenti.»
«Andiamo, è stata palesemente una scusa per vederti di nuovo», rispose la rossa mentre sottolineava sul proprio libro con l’ausilio di una matita ben temperata.
«Sì? E dov’è scritta questa legge della natura? Sentiamo.»
«Nel manuale universale sul linguaggio maschile. Vai in biblioteca, ne trovi sicuramente una copia.»
Bibi si decise finalmente ad aprire il proprio libro anche se, lo sapeva già, avrebbe fatto solo finta di imparare qualcosa. «Non so neanche come si chiama.»
«Potevi chiederglielo.»
«Poteva chiedermelo anche lui, se è per questo.»
«Ti ha già invitata a uscire, quindi il suo l’ha fatto. Vuoi che ti porti anche in braccio o che ti sbucci la frutta?»
«Allora, punto uno, ti ho detto che non mi ha invitata a uscire. Punto due, non penso sia il tipo di fare quelle cose. È più alla Sanji.»
Nami alzò gli occhi al cielo. «Per carità, non nominarlo neanche in mia presenza.»
Bibi, dal canto suo, trovò il pretesto per chiudere nuovamente il libro. «Sei ancora arrabbiata con lui?»
«Non sono arrabbiata», sbottò la rossa, «però mi dà fastidio.»
«Nami, hai bisogno di mettere in ordine le idee», le disse l’amica. «Sei incoerente quando parli.»
La rossa chiuse a sua volta il libro e gettò la matita nello zaino, senza preoccuparsi di riporla nel borsello in cui custodiva penne ed evidenziatori; gonfiò le guance, stringendosi nel giubbino per non soffrire a causa di una folata di vento improvvisa. «Non è semplice da spiegare. È che lui è un amico, un amico vero, ma a volte penso che faccia di tutto per farmi arrabbiare. Non ripongo aspettative su di lui, non mi piace incastrare le persone, però lo considero un ragazzo maturo. Be’, almeno fino a venerdì scorso.»
Bibi ascoltò in silenzio, tentando di capirci qualcosa. Solo quando l’amica finì il discorso si permise di parlare: «Forse non è vero che non riponi aspettative in lui. Sanji è un ragazzo d’oro, e i suoi modi di fare ti avranno convinta che sarebbe venuto a prenderti nonostante tu l’avessi messo in punizione. È per questo che lo stavi aspettando.»
Nami fece segno di no col dito indice. «Non lo stavo aspettando. Mi aspettavo che venisse lo stesso. È diverso.»
«Sei un caso perso.»
«Senti da che pulpito! Pensa al tuo bel giocatore di rugby, piuttosto.»
Seppur non lo volesse davvero, il volto di Bibi andò a fuoco a causa dell’imbarazzo che aveva pervaso il suo corpo. Tornò a guardare verso il campo sportivo, dove la squadra stava svolgendo l’allenamento quotidiano; all’azzurra non interessava affatto assistere alle loro flessioni, né agli scatti in avanti né ai lanci della palla, bensì trovava rilassante poter guardare da lontano il ragazzo con, pochi giorni prima, aveva scambiato qualche parola in corridoio. Era bravo nel suo sport, e Bibi poteva solo immaginare in che portento avrebbe potuto trasformarsi durante le partite vere e proprie; era talentuoso ed energico, ed era tutto perfetto fino a quando la sua mente volle prendersi gioco di lei, mettendole in testa paragoni illogici e scombinati tra loro.
Tornò a guardare la ragazza che la affiancava, intenta a strofinarsi le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarle. Decise che sì, con lei ne avrebbe potuto parlare: Nami aveva un animo sensibile, l’avrebbe sicuramente capita e avrebbe saputo consigliarle – vero?
«Devo confessare una cosa.»
La rossa si voltò verso di lei, invitandola silenziosamente a continuare.
«È da un po’ di tempo che ho un problema con Luffy. Anzi, no, credo sia meglio dire che ho un problema con me stessa.»
