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Autore: Teony    23/10/2023    2 recensioni
[Elden Ring]
Lo scontro con Radahn segna un'irreparabile svolta nella vita della Semidea, che metterà a nudo ogni sua fragilità e sofferenza.
.
[...]
Sei un fiore marcio, Malenia.
Ovunque poggi i tuoi piedi di metallo, il suolo rinsecchisce, la morte prolifera, la malattia dilaga.
Sei una pestilenza vagante. Non puoi provare amore, perché il tuo affetto distrugge.
Sei un errore generato dal seme più puro.
I tuoi capelli hanno il colore del blasfemo fuoco dei giganti, la tua pelle ribolle di sangue e si sbriciola come polvere.
«Ed ora… osi portare la morte persino qui, nella mia casa.»
[...]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Fioritura
 
 
Aveva gli occhi lucidi, in quel momento, eppure avanzava con quella sacra regalità, che indurrebbe chiunque, persino lei, a chinarglisi dinanzi.
E forse Malenia l’avrebbe fatto, accanto alle proprie guerriere, se il suo ruolo non fosse stato quello di camminargli affianco.
Miquella non aveva emesso sibilo. Aveva le labbra tirate in una seriosa linea diritta, la fronte all’apparenza rilassata, lo sguardo fermo, le mani appena congiunte sul ventre. A tradire il suo stato d’animo erano solo le lacrime, che a tratti gli rigavano le guance.
E per ogni goccia versata, la gemella sentiva gradualmente i sensi di colpa attanagliarla, il rimpianto della decisione presa, il timore che d’ora in avanti, ogni cosa sarebbe deteriorata, così come il loro rapporto.
“Non voglio che tu vada via” il suo era stato un ordine, anche se dissimulato dal suo tono soffice. E lei aveva scelto di disubbidirgli.
Perché non c’è più tempo da perdere. Perché lo desidera, desidera lui più di ogni altra cosa, che le sue aspirazioni si realizzino, che nulla possa intaccare la loro felicità, che quel sacro anello le appartenga e se davvero lo vuole, deve meritarselo.
Miquella avanzava austero, fra le due file dell’esercito pronto alla partenza. Le falci erano poggiate a terra, di poco non gli sfioravano le caviglie. Le guerriere erano in ginocchio, gli elmi a coprire i loro volti e i capi chini con reverenza.
Il più perfetto figlio di Marika aveva raggiunto la cripta, guardato le schiere pronte ad affogare nel sangue e lei aveva guardato lui, fra la visiera del proprio elmo.
Quanto è magnifico.
Le sue labbra si muovevano, probabilmente pronunciavano ciò che il dovere gli imponeva: parole di incoraggiamento, esortazioni ad un sacrificio per il sacro albero, l’impossibilità di trovare differenti soluzioni. Probabilmente aveva esaltato le loro capacità, forza, determinazione, ma Malenia era sorda ad ogni cosa, si limitava a fissarlo e sentiva che c’era qualcosa che aveva il dovere di dirgli.
Prima di partire.
Prima che il timore del non rivederlo potesse attanagliarla.
Doveva dirgli qualcosa che lei stessa non sapeva definire. Aveva abbassato gli occhi, mentre una spiacevole sensazione di incompletezza le aveva avvelenato il cuore.
Avrebbe tanto voluto dirglielo, che in lei qualcosa non andava e stavolta la Marcescenza non ne era la causa; che avvertiva insolite e talvolta moleste sensazioni ed avrebbe voluto il suo appoggio. Si era rifiutata di farlo perché lo aveva creduto come poco importante.
Forse era solo un’impressione.
Forse se avesse parlato ancora, Miquella sarebbe riuscito a trattenerla.
Le falci delle guerriere erano issate verso l’alto, mentre il volto androgino del Semidio era ancora segnato dalle lacrime. Lui aveva teso una mano in avanti e Malenia era tornata a guardarlo.
«È con gioia che concedo alle vostre armi la mia benedizione» era riuscita a sentire, appena avvertita una stretta all’altezza dello stomaco. «Restituite la pace all’Interregno e tornate vittoriose. Questo è il mio ordine.»
Malenia si era fatta leggermente indietro, piegandosi appena, poi si era chinata sulle ginocchia.
Per il Sacro Albero aveva risposto all’unisono con le altre, nello stringersi il ventre.
 
La notte prima della partenza era stata la più terribile.
La più disperata, la più fredda, la più inconfessabile.
Ed il loro rapporto incestuoso non era che il più insignificante dei segreti.
Aveva esitato, prima di raggiungerlo in camera. Era certa che la stesse aspettando, ma a farla desistere era la consapevolezza del vederlo affranto, deluso e arrabbiato con lei.
