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Autore: _zukky    22/10/2023    0 recensioni
“Sai, zia ‘Dromeda, un giorno io e Nicky ci sposeremo.”
Aveva sei anni la prima volta che lo disse, la bocca sporca di gelato al cioccolato e il segno di un morso non così tanto affettuoso sulla guancia.
Andromeda non si scompose, tacitando con una mano le proteste di Teddy e Victorie nel tavolo lì accanto.
“Sai cosa vuol dire sposarsi, James?” gli chiese, paziente.
“Certo, come mamma e papà”, rispose sicuro.
La donna guardò Dominique fare spallucce, concentrata più sul suo gelato che su quello che le stava succedendo intorno.
Chi era lei per smontare quel sogno infantile?
Quella fu la prima volta che James lo disse, di tante tante volte.
Nessuno in famiglia ebbe mai il cuore di contraddirlo. Nessuno in famiglia ebbe mai il cuore di dirgli che non potevano.
 
Questa storia partecipa alla challenge “Ferisce la penna rosa” organizzata da Legar e Mari Lace sul forum Ferisce la penna.
Genere: Commedia, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, James Sirius Potter | Coppie: James Sirius/Dominique
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Spazio autrice: la storia partecipa alla challenge "Ferisce la penna rosa" con la frase I just don’t know who I am without you, che è sembrata calzare a pennello.
Questi due sono nati e si sono scritti pressoché da soli, il che è un po' sorprendente e fa un po' anche paura, ma è più sorprendente che altro.
Tendenzialmente non sono una che crede nelle anime gemelle, ma loro due mi hanno fatto credere un po' di più nell'amore.  

 


A tutti quelli che hanno bisogno di credere un po' di più nell'amore,
in qualunque sua forma.



You're my home, you're my everything


Erano nati ad un giorno esatto di distanza e non potevano essere più diversi. James, capelli neri e occhi color cioccolato. Dominique, ben pochi capelli alla nascita, il che faceva presagire una chioma molto chiara, e occhi azzurri come il cielo terso d’estate.
 
E così, in due giorni la famiglia Weasley si era allargata ancora un po’, per buona pace di nonna Molly che si ritrovava tutte le estati a dover gestire quello che a breve sarebbe diventato l’asilo mariuccia.
 
James era un bambino vivace, una vera forza della natura, elargiva sorrisi a tutti e sembrava fosse nato per imparare a interagire con gli altri, con mani paffute e guance da baciare. Era instancabile, ma quando dormiva sembrava un angioletto, non lo avrebbe svegliato nemmeno lo scoppio della Terza Guerra Magica.
 
Dominique era una bimba tranquilla, un amore, fino ai tre mesi. Quando aveva iniziato a riconoscere le persone era venuto fuori il suo carattere diffidente, aggrottava le sopracciglia chiarissime e scoppiava in pianti inconsolabili in presenza di estranei. Se i primi mesi aveva dormito benissimo, dopo non si seppe mai cosa fosse successo, era la disperazione di mamam, aveva un sonno irrequieto, non dormiva mai per più di qualche ora di fila, faceva perdere il sonno a vivi e anche morti.
 
La soluzione di nonna Molly, quando i due bambini furono parcheggiati alla Tana il 1 giugno del 2005, alla tenera età di cinque mesi, fu piazzarli nella stessa culla. Da donna che ha cresciuto sette interminabili figli le era sembrata la soluzione più ovvia. Con tanto d’occhi le due mamme guardarono i due bambini accomodarsi l’uno all’altro: James si girò su un lato come se niente fosse e una sua manina finì sul collo della bambina, che invece di svegliarsi – Fleur era già sull’orlo di una crisi di nervi – si girò a sua volta verso di lui, continuando a dormire pacifica.
 
Fu la prima volta da mesi che Dominique dormì tutta la notte.
 
 
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Erano inseparabili. Tanto che la prima parola di James era stata -icky che sta per Nicky. La prima parola della su citata era stata cacca, ma non per questo gli voleva meno bene, a modo suo.
 
Correvano felici per i campi che circondavano la Tana e le spighe di grano si confondevano con i capelli di Dominique, quando si nascondeva per non farsi trovare, per ore intere.
 
Nuotavano nel mare che lambiva le coste poco distanti da Villa Conchiglia, con Victorie che si teneva sempre a debita distanza dai loro schizzi e mamam che urlava a James che no, non poteva affogare Dominique, e a Dominique che no, non potevano legarsi per i piedi alle tartarughe di mare per farsi portare lontano.
 
Si rotolavano nei prati intorno Casa Tonks, quando a Teddy era dato l’ingrato compito di sorvegliare James, e mentre se ne stava placido a fare i compiti con Victorie, loro ne approfittavano per sparire dalla vista e fare capriole e tirarsi un po’ i capelli e darsi qualche morso affettuoso. Solo quando zia ‘Dromeda portava il gelato in veranda smettevano di acciuffarsi e facevano a gara a chi arrivava più veloce.
“Sai, zia ‘Dromeda, un giorno io e Nicky ci sposeremo.” Aveva sei anni la prima volta che lo disse, la bocca sporca di gelato al cioccolato e il segno di un morso non così tanto affettuoso sulla guancia.
Andromeda non si scompose, tacitando con una mano le proteste di Teddy e Victorie nel tavolo lì accanto.
“Sai cosa vuol dire sposarsi, James?” gli chiese, paziente.
“Certo, come mamma e papà”, rispose sicuro.
La donna guardò Dominique fare spallucce, concentrata più sul suo gelato che su quello che le stava succedendo intorno.
Chi era lei per smontare quel sogno infantile?
 
Quella fu la prima volta che James lo disse, di tante tante volte.
Nessuno in famiglia ebbe mai il cuore di contraddirlo. Nessuno in famiglia ebbe mai il cuore di dirgli che non potevano.
 
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Fu in uno di quei pomeriggi, nell’estate 2016, che tra quelle stesse spighe di grano che erano state protagoniste di tante loro scorribande James le fece la dichiarazione d’amore più bella che fosse mai stata pronunciata. Da un bambino di undici anni.
 
“Nicky, ti prometto che staremo insieme per sempre. Che non mi arrabbierò quando mi picchi sempre, che ti regalerò tutti i miei biscotti al cioccolato, che mi farai sempre copiare i compiti” perché ci voleva reciprocità nelle cose “e che ti presterò la mia scopa quando vorrai, fin quando non convincerai maman a comprartela” qui fece un enorme sforzo, pensando alla sua scopa nuova di zecca e dimostrando realmente il suo amore. “Perché io ti amo tantissimo”.
 
Lei per tutta risposta gli assestò un bel calcio negli stinchi. Dimostrandogli che anche lei lo amava tantissimo, a modo suo.
James in risposta rise e le posò una manina a lato del collo. Lì dove la sua mano si era posata la prima volta che avevano dormito insieme. Quel posto che apparteneva solo a lui.
Solo in quel momento Dominique si quietò e con due occhi grandi e azzurrissimi lo vide avvicinarsi lentamente e posarle un bacio morbido sulle labbra, trattenendosi giusto il tempo da fermarle il cuore.
Fu la prima volta che si baciarono e fu assolutamente perfetto.
Come tutte le volta in cui era confusa, nei primi momenti in cui si svegliava o quando era particolarmente arrabbiata, Dominique gli rispose… in francese.
Lui non capì assolutamente niente delle parole che disse, ma dai suoi occhi capì che lo amava anche lei.
 
Era il giorno prima della partenza per Hogwarts. Il giorno prima che tutto cambiasse per sempre.
 
 
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“GRIFONDORO!”
 
“CORVONERO!”
 
Avevano passato il viaggio in treno per Hogwarts mano nella mano, con James che li presentava dicendo: “noi non siamo solo cugini, non siamo solo amici, siamo fidanzati”.
E continuò a dirlo anche se furono smistati in due Case differenti. E lei continuò a crederci. Fin quando non lo disse più, forse notando le occhiate che ricevevano quando lo diceva, forse ascoltando qualche compagno che gli diceva che non era possibile. E quando lui smise di dirlo, lei smise di crederci.
Cercarono in tutti i modi di preservare il loro rapporto, ma era troppo esclusivo, e qualcosa si sgretolò inevitabilmente. E mentre James si circondava sempre più di amici, diventando acclamato e popolare. Dominique si chiudeva sempre più in se stessa: riservata e taciturna, aveva sempre avuto molto cura di donare il suo mondo a pochissime persone. A Hogwarts questo non era cambiato.
 
“Nicky, mi fai copiare il tema di Pozioni?”
“No.”
“Ma me l’avevi promessooo.”
Occhiata che avrebbe gelato anche Lucifero in persona.
 
“Nicky, vieni ad Hogsmeade con noi?”
“Devo studiare.”
 
“Nicky, mi dai un bacio.”
Fattura Orcovolante che avrebbe allontanato anche un Mangiamorte.
 
Le due Torri di Grifondoro e Corvonero svettavano sulle parti basse del Castello, sempre luminose e pullulanti della vita dei loro abitanti. Due Torri che si stagliavano verso il cielo, due case portatrici di buoni sentimenti, ma che in quell’anno non poterono essere più lontane.
 
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Quando quell’estate del primo anno, Dominique non si fece vedere neanche per sbaglio alla Tana o a Casa Tonks, James capì che qualcosa non andava. Durante quell’anno aveva pensato che fosse un po’ normale passare meno tempo insieme, tra le lezioni, gli amici, le marachelle. In fondo, Nicky era sempre la solita scontrosa: ora, invece di calci e morsi doveva guardarsi bene da qualche Fattura, ma niente che non potesse sopportare. Anche se non le aveva più visto rivolgergli uno dei suoi sorrisi che illuminavano il mondo, ma magari era solo un po’ più seria e presa dallo studio. Il fatto che non volesse passare l’estate con lui però accese un campanello d’allarme. E non voleva neanche dirgli il perché!
 
Quell’allontanamento fu accolto con un sospiro di sollievo da tutta la famiglia Weasley-Delacour-Potter allargata. Beh, quasi da tutti. Si sa che in ogni famiglia c’è un anello debole, quella persona un po’ più sensibile, che si intenerisce di fronte a una storia di amore fanciullesco così puro. Forse anche più avvezza ad aver a che fare con i pregiudizi degli altri.
Visto che James non sembrava darsi pace e piagnucolava a tutte le ore, zia Hermione procurò ad entrambi un galeone d’oro comunicante – come quelli che usavamo nell’Esercito di Silente gli aveva detto ma un po’ più speciali, con questi potete scambiarvi brevi messaggi. Si scaldano quando ne arriva uno nuovo.
 
Dominique si era trattenuta dal lanciare in mare il suo, quando zia Hermione gliel’aveva portato, soltanto per rispetto di quella zia che ammirava per l’intelligenza e l’arguzia. Lo avrebbe tenuto, ma non lo avrebbe mai usato.
 
Nicky.
 
Mi manchi.
 
Nessuna risposta.
 
Nicky.
 
Ti prego.
 
Nicky.
 
Al prossimo Nicky lo avrebbe lanciato in mare. Il galeone e anche James. Erano giorni che andava avanti così. Doveva fare qualcosa.
 