«Che vuoi dire?»
Bibi sospirò, osservando con falsa attenzione le dita delle sue mani, arrossate a causa del freddo – avrebbe dovuto iniziare a usare i guanti invernali. «Ecco, è una storia un po’ strana. Risale a prima di Halloween.»
L’altra incrociò le braccia sotto al seno prosperoso. «E tu ne stai parlando solo ora? Sono passate quasi tre settimane.»
«Lo so», rispose, afflitta. «Perché credevo che fosse uno stato d’animo passeggero, insomma, non ero molto allegra quel giorno. Ma appena ho notato che nonostante i giorni stessero passando ed io stavo sempre allo stesso modo, mi sono allarmata. Non so neanche per quale motivo mi stia dando così tanta pena.»
Nami sospirò, spazientita. «Insomma, mi vuoi dire o no cosa è successo?»
«Io non ci volevo venire, alla festa di Halloween.»
Bibi aveva parlato così velocemente che la rossa dovette ripetersi più volte la frase in mente per comprenderne il significato. «E perché non ce l’hai detto?»
«Perché sapevo che tutti voi stavate attendendo con ansia quella festa. Non volevo rovinarmela con i miei capricci, dato che sapevo che ci sareste rimasti male. Poi di mezzo c’era anche la questione di Smoker e tutto il resto.» Fece un respiro profondo per calmarsi. «Così ho pensato di chiedere consiglio all’unica persona che non ne sapeva nulla.»
«Ne hai parlato con Luffy?», domandò la rossa in evidente confusione. «Ma quando è arrivato alla festa sembrava realmente sorpreso…»
«Be’, sì, perché ovviamente non gli ho rivelato nulla del vostro piano», rispose Bibi. «Mi sono inventata una scusa, sono stata molto vaga.»
«Capisco. E lui?»
«E lui non si è affatto sbilanciato. Ha fatto il sempliciotto come al solito.»
Nami sorrise, divertita. «Tipico di lui. E dove sarebbe il problema?»
L’azzurra sospirò per l’ennesima volta. «Il problema è che mi ha dato fastidio. Mi aspettavo qualcosa di più, un minimo di interesse, curiosità… E invece niente.»
L’altra si resse il viso con le mani, i gomiti puntellati sulle ginocchia coperte da jeans scuri. «Cosa avrebbe dovuto risponderti? Non è così intelligente da poter intuire cosa gli stavi nascondendo.»
«Nami, gli ho detto che un ragazzo stava insistendo per uscire con me e che io non volevo. Non ha fatto una piega, ha cambiato argomento come se nulla fosse.»
La rossa vide Bibi nascondere il naso congelato nella sciarpa morbida, così lunga che aveva dovuto avvolgerla tre volte attorno al collo e alle spalle.
«Me ne sono andata e non gli ho rivolto la parola per diverso tempo, però lui è rimasto lo stesso. Non riesco a capire cosa c’è che non va», mugugnò.
Nami annuì, poi si aggiustò il berretto di lana che le copriva la testa. «In sostanza, ti senti in colpa per una bugia bianca e perché l’hai mollato lì dopo l’ennesima sua dimostrazione del suo essere idiota, dico bene?»
«A grandi linee sì.» La guardò negli occhi, implorante. «Come faccio a risolvere la faccenda?»
«Stammi a sentire», fece. «Ai miei occhi questa storia è ridicola. Insomma, conosci Luffy, sai che non riesce a fare neanche due più due. Dovresti metterti a piangere e a implorarlo per fargli capire che c’è qualcosa che non va. Ma, in questo caso, non ce n’è stato bisogno dato che è stata una bugia a fin di bene. L’unico consiglio che posso darti è metterti l’animo in pace e dimenticare tutto.»
«E se dovesse ricordarsene?», le domandò. «Nessun ragazzo mi sta facendo la corte, e sai che io non so mentire.»