Non avevano mai litigato prima e ciò la poneva in uno stato anche più ansiogeno. Incredibile come, per quanto siano sempre stati inseparabili, il timore di perdersi non è mai scomparso.
lo aveva trovato di fianco alla bifora. Ad illuminare la camera c’era solo un candelabro.
Miquella guardava la luna, inginocchiato sul materasso, mentre si stuzzicava le piccole  trecce tra le dita. Era solito farlo, quando un insistente pensiero non gli concedeva respiro.
Malenia si era richiusa la porta alle spalle, ma non aveva osato parlare. Si era lasciata guardare, appena avvertito addosso lo sguardo tagliente e serio del gemello. Era rimasta a capo basso, si era sfilata l’elmo, poi il mantello.
Non avevano parlato. Nessuno dei due ne aveva avuto la forza. Almeno non finché la Semidea non si era disfatta anche degli abiti. Si era concessa ancora del tempo, prima di guardarlo direttamente. Aveva cambiato le bende al braccio. Lui non l’aveva aiutata. Si era spalmata dell’oro denso su fronte ed occhi, poi sul seno. Miquella non si era mosso.
Si era fissata di sfuggita allo specchio e di nuovo il sospetto che in lei ci fosse qualcosa di diverso era tornato. La gola le si era stretta in una morsa.
«Mia signora, siete così bella» le aveva detto quella donna alcune settimane fa. Le era rimasta impressa perché nessuno, se non Miquella, le aveva mai dedicato un simile complimento.
C’era sua figlia, con lei, una graziosa bambina di pochi anni di vita: una semplice formica agli occhi della Semidea, eppure le aveva istigato un’insolita tenerezza.
Non aveva risposto, ma solo perché non sapeva davvero cosa dire.
«Mi chiedo se ci sarà mai qualcuno in grado di conquistare il vostro cuore. Avete mai pensato all’amore e dei figli?»
Era arrossita appena, nello sgranare gli occhi, al di sotto del proprio elmo d’oro.
«Io non potrei mai permettermi qualcosa del genere» le aveva risposto, istintiva, quasi inciampando sulle parole. «Io sono…»
Io sono malata.
E forse anche il suo amore è marcio.
Forse sarebbe considerato tale, se lo si venisse a sapere.
Il rapporto tra loro due non potrebbe mai portare a niente. È solo una debole pianta avvizzita, che non può dar frutti. Eppure non è mai stata in grado di opporvisi o rinunciarci. Perché, per quanto lo neghi, è il suo motivo di vita.
«Se desideri dire qualcosa, non esitare» il tono di Miquella era stato così tagliente, dal ferirla più di quanto avesse potuto farlo una lama, ma anziché parlare, si era limitata a sedersi subito alle sue spalle. Gli aveva appena discostato le lunghe ciocche bionde dal collo, denudato la spalla dalla bretella della camicia da notte, gliel’aveva baciata con deferenza. L’odore afrodisiaco della sua pelle l’aveva ammaliata all’istante. Gli aveva cinto il petto appena e lui non si era ritratto, per quanto irrigidito.
Quella sarebbe stata l’ultima notte, per chissà quanto tempo. Lo sapevano entrambi, ma nessuno dei due si permetteva di pensare che sarebbe stata davvero l’ultima.
Miquella le aveva carezzato il volto d’improvviso, si era ritratto maggiormente verso di lei, pressandole la schiena sul petto ed aveva piegato il volto di lato, baciandola istintivo. Le aveva singhiozzato sulle labbra, dilaniandola di sensi di colpa. «Non partire, sorella mia.»
Non partire.
Ti prego, non partire.
Possiamo ancora vivere nell’illusione che ciò non sia necessario, almeno per un altro po’.
Ma Malenia gli aveva morso le labbra, vi aveva sfregato la lingua al di sopra, come colta da una furia improvvisa. Forse, in fondo, anche lei era arrabbiata, probabilmente con se stessa.
«Amami ancora» era stata la supplica di Miquella, strizzandole le ciocche fra le unghie. «Amami per sempre.» e lei lo aveva stretto con più foga.
Quella notte non era stata come le altre, perché avevano deciso di strapparsi il piacere di dosso, con un impeto che non avevano voluto quietare.
“Strano modo di litigare” aveva pensato la semidea, nello spingere il gemello sul materasso e quasi stracciargli la veste di dosso.
Miquella non aveva opposto resistenza, al contrario, l’aveva tirata a sé, incollandosi alle sue labbra, le aveva graffiato la nuca con le unghie, prima di avvinghiarsi alle sue spalle e poi aveva spezzato la voce in gemiti sempre più enfatici, nel sentirsi stimolato all’interno con brutalità.
Si era aggrappato al cuscino, quando lei gli aveva lambito il petto.
«Non fermarti.» la sua era una supplica, tinta da note di rimprovero. «Ti imploro, non fermarti.» e lei lo aveva assecondato, arrivando a fargli male.