Dopo pranzo a Villa Conchiglia.
Premette il pollice sul galeone per inviare quel messaggio. Si scaldò quasi immediatamente in risposta.
 
Ti amo.
 
Sospirò.
 
Quella conversazione non andò esattamente come i due si erano preventivati. Lei si era ripromessa di mantenere la calma e parlargli chiaramente. Invece si ritrovò a inveirgli contro ogni sorta di ingiuria e parolaccia indicibile in francese.
Quella soave voce dalla spiaggia giunse fino alle orecchie di maman che si chiese disperata cosa avesse sbagliato con lei, cosa fosse andato irrimediabilmente storto nella sua educazione, eppure Victorie e Luis erano così fini.
 
Quando ebbe finito, James fece uno dei suoi sorrisetti e le disse: “Sai che non ho capito una parola?”
 
“Sì, che hai capito.”
 
Il sorriso di lui si allargò e tirò un sospiro di sollievo per quel familiare scambio di battute: si capivano ancora come sempre.
 
Lui era andato lì con l’intento di dirle qualche parolina dolce, prendersi qualche parolaccia e tornare a giocare insieme come una volta. Invece si ritrovò ad annaspare e non sapere bene cosa rispondere. Lei lo stava lasciando.
 
“Non puoi decidere di amarmi solo quando ti fa comodo.”
“…ma io ti amo sempre.”
“Non è abbastanza.”
 
Avevano dodici anni la prima volta che si spezzarono il cuore a vicenda.
Qualcosa negli occhi di James si spense a quelle parole e lei parve un attimo vacillare. Ma la distanza tra loro ormai era troppo grande, era una distanza fatta di maturità e fanciullezza che si intrecciavano e sfilacciavano tra le dita fino ad arrivare a non comprendersi. Lei era cresciuta più in fretta, maturando consapevolezze nuove e dolorose, lasciandolo indietro, giungendo su un terreno dove non si capivano più come prima, come sempre.
 
####
 
 
Gli anni successivi a Hogwarts non furono più facili. L’arrivo dei loro cugini, fratelli e quant’altro non migliorò la situazione. L’essere costretti a frequentarsi, ogni tanto, tramutò i loro rapporti in gelida cortesia. Anche se James faceva gli occhi da cucciolo di Puffola Pigmea ogni volta che era in sua presenza, lei cercava di ignorarlo e comportarsi come faceva con chiunque altro.
 
Di tanto in tanto, soprattutto di sera, il galeone di Dominique si riscaldava.
 
Ti penso.
 
Mi manchi sempre.
 
Oggi eri bellissima.
 
A volte quei messaggi la facevano addormentare tra le lacrime. Ma il fatto che James le dicesse quelle cose quando si ritrovava da solo nel buio del suo dormitorio, non cambiava i fatti, che erano quelli che contavano. Di giorno lui diventava sempre più un insopportabile esemplare di pavone maschio adolescente. E come ogni pavone che si rispetti negli anni a venire iniziò a essere circondato da un’ampia corte di galline starnazzanti. Ovunque passassero Gli Inseparabili – lui e i gemelli Scamander – seguivano sospiri sognanti e forse anche qualche balla di fieno per l’assenza di neuroni funzionanti.
 
All’età di quindici anni, alla fine del loro quarto anno, osò rubarle anche il suo primo vero bacio.
 
Grifondoro aveva appena vinto l’ultima partita di Quidditch, aggiudicandosi così non solo il Campionato ma anche la Coppa delle Case. Nella più atavica tradizione potteriana, James la travolse in preda all’euforia, nel bel mezzo del campo in cui si era riversata l’intera scuola, per festeggiare la squadra vincente.
 
“Nicky, abbiamo vinto, abbiamo vinto.” Aveva gli occhi che brillavano della più autentica felicità e quando la abbracciò fu un po’ come tornare a casa. I loro corpi erano diversi dall’ultima volta che erano stati così vicini, ma le sensazioni che le dava erano sempre le stesse: James era casa, era sicurezza, era fiducia incondizionata. E quando lui poggiò piano le labbra alle sue, lei spalancò gli occhi, improvvisamente consapevole di essere in mezzo a tutta la scuola. Non che le fregasse qualcosa di quello che pensavano, piuttosto era sempre stata timida e riservata nei suoi affetti e quello era qualcosa di troppo privato per essere condiviso così con tutti.
 
Ma poi James, nella sua naturale capacità di leggerla senza neanche sforzarsi, portò una mano al suo collo – registrò con una remota parte della mente che adesso riusciva a cingerle anche tutta la guancia – e lei si rilassò. Il mondo perse i contorni e i rumori assordanti dei festeggiamenti divennero ovattati, mentre non esisteva nient’altro che lui e le sue labbra e la sua lingua che la accarezzava in un modo così suadente da farle indebolire le gambe. E una nuova sensazione, che da allora avrebbe sempre associato a lui, stava divampando in lei, bruciante, addensandosi nello stomaco, nelle mani aggrappate alla sua divisa, nelle gambe che sembravano gelatina. Desiderio. Da quel momento James sarebbe sempre stato per lei: casa, sicurezza, fiducia incondizionata, desiderio.
 
Per questo quando lui si staccò, senza fiato, guardandola quasi stralunato, con un “wow” tra le labbra,  lei sicura più che mai, non gli diede neanche il tempo di riprendersi e gli spalmo cinque dita su una guancia girandogli la faccia da un lato.
 
“Non permetterti mai più”, sputò tra le labbra, voltandogli le spalle e allontanandosi.
 
Perché se l’era ripromesso quando lui aveva poggiato le labbra sulle sue che gliel’avrebbe fatta pagare per averla baciata in pubblico. E perché era ormai ben consapevole di quella nuova sensazione e non l’avrebbe mai perdonato per averle dato fuoco. Perché si era sentita bruciare tra le sue braccia e aveva sentito il desiderio irrefrenabile di stargli ancora più vicina, raggiungere quella parte di sé che si era rifugiata dentro di lui. Ma il desiderio e la rabbia erano due facce della stessa medaglia e lei ci avrebbe messo poco a tramutare l’una nell’altra, ben più facile da gestire e maneggiare.
 
Quella sera mentre si rigirava nel suo letto senza riuscire a prendere sonno, il galeone si scaldò. Se lo stava rigirando tra le mani, in preda a una crisi esistenziale. Poteva pensare di dargli una possibilità?
 
Non riesco a smettere di pensare
al nostro bacio.
 
Forse poteva. Forse.
 
Penso di essermi innamorato
di nuovo di te.
 
Alzò gli occhi al cielo. Sicuramente stava pensando con qualcosa che non era neanche lontanamente il cervello.
 
Da quel giorno cercò di evitarlo il più possibile. Perché vederlo comportarsi come al solito la faceva solo arrabbiare ancora di più e rispondergli sempre peggio.
 
James lesse quella reazione come una chiara risposta che quel bacio non le era piaciuto così tanto come a lui. Che lei si fosse arrabbiata perché gliel’aveva dato, tra l’altro davanti a tutti – lei odiava mostrare i suoi sentimenti in generale, in pubblico men che meno. Non osava neanche pensare che lei non lo amasse più, era un pensiero troppo inconcepibile.
 
Quella fu la seconda volta che si spezzarono il cuore a vicenda.
 
 
####
 
 
Gli anni successivi passarono in quella muta ostilità fatta di incomprensioni e insicurezze, in cui lui cercava di far breccia di tanto in tanto, senza nessun risultato.
Quando alla fine del sesto anno Dominique partì per passare l’estate con i nonni francesi in Francia, James capì che la situazione gli stava sfuggendo di mano.
 
Dopo aver colto stralci di conversazione sul fatto che lei stesse considerando di proseguire gli studi dopo Hogwarts in Francia. Finalmente posso sperare che diventi una signorina per bene – zia Fleur era quasi commossa – gli si gelò qualcosa dentro.
 
Doveva capire cosa fare per non perderla per sempre.
 
Si fece un esame di coscienza e facendo uno sforzo sovraumano per James Sirius Potter ammise che c’era qualcosa che non andava nella sua strategia precedente, visto che aveva fallito miseramente tutte le volte. Eppure funzionava così bene con il resto dell’universo femminile, mah.
 
Così decise di chiedere aiuto. E l’unica persona in quella famiglia che lo avrebbe mai aiutato sarebbe stato l’anello debole.
 
Fu così che zia Hermione lo caricò di libri. Lesse per tutta l’estate. Ad ogni libro seguiva una conversazione profonda e contraddittoria. Si pentì quasi subito della sua decisione. Ma da bravo testardo Grifondoro, non si arrese neanche di fronte a Anna Karenina, rinominato Il Mattone, perché sicuramente era stato una delle pietre che aveva posto le basi di qualche antico castello russo.
 
####
 
 
Così tornò ad Hogwarts per il loro settimo anno pieno di buone intenzioni.
 
Peccato che Dominique non fosse dello stesso avviso e lo evitava come si evita una malattia mortale lenta e inesorabile, rendendogli impossibile anche solo parlarle.
 
La distanza tra la torre di Grifondoro e la torre di Corvonero era tanta, era un salto nel vuoto buio e denso di quella notte illuminata solo dalla luna. Un vuoto non così incolmabile però a cavallo di una scopa.
 
Lei stava completando un compito nella sua camera quando sentì bussare… alla finestra. Quando si avvicinò e lo riconobbe fece tanto d’occhi, mentre gli apriva imprecando neanche tanto sotto voce.
 
Lui sorrise a trentadue denti. La amava.
 
Lei lo guardò scioccata.
“Deve mancarti qualche venerdì, e anche qualche sabato e domenica. Potrebbe averti visto chiunque dalle finestre e potevano esserci le altre.”
 
“Mappa del Malandrino.” Ghignò lui. “Sapevo fossero tutte in Sala Comune. Adesso andiamo, dobbiamo parlare, visto che non mi permetti di avvicinarti, sono venuto a prenderti direttamente in camera.”
 
Tutti i successivi tu sei pazzo, non ci penso proprio, scordatelo, dov’è la mia bacchetta che ti schianto non lo smossero minimamente e alla fine volarono entrambi fuori da lì. La convinse in nome di quel passato che li aveva visti tanto vicini che ora gli doveva almeno quello.
 
In realtà, lei sapeva benissimo che era più testardo di un mulo impiantato al terreno, anzi il mulo sarebbe sembrato un agnellino in confronto. Non lo avrebbe dissuaso neanche schiantandolo e lanciandolo dalla torre di Corvonero. Sarebbe tornato sotto forma di fantasma a tormentarla, piuttosto, quindi si decise a seguirlo e farla finita una volta per tutte.
 
Farla finita.
 
“Io non voglio farla finita” lui la guardò con gli occhi sgranati quando glielo disse.
 
“James…”
 
Erano atterrati nei pressi del Lago Nero. La brezza serale di fine settembre ampliava i profumi della foresta e li accarezzava, fresca e suadente.
 
“No, ascolta” e iniziò a blaterare senza senso alcuno di Mr Darcy che era un idiota, di Romeo che era ancora più idiota, di come Alice non poteva non essersi accorta che il Cappellaio Matto era palesemente innamorato di lei, di Anna Karenina che era pesante, letteralmente pesante, macinando terreno avanti e indietro, di fronte al suo sguardo allibito.
 