«Be’, basta che gli spieghi che non potevi rivelargli la nostra sorpresa.» Un secondo dopo, Nami sorrise furbamente. «Oppure, puoi fare riferimento a lui», e indicò il ragazzo che correva nel campo di rugby.
Bibi sorrise a sua volta. Proprio in quel momento il giovane atleta si voltò verso gli spalti dove le due fanciulle sedevano solitarie; alzò una mano in segno di saluto, che l’azzurra ricambiò timidamente.
«Dicevamo? Il linguaggio universale?»
«Ma piantala, Nami.»
Un discorso tirò l’altro e continuarono a chiacchierare del più e del meno, fino a quando non vennero raggiunte da una giovane donna dai lunghi capelli castani e dalle sensuali forme femminili. Conoscevano a malapena il suo volto, poiché si era trasferita da poco tempo nell’istituto che frequentavano, tuttavia era impossibile dimenticare i suoi marcati tratti latini e il forte profumo che le abbracciava la pelle. Parlò con voce profonda: «Scusatemi, ragazze. Siete voi Bibi e Nami?»
Entrambe annuirono, scambiandosi occhiate sfuggenti e vagamente confuse.
«Sono la nuova insegnante di educazione fisica del primo anno. Mi chiamo Viola Riku», disse con un sorriso cordiale.
«Cosa possiamo fare per lei?», domandò Nami con la medesima espressione in volto.
«Vedete, faccio parte del comitato di organizzazione della raccolta fondi di Natale», spiegò con professionalità. «Nello specifico mi occupo del match di pallavolo. Non so se ne avete già sentito parlare.»
«Io sì», fece Bibi. «È tra gli eventi proposti per raccogliere il denaro destinato al laboratorio di ricerca di Punk Hazard. I soldi dei biglietti verranno spediti lì.»
«Proprio così», fece la docente. «Sono qui per proporvi di far parte della squadra. Uno studente mi ha parlato della vostra bravura in questo sport», aggiunse accarezzando i petali di una rosa rossa, che solo in quel momento le ragazze notarono.
«È la stessa persona che le ha regalato quel fiore?»
Viola si rigirò il gambo del fiore tra le dita, sapendo che non si sarebbe fatta male poiché privato delle caratterizzanti spine. «Esatto. Però non ricordo come si chiama…»
«Era biondo e un po’ logorroico?»
L’insegnante annuì. «Ed era vestito di nero.»
Nami assunse un’espressione seccata. «Sanji…»
«Ah, sì, proprio lui. Ma tornando alla mia proposta: che ne dite?»
La rossa scosse la testa con rassegnazione. «Mi piacerebbe, ma sono già occupata con lo spettacolo teatrale del professor Sengoku.»
«Capisco. E tu?», domandò rivolgendosi a Bibi.
Quest’ultima si grattò nervosamente una guancia. «Su due piedi non saprei dire», mugugnò. «Le farò sapere.»
«Non ci sono problemi. Per qualsiasi cosa mi puoi trovare in palestra o nell’aula docenti», rispose. «Anche se si tratterà di un’amichevole, ci alleneremo due volte alla settimana, il martedì e il giovedì.»
Detto ciò, si congedò e si allontanò.


***


Adorava svolgere le mansioni correlate all’impegno che, mesi prima, aveva scelto di assumersi; era il tipo di persona che ascoltava gli ordini, prendeva nota e annuiva con serietà, per poi svolgerli e portarli a termine con successo. Non era, dunque, un peso fare i giri di ronda durante le attività lei club; le bastava controllare che nessuno facesse danni in giro e che tutti stessero nelle rispettive aule o, se si trovavano al di fuori di esse, che presentassero il permesso per muoversi da un posto all’altro. Per le segnalazioni di infrazioni bastava annotare la disubbidienza e riportarla al suo capo il quale, a propria volta, l’avrebbe girata alle autorità superiori.