Erano impazziti, avvinghiandosi l’un l’altra poco dopo. I loro respiri affannosi, smorzati da lamenti di piacere sembravano più l’espressione di represse recriminazioni, per chissà quale tipo di torto subito.
Malenia aveva preso a sfregarsi su di lui, ardente di desiderio. «Ti amo» era stato il suo unico sfogo, premuto fra le loro labbra.
E tutto aveva perso importanza, perché quel corpo che ansimava subito sotto di lei era tutto ciò di cui aveva davvero bisogno. Lo aveva fissato, gremita dai tremiti di piacere, che aumentavano persino, nel sentire le unghie di lui cercarla ancora, stringerla di più, nel vederlo bruciare ed indugiare nella loro follia.
Era convinta che nulla avrebbe interrotto quell’estatico momento, che i rancori fossero stati almeno per un po’ accantonati.
Ma Miquella l’aveva fermata di getto, prima che entrambi potessero raggiungere l’orgasmo. «Basta!» il suo era stato un ordine triturato tra i denti, mentre gli occhi gli si erano fatti languidi ed aveva premuto il palmo contro il suo sterno, tentando di spingerla via. «Basta…» e Malenia si era fermata davvero, per quanto turbata dal suo atteggiamento. «Ti ho fatto male…?»
Lui si era limitato a distogliere gli occhi e mordersi le labbra, stringendole appena le dita sul seno. «Non hai il diritto di continuare.»
La Semidea aveva avvertito un tremito all’altezza del petto, aveva abbassato lo sguardo, sentendosi d’improvviso coperta di vergogna, ma quando aveva provato a sfilarsi da lui, Miquella era tornato ad abbracciarla con forza e nuove lacrime gli avevano bagnato il viso. Le aveva carezzato le guance, avvicinandole il viso. «Se davvero mi vuoi, devi tornare.» era riuscito a dirle, anche se preda dei singulti. «Se davvero mi ami, tornerai da me.»
Lei non era stata in grado di fare altro, se non ingurgitare saliva e socchiudere gli occhi e più il gemello le premeva le labbra sulle proprie e la baciava disperato, più Malenia percepiva molteplici timori crescere.
«Non possiamo gioire di un momento così fugace.»
«Miquella…»
«Godrai appieno di me, quando sarai di nuovo a casa.»
Diglielo, Malenia. Digli che qualcosa sta accadendo, proprio ora, sotto gli occhi di entrambi. «Sarò via solo per un po’. Tu aspettami al sicuro, te ne prego.»
Lui le aveva discostato un ricciolo dalla fronte, poggiandoglielo dietro all’orecchio, con una delicatezza che solo lui saprebbe dimostrarle. Le aveva sorriso appena. «Farò il possibile.» e lei gli aveva baciato dolcemente il petto, lambendogli appena il capezzolo, nell’udire il suo battito concitato.
Poi, non c’era stato più niente. La Semidea non aveva confessato i propri timori, reputandoli inutili. Aveva permesso che il fratello riposasse, rasserenato dalla sua effimera promessa.
 
Ma in fondo Malenia lo sapeva, di non poterla mantenere. Ne era consapevole nello schierare le truppe al mattino successivo. La marcia verso Caelid era già pianificata, così come la possibile ritirata, nel caso lo scontro si fosse reputato un fallimento. Aveva affidato l’importante compito a Finlay, guerriera di cui era certa della fedeltà.
«Se il nostro piano dovesse fallire, lasciatemi indietro.»
La combattente era rabbrividita ed aveva tentato di protestare.
«Solo io posso affrontare il mio fratellastro ed il nostro obiettivo è lui. Se il suo esercito di leccapiedi dovesse risultare ostico, battete in ritirata e lasciate fare a me. Lord Miquella non gradirebbe il vostro sacrificio.»
Non si sarebbe versato più sangue del necessario: era questo il patto, ma nel vestirsi della propria armatura, nello stringere la sacra lama, fra le dita della protesi, nel percepire il meccanismo attivarsi e diventare un tutt’uno con la spada di Miquella, la Semidea aveva distintamente avvertito il germe della Marcescenza crescerle all’interno.
Si preparava banchettare con le sue stesse carni.
Con le carni di chiunque aggradasse la Dea Esterna.
Aveva deliberatamente scelto di ignorarla. Le aveva resistito per così a lungo, ormai, che aveva imparato a conviverci.
Non aveva visto Miquella, quella mattina. Si era rifugiato in chissà quale anfratto di Elphael, probabilmente per non vederla partire e lei non l’aveva cercato, non c’era giustificazione che reggesse un simile desiderio.
Se n’era semplicemente andata, a capo del proprio esercito, mentre gli occhi dei liberi abitanti del Sacro Albero le si incollavano addosso e sulle vie solcate dalle guerriere in partenza, si riversavano tristi fiori, che odoravano di addio.