“Hai letto romanzi d’amore babbani?”
 
Lui si fermò un attimo a guardarla. “Sì”. E ricominciò a blaterare di quanto aveva studiato. E di come zia Hermione non era mai, mai d’accordo con lui, non si capacitava proprio del perché.
 
Lei iniziò a capire. “Te li ha suggeriti zia Hermione?”
 
“Suggeriti? No, mi ha costretto a leggerli.” Il suo sguardo sembrava sofferente.
 
Lei si trattenne dal ridere. “E tu li hai letti lo stesso?”
 
Adesso lui si fermò definitivamente davanti a lei, guardandola con due occhi scuri e grandi. “Certo, farei qualsiasi cosa per te.”
 
La facilità con cui James esprimeva i suoi sentimenti era solo pari alla reticenza che aveva lei nel pronunciarli.
Sentì il magone salirle dallo stomaco alla gola e bloccarsi sulle labbra. Le veniva un po’ da piangere. Perché le era mancato tutto quello e le era mancato lui, terribilmente. Con il suo modo strambo di stare nella sua vita e capovolgerla rendendola più luminosa e con i suoi sentimenti genuini e puri. 
Lui si era avvicinato, notando che qualcosa nella sua espressione era cambiato, sempre con quel modo che aveva di leggerla senza sforzo. Avrebbe potuto abbracciarlo e scoppiare a piangere, ma non sarebbe stata lei.
 
Invece strinse i denti e gli tirò un pugno sulla spalla. E un altro sul fianco. Lui rise e le bloccò debolmente i polsi, sapendo che non sarebbe valso a niente bloccarla. Lei infatti si dimenò e si divincolò provando ancora a colpirlo fin quando non finirono entrambi per terra, in un groviglio di braccia e gambe in cui continuò a picchiarlo e malmenarlo fin quando non sentì un po’ placarsi quel dolore e quella nostalgia che provava dentro.
 
“Mi lascerai di sicuro qualche livido.” Si lamentò lui, senza perdere il sorriso.
 
Speriamo.”
 
“Mi sei mancata anche tu.” Lui rise abbracciandola e rotolò sull’erba trascinandola sopra di sé. Lei gli diede un pizzicotto sul braccio.
 
“Hai finito di sfogarti?” le chiese dopo un attimo di quiete, scostandole una ciocca di capelli che sembrava riflettere il colore della luna dietro l’orecchio. Lei stette placida, le mani appoggiate al suo petto, a guardarlo.
 
James pensò che il mondo si sarebbe potuto fermare in quel momento, cristallizzando quell’istante: non aveva mai visto nulla di più perfetto di lei.
 
E siccome era un momento perfetto, tanto valeva rovinarlo subito.
 
“Quindi adesso tocca a me farti quello che sogno di farti da anni?”
 
Le rivolse un sorriso che la fece avvampare. E per tutta risposta lei gli piazzò i denti nell’avambraccio, la sua mano che vagava ancora tra i suoi capelli, lasciandogli probabilmente l’equivalente del Marchio Nero.
 
“Essere il devoto servitore di Voldemort doveva essere meno doloroso che amarti” si lamentò lui, massaggiandosi la parte lesa.
 
Dominique si alzò da lui mettendosi a sedere e nel frattempo spiegandogli per filo e per segno perché e per come lui doveva appartenere non alla razza umana, né tanto meno a quella dei maghi, ma a quella dei suini.
 
“E pensare che mi ero fatta quasi convincere” gli lanciò un’occhiata rancorosa.
 
“Quasi?” nei suoi occhi passò un lampo di trionfo “Cosa manca?”
 
“Il tuo cervello” berciò lei. “A quando pare è stato irrimediabilmente danneggiato quando eri in fasce o forse non è mai esistito.”
 
“Forse mi hai lanciato giù dalla culla quando eravamo piccoli.”
 
Lei, suo malgrado, sorrise. “Avrei dovuto impegnarmi di più e strozzarti direttamente.”
 
Si era messo a sedere anche lui e adesso le si avvicinò prendendole una mano. “Ascolta, potrei aver letto tutti i libri che quella sadica di zia Hermione ha in libreria” fece uno sguardo terrorizzato, “ma non posso fingere di non essere quello che sono. Mi conosci, sai che sono-”
 
“Un idiota decerebrato?” lo interruppe lei, accennando un sorrisino.
 
Lui rise. “Come vuoi, ma un idiota che è perdutamente innamorato di te.” Aveva due occhi che sembravano arrivarle dritti in fondo all’anima.
 
Perché doveva essere sempre così facile per lui? Avrebbe voluto un po’ di quel talento. Forse col tempo avrebbe potuto assomigliargli di più, anche se dubitava visto che erano cresciuti insieme e continuavano a non poter essere più diversi. Ma come due calamite continuavano anche a non poter stare lontani e si attiravano l’uno all’altra senza rimedio.
 
Lei sospirò, come a voler controllare un po’ di quell’emozione che le faceva battere forte il cuore.
 
“James…” intrecciò le dita alle sue, avvicinandosi ancora un po’ a lui. “Lo ripeti da quando eravamo bambini, da così tanto che non ricordo un tempo in cui tu non lo dicessi.”
 
“Perché non è esistito.”
 
Gli sorrise. “Può essere. Ma come fai a sapere che non sia cambiato qualcosa. Lo ripeti così tanto che potresti essertene convinto anche tu. Come fai ad esserne sicuro?”
 
“Lo sono.” Portò le loro mani intrecciate a sfiorarle una guancia e continuò prima che lei glielo chiedesse. “Perché ho provato.”
 
L’implicazione di quella risposta la fece irrigidire. “Con altre.”
 
Lui annuì “Quindi, ne sono più che sicuro.”
“Quante?” Quante ne devo schiantare sarebbe suonata così male?
Lui rise, forse leggendo le implicazioni di quella domanda.
 
“So che hai provato anche tu.”
 
Lei abbassò per un attimo lo sguardo e poi si ritrovò a fissarlo nei suoi occhi quando lui le prese il viso tra le mani.
 
“Non è la stessa cosa, vero?”
 
E realizzarono in quel momento che non lo sarebbe mai stata, con nessun altro. Quella consapevolezza era insieme commozione profonda e un senso di disperazione all’idea di non aversi.
 
“C’è ancora una cosa.” Gli disse quando riuscì a deglutire parte del nodo che le stringeva la gola.
 
Lui annuì, posandole un bacio leggero sulla fronte, le lasciò il viso. Sapeva che non sarebbe stato così facile.
 
Dominique prese un respiro, mettendo insieme le idee. La sua vicinanza era un po’ confondente.
 
“Mi hai fatto tante promesse nel corso degli anni, infrangendole poi una ad una, e- aspetta, so che eravamo bambini, non te ne sto facendo una colpa, ma non può più succedere, non se andiamo avanti-” si interruppe brevemente “mi hai anche detto tante cose bellissime negli anni” continuò un po’ più sicura “ho bisogno di sapere che sono vere, da ora in poi non possono restare solo parole, non se vogliamo… provarci davvero.”
 
Lui la guardò con un’emozione che fece solo da risonanza alla sua, facendole salire le lacrime agli occhi.
 
“Sei…”
 
Un James senza parole non l’aveva mai visto, non l’aveva mai neanche concepito. E questo le restituì solo una parte di quello che lui doveva star provando. Gli prese le mani tra le sue e strinse.
 
Lui continuò. “Sei davvero disposta a provarci?” Sembrava incredulo.
 
Lei annuì, con ancora quel groppo in gola e gli occhi lucidi di commozione.
 
Avrebbe voluto baciarla in quel momento. Voleva baciarla da quando l’aveva vista in camera sua, sempre bellissima, sempre dolce come nessuna. Ma avevano sette anni di incomprensioni da chiarire, dopo avrebbero avuto tutto il tempo del mondo.
 
“Sai, credo tu abbia ragione su quello che dicevi prima.”
 
“Allora è proprio vero che sei caduto dalla culla quando eravamo piccoli.” Lo prese in giro lei, per smorzare un po’ l’emozione.
 
Lui rise e prese a passarle distrattamente i pollici sui dorsi delle mani.
 
“Ci ho pensato tanto quest’estate, ti ho detto talmente tante volte di amarti, ma non te l’ho mai dimostrato… è che eravamo così piccoli, pensavo ti bastasse sentirtelo dire. A me era così chiaro e palese che non riuscivo a concepire che non lo fosse anche a te, è che…”
 
“Non eravamo pronti” lo interruppe gentilmente lei. “Non avevamo la maturità per amarci davvero, avremmo solo rovinato tutto.”
 
“Adesso lo siamo?” chiese un po’ titubante. “Pronti intendo. Non che io non voglia, non fraintendermi, io avrei voluto anche anni fa, solo che tu eri sempre così arrabbiata con me, probabilmente sbagliavo sempre qualcosa.”
 
Lei rise e non gli rispose direttamente. “Io credo… credo sarà un salto nel vuoto come per ogni coppia. Non è che perché sembra che siamo nati per stare insieme, sarà più facile che per chiunque altro. Forse ci capiamo meglio, forse abbiamo un passato più lungo di altri, ma non per questo non ci saranno alti e bassi e dobbiamo continuare a volerli superare per stare insieme.”
 
“Penso che anche zia Hermione abbia detto qualcosa del genere.” L’espressione di lui era a metà tra la commozione profonda e un brivido di terrore.
 
Lei questa volta scoppiò a ridere genuinamente. “È sempre stata una donna saggia, zia Hermione. E poi” sorrise “i suoi libri sembrano aver funzionato.”
 
“Quella donna è una sadica,” borbottò lui “altro che libri, mi ha costretto a parlare con lei per serate intere.”
 
Dominique si trattenne dal ridere ancora e staccò una mano dalle sue per passargliela tra i capelli. “E cosa ne hai dedotto?”
 
“Tante cose. Ma soprattutto, che esistono tre regole da seguire sempre e non dimenticare mai.” Si accomodò meglio alle sue carezze tra i capelli, piegando leggermente la testa.
 
“Sentiamo.”
 
“Uno” si preparò ad elencare.
 
E lei non seppe se aspettarsi qualcosa di buono o meno.
 
“Le ragazze vogliono attenzioni. Anche le più scontrose, musone, lunatiche-“ all’occhiataccia di lei evitò di andare avanti con gli aggettivi. “E ormai è chiaro che tu sia una ragazza.”
 
“Ormai? Chiaro?” Gli tirò una ciocca di capelli che aveva tra le mani.
 
Molto chiaro.” Le lanciò un’occhiata che le fece ribollire il sangue nelle vene. Per tutta risposta gli tirò ferocemente un’altra ciocca che aveva tra le mani.
 
“Sto per tornarmene in camera con la tua scopa e mollarti qui, ti avverto.”
 
Lui sorrise. “Ma non hai ancora ascoltato le altre due.” Le passò le braccia intorno alla vita, facendola accomodare meglio vicino a lui.
 
“Fa’ in modo che siano meglio di questa.” Si appoggiò con una spalla a lui, che le diede un bacio su una tempia, facendo per un attimo divampare la scintilla infuocata che le si agitava nello stomaco.
 
