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Autore: sailormoon81    19/10/2023    1 recensioni
*Sono morta.
Ecco la prima cosa che pensai quando, a mezzanotte, una luce invase la mia stanza e ai piedi del letto apparvero i contorni di una figura femminile.
Un leggero fumo bianco cominciò a espandersi dalle sue spalle, e questo mi rese difficile metterla a fuoco immediatamente; non potevo tuttavia negare che avesse un’aria familiare. [...] «Farà male?» mi sentii chiedere.
Che fine aveva fatto il NO GRAZIE che avevo sulla punta della lingua?
Avvertii il suo sorriso piuttosto che vederlo. «Non fisicamente. Ma non posso garantirti che non soffrirai. Ma sarà un dolore positivo, che è rimasto troppo a lungo chiuso dentro di te, e una volta liberato ti permetterà di essere a tua volta libera dai ricordi. E dai rimpianti.» [...]*
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti!
Dopo tanti anni di assenza, ritorno su EFP con una storia originale.
Se tutto procederà come ho in mente, dovrei riuscire ad aggiornare a cadenza settimanale: non sono molti capitoli, circa dieci (devo definire i dettagli delle ultime parti).
Nel frattempo, vi auguro buona lettura.
E, se vi va, fatemi sapere che ne pensate ;)
Kla
***