 
***
 
Sei un fiore marcio, Malenia.
Ovunque poggi i tuoi piedi di metallo, il suolo rinsecchisce, la morte prolifera, la malattia dilaga.
Sei una pestilenza vagante. Non puoi provare amore, perché il tuo affetto distrugge.
Sei un errore generato dal seme più puro.
I tuoi capelli hanno il colore del blasfemo fuoco dei giganti, la tua pelle ribolle di sangue e si sbriciola come polvere.
«Ed ora… osi portare la morte persino qui, nella mia casa.»
A capo dell’esercito è Generale Radahn: signore di Mantorosso, un guerriero impavido, possente, dall’apparenza intimidatoria, eppure dotato di commiserazione, gentilezza, giovialità. I nemici lo temono, gli amici lo adorano.
Malenia appare così piccola, in confronto, eppure non è intimidita. Non lo è mai, sul campo di battaglia. Non lo è, se è conscia del proprio dovere. Non lo è, se pensa che tutto ciò è per Miquella. Invece, avanza lenta, intimidatoria, mentre le sue protesi tintinnano sul suolo.
Il viaggio è stato più ostico del previsto, più per lei, che per gli altri. Ha deciso di attribuire ogni malessere alla propria malattia e per quanto il corpo le ha implorato più volte di fermarsi, anche solo per prendere fiato, si è sempre rifiutata.
Un suo solo passo falso, avrebbe potuto demotivare le sue truppe e ciò non doveva accadere.
«Sorella» la chiama Radahn e tanto le basta per nausearla. Fare appello a quel fragile legame di sangue che li accomuna, pur di poterla indurre a desistere dal proprio scopo, lo rende ai suoi occhi anche più misero.
«Non mi ripeterò di nuovo. Fatti da parte, fratello.»
Il generale incrocia le braccia e sospira. «Non è la pace, ciò che cerchiamo entrambi?»
«Quella che tu cerchi non è pace. È solo un’effimera convinzione di vivere in una condizione di stabilità.»
«Nessuno mi garantisce che la strada che hai scelto di perseguire, sia la migliore.»
Malenia, di tutta risposta, fa scattare la protesi con uno strattone deciso. «Marika non è più in grado di detenere il potere. Abbiamo bisogno di un nuovo Dio e costui sarà il più puro fra i semidei, Miquella l’Empireo.» punta la lama in avanti. «È tempo che tu cada, lurido conservatore. E lo farai per mano mia.»
«Mi dispiace, Malenia. Non sarei mai voluto giungere a questo punto, ma come te, anche io ho dei doveri, persone a cui tengo, gente che richiede la mia protezione. È dalla disgregazione che diffido di chiunque, tanto più dei due Semidei prodigio, che hanno abbandonato la capitale, nel momento di maggiore fragilità, per un proprio egoistico tornaconto.»
«Come osi…»
«Se lo scontro è ciò che desideri, lo scontro è ciò che avrai, ma una cosa è certa, non permetterò al tuo corpo corrotto di compiere anche solo un ennesimo passo nel mio territorio.»
Non viene detto altro. Radahn monta sulla propria cavalcatura e torna a guidare le file del proprio esercito schierato.
Per Sellia prorompe, sguainando le proprie imponenti sciabole ed invocando i sacrilegi poteri gravitazionali.
Per Lord Miquella è tutto ciò che lei si sente di dire, più per spronare se stessa, che le proprie fidate guerriere.
Le falci benedette vengono issate al cielo ancora una volta. Le urla di battaglia, che per lungo tempo avevano assediato la capitale, ora echeggiano nelle lande di Caelid, dove i cieli sono ancora solcati dai draghi.
La Semidea decide di seguire il proprio progetto alla lettera: punta dritta su Radahn. Ucciso lui, ogni resistenza dovrebbe semplicemente sgretolarsi.
In sella al proprio destriero, il Generale risulta anche più imponente e temibile.
Più è possente, più sarà facile colpirlo.
È tutto ciò che pensa, fiondandosi verso di lui senza indugio.
Miquella…
Oh, carissimo Miquella…
Se solo il fato fosse stato più gentile con noi, forse ora saremmo ancora insieme, forse Godwyn sarebbe ancora vivo, forse Marika non avrebbe ripudiato entrambi.
 Ma ogni simile desiderio è vano.
Bisogna solo che lei resti imbattuta ed il destino dei due gemelli si compirà, l’Interregno troverà la sua pace, la non morte sarà purificata, così come la marcescenza. È un sogno in cui ha creduto per così tanto tempo, in cui ha deciso di indugiare a lungo, così come ha deciso di indugiare tra le braccia del suo amato gemello, a termine di ogni battaglia.
Tutto ciò che c’è oltre non importa.
