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Autore: Princess of the Rose    16/10/2023    1 recensioni
In altre circostanze, Inghilterra non si sarebbe mai mostrato così, ma è troppo urbiaco per mantenere alcun contegno: cade a terra in ginocchio, stringendo al petto il ciondolo e scoppia a piangere.
"La sua voce;" singhiozza, "La sua voce, non me la ricordo più."
[Inghilterra x Elisabetta I Tudor; FrUk se vi va di vedercelo]
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la fic su Elisabetta I che ho sempre voluto scrivere e mai ne ho avuto l'occasione lol.
Come Davie insegna la vita delle nazioni hetaliane è segnata dal mai una gioia perenne e a sto giro tocca ad Inghilterra con una lieve spruzzata di Francia.
C'è da dire che ascoltare "Coraline" dei Maneskin dà un sacco di ispirazione, e dopo anni di blocco ne voglio approfittare di questo sprint di scrittura per buttare giù tutte quelle idee che non ho mai avuto abbastanza ispirazione per scrivere.

Spero che questa fic sarà di vostro gradimento.

Per ogni evenienza mi trovate su tumblr


Enjoy!

 

Marzo 1603



È buio nella sala, pesanti tende impediscono ai raggi del sole primaverile di entrare. Inghilterra riesce a malapena a vedere il volto di Elisabeth. La sua amata è stanca e non solo per gli effetti implacabili del tempo: la vita della sua regina è stata difficile fin da quando era in fasce e non c'è mai stato un periodo in quei lunghi settant'anni che abbia mai conosciuto vera pace. Un peso che adesso grava sulle sue fragili spalle e che non è sicuro di poterla aiutare a sorreggere ancora per molto.

Lo ha fatto chiamare e al suo arrivo ha ordinato al suo entourage di andarsene, ma ora che sono soli la sua Elisabeth non proferisce parola; si rigira tra le mani un piccolo anello, quello dove c'è il ritratto di sua madre, uno dei pochi rimasti dopo che suo padre ha ordinato di distruggere ogni traccia di Anne Boleyn1. È un dono di Inghilterra che ha richiesto svariati mesi di lavoro in congiunta con uno dei pittori di corte per cercare di ricreare le descrizioni fornite dalla nazione in una miniatura.

"Arthur," lo chiama col suo nome - solo lei può, solo a lei è concesso - allungando una mano che Inghilterra si sbriga ad afferrare e baciare, inginocchiandosi davanti a lei.

Tanti sono stati i sovrani nella sua storia, alcuni più benvoluti di altri, ma è la prima volta che Inghilterra si rende realmente conto di cosa significhi lo scorrere del tempo per un normale essere umano: le mani di Elisabeth, un tempo candide, affusolate e morbide sono ora magre e consunte come un ramo di un albero vetusto; la giovinezza ha da tempo abbandonato il suo viso, un fatto che la sua regina cerca di nascondere dietro pesanti creme sbiancanti; la salute è ora cagionevole, da anni l'arrivo dell'inverno crea ansia a corte e quello appena passato è stato particolarmente rischioso. Ma lui sa che più di tutto sono state le morti degli ultimi mesi a farla soffrire: lord Bughley, la contessa Carey, lady Knollys2, la loro dipartita ha gettato Elisabeth in una spirale di tristezza e rimpianto da cui neanche le opere teatrali che tanto ama sono riuscite a farla uscire.

Inghilterra sente il cuore in gola quando la mano che ha baciato gli carezza una guancia, un brutto presentimento gli attanaglia lo stomaco quando incrocia lo sguardo dell'amata.

"Come state Arthur?" chiede con voce roca, priva di vitalità.

"Your majesty non potrei stare meglio," la conforta, cercando di non pensare ai piani di Robert - la serpe che sta aspettando la dipartita della sua amata con malcelata gioia, come il resto di gran parte della corte, che Dio possa maledirli!3

Elisabeth annuisce, sorride mesta: "Non sei mai cambiato da quando ero una giovinetta. Hai sempre avuto lo stesso aspetto."