“Due” ricominciò lui, più piano data la vicinanza, come se fosse una confidenza. “Le donne hanno sempre ragione. Anche quando non ce l’hanno.” Lei gli diede un pizzicotto, facendolo ridere. “Ma questa è una verità che ho imparato per sopravvivenza molti anni fa, dato che nella nostra famiglia c’è uno stuolo infinito di donne.”
 
Lei ridacchiò. Ne sapeva qualcosa visto che solo nella sua di famiglia ce n’erano due ed erano anche prime donne.
 
“La terza?”
 
“Tre”, disse quasi solennemente. “Se non riesci a farti capire con le parole, passa ai fatti.” Le lanciò un altro sguardo malizioso. “E ho intenzione di fare molti fatti con te.”
 
Lei gli diede un pugno sul fianco questa volta. “Di questo passo l’unico fatto rilevante sarò io che affatturo te.”
 
Lui l’abbracciò, ridendole direttamente nell’orecchio. “Sei sempre così dolce.”
 
“Non ti piacerei, se fossi altrimenti”, mugugnò contro il suo collo.
 
“Sei sempre stata una piccola selvaggia. E ti ho sempre amata perché eri come nessun altro.”
 
Le prese delicatamente il viso tra le mani per guardarla negli occhi. Il cuore le batteva all’impazzata.
 
“Adesso posso baciarti?”
 
“Me lo chiedi perché hai paura che ti picchi?”
 
“La mia guancia porta ancora i segni della tua mano, da quella volta.”
 
Lei gli fece un sorrisino colpevole. “Non ero pronta a quello che mi aveva fatto provare,” gli spiegò.
 
“Quindi l’hai provato anche tu.” Aveva avvicinato la fronte alla sua, parlando a un soffio dalle sue labbra.
 
Lei annuì impercettibilmente, alzando il viso verso di lui e annullando la distanza.
 
La memoria di due anni prima era solo una fotografia pallida e sbiadita rispetto a quello che provarono in quel momento. Baciarsi con la consapevolezza di quello che avevano appena condiviso fece divampare quel fuoco quieto e potente dentro di loro, cercando e trovando riparo solo nella bocca dell’altro, nei sospiri accolti da orecchie avide, nelle mani che affondavano nei capelli e nella pelle, volendo conoscere e riappropriarsi di qualcosa che era sempre stato loro.
 
A un certo punto, quando lui si allontanò con uno sguardo spaventato, lei si accorse di star piangendo. James le passò le mani sulle guance, sussurrandole piccole rassicurazioni.
 
Ehi, va tutto bene, va tutto bene.
 
Non fermarti. Fu poco più di un gracchio, prima di ributtarsi sulle sue labbra.
 
Baciarlo in quel modo tanto profondo e travolgente, lasciando le redini e affidandosi completamente a lui e ai suoi sentimenti, aveva rotto quell’argine che si era imposta e aveva costruito anno dopo anno con tanta fatica, e dietro cui aveva barricato tutte le delusioni, il dolore, la paura. Perché se razionalmente aveva capito che in quegli anni non sarebbe potuta andare altrimenti e lo aveva perdonato e si era perdonata, la sé bambina era stata comunque abbandonata a undici anni da quel bambino che amava più di chiunque altro. Ed era cresciuta nella solitudine e nella paura di non riavere mai più quel rapporto così speciale. Soprattutto negli ultimi anni, era cresciuta nel terrore che lui non volesse più recuperare quel rapporto così speciale, che non la volesse più. Ed era fuggita lontano: doveva crearsi una via di fuga, non poteva concepire di continuare a vederlo da lontano e non averlo.
 
Ma quei tre mesi non erano serviti a niente, non a dimenticarlo, non a non amarlo. Per fortuna lui in questo era sempre stato più testardo e caparbio di lei ed aveva trovato il modo per evitare le sue barriere. Era sempre entrato nella sua vita senza permesso e lei glielo aveva sempre lasciato fare.
 
Pianse ancora a lungo e il sapore dei baci si fuse con quello delle sue lacrime. Lui ora la baciava più lentamente, dandole il tempo tra un bacio e l’altro di respirare e mormorandole parole di conforto. Sono qui. Sono sempre stato qui. Non vado da nessuna parte. Come sempre, anche se lei non aveva pronunciato nessuna parola lui aveva capito.
 
Ho avuto paura, ho avuto così tanta paura. Lei non lo aveva detto, ma lui lo aveva sentito e qualcosa dentro gli si era incrinato. L’aveva stretta forte, continuando a baciarle la tempia, la guancia, i capelli. Erano ormai stesi per terra, lei mezza stesa sopra di lui, che le accarezzava piano la schiena, lasciandole piccoli baci sulla testa, mentre lei riprendeva pian piano il controllo.
 
Quando alzò la testa per guardarlo aveva gli occhi gonfi e rossi e uno sguardo così fragile come non lo aveva mai visto. In quel momento lui si ripromise che qualunque cosa fosse successa, ovunque li avesse portati il futuro, avrebbe sempre protetto questa Nicky che gli si stava mostrando ora, a costo di strapparsi il cuore dal petto per farlo.
Doveva avere quelle emozioni disegnate in volto, perché lo sguardo di lei si fece più stabile e morbido, un lieve sorriso sulle labbra.
“Ti amo” gli disse con una voce un po’ traballante “più di quanto tu possa immaginare.”
Era la prima volta che gli diceva direttamente di amarlo e lui avrebbe ricordato per sempre l’espressione nei suoi occhi e il rimbombo che fece il suo cuore in risposta.
La baciò ancora, piano, come a rubare dalla sua bocca quelle parole e regalargliene altrettante, altrettanto importanti.
 
Dopo un tempo che sembrò infinito, lei alzò di nuovo il viso a guardarlo.
 
“James”. Si perse per un attimo a seguire il movimento delle proprie dita tra i capelli di lui. “Come faremo con le nostre famiglie?”
 
Era un argomento su cui non si erano mai soffermati più di tanto, perché quello che c’era sempre stato tra loro era stato così spontaneo e naturale che nessun giudizio esterno avrebbe potuto scalfirlo. In passato, era stato il resto del mondo a portare quell’argomento tra loro – quando erano usciti dal guscio ovattato della loro casa arrivando ad Hogwarts, – in modo neanche troppo ingombrante, perché di quello che pensava il resto del mondo poteva importare ben poco a entrambi.
 
“Beh” rispose lui facendole un sorriso “quando sarà il momento glielo faremo sapere in modo più plateale possibile.”
 
“James” lei alzò gli occhi al cielo “puoi essere serio per cinque minuti?”
 
“Non sto scherzando, sono serissimo.”
 
“Lo so bene, purtroppo.” Era ben consapevole che lui era capace di prendere e baciarla davanti a tutti come se niente fosse. Gliel’aveva chiesto proprio per evitare quello.
 
Lui rise. “Ascolta, i nostri cugini e fratelli se lo aspettano, come aspettando la neve a Natale, quindi nessuno di loro resterà particolarmente sorpreso. Anche se mi sarebbe piaciuto far venire un infarto ad Albus” ghignò al pensiero “ma purtroppo penso lo vedrò solo piangere commosso come una vecchia comare, con Rose appesa al braccio.”
 
“Sei pessimo.” Gli disse, ma non riuscì a trattenersi dal ridere anche lei.
 
“Conosco bene i miei polli.” Le sorrise, tornando un po’ serio. “Per quanto riguarda la nostra famiglia a casa, non credo sarà una grande sorpresa neanche per loro. O almeno, per quelli svegli. Mia mamma penso lo sappia da sempre, magari le verrà qualche capello bianco.” Fece spallucce. “Ecco, a mio padre e tuo padre verranno tutti i capelli bianchi.”
 
Lei mugugnò qualcosa in francese, nascondendo il viso nella sua spalla, mentre lui rideva.
 
“Quella che mi fa veramente paura è tua mamma.” Aveva ancora un’espressione leggera, non era davvero impaurito, né preoccupato e con il suo modo di fare scherzoso stava esorcizzando quell’argomento per entrambi. Lo stava affrontando con una facilità che lo rese leggero e maneggiabile a tutti e due.
 
Lei gli fu profondamente grata per questo.
 
“Lo sa anche lei, anche se non vorrebbe saperlo e fa finta di non saperlo. Le verrà l’ennesima crisi isterica, crollo di nervi e forse anche un esaurimento nervoso. Ormai ci è abituata con me. Credo che ogni volta che mi guardi si chieda come possiamo condividere il patrimonio genetico ed essere così diverse.”
 
“E per fortuna, direi.” Lui la strinse un po’, sentendola ridere e dargli un pizzicotto.
 
“Perché è tutto così facile con te?”

Lui capì al volo quella domanda, anche se negli ultimi anni non era stato niente facile tra loro, ma aveva la stessa sensazione quando era con lei, come se il mondo fosse finalmente allineato al posto giusto.
 
“Perché sono bellissimo, simpatico e intelligente?”
 
“Adesso non esageriamo. Te ne concedo una delle tre.”
 
Lui ghignò e la guardò. “Sei più bella tu, però.”
 
“Io intendevo simpatico.”
 
“Bella e crudele, sei sempre stata bella e crudele.”
 
Lei rise dandogli un bacio.
 
Dopo un attimo di quiete lo guardò. “Potremmo aspettare la fine della scuola.” L’argomento precedente non si era ancora esaurito del tutto e lei vi tornò con naturalezza, adesso più tranquilla a riguardo. “Non voglio nascondermi e so che non lo vuoi neanche tu, non lo faremo. Ma siamo lontani da casa e… diamoci il tempo di vedere come va tra noi. Alla fine della scuola gliene parleremo.”
 
Lui annuì. “Non vedo l’ora di vedere come va.” Aveva gli occhi carichi di emozione. Non gli era sfuggito il fatto che lei non avesse titubato un attimo nell’immaginarli uscire insieme da Hogwarts, magari mano nella mano così come erano arrivati. Le diede un bacio morbido sulle labbra, passandole lento nel mani a risalirle la schiena.
 
E come tutti i momenti carichi di emozione andava irrimediabilmente rovinato.
 
“E non vedo l’ora di vedere come vieni.”
 
La risposta di lei con le guance in fiamme e lo sguardo indignato fu un furioso Schiantesimo.
 
Certe cose per fortuna non cambiavano mai.
 
####
 
 
La mattina dopo, quando Dominique uscì dal passaggio segreto del suo dormitorio, lo trovò lì, con un sorriso in grado di illuminare l’intero Sistema Solare. Istintivamente sorrise anche lei, gli si avvicinò e si alzò in punta di piedi a rubargli quel sole dalle labbra, brevemente. Per poi dirigersi in Sala Grande insieme, per mano.
 
Il periodo successivo fu come essere circondati dall’ovatta, morbida, soffice, calda.
 
Sospiri e baci rubati in anfratti nascosti dei corridoi tra una lezione e l’altra. Sguardi dolci e languidi, infuocati, da un lato all’altro della Sala Grande. Scoprirsi, conoscersi ancora una volta, come se non fosse mai abbastanza quanto bene a fondo si conoscessero.
 