Non importa che lei sia sterile, marcia, vile, insozzata dal sangue. Miquella è sempre lì, per lei, pronto ad amarla ancora. Ancora. Per sempre. Sino al limite dell’esistenza.
Ma quelle lame le percepisce subito come più pesanti delle aspettative.
È tutto più pesante.
Ogni colpo, ogni metallico sfregamento fra le sciabole, ogni parata, ogni passo. Nuvole di terriccio e schizzi si sangue si sollevano ai molteplici attacchi, mentre le grida di dolore e furia, la carne lacerata, fiamme spietate e dischi di luce, si scontrano subito alle loro spalle.
Lei è Malenia, la spada di Miquella, l’imbattuta, la recisa, l’indomita guerriera marcescente. Ha ormai così tanti titoli onorifici, che ha smesso di memorizzarli.
E allora perché…
È forzata ad indietreggiare per un istante, così dall’evitare un mezzano indirizzato all’altezza del suo collo. Le avrebbe tranciato la testa di netto.
Le lame si scontrano ancora, con un sibilo innaturale e stomachevole, si respingono, e di nuovo battono, anche con più impeto. Non c’è spazio per altro se non desiderio di pura distruzione dell’altro. Non c’è niente a sorreggerli, se non terra morta e rinsecchita.
Il volto del Generale è contrito nel furore, sembra incattivito da tanta ostinazione. «Se solo ti arrendessi, se solo fossi tu a cedermi la runa, io ti lascerei vivere» tritura tra i denti, ma ad un simile e blasfemo invito, Malenia è sorda. Lo farà a pezzi. Ciò si ripromette, ma incespica un istante, viene pressata al suolo nell’istante successivo.
Perché non sono ancora riuscita a sconfiggerlo!?
Respinge la sciabola, si rialza e gli è di nuovo addosso, danzando nell’aria.
Ti uccido. Ti uccido. Ti uccido. Ti uccido!
Sono svariati i colpi andati a segno.
Radahn mugugna di dolore ed il sangue cola dalle prime ferite aperte, tuttavia Malenia non ha il tempo di esultare per quel misero vantaggio, perché come una scarica all’altezza dello stomaco la forza a piegarsi in due e premere il braccio d’oro sul ventre, annaspando.
È la Dea Esterna, che sta godendo di ogni sofferenza? Non lo sa. Zoppica appena in avanti, prima di essere forzata a tornare eretta e vigile: Radahn è pronto a caricarla ancora, nel far di nuovo uso della magia.
È ancora sin troppo veloce, nonostante le ferite.
Iniziano a sfiancarsi reciprocamente, nel folle sfregamento di lame e quel dolore molesto continua a farsi largo nel ventre della Semidea.
Respinge l’ennesimo colpo con un fendente preciso. L’impatto fa sbilanciare di poco il Generale all’indietro.
Distruggilo.
Trapassalo da parte a parte.
Scarnificalo.
È quella forza arcaica che le riecheggia all’interno, limitata ormai da tempo da quel piccolo ago che Miquella è riuscito a creare, come momentanea soluzione al processo di marcescenza.
Corre agile in direzione di quello che ormai ai suoi occhi è un semplice nemico da stanare. Schiva l’ennesimo colpo all’ultimo. Il metallo della sciabola impatta sulla sua protesi d’oro, facendogliela schizzare via dal corpo, afferra la spada con la mano integra, giusto in tempo.
Non perde la calma, non in apparenza. Non permetterà mai a nessun avversario di vederla vacillare, ma dentro di sé accresce panico ad una celerità inaccettabile.
Non sei forte abbastanza.
Non ce la farai da sola.
Stai per essere battuta.
Mai.
Nessuno potrà mai batterla. Lei non può perdere: è uno dei tanti privilegi, che non le sono mai stati concessi. Non ha mai potuto perdere contro la malattia, perché avrebbe reso Miquella infelice.
Non ha mai potuto perdere contro pregiudizi e diffidenze nei suoi confronti, perché l’avrebbero resa debole.
Non ha mai potuto perdere contro un avversario, perché avrebbe avvertito il timore di essere nient’altro che una nullità, un puro sbaglio da neutralizzare.
Riesce a rallentare Radahn, nell’eseguire le letali tecniche che il suo maestro le ha insegnato: in grado di annichilire persino la Dea della Marcescenza stessa. Commette un errore nell’ultimo passaggio, il ché la inquieta orribilmente.
Ha il tempo di recuperare la protesi e riagganciarla alla spalla con uno strattone metallico, mentre il conquistatore delle stelle boccheggia e si preme la nuova ferita fresca.