"Non... Io non posso invecchiare, your majesty, lo sapete," dice, carezzandole la mano col pollice. Non è improbabile che Elisabeth lo invidi per la sua immortalità. La prova dello scorrere del tempo sul suo corpo l'ha sconvolta, per un lungo periodo l'ha portata a rifiutare il suo amore per la vergogna provata verso le proprie rughe e pelle cascante. Ma a Inghilterra non è mai importato: niente ha mai potuto anche solo scalfire l'amore che prova per lei.

"Arthur, tu starai bene anche quando me ne andrò?" chiede, pensierosa.

Tentenna appena prima di replicare: "Se il vostro successore sarà un buon sovrano, si."

"Un sovrano," Elisabeth guarda davanti a sé e scoppia a ridere come da settimane non rideva, "Si, James sarà un buon sovrano."

Trasalisce: "Your majesty-"

"Pensi non sapessi del piano di lord Cecil?" chiede, divertita dal suo stupore, "È ironico, alla fine sarà il sangue di Mary a sedere su questo trono, poco importa quanto io abbia fatto per impedirglielo."

"Voi avete agito giustamente, non avete nulla da rimproverarvi," risponde, deciso.

Elisabeth, la sua amata Elisabeth, scuote la testa e lo invita ad alzarsi: "James sarà un buon sovrano, è un caro ragazzo. Saprà portarti un po' di pace, quella che io non sono mai riuscita ad assicurarti."

"Elisabeth," mormora il suo nome, per un attimo dimentico del buon costume e del rispetto che si deve ad una sovrana; ma lei non lo rimprovera, allunga le mani e lui si avvicina e le bacia con devozione.

"Non ci sarà mai nessun'altro come te, re o regina che sia," dice; Elisabeth gli sorride e lo tira a sé gli dà un bacio. Inghilterra realizza con orrore che sarà l'ultimo che si scambieranno.

Elisabeth Tudor gli sorride un'ultima volta, poi prende un profondo respiro, raddrizza la schiena e si alza dal trono.

"Arthur, fatemi il favore di chiamare un prete," dice solenne nella penombra della stanza, "Ho deciso che devo morire."4











Maggio 1707




Francia si aspettava già che il suo migliore nemico avrebbe disertato la festa per l'unione5 per andare ad ubriacarsi in qualche bettola. Quello che lo sorprende è che, a quanto pare, sono giorni che Inghilterra è turbato da qualcosa. Non dall'unione, o almeno non dovrebbe essere quello il motivo: Scozia gli ha detto che durante i negoziati Inghilterra non aveva espresso altro che soddisfazione, limitandosi a punzecchiare ogni tanto il proprio fratello sul fatto che a rappresentare quello che presto sarebbe divenuto il regno di Gran Bretagna sarebbe stato lui. No, a quanto pare è una cosa recente, iniziata la settimana scorsa: mentre stavano prendendo il tè Inghilterra aveva improvvisamente fatto cadere la tazzina, versandosi parte del liquido bollente addosso; invece che lasciare che gli inservienti lo aiutassero, si era scusato ed era corso via, rientrando ubriaco fradicio soltanto in tarda serata.

Da allora frequenta i pub tutte le notti, ed è proprio in uno di questi che Francia lo trova, poggiato contro il bancone, circondato da bicchieri di alcolici. L'inserviente lo guarda con malcelata speranza, chiedendogli silenziosamente di portare via quell'uomo che sta finendo quasi tutte le sue scorte. Francia sorride, poggiando un sacchetto di monete sul bancone prima di rivolgersi all'inglese.

"Be' mon ami, vorrei dire che sono sorpreso, credimi," gli dice, scuotendolo piano. Inghilterra mugugna qualcosa di incoprensibile ma sembra non aver neanche registrato la sua presenza. Francia sospira, poi chiede all'ìnserviente una brocca d'acqua; quando gli viene portata ne versa direttamente il contenuto sulla testa dell'altra nazione, che si mette di scatto in posizione eretta rischiando quasi di cadere all'indietro.

"W-What?" balbetta, guardandosi attorno. I suoi occhi lucidi ci mettono qualche attimo a riconoscere Francia, ma quando ci riescono subito diventano rabbiosi, "Tu!"

"C'est moi," dice l'altro, divertito, evitando con facilità il pugno instabile diretto contro il suo naso.