Sono morta.
Ecco la prima cosa che pensai quando, a mezzanotte, una luce invase la mia stanza e ai piedi del letto apparvero i contorni di una figura femminile.
Un leggero fumo bianco cominciò a espandersi dalle sue spalle, e questo mi rese difficile metterla a fuoco immediatamente; non potevo tuttavia negare che avesse un’aria familiare.
Quando i contorni divennero più definiti e potei vedere chi fosse la donna di fronte a me, il mio secondo pensiero fu “Oddio, Andrea è morta!”
Andrea è la mia migliore amica dai tempi del college, e vedere il suo fantasma – perché di quello senza dubbio si trattava – in piena notte, al centro della mia camera da letto, circondata da fumo e luce bianca… be’, voi che avreste pensato?
«Tranquilla, non sei morta» commentò Andrea. «E neanche Andrea lo è. La vera Andrea, voglio dire.»
«Chi…» balbettai, sedendomi e tirandomi le coperte fin sopra il mento. Riprovai, sperando che le mie corde vocali facessero il loro lavoro e la voce non tradisse la paura che provavo. «Chi sei?»
Andrea non nascose un grosso sbadiglio e venne a sedersi accanto a me, sul letto.
Nei pochi passi che fece, riuscii a osservarla meglio: i capelli neri, mossi, e lunghi fino alle spalle erano indubbiamente quelli di Andrea, così come gli occhi leggermente a mandorla e le ciglia folte e scure, motivo di invidia da parte di tutte le ragazze che passano ore davanti allo specchio, alla ricerca del mascara perfetto.
«Tu chi credi che io sia?»
«A-Andrea?» tentai, sapendo già la risposta.
«Andiamo, Gabi, ti credevo più furba. E puoi anche smetterla di tremare e far ballare tutto il letto: non ti mangio mica. Sono vegetariana, io.»
E da quando Andrea era vegetariana?
La confusione che provavo doveva essere piuttosto evidente, perché quell’essere sembrava divertirsi un mondo, e questo non fece che aumentare la diffidenza nei suoi confronti. Chi diavolo era per prendersi gioco delle mie paure. E poi, avrei voluto vedere lei, se una sconosciuta si fosse presentata nei panni della sua migliore amica nel cuore della notte.
«Appurato che non sono la tua amica Andrea, e considerato che sono apparsa nella tua camera praticamente dal nulla…»
Mi ricomposi come meglio potevo. «Sei un… fantasma?»
Andrea si batté una mano sulla fronte. «Ed io che speravo non fossi tonta.»
Ehi! Andavano bene le piccole prese in giro, ma gli insulti…
«Calma, bambina, non ti sto insultando» sbuffò, facendo un gesto con la mano davanti al viso come a voler scacciare un insetto molesto, e alla mia espressione stupita aggiunse: «Sì, leggo nel pensiero. Sai, mi dà qualche vantaggio quando mi trovo ad avere a che fare con gente particolarmente diffidente…»
«Non sono diffidente» borbottai, «ma devi ammettere che in ogni caso avrei ragione ad esserlo. Insomma, arrivi qui senza invito, e non mi dici neanche chi sei.»
Colpita e affondata, pensai. Una bella lezione di educazione non fa mai male.
«Cerca di usare il buon senso, no? Capisco che fantasma sia un termine molto vago, e potrei lasciar correre… Ma io preferisco definirmi “spirito”: sai, in realtà non sono mai vissuta, non sono mai morta, quindi tecnicamente…»
Stavolta fui io a sbuffare. «Se non dici chi sei, e perché sei qui, io…» mi guardai attorno alla ricerca di una minaccia adeguata alla situazione, «io prendo l’aspirapolvere e ti risucchio dentro!»
Ok, patetica come intimidazione, ma non sono mai stata un tipo violento.
«Certo che sei noiosa, amica. Pensavo di farmi un riposino» sbadigliò nuovamente, «prima di parlare di lavoro. Dopotutto, è da tutta la vita che non ti lascio un istante, ed è faticoso starti dietro.»
Cosa? Una vita che… questo voleva dire anche sotto la doccia? O mentre… Oddio! Mi sentivo morire!
«Devo ammettere che non sei male» commentò con una strizzata d’occhio, «ma ne ho viste di peggio. Allora» si alzò e schioccò le dita: la luce che aveva accompagnato il suo ingresso scomparve, così come il fumo. Ormai mi ero talmente abituata che la stanza sembrò piombare nel nulla assoluto. In compenso, al suo secondo schiocco di dita, la piccola lampada che avevo sul comodino si accese, rivelando il caos che regnava sovrano in camera, così come nel resto della casa. «Per prima cosa, le presentazioni ufficiali. Come detto prima, sono uno spirito. Ho preso le sembianze della tua amica Andrea per renderti le cose un po’ più facili.»
«Quali cose, scusa?» ero sospettosa, e non provavo nemmeno a tenerglielo nascosto, tanto più che il fantasma in questione, anzi lo spirito, leggeva nel pensiero, quindi ne era perfettamente a conoscenza. Allungai la mano verso il comodino per prendere il bicchiere d’acqua che ogni sera preparavo: non che avessi sete, ma semplicemente volevo fare qualcosa. Qualunque cosa andava bene, purché non me ne stessi immobile ad ascoltare quel fantasma.
E se fosse venuta da me perché i miei giorni sulla Terra stavano volgendo al termine? Oddio! Non ero pronta a morire!
«Ora ci arriviamo» mi zittì. «Io non sono uno spirito comune, né sono venuta fin qui per annunciare la tua morte» continuò alzando gli occhi al cielo. Sapeva decisamente leggere il pensiero… «Sono uno spirito guida. Quando c’è qualcosa da sistemare, ecco che io appaio.»
Per poco non mi soffocai con l’acqua. Riposi il bicchiere sul comodino e la guardai aspettandomi quasi di vederla scoppiare a ridere e svelarmi che era tutto uno scherzo.