Si osservano e ancora lei non prova più alcun legame per quell’essere. Nelle orecchie le echeggiano le urla di battaglia, ormai più distanti dai due Semidei. Armi di entrambe le fazioni sono già accatastate sul terriccio di rame, il cielo è irriconoscibile, tinto di un rosso innaturale, quasi che il sangue dell’aspra battaglia sia schizzato sino alle stelle.
O forse è solo Malenia, che percepisce tutto come orridamente rosso.
Come i capelli di Radahn, come i suoi, come la sua pelle escoriata dalla malattia. Avverte sotto gli occhi il mondo che cade a pezzi, pronto ad inghiottire persino lei. Tutto sta per finire: è ciò che quel formicolio molesto le suggerisce, dopo averlo strenuamente combattuto.
E tu stai per morire, come Godwyn l’Aureo: è l’altro pensiero che la sfiora, nell’avvertire percosse più decise al basso ventre.
La speranza crolla, lo stimolo di distruzione accresce e la massacra, il dolore le ribolle all’interno, nel contrastare la pesante magia gravitazionale. Fa scattare la lama di nuovo nella protesi e si fionda in direzione del proprio nemico.
Non ce la fa più.
È stanca.
Non c’è una parte in quel poco che le resta del corpo originale, che non arda di puro supplizio.  
“Ma se io devo morire… tu morirai con me. Morirai con me, bastardo.”
La lama affonda nella spalla del generale, sino all’elsa. Gli scivola nella carne con una tale facilità, che Malenia rabbrividisce di soddisfazione, nel suo stato febbrile.
Non pensa a niente, in quel momento: non ha più uno scopo, non ha più desideri, non ha più alcuna famiglia, nessun fratello. Non ha più neanche un’identità.
Ma si lascia semplicemente andare. L’ago d’oro, patto di una promessa che ora non riesce a ricordare, si spezza e delle fluenti lingue di fuoco l’avvolgono, accogliendo di buon grado il richiamo della sua voce ovattata.
Ed è così che fiore di Aeonia sboccia per la prima volta.
 
 
Tutto è rosso.
Stavolta, per davvero.
Il cielo, la sabbia, brandelli di stendardi al vento, persino l’Albero Madre sembra tinto di quel colore che disprezza, ma nel contempo la identifica.
Arranca in avanti, boccheggiando, trascinandosi dietro la spada macchiata di sangue, ancora agganciata alla protesi.
Annaspa ancora. Dalle labbra non le fuoriescono che rantoli disperati, nel reggersi appena sulle gambe.
Attorno a lei c’è solo massacro e non sa se a farle lacrimare gli occhi sia la consapevolezza di esserne stata la causa o le fitte alle viscere, che ora sono persino più brutali di prima e le percuotono lo stomaco, la forzano a piegarsi in avanti ed invocare silenziosi richiami d’aiuto. Singhiozza, ma ancora avanza, nuda e ribollente di nuova marcescenza. Vuole allontanarsi dal corpo fumante ed esanime di colui che ha di nuovo identificato come suo fratellastro.
Si porta la mano integra e tremante al viso.
Perché è ancora viva…?
Geme appena, nello sfiorare coi piedi di metallo, i cadaveri delle proprie compagne: coloro che erano state pronte a marcire per lei, pur di poterla fiancheggiare nella folle campagna militare, per il loro nuovo Dio.
Ricade sulle proprie ginocchia ed ora si lascia andare ad un pianto disperato, nel piegarsi in avanti.
Ha così tanto bisogno del suo gemello. Ha bisogno di rivederlo, di gridare sulle sue spalle, di stringerlo con forza.
Non vuole restare sola.
Ha paura. Così tanta paura, di se stessa, di concepire ciò che ha appena scelto di fare, di aver compiuto l’irreversibile.
Piange con più forza, premendosi il ventre con entrambe le mani.
Fa così male…
Fa così male!
Qualcuno mi aiuti.
Miquella, fratello mio, mio Dio, mio amato, mio scopo di vita. Aiutami.
Ma attorno a lei non c’è niente, se non un innaturale silenzio di morte e l’immobilità di un tempo che sembra non scorrere più. È sola, con se stessa ed il proprio efferato crimine. In fondo, le suggerisce quel poco di logica che le resta, non spetterebbe a lei versare lacrime. Dovrebbe solo assumersi le proprie colpe ed ammetterle con consapevolezza. Non vi riesce, perché a stordirle la mente c’è quel dolore, da lei mai provato e di cui la Dea della Marcescenza sembra compiacersi.
La voce le si spezza in un grido lancinante d’improvviso, quando avverte le sue viscere come squarciate ed una brutale percossa le frusta la schiena. Si ritrova a carponi, raschiando la brulla sabbia senza vita e divarica maggiormente le gambe.
Urla ancora, all’ennesima fitta ed il suo intero corpo la forza a sollevare il capo verso il cielo. Ora del liquido denso le scivola fra le gambe.