"Dannata rana, proprio te dovevi venire qui," biascica Inghilterra, cercando di colpirlo di nuovo; Francia gli afferra il polso e lo gira dietro la sua schiena, bloccandolo poi con un braccio attorno alla vita.

"A corte richiedono la tua presenza," gli dice, iniziando a tirarlo verso l'uscita senza troppe difficoltà - l'alcol lo ha reso fin troppo scoordinato.

Le strade di Londra sono deserte e per fortuna non incontrano guai lungo il tragitto verso palazzo Kengsington, nonostante i lamenti e gli insulti di Inghilterra avessero probabilmente svegliato l'intero vicinato. Le guardie del turno notturno non battono ciglio alla loro entrata, limitandosi ad aprire loro l'ingresso. Dalla loro posizione la musica proveniente dalla sala da ballo arriva attutita, ma Francia intuisce che non è il caso di portare l'inglese alla festa.

"Dove sono le tue stanze?" chiede, ma Inghilterra borbotta qualcosa di incomprensibile e con uno strattone si libera; fa qualche passo per allontanarsi e guardarlo con un odio così intenso che lo sorprende.

"Tu sei l'ultimo che voglio vedere oggi," sbiascica, si guarda attorno per riconoscere dove si trovi, e procedere dalla parte opposta della festa con passo incerto. Francia sospira, maledice il proprio buon cuore e lo segue da debita distanza.

"Smettila di seguirmi dannata rana!" dice Inghilterra, barcollando e per poco non cade addosso ad un busto. Peccato.

"Mi assicuro che entri nelle giuste stanze mon ami, sia mai che ti sorprendano in quelle di una dolce vergine fanciulla," il ghigno di Francia si affievolisce quando l'altra nazione si blocca di colpo e scoppia a ridere in modo sguaiato. Non c'è gioia o altro sentimento positivo in quella risata.

"Vergine?" ripete, poi si porta una mano alla testa come se gli facesse male. Prima di crollare a terra Francia corre a sorreggerlo.

"Hai decisamente bisogno di andare a riposare Angleterre," dice, sinceramente disturbato da quanto sta vedendo. È abituato alle sue bizzarrie dettate dell'alcol, ma sente che c'è qualcos'altro sotto.

"Lasciami andare," Inghilterra è tornato a sbiascicare, lo spintona via malamente e riprende a camminare., Francia sospira e torna a seguirlo, la musica della festa che si fa sempre più lontana.

Arrivano davanti ad una porta riccamente decorata; Inghilterra ci impiega un po' per trovare le chiavi, cercandole nelle tasche dei calzoni e della giacchia prima di trovarle attorno al proprio collo - è un miracolo che nessuno gliele abbia rubate.

"Sono arrivato stupid frog ora smamma," intima, cercando di infilare le chiavi nella serratura e maledicendo il cielo al quarto tentativo fallito. Francia non può non ridersela sotto i baffi e, sentendosi magnanimo, aiuta l'altro nel suo intento.

"Prego, non c'è di che" lo canzona, guardandolo divertito mentre entra barcollante nella stanza, illuminata solo dalla luce della luna. Nota a terra un luccichio: è un ciondolo d'oro, uno di quelli che si può aprire e decorare all'interno con delle piccole icone. Deve essere caduto ad Inghilterra quando si è sfilato la chiave dal collo.

Prende il ciondolo da terra e subito riconosce il volto dell'icona: è la regina Elisabeth Tudor, avrà avuto tra i trenta e i quarant'anni in quel minuscolo ritratto. Perché Inghilterra ha al collo un vecchio ritratto della sua sovrana?

Suddetta nazione gli si avvicina e gli strappa il ciondolo dalle mani; improvvisamente più lucido afferra Francia per il bavero della camicia e lo scuote.

"Non toccarlo" digrigna, rabbioso, gli occhi lucidi forse non solo per l'alcol. Francia è perplesso, alza le mani in segno di resa.

"Stavo per ridartelo," cerca di giustificarsi. Inghilterra lo molla con l'ennesimo spintone della serata, poi si rigira il ciondolo tra le mani con una delicatezza dettata dalla pura devozione. Francia riconosce quella devozione. E comprende.