Non le importava di fare la figura della rigida, di qualcuno che non conoscesse il significato del termine divertimento – era fatta così, cresciuta a pane, rigore e disciplina, sguardo austero e schiena dritta, anche se spesso la sua immagine fiera finiva col capitolare a causa della sua eterna sbadataggine: lacci sciolti, pavimento bagnato e spallate contro gli stipiti delle porte erano piccoli e imbarazzanti incidenti che le capitavano ogni giorno, senza preavviso e senza pietà, e lei in quei momenti doveva sperare che non vi fosse anima viva nei dintorni, in maniera tale da non essere vista e di conseguenza derisa.
Neanche il tempo di finire di pensarlo, che l’ultimo gradino delle scale che stava scendendo per dirigersi dal terzo al secondo piano si trasformò in una lastra di ghiaccio; fu letale per la suola liscia delle scarpe che indossava, poiché slittò in avanti e già si vide con la faccia a terra, gli occhiali rotti e un bernoccolo sulla fronte coperta dalla frangia irregolare. Ma lo schianto non arrivò mai, bensì un paio di mani a sorreggerla, insieme alle rispettive braccia spuntate da chissà dove.
«Grazie», fece lei, il cuore accelerato per lo spavento. «Mi hai evitato una brutta caduta…»
«Ma guarda dove vai, quattrocchi.»
Tutta la gratitudine di cui si era riempita scivolò via dal suo corpo per lasciare spazio a un profondo senso di contrarietà. «Tu…», mormorò con voce terribilmente bassa. «Si può sapere cosa ci fai qui?»
Zoro fece spallucce, incurante del nuvolone nero che aveva sovrastato il capo della ragazza. «Camminavo.»
Tashigi si scostò furiosamente dalle sue braccia, le quali erano rimaste protese a mantenerla in piedi. «Mi vengono in mente due scenari possibili che giustificano la tua presenza qui e ora.» Si aggiustò gli occhiali sul ponte del naso. «Ipotesi numero uno: stavi cercando l’aula del corso extracurricolare che hai scelto e ti sei perso», disse alzando il dito indice; poi alzò il medio, continuando a contare: «Ipotesi numero due: sei rimasto nascosto fino a ora per combinare chissà cosa e solo adesso te ne stai andando.»
Lui si grattò la nuca, seccato almeno quanto lei. «Che brutta immagine hai di me. Comunque, le tue supposizioni sono entrambe errate.»
Affilò lo sguardo tagliente. «Fila immediatamente in classe.»
«No.»
«È un ordine.»
«Detta ordini quanto ti pare, io me ne sbatto.»
Tashigi emise un verso di evidente frustrazione, dopodiché lo afferrò per un polso e lo trascinò verso una nuova rampa di scale, ricominciando a scendere i gradini frettolosamente e con l’aria di chi stava facendo uno sforzo immane per non mettersi a urlare. Alla domanda di lui, che contrariato le aveva chiesto cosa avesse intenzione di fare, rispose: «Ti ci porto io, in classe.»
«Ma se non sai neanche qual è!»
«Infatti stiamo andando in segreteria, così potrò scoprirlo.»
Zoro si chiese mentalmente se la segreteria di quell’istituto servisse realmente a qualcosa, dato che ogni volta che gli capitava di passare da quelle parti per chiedere informazioni – o perché ci si era ritrovato senza volerlo – tutti gli addetti al settore erano magicamente in pausa caffè, come a voler ricompensare le immani fatiche che avevano compiuto fino a quel momento, non che qualcuno potesse effettivamente testimoniare a loro favore.
Difatti anche quel pomeriggio la segreteria era deserta, con i ripiani ricoperti da un sottile strato di polvere e balle di fieno che rotolavano accompagnate da fischianti folate di vento. Nonostante in quella stanza si respirasse aria di desolazione e abbandono, Tashigi lo mollò sulla soglia della porta per dirigersi a passo di marcia verso un’alta cassettiera da ufficio e ne aprì un cassetto, dal quale sbucarono fuori una miriade di fogli di carta racchiusi in raccoglitori grigi; ne scelse una decina e se li issò sulle braccia, non badando al loro peso.