Un altro colpo impietoso al ventre, un altro gemito straziante. Singhiozza a squarcia gola, devastata dalla fatica e dal dolore. Si arcua spontaneamente in avanti, poggia il volto stremato sul terriccio, ora bagnato dalle sue lacrime e si porta spedita una mano all’inguine, mentre si stringe il seno pesante con l’altra.
C’è sangue.
Sangue ovunque.
Il corpo contorto dagli spasmi, si contrae ancora, le protesi delle gambe le scivolano sulla sabbia e quella mano pressata con forza sui suoi organi genitali, inizia quasi a raschiarle la pelle.
È con incredulità che inizia a concepire cosa le stia accadendo e la consapevolezza raggiunta la obbliga a nuovi timori, nuove suppliche di un aiuto che non può giungere, nuove preghiere di una rapida cessazione del tutto.
Fatica a riconoscere la propria voce. Il corpo le trema convulso e la Marcescenza ancora le carezza le orecchie, con immonde formule, che neanche credeva di conoscere.
È con un impulso improvviso, che il suo ventre rigetta all’esterno la causa di ogni suo recente malessere, a seguito di una sacca di sangue, che le si riversa sulle dita.
Nella sua mente è ancora impressa l’immagine di una madre che le volta le spalle, immiserita dalle condizioni della sua figlia malata. Ne ricorda le lunghe trecce d’oro, che le scivolavano sulla schiena nuda. Ricorda appena il suo tono carezzevole e melodioso, mentre le annuncia parole intrise di veleno.
«Malenia, figlia mia.» le si era rivolta, mentre lei strizzava le labbra tra i denti, pur di non abbandonarsi a delle miserevoli lacrime, che a nulla sarebbero servite. «Purtroppo non hai i requisiti adatti per detenere il trono.»
Non era stata quell’affermazione a devastarla emotivamente, ma la certezza di essere un fallimento, nonché causa di dolore, per coloro che avevano la sfortuna di volerle bene.
«Una Dea Esterna giace sopita nel tuo corpo, in attesa di ferire e deturpare la nostra famiglia. A mio malgrado, devo rendertene conto.»
Solo allora, la regina Marika si era voltata appena: quando aveva avvertito i primi flebili mugugni. «Figlia mia… sei un fiore destinato a marcire.»
«Madre…» era stata l’unica volta ad averla appellata in quel modo. Si era fatta forza, aveva soffocato i singulti e si era chinata, premendo la fronte sul pavimento. «Tu che sei la più perfetta, la più benevolente, la più nobile di tutte le entità esistenti, ti imploro… non cacciarmi via. Troverò un modo per sconfiggere questo cancro che lacera la mia pelle. Farò in modo di non recarvi alcun danno. Ti dimostrerò di poter anch’io contribuire alla gloria della nostra famiglia. Resterò in disparte, come tu desideri, ma permettimi di restare…»
Non ho altre gioie, in questa vita, se non lui… ti prego, non privarmene.
“Sei sterile, corrotta, pericolosa” se l’è sentito dire così tante volte; ne ha avuto prova per così lungo tempo e niente è ancora in grado di smentirla.
Neanche adesso, che delle strilla esterne a lei le stordiscono l’udito, che stringe tra le mani un misero corpicino pulsante, che dimena a scatti i propri arti. È così piccolo dall’immiserirla.
Malenia, ora, ha smesso di gridare, si è semplicemente messa a sedere, nel tenere stretto fra le mani, quello che non sa se definire un piccolo miracolo o un'immonda maledizione. Le lacrime le adombrano la vista.
La bimba ancora non ha smesso di urlare e strofinarsi gli occhi, forse con la speranza di lavarsi via il sangue dal viso.
È nata prematura. Lo testimonia il fragile corpicino di cui dispone. Malenia resta immobile, in contemplazione di ciò che ancora fatica a riconoscere come sua figlia.
Figlia di lei.
Figlia di un rapporto incestuoso, fra i due più temibili Semidei.
E figlia della Dea della Marcescenza.
Perché nata infetta.
Le macchie scure già le pervadono gli arti ed il petto. È prodotto di un ennesimo sbaglio.
Eppure la neo madre non riesce a non stringere al petto quella piccola creatura, lorda di sangue. Solleva gli occhi al cielo ed avverte un insolito senso di appagamento e benessere, misto a profonda stanchezza.
Vuole tornare a casa, nel suo Sacro Albero ed annunciare al suo amato fratello una verità che mai aveva pensato potesse concretizzarsi, ma non ha abbastanza forze per alzarsi, figurarsi per fronteggiare un viaggio. Si limita a strisciare verso il corpo esanime di una delle sue guerriere, gemendo per il troppo sforzo, ma sempre attenta a reggere la bambina. Straccia a fatica il mantello dal cadavere e la ripulisce, con le ultime energie. Il sangue rappreso della sua guerriera, simbolo di morte, si mesce a quello fresco di vita della neonata ed il rosso cremisi del tessuto.