In altre circostanze, Inghilterra non si sarebbe mai mostrato così, ma è troppo urbiaco per mantenere alcun contegno: cade a terra in ginocchio, stringendo al petto il ciondolo e scoppia a piangere.

"La sua voce," singhiozza, "La sua voce, non me la ricordo più."

Francia rimane di stucco, non sa cosa dire o fare. Deglutisce a fatica, guarda verso il corridoio per assicurarsi che non ci sia nessun altro ad osservare la scena, poi si china a livello dell'inglese e gli poggia le mani sulle spalle.

"Angleterre, mon ami, per favore, rialza-" stavolta il pungo lo centra sullo zigomo, e cade all'indietro tenendosi il volto dolorante.

"Perché non me lo hai mai detto!?" urla Inghilterra, continuando a stringere il gingillo al livello del cuore "Tu lo sapevi che faceva così male! Perché non mi hai mai detto nulla!?"

Francia impreca e si mette seduto, lanciandogli un'occhiataccia. Vorrebbe ribattere per le rime, ma purtroppo per lui ha troppo rispetto dell'amore per poter infierire ulteriormente.

"Angleterre, sei ubriaco," dice rialzandosi, afferra Inghiterra da sotto le ascelle e lo trascina verso il letto, nonostante l'altro si agiti e cerchi di colpirlo di nuovo.

"Lasciami andare! Lo hai fatto apposta, tu sapevi!" continua ad accusarlo, scalciando e tirando pugni alla ceca. Poi, come una marionetta a cui vengono tagliati i fili, si accascia e torna a singhiozzare, silenzioso, continuando a stringere il ciondolo.

Con un po' di fatica, Francia lo issa sul letto, gli leva gli stivali e la giacca e lo mette sotto le coperte. Poi tira un lungo sospiro. Perché ogni cosa con Inghilterra deve essere complicata?! Lo guarda e suo malgrado prova pena alla vista di quello sguardo vacuo e triste, fisso sul ritratto di una donna che non c'è più.

"Riposati mon ami, informerò Ecosse che sei tornato," mormora, arrufandogli la chioma bionda prima di uscire dalla stanza. Inghilterra neanche lo guarda.

È la crudeltà del tempo, vero? "Sarai sempre nel mio cuore" è una mera frase di circostanza quando il tempo scorre e distrugge la tua memoria, un processo da cui neanche esseri come lui sono immuni. Prima è la voce, poi sono i particolari del corpo, poi quelli del volto, e infine la persona morta diventa un'idea di quella che è stata in realtà, la sua vera essenza per sempre persa nei meandri della storia.

Francia suo malgrado si trova invidioso.

Almeno Inghilterra ha un ritratto su cui piangere.

 

1. DI Anne Boleyn non esistono moltissimi ritrattrti, e si suppone che sia stata volontà di Enrico VIII quella di distruggerli per cancellarne il più possibile la memoria - difficile qundo per lei fai uno scisma religioso, lol.
L'anello esiste davvero, anche se alcuni sostengono che la donna raffigurata sia Catherine Parr, matrigna di Elisabeth.

2. William Cecil, I Barone di Burghley è stato il consigliere più fidato di Elisabeth
Catherin Hoawrd, contessa di Nottingham, era cugina di Elisabeth, sua damigella e una delle sue amiche più fidate assieme a Lady Catherine Knollys, che di ELisabeth era cugina e "Lady of Bedchambers", la persona che detiene l'incarico ufficiale di camerista della regina/principessa.

3: Elisabeth non si sposò e non ebbe alcuna discendenza. Temendo per la sua vita Elisabeth non nominò mai un discendente. Durante gli ultimi anni del suo regno il suol consigleire Robert Cecil, figlio di William, ebbe un fitto scambio epistolare per mettere James VI di Scozia, figlio di Mary Stuart, sul trono inglese. Si poresume che ELisabeth nn sapesse nulla di tutto questo, ma da alcune sue lettere emerge una forte simpatia verso James, segno che forse non sarebbe stata avversa a concedegli il trono.


4.Pare che Elisabeth abbia detto queste parole davvero, e che siano state le sue ultime.

5L'atto di unione
è il nome dato al trattato che portò alla creazione del Regno di Gran Bretagna a seguito dell'unificazione tra Inghilterra e Scozia.
   
 
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