«E perché proprio io? Perché ora?» Mi grattai alla base del collo, a disagio.
«E perché no?»
«Che razza di risposta è?» rimbeccai. «Non ci sono altri – che so – cinque miliardi persone sulla terra che avrebbero bisogno del tuo intervento?»
«Sono qui perché tu hai desiderato incontrarmi» disse con un’alzata di spalle. Tra le sue mani apparve un’agenda, la sfogliò fino a trovare la pagina giusta, e iniziò a leggere. «Esattamente oggi venti luglio, alle quindici e trentasei hai chiesto, e cito testualmente: “Che cosa c’è di sbagliato in me da far scappare chiunque mi conosca?» chiuse l’agenda, che sparì così come era apparsa. «Ora. Volendo ignorare che la tua richiesta veniva dopo tre bicchieri e un quarto di vino bianco, tra l’altro di pessima qualità, nel primo pomeriggio…»
«Scusa, ma non mi pare che tu lo stia ignorando.» Lo so, era un commento da bambina, ma tutta la faccenda mi stava letteralmente facendo saltare i nervi.
Ero una giovane donna che cercava di fare carriera e darsi un tono bevendo ogni tanto un po’ di vino con le amiche. Che male poteva fare?
E quello che aveva citato era solo uno sfogo in un momento di debolezza: non era una vera e propria richiesta di aiuto, solo un commento rapido e indolore a cui nessuno al tavolo aveva fatto caso.
Lo spirito ignorò questi miei pensieri: si limitò ad inarcare un sopracciglio e a guardarmi come si guarda un bambino che ha appena commesso una marachella.
«Gabriella, per quanto tu creda che la tua vita sia tutte rose e fiori, sai che non è così.» Il suo tono si era fatto improvvisamente serio, e questo bastò a richiamare in toto la mia attenzione su di lei.
Raccolsi le ginocchia al petto, quasi a volermi proteggere da ciò che la mia ospite avrebbe potuto dire, pronta a incassare commenti sarcastici o quant’altro avesse ritenuto opportuno dire.
Ero pronta a tutto, ma non a sentirla sospirare.
«Tu hai bisogno di me, anche se non lo sai ancora. Finché non mi vorrai, ma ci sarà bisogno di me, io dovrà rimanere. Quando mi vorrai, ma non ci sarà più bisogno di me, io me ne andrò via*.»
Stavo per chiederle se era sempre così, se tutti quelli con cui aveva lavorato – perché per lei ero un lavoro, giusto? – non avevano desiderato la sua presenza, e per un attimo mi sentii dispiaciuta per lei: conoscevo bene la sensazione di sentirsi indesiderata, e non la auguravo a nessuno. Neanche a uno spirito.
«Ne hai passate tante, Gabi» continuò con un sorriso. «Ma adesso è giunto il momento di voltare pagina, e ricominciare da capo. Solo che per farlo, è necessario ripercorrere i propri passi…»
Restammo qualche minuto in silenzio. O forse ore, o secondi.
I soli rumori nella stanza erano il ticchettio della sveglia sul comodino e il mio respiro.
Non volevo ricominciare da capo, stavo bene nel mio nuovo equilibrio da poco ritrovato. E né lei né nessun altro mi avrebbe fatto cambiare idea. Anche a costo di battere i piedi a terra, o di legarmi al letto, non mi avrebbe trascinata in questa follia.
«Farà male?» mi sentii chiedere.
Che fine aveva fatto il NO GRAZIE che avevo sulla punta della lingua?
Avvertii il suo sorriso piuttosto che vederlo. «Non fisicamente. Ma non posso garantirti che non soffrirai. Ma sarà un dolore positivo, che è rimasto troppo a lungo chiuso dentro di te, e una volta liberato ti permetterà di essere a tua volta libera dai ricordi. E dai rimpianti.»
Mi scoprii a sorridere a mia volta. A quanto pareva, il fantasma sapeva di me molte più cose di quelle che avesse lasciato a intendere. «Come funziona?»
«Stanotte faremo un viaggio. Nel tuo passato, per essere precisi. E insieme cercheremo di rimettere a posto i pezzi.»
«A quanto pare non ho altra scelta…»
Mi strizzò l’occhio. «Gabi, Gabi… tutti hanno una scelta.»
La guardai sottecchi: era strano rivolgermi a lei come Andrea, sapendo che non era la mia amica. Feci per farglielo presente ma lei mi anticipò: «Jane. Puoi chiamarmi Jane.»
Anche il suo aspetto cambiò: aveva sempre un che di familiare, ma i capelli erano più chiari e più lisci, raccolti ai lati da due ferretti, e gli occhi, non più a mandorla, avevano perso qualche tonalità fino a sembrare più color cioccolato che ebano.
Sorrisi e afferrai la mano che mi offriva, vergognandomi immediatamente per la mise notturna che avevo: la camicia da notte bianca con fiorellini azzurri non era certo l’ideale per un viaggio a ritroso nel tempo. Decisi che non me ne importava poi molto e mi lasciai trasportare dal potere di Jane.
Chiusi gli occhi, immaginando incantesimi e fuochi d’artificio spettacolari – nei film è sempre così, no? – e quasi ci rimasi male quando tutto ciò non si manifestò.
Quando aprii gli occhi, la mia stanza era sparita, così come la mia camicia da notte: al suo posto, jeans e canotta azzurra accompagnavano le scarpe da ginnastica bianche. A quanto sembrava, Jane conosceva perfettamente anche i miei gusti in fatto di colori. Buon segno, pensai.
Mi guardai intorno e sussultai nel riconoscere il luogo in cui ci trovavamo.
Era il BTA, Boston Trinity Academy.
Il liceo dove cominciai a realizzare che non sarei diventata nessuno.
 
 
 
 
*citazione da Tata Matilda
 
   
 
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