Scoprire il sapore dolce che aveva il suo nome sulle labbra di lei.
 
James.
 
Quando erano così vicini da fondersi quasi in una sola persona.
 
Scoprire quante cose si potessero sussurrare e restare incastrate in fondo al cuore più di mille parole urlate al vento.
 
Non ho mai visto niente di più bello di te.
 
Ti amo, ti amo, ti amo. Disegnato sul corpo di lei con le labbra.
 
Se rinascessi in altre cento vite, amerei te.
Ed io te.
 
Non smisero mai di litigare, ovviamente, perché certe cose sono una costante ed è buona prassi che non cambino mai.
 
Signor Potter”. Un tuono. “Perché i signori Scamander sono impastoiati?”
 
“Ma professoressa McGranitt, io non…”
 
“Subito nel mio ufficio, tutti e tre.”
“….E Weasley, veda di non farsi troppo coinvolgere da questi tre. La sua reputazione scolastica non ne gioverebbe.”
 
Certo, professoressa.”
 
Gliel’aveva pagata. Oh se gliel’aveva pagata. Aveva spento le sue risa in sospiri che erano tutt’altro che divertiti. La tortura non era mai stata così dolce.
 
Ti prego.
 
Giura che non lo farai mai più.
 
James…
.
.
.
Te lo giuro.
E chissà cos’altro gli aveva giurato con quelle parole. Promesse troppo importanti – e troppo spaventose – per essere davvero pronunciate ad alta voce.
 
Ma era sempre nello scontro che trovavano la loro vera dimensione.
 
“James, chi è quella gallina che devo schiantare?”
 
“Amore, sei un po’ rossa, forse dovresti farti vedere in Infermeria.”
 
“Quello che finirà in Infermeria sei tu se non spunti il rospo.”
 
“Ma amore mio…”
 
E come in una scena rievocata direttamente dalla storia Potter-Wealsey 2, La Vendetta si ritrovò letteralmente a sputare rospi per la successiva ora e mezza.
 
“Così impari.”
 
E James si ritrovò a maledire internamente la dannata storia scolastica Potter-Weasley tramandata alla generazione più giovane con così solerte cura.
 
 
Dopo qualche mese, poi, si erano assestati su una nuova routine in cui ogni momento libero erano l’uno nella vita dell’altra: tra gli amici, tra i libri, da soli, in mezzo a un campo da Quidditch.
E in quella nuova routine trascorse il resto dell’anno scolastico, che li vide conseguire i M.A.G.O e uscire da Hogwarts così come erano arrivati, mano nella mano.
 
####
 
 
La reazione della loro famiglia allargata – ma perché poi erano sempre tutti alla Tana quando era meno opportuno – alla loro relazione era stata più o meno quella prevista, con svenimenti, pianti, urla e molti capelli bianchi.
 
Insomma un grande schiamazzo.
 
Con l’eccezione, non prevista, che a un certo punto Hermione Granger con il suo piglio da MinistrodellaMagiaNuovoDiNomina aveva zittito tutti, sbrodolando storia su storia magica di unioni e matrimoni tra strette parentele, addirittura più strette della loro. Tutti muti avevano ascoltato senza dire una parola, probabilmente perdendosi alla prima citazione di atti di archivio di chissà che anno, e annoiandosi a morte.
 
Quando aveva finalmente finito, avevano borbottato qualcosa ed erano finalmente tornati a mangiare.
 
Hermione li aveva guardati soddisfatta, ignara delle balle di fieno che rotolavano da un cervello all’altro dei presenti.
 
I diretti interessati l’avevano ringraziata con lo sguardo e lei aveva fatto loro l’occhiolino.
 
Nessuno sapeva che la vera Inquisizione Spagnola sarebbe avvenuta una volta arrivati realmente a casa.
 
 
“Maman insiste che tu sia così rozzo per me.”
 
“Si vede che non ti conosce davvero, Miss Finezza.” Le sbaciucchiò giocosamente il collo e lei rise.
 
“Per fortuna zia Hermione ha messo a tacere tutti riguardo l’argomento parentela.”
 
“Penso che nessuno sapesse bene come rispondere perché nessuno ha capito davvero tutto quello che ha detto. Credo di aver perso un passaggio o due anch’io.”
 
Lei rise di nuovo appoggiandosi a lui. Erano nel terreno neutro della Tana, tra quei campi di grano che avevano fatto da protagonisti alle loro estati di bambini, seduti all’ombra di un albero.
 
“Oltre che rozzo sei anche così poco intelligionte.” Imitò sua mamma riuscendoci benissimo e questa volta fu lui a rilasciare uno sbuffo tra il terrore e la risata.
 
“Sei sempre crudele, sai che mi fa paura tua mamma.” Si rotolò sull’erba, lamentandosi, per poi posizionarsi con la testa sulle sue gambe.
 
Le mani di lei corsero automaticamente tra i suoi capelli, come avessero vita propria.
 
“E a buon ragione, sa essere terrificante a volte. Non si arrenderà mai al fatto che non sono una bambolina come Victorie o non sono adorabile e manipolabile come Luis. Quando credo che l’abbia capito, mi sorprende sempre del contrario.”
 
“Ti fa soffrire questa cosa?” Lui la conosceva troppo bene per sapere che ne aveva sofferto in passato. I continui commenti, i continui giudizi tra le righe dopo un po’ erano pesanti anche per la più determinata delle bambine.
 
“Forse una volta. Col tempo ho imparato a mettere le sue parole in prospettiva, credo voglia solo il mio bene. Ma alla fine deciderò io qual è.” Fece una piccola pausa, guardandolo. “Ha contribuito il fatto che i miei sforzi a scuola mi abbiano sempre ripagata, che sono sempre stata circondata da persone che mi ascoltavano e capivano, come Rose e Judy, e che ho sempre avuto il tuo amore incondizionato, qualunque cosa facessi.” Una mano dai suoi capelli si spostò sul viso, in una carezza tenera.
 
“Ce l’avrai sempre, qualunque cosa tu faccia.” Si voltò a posarle un bacio sul polso. “Anche se vuoi andare a nuotare con il mostro di Loch Ness.”
 
Lei rise. “Prendersi cura delle Creature Magiche Acquatiche non vuol dire andare a nuotare con un serpentone leggendario.”
 
Lui borbottò qualcosa su un altro serpentone leggendario che già conosceva e l’avrebbe resa di sicuro più felice e si beccò una bella tirata di capelli.
 
“Zia Ginny e zio Harry invece come l’hanno presa?”
 
“Oh, su di te non hanno avuto molto da dire, credo siano segretamente grati dell’aspetto stabile della nostra relazione. Penso che mia mamma la ritenga l’unica cosa stabile della mia vita in questo momento, infatti mi sta facendo una testa tanta su cosa io voglia fare in futuro.” Alzò gli occhi al cielo sbuffando.
 
Mentre Dominique aveva ben chiaro di voler proseguire gli studi all’Accademia per Creature Magiche degli Abissi, James era uscito da Hogwarts con le idee ben poco chiare, o meglio dire per niente. Forse voleva fare l’Accademia Auror, ma quello sembrava più seguire le orme paterne che una vera aspirazione. Forse voleva diventare giocatore di Quidditch professionista. Forse, intanto che decideva, gli andava bene aiutare lo zio George nel suo negozio, avevano già pattuito un lauto stipendio. I suoi genitori erano disperati.
 
“L’altra sera papà mi ha fatto un pippone infinito su quanto questo momento della mia vita sia importante, che devo pensare bene cosa voglio fare, cosa voglio diventare. Quando si alleano sono ancora più fastidiosi.” Borbottò sempre sbuffando.
 
“James…” tentò di dirgli lei, alzandogli delicatamente il mento così che la guardasse. Forse hanno ragione.
 
“Lo so, ma io so solo che voglio stare con te, questo non basta? Non può essere sufficiente come inizio?”
 
Occhi caldi cioccolato incontrarono occhi limpidi azzurri, preoccupati.
 
Forse non bastava.
 
 
Ma lui non lo capì fino a qualche settimana dopo, quando lei gli disse che se ne stava andando.
 
“Andando? Andando dove?” Era scioccato.
 
“C’è un’ottima Accademia per la Cura degli animali degli Abissi vicino Parigi, l’ho già visitata nell’estate del sesto anno con zia Gabrielle-”
 
“Okay, verrò con te se è lì che vuoi studiare.” La interruppe lui, ancora non comprendendo bene la situazione.
 
“James” gli prese le mani tra le sue, tremavano leggermente “non era questo che intendevo. Devo andare da sola. E tu devi restare qui, capire cosa vuoi fare veramente.” Adesso le tremava anche un po’ la voce. “Siamo così tanto l’uno nella vita dell’altra, lo siamo stati per così tanto tempo, che dobbiamo capire chi siamo senza l’altro.”
 
Lui le asciugò una lacrima. Non si era neanche accorta di aver iniziato a piangere.
 
“Chi ti ha convinto? È stata tua madre? La mia? Mio padre?” Aveva gli occhi che mandavano lampi.
 
“Nessuno di loro, sai che sono in grado di decidere da sola. Ci penso dall’ultima volta che abbiamo parlato del nostro futuro e una frase di zia Hermione mi ha fatto riflettere.”
 
Chi sei senza di lui?
 
“Io non lo so, James, non so chi sono senza di te, sei sempre stato la mia costante per tutto questo tempo. Anche se ci eravamo allontanati, tu c’eri e in qualche modo questo mi definiva.” Gli strinse la braccia in vita, le lacrime che le rigavano le guance. Il cuore di lui batteva in modo doloroso facendo da eco al suo. “Ti amo così tanto, che sento dolore fisico al solo pensiero di allontanarmi da te.” Continuò contro la sua maglietta. “Ma dobbiamo farlo, dobbiamo prenderci del tempo per capire chi siamo.”
 
“Io non sono nessuno senza di te, Nicky.”
 
La sua voce fu una stilettata di dolore per lei. Era disperato.
 
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Lo baciò con la forza della disperazione che correva anche dentro di lei e con quel dolore che le stava facendo a pezzi il cuore. James era la sua casa, da sempre, ma doveva capire chi fosse lei senza di lui. E soprattutto lui doveva capire chi fosse, senza quello che la legava a lei. Perché quello più perso tra i due era lui e stavolta lei non poteva indicargli la strada.
 
“Hai già deciso, Nicky.” Si staccò da lei con rabbia quando si rese conto che quello era un bacio d’addio. “Non ne stiamo nemmeno discutendo, non ne stiamo nemmeno parlando.” Adesso era furioso. Si allontanò prendendo a camminare avanti e indietro. “Sei solo tu che stai comunicando la tua decisione a me.”
 
Lei lo guardò con ancora gli occhi lucidi, ma non disse niente.
 
“Non funziona così in una coppia, maledizione! Le decisioni si prendono insieme.” Le urlò quasi in faccia.
 
“Non l’avresti mai accettato, in qualunque modo te ne avessi parlato.”
 
“Perché non ha nessun senso! Per l’ennesima volta in sostanza mi è stato detto di crescere. Di capire cosa voglio fare dalla mia vita. E quello che fa più male, stavolta, è che viene dalla persona che amo più al mondo.”  La guardava con due occhi feriti che le fecero crollare il cuore.
 