«E quella che roba è?»
«Sono i dossier delle attività extracurricolari.» Seppur barcollando, riuscì a raggiungere una scrivania spoglia e a poggiarli sulla superficie legnosa con un sonoro tonfo. «Contengono l’elenco degli iscritti a ciascun corso. Mi basterà consultarli a uno a uno per scovarti.»
Zoro sbadigliò, visibilmente annoiato. «Fa’ pure, non mi interessa», biascicò sedendosi su una poltrona girevole, le mani a mo’ di cuscino dietro la testa e le gambe stese a impicciare il passaggio.
La ragazza gonfiò le guance, ma si mise subito all’opera; i suoi occhi scorrevano velocemente dall’alto verso il basso, poi le sue dita sottili voltavano una pagina, e il processo si ripeté fino alla fine del primo portadocumenti. Lo mise da parte e iniziò a consultarne un secondo, poi il terzo, il quarto e così via, arrivando al punto di aver terminato la ricerca senza un risultato.
«Che scherzo è?»
Zoro, appisolato, trovò la forza di ghignare. «Non mi hai trovato?»
«No.»
«Bene», rispose. «Adesso mettiti l’animo in pace e lasciami andare.»
Uno per volta, la ragazza ripose al proprio posto tutto ciò che aveva precedentemente preso. «Posso giurare di aver controllato bene nonostante la fretta. Cosa mi è sfuggito?»
Lui si rimise in piedi con un balzo, senza preoccuparsi di riaccostare la sedia al tavolo. «Proprio niente.» La guardò di sottecchi. «Non mi sono iscritto a nessun corso.»
Tashigi dovette battere le palpebre più volte per accertarsi di essere sveglia, che quella situazione non stesse accadendo solo nella sua mente. «Stai scherzando», decretò.
«Affatto.»
Lo afferrò per le possenti spalle e iniziò a scuoterlo avanti e indietro. «Ma sei cretino?! I tuoi voti fanno pena e tu non ti degni neanche di sollevarli un po’ con degli stupidissimi crediti?!»
«E tu come fai a sapere che voti ho?»
«Roronoa, sono nel Comitato, ho accesso a più informazioni di quanto tu possa credere.»
«Questa è violazione della privacy!»
«Sei sicuro di voler affrontare questo discorso? Proprio tu?!»
«Certo, proprio io. Non mi sembra di aver mai…»
«Per carità», lo interruppe, «non completare neanche la frase.»
Le afferrò le braccia e la costrinse a mollare la presa. «Cosa vuoi da me?!»
Tashigi si scostò e indietreggiò di qualche passo. «Vorrei che tu rispettassi il regolamento. Non pretendo che tu possa diventare lo studente modello, ma non ci provi neanche a rigare dritto.»
La fissò dall’alto della sua altezza, l’occhio torvo ben incollato allo sguardo color cioccolato di lei. «Che t’importa? Non abbiamo niente a che fare, io e te.»
Tashigi incrociò le braccia al petto, cocciuta. «Questo lo so bene, ma il ruolo che occupo in questo istituto comporta delle responsabilità. Non posso lasciare che tu o qualcun altro vi roviniate così.»
Zoro rimase per un po’ in silenzio; il suo volto inespressivo e marmoreo era ancora piegato appena verso il basso, in modo da mantenere ancora in piedi quel contatto visivo. Sembrava una gara a chi fosse più testardo, a chi volesse prevalere sull’altro, come se in quell’invisibile linea che univa i loro occhi vi fosse una scarica elettrica oscillante prima verso di lui e poi verso di lei, e poi di nuovo indietro e avanti, indietro e avanti, costringendo i due sfidanti a combattere per non rimanere fulminati da quelle scintille di rivalità che avrebbero potuto far scoppiare un incendio da un momento all’altro. Quando capì che quello scontro si sarebbe concluso con un pareggio, il ragazzo si tirò indietro. Voltò il capo a destra per fissare un punto indefinito della segreteria. «Sei troppo severa», masticò con la mascella contratta.