“No, non è così.”
 
Cercò di fermarlo afferrandogli i polsi e lui glielo lasciò fare.
 
“James”. Gli passò una mano sul viso delicatamente e lo vide chiudere gli occhi. “Amore mio…”
 
Lo sguardo di lui si ammorbidì di riflesso a qualcosa che aveva scorto nel suo.
 
“Hai così tanto talento che potresti fare qualunque cosa tu ti metta in testa di fare. Sei intelligente, sei carismatico, sei bravo negli sport e piaci alle persone. Devi solo trovare la tua passione e incanalare la tua energia in quello. Io credo in te. Crederò sempre in te, anche da lontano.”
 
“Non credo tu mi abbia mai fatto tanti complimenti da… beh da sempre.”  Borbottò lui.
 
Lei rise.
 
“Se credi così tanto in me, allora perché mi stai lasciando.” Anche gli occhi di lui divennero lucidi e lei gli circondò il viso con le mani per non cedere.
 
“Perché sei tu che non credi in te stesso. Nonostante quello che dici, nonostante le arie che ti dai” gli sorrise e lui alzò gli occhi al cielo. “Sei troppo proiettato su di me, per investire davvero in te stesso. Devi trovare la tua strada e purtroppo io non posso aiutarti.” Appoggiò la fronte alla sua sospirando.
 
“Preferisco quando mi insulti, mi affatturi e resti. Non mi piace quando mi parli, mi fai complimenti e te ne vai.”
 
“Dovremmo trovare una via di mezzo.” Gli asciugò le lacrime e si accorse che stava piangendo anche lei.
 
“Starai via tanto?”
 
Lei non rispose e lui la strinse. Era tutto quello che poteva fare prima che sparisse via per sempre.
 
Fu la volta decisiva in cui si ruppero il cuore a vicenda. Per sempre.
 
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12 anni e mezzo dopo, more or less
 
 
Era il loro trentesimo compleanno.
 
La torta recitava:
 
Tanti auguri
James e Dominique
 
Uno stupido scherzo del destino che fossero nati ad un giorno di distanza. Uno stupido scherzo e basta il fatto che alla Tana avessero deciso molto arbitrariamente di festeggiarli insieme quell’anno. Come quando erano bambini. Nella serata a cavallo tra i loro due giorni, sul finire del compleanno di James e l’iniziare di quello di Dominique.
 
Allo scoccare preciso della mezzanotte i loro due compleanni si incontravano, rimanendo intrecciati per sempre in quell’attimo eterno sospeso nel nulla.
 
Come loro non sarebbero mai più stati.
 
Anche se il destino li aveva uniti, la vita era stata molto più fredda e crudele, dividendoli. Un taglio che non si sarebbe mai rimarginato.
 
Cosa farai quando ti accorgerai che è troppo tardi?
 
Potrò iniziare a vivere davvero.
 
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“Buon compleanno, Nicky.”
 
Aveva nevicato molto, quel febbraio, e i passi scricchiolanti di James sulla neve non ancora battuta avevano annunciato la sua presenza prima ancora che parlasse.
 
Lei si voltò un poco e sorrise “Buon compleanno a te.”
 
Era seduta sull’altalena appesa all’albero nel giardino della Tana. Dall’interno proveniva ancora un discreto vociare nonostante avessero spento le candeline ormai da un bel pezzo, le luci della cucina proiettavano ombre chiare e aranciate, che giungevano pallide fino a loro.
 
La seduta era abbastanza ampia per due e lei gli fece spazio per sedersi.
 
“Ti prego fai una delle tue battute sul fatto che sei nato per primo, battendomi sul tempo.”
 
Lui rise e le prese una mano, avvolta in uno spesso guanto di lana.
 
“Ma io sono nato per primo.” Lo disse come un vanto.
 
“Solo perché sei incredibilmente impaziente.”
 
Nessuno lo aspettava prima di venti giorni, o giù di lì.
 
“E tu incredibilmente puntuale.”
 
Quando a Ginny si erano rotte le acque, Fleur era già al San Mungo per un monitoraggio perché aveva la scadenza in quei giorni.
 
“Ci hanno sempre descritto bene le nostre nascite.”
 
“Già.”
 
Lei sorrise, dondolandoli piano e incrociando le dita alle sue. Anche in modo un po’ goffo attraverso i guanti, si incastravano sempre alla perfezione.
 
C’era stato un tempo in cui rivedendosi lui le aveva urlato addosso, arrabbiato. Un tempo in cui lei gli aveva urlato addosso, furiosa.
 
C’era stato un tempo in cui si erano evitati. E un tempo in cui si erano amati ancora, per poco, per poi trovare le lenzuola vuote dell’altro al mattino.
 
Infine si erano assestati su quella quieta malinconia. Una quieta accettazione della mancanza dell’altro come parte fondamentale della propria vita. La mancanza.
 
Parlavano sempre poco. Si facevano un cenno di riconoscimento da lontano.
 
Forse quella era la prima volta che erano così vicini da tanto tanto tempo.
 
Era sempre una sensazione totalizzante: casa, sicurezza, fiducia incondizionata, desiderio.
 
“Era da tanto che non mi sentivo così.”
 
Lui la soppesò un attimo, sovrappensiero, strofinando un dito sopra il dorso della sua mano, ricoperta dal guanto.  
 
“Perché non sei tornata prima?”
 
Lei alzò di scatto lo sguardo nel suo. “James, questo non vuol dir-”
 
“Lo so.” La interruppe lui, rassicurandola e dandole una stretta alla mano.
 
Era tornata in quegli anni, certo. Ma mai abbastanza. Per le feste più importanti – Natale alla Tana, Pasqua, il matrimonio di Victorie e Teddy – per qualche settimana ogni estate. Spesso tornava solo per fare una visita veloce ai suoi genitori, un tè con i nonni e subito ripartiva. Lui veniva a saperlo giorni dopo, a volte settimane.
 
Dominique dopo l’Accademia si era stabilita sulle coste della Francia, nei pressi di una piccola Riserva Naturale, dove accoglievano e curavano gli animali marini in pericolo. E lui non aveva idea di che aspetto avesse la sua casa, chi fossero i suoi amici, che forma avesse la sua vita. Questa cosa spesso lo aveva fatto andare fuori di testa.
 
“Chi te lo ha detto?” chiese lei piano, come a non voler disturbare la quiete della neve intorno a loro.
 
James fa spallucce. “Avevo percepito qualcosa. La prima a cedere è stata nonna Molly. Sai che non può resistermi.”
 
Lei alzò gli occhi al cielo, dandogli una spinta con la spalla. Sei sempre il solito.
 
“Era arrivato il momento di tornare a casa.” Gli risposte poi, tornando seria.
 
In qualche mese Dominique avrebbe fatto ritorno in Inghilterra. Avrebbe lavorato ad Hogwarts. Dopo una lunga e convincente corrispondenza, aveva convinto il nuovo Preside a portare una miniatura della Riserva in cui lavorava in Francia, sulle sponde del Lago Nero. Sarebbe stato fedele alla sua natura nonché istruttivo per gli studenti che la Scuola di Magia e Stregoneria d’Inghilterra ospitasse e curasse creature degli abissi, oltre che di terra. Dominique avrebbe inoltre, su sollecitazione del team docenti, affiancato in alcune lezioni il Professore di Cura delle Creature Magiche col focus particolare su quelle che popolavano le acque.
 
“È un’opportunità pazzesca. Te la meriti tutta.”
 
Il suo entusiasmo era sempre contagioso e lei gli sorrise.
 
“Anche se” lo fissò negli occhi e il sorriso si spense. “Non mi hai reso certo facile questa decisione.”
 
“Nicky…”
 
“È vero- aspetta” prese un respiro, cercando le parole. “Quando sarei dovuta tornare? Quando ti hanno cacciato dall’Accademia Auror perché ti presentavi ubriaco alle esercitazioni? O quando hai dato fuoco al negozio di zio George? O quando volevi girare il mond-”
 
Questo non è giusto.” La interruppe lui, protestando. “Era anni fa e sai che- non me la sono passata tanto bene quando sei partita.” Distolse lo sguardo dal suo, separando le loro mani.
 
“Questo” continuò lei addolcendo la voce “è stato per anni.” Cercò di nuovo la sua mano, non potendo trovare i suoi occhi. Lui glielo lasciò fare.
 
“Solo cinque anni fa-” la voce di lei perse un tono e il suo cuore un battito. Lui sembrò notarlo perché tornò con lo sguardo sul suo viso.
 
Lei non lo guardava ora, sembrava fissare un passato troppo doloroso per essere davvero rinominato.
 
Eppure lo fece.
“Ti aspettavi davvero che tornassi per il tuo matrimonio?” Aveva cercato istintivamente il suo anulare, chiedendolo e ora ci giocava attraverso i guanti.
 
“Io… tu non sei venuta.” La accusò lui.
 
Lei spalancò un po’ gli occhi guardandolo. “Non posso credere che davvero-” si interruppe come se solo ora avesse trovato il bandolo di una matassa nell’espressione di lui.
 
“Tu volevi che venissi. Volevi- speravi- è stato un modo per attirare la mia attenzione.”
 
Non poteva crederci. Si alzò, camminando avanti e indietro, schiacciando la neve e sperando di poter schiacciare lui.
 
“Non ci posso credere, un matrimonio” continuò a mormorare.
 
“Smettila, non c’è stato- lo sai bene che non c’è stato- la stai facendo sembrare più tragica-”
 
“James, stavi per sposare una povera ragazza solo per avere una mia reazione!” I suoi occhi mandavano lampi adesso e lui sbuffò.
 
“Puoi tornare a sederti, per favore? Mi stai facendo venire il mal di mare.” Fece segno sulla tavola di legno accanto a sé.
 
Lei gli lanciò un’occhiataccia, prima di sedersi, le braccia incrociate a mostrare il suo disappunto.
 
“Non è stato solo per quello- cioè un po’ sì, ma in quel momento non lo sapevo, non consapevolmente.” Iniziò a spiegare lui, grattando un po’ con la suola della scarpa sulla neve compressa.
 
“In quel periodo, l’hai detto anche tu, ero perso, niente andava come doveva. Facevo un disastro dopo l’altro.”
 
Il corpo di lei si ammorbidì un po’ accanto a lui. “Tua mamma mi ha scritto. Credo fosse proprio quel periodo.”
 
“Davvero? Mia mamma Ginevra Weasley-Potter?” Era un po’ incredulo.
 
Lei ridacchiò appena. “Era davvero preoccupata per te. Mi ha chiesto se fossi sicura che fosse stata la scelta migliore quella di andare via.”
 
“Immagino tu lo fossi.”
 
Lei fece spallucce e non rispose. Così lui riprese.
 
“I miei erano disperati, come hai potuto intuire. Così quando Julia è entrata nella mia vita è stata un po’ come una boccata di aria fresca.” La adocchiò un attimo, decidendo come continuare. “Di origini spagnole lei era solare, spontanea, con una predisposizione naturale al prendersi cura delle persone. Le cose iniziavano a girare per il verso giusto, sentivo di riuscire finalmente in qualcosa. La gente tornava a guardarmi come se non fossi più un caso disperato.”
 
“Non lo sei mai stato, avevi solo bisogno di capire chi fossi.”
 
Lei lo guardava con gli occhi pieni di malinconia e il cuore di lui un po’ barcollò.
 
“Sei sempre stata l’unica a crederci sempre.” Le passò una mano sulla guancia e si riscosse quando lei tremò un po’.
 
“Fammi finire.” Mormorò.
 
E lei annuì, prendendogli la mano fredda tra le sue, per scaldargliela.
 
“Mi sono innamorato di lei.” Lui tornò con lo sguardo sul solco nella neve che aveva creato con la suola della scarpa. “E le ho chiesto di sposarmi. Sembrava l’evoluzione più giusta in quel momento. Tutti sembravano spingere in quella direzione. Proprio il mese prima eravamo stati al matrimonio di Lorcan, io ero il testimone e così davanti a tutti a un certo punto della serata le ho fatto la proposta.”
 
Lei era immobile adesso, a stento respirava. Forse immaginando una linea parallela di quel passato, che non si sarebbe mai avverata. Stringeva solo la sua mano tra le sue.
 
“Avrei potuto amarla davvero, se mi fossi trovato in un altro momento della mia vita.” Alzò lo sguardo a guardarla e accennò un sorriso. “O forse in un’altra vita.”
 
In cui non ci sei tu.
 
Lei ingoiò un groppo che le era salito in gola. “Continua, ti va?”
 
Lui annuì. “Quel giorno, quando non ti sei presentata, ho avuto una crisi di nervi. Non capivo neanch’io bene cosa mi fosse preso, ero fuori di me. Nessuno riusciva a farmi ragionare. Fin quando mio padre non mi ha preso a calci nel- sedere. Letteralmente.”
 
“È sempre stato il modo migliore per farti ragionare.”
 
Lui ridacchiò. “Beh, sono stato costretto ad ammettere che il punto era che tu non c’eri. Tu non c’eri e io non sapevo chi fossi e come fossi arrivato a quel punto. Probabilmente c’ero arrivato solo perché tu non c’eri.” Fece una piccola pausa. “E così il matrimonio fu annullato.”
 
“Non preoccuparti” la anticipò quando notò che lei stava per parlare. “Julia si è ripresa bene e adesso è felicemente sposata con quello scansafatiche di Lysander.”
 
“Non ci posso credere.” Dominique rise. “Quei due entrambi sposati.”
 
“Già.” Ammise lui. “Quel fatto- il fatto che tu non ti sia presentata come avevo preventivato, il fatto che stessi per sposarmi solo perché sembrava giusto mi ha dato la scossa definitiva. Capii che ero alla deriva, dovevo fare qualcosa, essere qualcuno. Non solo il James di Dominique, dovevo essere qualcun’altro. Qualcuno solo per me.”
 
Lei annuì. “E così sei diventato un giornalista famoso.”
 
James sbuffò divertito. “Non è stato per niente facile. Rimettermi a studiare è stato un incubo. Il mondo del giornalismo e della cronaca sportiva è una ressa. Ho dovuto sgomitare. Ma alla fine mi diverto un mondo. La radiocronaca in diretta è la parte più divertente. Ma anche scrivere non mi dispiace. E viaggio un sacco in tempi di Coppe del mondo di Quidditch.”
 
“Si vede che eri tagliato per farlo. Sei anche piuttosto-” bravo “decente.” Si morse il labbro divertita a quella correzione.
 
“Decente. Ma se sono il migliore.” Si batté una mano sul petto e lei rise. “Dopo il grande Lee Jordan ovviamente. Ma tu come fai- hai letto i miei articoli?” I suoi occhi brillarono alla luce fioca che proveniva dall’interno.
 
Lei annuì. Tutti. “Ho ascoltato anche le radiocronache. È stata una buona scelta, il tuo carisma sarebbe stato sprecato se non condiviso con il mondo.”
 
Lui la soppesò un attimo, indeciso su cosa dire. Era un po’ incredulo.
 
“Ho letto anch’io il tuo saggio sull’esistenza di quel lucertolone leggendario. Interessante, lungo, molto dettagliato e lungo.”
 
Plesiosauro.” Lo corresse lei ridendo. “Alla fine il mostro di Loch Ness esisteva davvero, eh?”
 
“Ti è valso un bel Secondo Ordine di Merlino. Sei sempre stata una cervellona.”
 
Allungò la mano che non era tra le sue ad arruffarle i capelli e lei gli diede un colpo sul fianco, in risposta.
 
“E sempre così manesca.”
 
La abbracciò perché sembrava così giusto. Perché erano sempre loro e perché gli era mancata così tanto.
 
Erano avvolti in due giubbotti così pesanti che non riuscivano davvero a sentire il corpo dell’altro, ma la stretta delle braccia era così familiare, il profumo, il respiro tra i capelli.
 
Lei sospirò e si allontanò un po’. Rimase vicina però, la testa appoggiata alla sua spalla. Lui la tenne stretta con un braccio.
 
“È sempre stata la mia via di fuga, lo studio e poi il lavoro.” Mormorò piano, giocando con il laccetto del giubbotto di lui. “Anch’io sono stata- persa per un po’, quando sono partita. Ma mi sono concentrata sui miei obiettivi, ho incanalato tutto in quello che volevo raggiungere. È stato il mio focus per tanto tempo. La passione per quello che studiavo e che facevo mi ha in qualche modo salvata.”
 
“Sei sempre stata meno eclatante di me.”
 
“Già, fin troppo. C’è stato un periodo” esitò un attimo e lui la strinse un po’ di più invitandola a continuare. “In cui ero veramente spenta- maman mi ha pregato più di una volta di tornare, avrebbe acconsentito addirittura che ci rifrequentassimo pur di farmi tornare.”
 
“E tu me lo dici solo adesso? Ho avuto il benestare di madam Fleur Delacour in persona e non ne sapevo niente?” Lui si finse indignato.
 
Lei rise dandogli un colpetto nello stomaco. “È stato il periodo in cui ho scoperto l’esistenza reale del Plesiosauro. Da lì dopo qualche anno il saggio.”
 
“Immagino che tua madre abbia fatto un sospiro di sollievo sapendo che avevi preferito i serpentoni leggendari a me.”
 
Lei rise, stavolta di gusto, dandogli un pizzicotto sul fianco. “La tua idiozia è rimasta sempre la stessa.”
 
“Come la tua crudeltà.” Si lamentò lui.
 
Restarono qualche minuto in silenzio, godendo solo della compagnia reciproca.
 
“Nicky”
 
“Mh?”
 
Silenzio.
 
“Dovremmo tornare dentro.” Lo anticipò lei.
 
“Non era quello che stavo per dire.”
 
“Lo so.”
 
“Perché sei tornata veramente?”
 
Lei non parlò per un tempo infinito, tormentando il povero laccetto del giubbotto arrotolandoselo tra le dita.
 
“Lo so che l’Inghilterra è casa tua.” Iniziò lui per lei, dandole le parole che non trovava. “Sei cresciuta qui e c’è la nostra famiglia e sappiamo quanto sappia essere ingombrante, ma anche essenziale.”
 
“Il lavoro ad Hogwarts sarà il lavoro della tua vita. Se potessi tornare io ad Hogwarts lo farei di corsa.” Continuò.
 
“Cosa vuoi sapere esattamente?” Chiese lei. Lui sapeva leggerla troppo bene, c’era qualcosa che voleva che lei dicesse, ammettesse.
 
“Perché ora?”
 
“Dovevo essere sicura.”
 
Lui le sfilò il braccio da intorno alle spalle e si allontanò un po’, alzandole il viso per poterla guardare negli occhi.
 
Di cosa?
 
“Che tu stessi bene.”
 
Sarebbe stato così facile baciarla adesso. Rubarle dalle labbra lo sbuffo di aria calda che si addensava nello spazio tra loro.
 
Fu un secondo, tempo di leggere il desiderio che lui lo facesse nei suoi occhi, che lei si allontanò dalla sua presa e si alzò.
 
“James-, non sono tornata per- tra noi- non pretendo-” Fece un sospiro cercando di dare un senso a quello che voleva dire. “Non voglio sconvolgerti la vita.”
 
Ci fu un momento di assoluto silenzio, in cui si accorsero che le voci all’interno si erano placate e che le luci si erano abbassate lasciandoli in una penombra confortevole, familiare.
 
Poi lui parlò, prendendole una mano.
“Eppure sarebbe così bello se tu lo facessi.”
 
Lei si voltò a guardarlo, sgranando un po’ gli occhi e non ebbe il tempo di rendersene conto che lui l’aveva tirata per la mano e trascinata a sedere sulle sue gambe.
 
L’altalena ebbe uno slancio indietro e Dominique si lasciò sfuggire un grido, aggrappandosi alle sue spalle.
 
Lui rise e lanciò su entrambi in Incantesimo Riscaldante, prima che congelassero, mentre l’altalena continuava nel suo lento dondolio.
 
Erano un po’ come essere in balia delle onde, una risacca lenta, calda e rilassante, che era pace e calma, ma era anche un nodo bollente all’altezza dello stomaco.
 
“Ti ricordi quando sono caduta da quest’altalena spaccandomi il mento?”
 
Aveva parlato direttamente contro il collo di lui, dove si era rifugiata, e in risposta lui le strinse più forte i capelli alla base della nuca.
 
“Pensavo fossi morta, c’era sangue ovunque e tu non riaprivi gli occhi. Penso di aver avuto un attacco di panico, ora che ci ripenso.”
 
Lei rise, alzando la testa per guardarlo. “Sempre il solito melodrammatico. Nonna Molly non sapeva se soccorrere prima me o te.”
 
“Avevo solo dieci anni, è stato orribile.” Si difese lui. “È stato anche il giorno in cui ho capito che non avrei potuto vivere senza di te.” La guardava intensamente adesso, l’ilarità sparita chissà dove.
 
Lei alzò gli occhi al cielo. “Così avevi deciso che era il caso che morissi anche tu?”
 
“Qualcosa del genere.” Lui le sorrise, sfiorandole leggermente il mento con un pollice, lì dove ormai c’era una cicatrice quasi invisibile.
 
“Puoi però, sai?” disse lei dopo un po’, passandogli una mano leggera tra i capelli. I guanti erano stati abbandonati sulla neve, visto che ora l’incantesimo li teneva al caldo.
 
Aveva negli occhi un’espressione un po’ triste e malinconica mentre lo diceva.
 
Lui capì al volo, come sempre.
 
Vivere senza di me.
 
“Lo so.” Rispose piano. Una mano scivolò intorno al suo collo, nel suo posto e lei sospirò impercettibilmente. “Ma non voglio.”
 
“James.”

“Spero per te che sia qualcosa di molto convincente, perché sto per baciarti.” Lo soffiò sulle sue labbra e la sentì rabbrividire.
 
“In realtà-”
 
“C’è qualcun altro?” chiese lui, colto da un pensiero improvviso, allontanandosi un po’ per guardarla negli occhi. Non lo sapeva, non lo aveva mai saputo e questa cosa lo aveva sempre mandato ai matti.
 