«Come?»
«Ho detto», fece con il tono di voce più alto, «che devo andare in palestra.»
Tashigi aggrottò le sopracciglia. «Che ci vai a fare? È occupata. A quest’ora si stanno allenando quelli di basket.»
«Idiota», la apostrofò Zoro. «Mica qua. Al Kuraigana
«Eehh? Frequenti veramente quel posto?»
«Sì, perché?»
«Be’, dicono che i programmi che propone l’allenatore vadano oltre l’umana concezione. Un tizio per poco non è morto per seguire gli esercizi alla lettera.»
Zoro fece spallucce. «Tutte stronzate. Sono due anni che vado là e non è mai successo nulla.» Si batté una mano sulla pancia e le sue labbra si curvarono per dar vita a un sorriso soddisfatto. «Oggi addominali.»
Appoggiata con le anche a una delle scrivanie dell’ufficio, Tashigi alzò gli occhi al cielo, ignorando quel palese vanto. Lo vide tuffare le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta e darle le spalle, intenzionato ad andarsene; raggiunse presto la porta della segreteria e girò a sinistra.
La voce uscì senza che lei potesse controllarla: «Zoro.»
Lui si bloccò sul posto, tornando a guardala negli occhi per l’ennesima volta da quando si erano incrociati quel nuvoloso pomeriggio, circondati da un silenzio spezzato solo dal cigolio di una finestra in lontananza, la cui anta cigolava a causa dei soffi di vento che s’intrufolavano all’interno dell’edificio così grande, eppure così piccolo da poter permettere incontri casuali come il loro.
«L’uscita è a destra.»


***


Con tutta la pazienza che il suo corpo era in grado di contenere, Sanji si domandò per quale motivo avesse deciso di acconsentire a quella richiesta.
Camminava con lo sguardo puntato verso il basso, che a guardarlo da fuori pareva stesse semplicemente mettendo un piede davanti all’altro, senza una meta precisa, senza uno scopo nella vita – ma il biondo ce l’aveva, ed essere costretto a raggiungere la linea del traguardo del suo percorso svogliato gli dava sui nervi; sentiva addosso un malessere che non accennava ad andar via, come un tatuaggio sulla pelle, un marchio a fuoco sulla sua lunga schiena.
Quando varcò la soglia della palestra che ospitava il campo da pallacanestro, le urla dei giocatori gli arrivarono come uno schiaffo in viso insieme alla puzza di sudore, e si chiese quando avessero intenzione di aprire qualche finestra per pulire quel tanfo e per raffreddare i loro bollenti spiriti combattivi. Restò immobile contro l’uscio, nel minuscolo atrio che precedeva lo stanzone vero e proprio, e dovette farsi violenza per non fare marcia indietro. Avanzò in direzione dell’allenamento in corso, infastidito dallo stridio delle suole delle scarpe che slittavano sul pavimento liscio.
Venne illuminato dalla luce dei faretti della palestra e dovette coprirsi lo sguardo per abituarsi a quel bagliore accecante; probabilmente aveva attirato l’attenzione dell’allenatore, poiché un fischio assordante gli trapanò le orecchie e decretò una pausa per i cestisti.
«Ehh? E tu che ci fai qua?»
“Me lo chiedo anch’io”, pensò Sanji ma evitò di dirlo. Sostenne bene l’occhiataccia del suo interlocutore e disse: «A che ora finite?»
Ne arrivò un altro. «Perché questa domanda?»
Con lo stesso tono arrogante, si aggiunse un terzo: «Non è da te.»