“Cos- no.” Sembrò indecisa se aggiungere altro ma poi disse solo. “Non c’è nessun altro.”
 
“Okay, allora ascolta” prese un respiro, per mettere insieme le idee. “Sono stato da una magipsicologa, dopo il mio crollo nervoso- uhm dopo il matrimonio saltato, va be’ quello che era. Comunque, sono stato da una magipsicologa. So che posso vivere senza di te. Ho una vita e un lavoro soddisfacenti, sto bene e sono realizzato. Ma proprio perché è così, voglio poter condividere tutto questo con te. E voglio condividere con te i tuoi successi e le tue realizzazioni. E anche i momenti tristi e bui, perché qualche volta ci saranno. Voglio condividere tutto.”
 
Dominique si rese conto che le erano salite le lacrime agli occhi a un certo punto di quel discorso e lo vedeva un po’ sfocato. Ma la luce in fondo ai suoi occhi era qualcosa che avrebbe ricordato per sempre.
 
“Sei andato da una magipsicologa?” fu l’unica cosa sensata che riuscì a dire.
 
Lui la guardò un po’ interdetto, ma annuì. “La dott.ssa Wilkins mi sopporta da ormai cinque anni, credo non ne possa più.”
 
Lei gli sorrise un po’ con ancora gli occhi lucidi.
 
“Comunque,” iniziò “ti stavo per dire che non ho più nessuna obiezione a questo.” Fece un cenno a loro due con la testa, con un sorriso carico di qualcosa che sembrava come estrema soddisfazione.
 
Prima che io facessi il mio bellissimo discorso sentito dal più profondo del cuore che avrebbe convinto anche un albero a camminare, un pinguino a volare, un elefante a nuotare?” Sembrava seriamente indignato.
 
“Ti ho già detto che hai un’estrema tendenza a esagerare?” lei gli tirò un po’ i capelli sulla nuca, solo per sollevargli il viso verso il suo.
 
“Lo sapevo che dovevo baciarti e basta.” Era ancora imbronciato e lei rise. Per poi tornare improvvisamente seria quando si trovò a sfiorargli il labbro inferiore con un dito.
 
“Era davvero un discorso bellissimo.” Gli sussurrò sulle labbra, prima che lui annullasse definitivamente la distanza dalle sue.
 
Quel bacio fu tante cose, fu riconoscimento – delle labbra, del sapore da sempre conosciuto, del modo in cui si incontravano. Fu ritrovarsi, come erano sempre stati eppure un po’ diversi. Fu il sangue bollente nelle vene, le mani che cercavano di più, il fiato corto nelle gole. Fu anche qualcosa di malinconico e struggente che faceva inumidire gli occhi alla consapevolezza di quanto si fossero mancati. Fu intenso e bruciante e unico.
 
“Wow.” Lui si era allontanato un po’ per riprendere fiato, ma continuava a baciarle morbidamente le guance, il mento, il naso. “È sempre- sei sempre- non posso credere che tu mi abbia tenuto lontano da tutto questo per tutto questo tempo.” E la baciò ancora, con urgenza, ma anche con calma, assaporandola e divorandola insieme. A lei girava un po’ la testa.
 
“Mi dispiace.” Riuscì a dire tra un bacio e l’altro.
 
“Per cosa?”
 
“Per-” fu lei a staccarsi delicatamente, lasciandogli un ultimo bacio morbido sulle labbra. “Per tutto.” Adesso le lacrime non volevano più saperne di stare dov’erano. Era sempre così con lui, una corsa al tracollo emotivo. “Per averti tenuto lontano.”
 
“Ma che-” lui la guardava un po’ straniato, poi lentamente registrò quello che aveva detto prima. “Non intendevo- Non volevo darti la colpa, mi è uscito male, era solo un mi sei mancata maledettamente.” Le sorrise, asciugandole un po’ le lacrime.
 
“Per quanto non avrei voluto ammetterlo” continuò lui “e per quanto io ci abbia messo anni a farlo e solo con l’aiuto della Wilkinks.” Adesso la guardò intensamente, volendo che capisse bene. “Avevi ragione, ci saremmo distrutti a vicenda e avremmo finito per odiarci.”
 
Lei pianse ancora. “A volte è così difficile essere quella che vede per prima le cose. In alcuni momenti avrei voluto” le si spezzò un po’ la voce. “-Mandare al diavolo tutto e venire a cercarti, dirti che era stato tutto un errore.”
 
“Sai bene quanto ne sarei stato felice.” Le sorrise, vagando ancora con le dita sul suo viso, rincorrendo qualche lacrima, asciugandone qualche altra.
 
Lei annuì. “Ma tu eri a pezzi e quello mi dava solo la misura di quanto lesivo fosse il nostro rapporto, quanta codipendenza ci fosse, quanto ne saremmo usciti ancora più feriti.”
 
Si rifugiò di nuovo con il viso nel suo collo e lui la strinse.
 
“Saresti stata una perfetta magipsicologa se tu avessi voluto.” Le mormorò, le labbra sui suoi capelli.
 
Lei fece un suono sofferente. “Ho scelto gli animali marini appunto perché non parlano.”
 
Lui rise. “Non posso crederci, dovrò dividerti con dei lucertoloni giganti, per tutta la vita.”
 
Per tutta la vita.
 
“Ti do in pasto alla Piovra Gigante del Lago Nero se non la smetti di offenderli.” Mugugnò contro il suo collo, lasciandogli qualche bacio umido sulla pelle tenera.
 
Lui rabbrividì, non seppe se per i baci o all’idea di diventare uno snack per piovre viscide e giganti.
 
“Vivremo vicino al Lago Nero?” chiese lui allarmato.
 
Vivremo?”  sollevò la testa per guardarlo divertita.
 
Lui sostenne il suo sguardo, senza rispondere, come a sfidarla a contraddirlo.
 
“Non ho ancora pensato a dove vivere in realtà” si arrese alla fine lei “devo ancora chiudere tutte le faccende in sospeso in Francia e trasferire tutte le mie cose. Ma pensavo… ad una casetta non troppo distante dal Lago, dalla parte che lambisce il villaggio, non all’interno della Scuola, gli studenti sono troppo impiccioni.”
 
Lui ridacchiò.
 
“Non ci saranno animali entro i confini della casa, te lo assicuro. Per loro saranno costruite strutture adatte a curarli e accoglierli, qualora ci fosse bisogno, per poi far ritorno alle acque.”
 
Quella era una risposta ad una domanda mai posta. E il fatto che lo avesse rassicurato gli scaldò un po’ il cuore.
 
“Che ne pensi?”
 
“Mi piace. Già mi vedo in estate a prendere il sole con i serpentoni giganti.” I suoi occhi brillarono di ilarità e di qualcos’altro che le fece stringere lo stomaco. Anticipazione. Speranza.
 
Lei rise, con quella stessa luce negli occhi. “Credo che finiranno per piacerti, vedrai.”
 
“Mai.” La guardò schifato. Dopo un attimo sembrò ricordarsi una cosa.

“A proposito della Francia.” Si allontanò un po’ da lei per aprire il suo giubbotto e frugare nelle tasche interne. “Stavo per venire a trovarti, prima di sapere che saresti tornata.” Sembrò trovare quello che stava cercando perché si fermò.
 
Lei lo guardò attentamente tirar fuori una piccola scatola e aprirla.
 
Rimase a bocca aperta.
 
“Un anello?” Il suo sguardo allibito era fisso su un piccolo punto luminoso, mentre il suo cuore sembrava voler uscire fuori dalle sue costole.
 
“Saresti venuto in Francia, dopo anni che non ci parlavamo, con un anello?” Non riusciva a non fissarlo, era la cosa più bella che avesse mai visto. Un anello piccolo, delicato. Alla sommità una pietra di acquamarina incontrava un piccolo diamante. Sembrava il luccicare del sole sul mare. Lo adorava.
 
“Era il momento giusto- è il momento giusto, Nicky.” Lui sembrava un po’ inquieto, mentre cercava di capire la sua reazione. “Per stare insieme, intendo. Insieme per davvero. Non devi indossarlo adesso, prendilo come una promessa. Come un giorno.”
 
“Posso-? È bellissimo.” Lei aveva l’emozione stretta in gola e il cuore gonfio di un sentimento che non sapeva neanche come riuscisse a contenere. “Posso indossarlo ora?” Gli pose la mano destra. “Come un giorno.” Ripeté.
 
Lui la guardava come se stesse osservando un sogno. E forse era proprio così che si sentiva. Fece scivolare l’anello al suo anulare destro – sapeva che la mano non era stata scelta a caso, un giorno sarebbe passato su quella sinistra, un giorno – e notò quanto fosse perfetto sulla sua mano.
 
“Ti amo e sei bellissima.”
 
Lei lo baciò, prendendogli il viso tra le mani, riversando tutta quell’emozione nella sua bocca.
 
E io amo te.
 
Quando si separarono lui appoggiò la fronte alla sua e sussurrò.
 
“Bentornata a casa.”
 
“Anche tu.”
 
####
 
 
Ragazzi, sono le due di notte, per Merlino.
 
Ops, nonna Molly non imprecava mai.
 
Sono andati tutti via da un pezzo. Smaterializzatevi in una delle stanze di sopra al caldo prima di prendervi un malanno!
 
####
 
 
Hai amato qualcun’altro, Nicky?
 
Uno o due. Ma non erano le persone giuste. O meglio, non ero io quella giusta per loro. Non in quel momento. Ma da quelle storie ho capito cosa volevo e non volevo, cosa chiedere in una storia, perché le persone non ti leggono nella mente.
 
Tranne me.
 
Tranne te, qualche volta.
 
####
 
 
Che giornata infinita.
Bentornato, amore.
Benjamin come sta?
Chi?
Il lucertolone che abbiamo nel capanno.
Plesiosauro. Lo sapevo che ti saresti affezionato.
Non mi sono affezionato, lo chiedo perché è inquietante dormire con quel coso a pochi piedi di distanza.
 
####
 
 
Dov’è Benjamin??
Eh?
Non è più nella sua vasca e da nessun altra parte!
Stava bene da qualche giorno, stamattina lo abbiamo liberato nel Lago.
…senza dirmi niente?

Eri in trasferta da settimane-


 James… vieni qui.

Sono sicura che tornerà a salutarti.
 
####
 
 
Certo che formate proprio una bella coppia voi due.
Ti avevo detto che avrei preso il sole con i tuoi lucertoloni in riva al Lago.
Sì, ma non pensavo letteralmente.

Benji e io tra un po’ ci facciamo una nuotata, ti unisci?
E pensare che tu dicevi di dovermi dividere con i miei animali.
 
####
 
 
Non sarà al nostro matrimonio, James.
Ma Benji fa parte della famiglia.
Non possiamo portare un plesiosauro fuori dal suo habitat.

Allora ci sposeremo qui, sulle rive del Lago.
Sul serio?
Sul serio.

 
####
 
 
Benji non leccarmi i capelli, quante volte devo dirtelo!
Penso sia felice che tu sia a casa, è tutto il giorno che mi tormenta.
 
 
Voi siete la mia casa.
E tu la nostra.


 
   
 
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