Il biondo si ritrovò circondato da quei brutti ceffi, ma il suo volto non esprimeva paura bensì disprezzo. «Infatti a me non frega un cazzo. Lo vuole sapere mamma. Sta provando a telefonarvi, ma non rispondete.»
Il primo rise sguaiatamente, anzi, forzò la risata per mostrarsi divertito nonostante non lo fosse. «E grazie al cazzo, stiamo in campo! Ma ci arriva o no, quella?»
Con uno scatto furioso, Sanji lo afferrò per il colletto della maglia sportiva. «Bada a come parli di nostra madre, Yonji.»
Gli altri due furono altrettanto rapidi a fargli mollare la presa.
Il biondo si scostò bruscamente, trattenendosi dal non prendere a pugni quei visi così simili a cui, sfortunatamente, somigliava anche lui. «A che ora finite?», ripeté.
Il giovane con i capelli rossi rispose: «Non lo sappiamo. Adesso vattene.»
«Mamma lo vuole sapere», insisté Sanji. «Vuole che ceniamo tutti insieme, per una volta…»
«Senti, mammone, va’ a farti un giro. Finiamo quando finiamo. Se vuole che mangiamo insieme, ci aspetterà.»
Sanji aveva un disperato bisogno di fumare per distendere i nervi. «Ma che stronzate vai dicendo, Niji?! Per una volta, una misera cazzo di volta, potreste accontentarla!»
A parlare fu nuovamente il ragazzo dai capelli rossi. «Non ti scaldare. Ci stiamo allenando per il torneo invernale.»
«Ichiji, anche tu, non dire stronzate. Non esiste nessun torneo invernale.»
«Ah? E quello del ventuno dicembre come lo chiami?»
«È il porca puttana di match per la raccolta fondi. Non importa chi vince, ma i soldi dei biglietti.»
«Questa è la versione per chi non sa un cazzo di basket», fece Yonji con le braccia incrociate al petto gonfio. «Tipo te, coglione.»
Gli altri due sghignazzarono.
Sanji roteò gli occhi al cielo. «Va bene, come volete.» Tuffò le mani nelle tasche dei pantaloni e fece per andarsene.
«Tu sei proprio sicuro di non volerti unire alla squadra?»
Quella domanda, quella maledettissima domanda lo costrinse a voltarsi nuovamente verso i suoi fratelli; i suoi occhi blu incontrarono repentinamente i sorrisi sadici dei tre gemelli e desiderò la loro sparizione dalla faccia della terra. Con voce dura scandì: «Sì.»
E come previsto, la risposta pianificata arrivò in fretta da Ichiji: «È per non farti male alle manine?»
«Fratello, fai attenzione a come parli», lo riprese sarcasticamente Niji. «Rischi di far piangere il piccolo Sanji.»
«Le mani si usano solo per cucinare e carezzare i visi delle belle donne», disse Yonji, scimmiottando la voce del gemello biondo.
Sanji non ci vide più. Ancora con le mani nelle tasche dei pantaloni neri, tirò un calcio dritto sulla faccia di Niji, dal cui naso presero a uscire fiotti di sangue scarlatto; quella visione non fu abbastanza, Sanji ne voleva ancora, voleva far del male ai suoi stessi fratelli, voleva far patir loro lo stesso dolore che per anni gli avevano procurato e soprattutto desiderava ardentemente farli rigare dritto, in modo che iniziassero a rispettare la genitrice.
«Pezzo di merda!», urlò Niji fiondandosi su di lui con un pugno alzato, intenzionato a restituirgli lo spiacevole trattamento, spalleggiato dagli altri due.
Ma il colpo non arrivò mai. Davanti a Sanji si erano come materializzati dal nulla Sabo ed Ace, che avevano parato il pugno. «State calmi», intimò Sabo.
«Fatevi i cazzi vostri.»
«Tre contro uno? Un po’ scorretto, non credete?»
«Ace, siamo intervenuti per fermarli, non per partecipare alle danze.»
Li raggiunse una voce: «Voi, laggiù, che sta succedendo?» Si voltarono e videro il docente camminare lentamente verso di loro.
«È l’allenatore Borsalino», fece Ace a denti stretti. «Non ci voleva.»
Quando l’omone fu finalmente davanti a loro, prese a studiare la ferita del giocatore dai capelli blu. «Niji», disse in un lamento, «che hai fatto al naso?»
L’interpellato fu rapido a rispondere: «Mio fratello mi ha colpito.»
Indicò il colpevole con il dito indice e il professore seguì con gli occhi la traiettoria, iniziando presto a studiare il volto di Sanji come se si stesse sforzando di ricordarsi chi fosse. Biascicò: «E per quale motivo?»
Il biondo sostenne lo sguardo. «Sono stato provocato. Ha insultato mia madre.»
«Eh? Tua madre? Ma siete gemelli. È anche la loro madre.»
Percependo l’aura omicida dell’amico, Sabo si vide implicitamente costretto a intervenire al fine di placare gli animi. «Non ci dia troppo peso, mister, si è trattato solo di una comune discussione tra fratelli. Sarà meglio non sprecare altro tempo prezioso e tornare all’allenamento, non crede?»
L’uomo si voltò placidamente a guardarlo, aprendo un po’ di più gli occhi, come sorpreso di vederli. «Outlook, Portuguese, ci siete anche voi. Credevo che stesse ancora provando i tiri da tre punti.»
Ace si passò una mano davanti al volto. «Non ci credo, non può essere così stupido», sussurrò tra sé e sé.
«Che provvedimento intende prendere, mister?», chiese Yonji alludendo all’offesa di Sanji.
L’allenatore arricciò le labbra. «Boh
«Ma come boh?!»
Suonò il fischietto, cogliendoli di sorpresa, disse con voce calma: «Si ricomincia. Tutti ai propri posti.»
Mentre Sabo ed Ace festeggiarono in silenzio, i tre gemelli camminarono verso il centrocampo con espressioni furenti e gli occhi dei compagni di squadra addosso. Sanji, invece, fece nuovamente retromarcia, arrabbiato ma affatto sorpreso; ringraziò brevemente i due amici che erano corsi in suo soccorso e si apprestò ad abbandonare la palestra, quando sentì la voce dell’allenatore dirgli: «Domani andrai dal preside, Vinsmoke.»
Non rispose e se ne andò, maledicendo il proprio cognome.







Angoletto degli Easter Egg!!
1.        Il denaro destinato al laboratorio di ricerca di Punk Hazard: sottile riferimento a ciò che Caesar Clown riceveva da Big Mom per poter condurre gli esperimenti sui giganti. Solo che qui siamo in una fanficion AU e tutte le stramberie di quel pazzo non esistono! E in più vi ricordo che il nostro Gangster Gasssstino è professore di chimica!
2.        Kuraigana: riferimento all’isola natia di Zoro.










Angoletto dell’Autrice!!
Aneddoto divertentissimo: mentre scrivevo questo capitolo, si era spento il PC. L’avevo quasi finito. Quando l’ho riacceso il giorno dopo ho scoperto che non aveva salvato niente. E l’ho dovuto riscrivere. Dall’inizio. Percepite la mia sofferenza?
A PARTE QUESTO, finalmente riesco ad aggiornare! Il lavoro mi sta uccidendo, è una montagna russa che non si ferma mai (e io sono terrorizzata da queste giostre mega alte mega veloci mega tutto). Aggiorno poco proprio per questo motivo, la sera non ho quasi mai la forza per mettermi al PC ed editare i capitoli – perché a scrittura sono più avanti… al 19 hehehehe
Il prossimo capitolo vedrà la sua prima parte allacciarsi all’ultima di questo eeeee vi dico già che la situa non sarà propriamente allegra e spensierata lmao, but we like dramas, don’t we? ;)

A presto,
–Channy
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: channy_the_loner