La Semidea sorride malinconica alla creatura senza nome, nel vederla quietarsi fra le sue braccia. “Perché hai scelto di vivere?” vorrebbe chiederle. “Perché hai accettato di condividere la mia maledizione?”
Ho già sofferto abbastanza, per entrambe.
La bambina, tuttavia, come a dimostrarle di voler sopravvivere, le scivola con le piccole dita sul seno venato di nero, al di sotto degli scompigliati riccioli fulvi, ne ricerca la mammella e prende a succhiare il latte materno, stretta nel calore della stoffa.
È una sensazione così inusuale, ma su cui non indugia. I suoi occhi si limitano a perdersi ancora sul cielo innaturale.
È così stanca.
È così tremendamente stanca.
Scivola dolcemente sul fianco, la stretta sulla neonata s’indebolisce, mentre la piccola continua a poppare. La protesi le ricade sul fianco, richiude le gambe appena ed il respiro le si fa sempre più fiacco.
Forse ora sta davvero morendo, si dice. E forse, è meglio così. Marika, in fondo, ha sempre avuto ragione a rifiutarla. Se anche Miquella l’avesse fatto, lei non avrebbe creduto nella bugia del poter essere salvata.
Gli occhi le si chiudono. Forse si addormenta persino, ma la sorte ha deciso che Malenia non ha ancora sofferto abbastanza.
 
Deve vedere ogni speranza infrangersi, ogni piccolo barlume di luce spegnersi, ogni gioia mostrare la propria inutilità.
 
Dischiude appena le palpebre pesanti, perché avverte dei passi a poca distanza, seguiti da sfrigolii che non riesce a riconoscere.
C’è un uomo a neanche un metro da lei; non può vederlo in volto, perché è coperto da un insolito cappuccio appuntito, di quel colore che sembra perseguitarla. Mugugna appena, sfinita e tenta di sollevarsi, ma riesce solo a muovere il busto di poco.
Sono quelle creature nauseanti, subito dietro lo sconosciuto, ad inquietarla: simili ad insetti o crostacei, di uno stomachevole rosa carne. Molteplici braccia e gambe sottili spuntano dal loro corpo alieno e reggono delle lance rudimentali.
Qualsiasi cosa siano, quegli esseri, le trasmettono un senso di malessere e terrore, misto alla sensazione di averli già visti, forse nei suoi sogni, forse in qualche sperduto angolo dell’Interregno. Un brivido la percorre, nel notare che quattro di essi, stringono delle neonate fra le braccia. L’istinto la porta a cingere sua figlia appena e squadrare l’uomo incappucciato, con timore. Per sua sorpresa, vede il gruppo di esseri chinarsi e l’individuo le si accosta deciso, ma rispettoso.
«Mia signora, siamo onorati di rivederla. L’abbiamo attesa così a lungo. Questo è un giorno glorioso per tutti noi.»
Malenia è in grado solo di muovere appena le labbra, da cui non vi filtra alcun suono.
«Non si preoccupi, mia Dea. Avremo estrema cura delle sue figlie, sinché non la vedremo sbocciare ancora.»
Ma lei scuote debolmente il capo.
C’è un lato di lei, il peggiore, il più putrido e velenoso, che comprende appieno le parole dell’uomo, mentre quello migliore, vuole impedire che una simile messinscena si protragga.
«E siamo certi che lei sia la sua figlia più perfetta.»
Il seguace della marcescenza si protende verso la neonata avvolta nel mantello cremisi, accostata al seno di sua madre. La Semidea fissa quelle braccia distese con sconcerto, mentre gli occhi le si fanno languidi e le palpebre faticano a restare sollevate.
La bambina le viene sfilata dal costato, senza che ci possa essere alcuna resistenza, ma la violenza, insita nel gesto, devasta la psiche di Malenia in maniera irreparabile.
L’uomo stringe la bambina tra le braccia, che ora torna a strillare e dimenare i fragili arti.
Lei sarà la migliore.
Il suo più grande prodigio, mia Dea, le dice ancora, quell’uomo.
No…
Vede i seguaci della marcescenza darle le spalle ed allontanarsi a passo fermo.
No…
Sente ancora quella fragile voce, spezzata dal pianto, che ora risuona con lei.
Quelle sagome sbiadiscono nel suo sguardo stremato.  
Ridatemela.
Mia figlia, la mia bambina.
La Semidea chiude gli occhi ancora una volta, per poi non riaprirli più.
 
«Millicent…»
 
Ad essere onesti, il titolo di questa os poteva essere tranquillamente: "Malenia, mai na gioia", ma ho deciso un titolo un po' più poetico ed un po' meno meme... Anche se qualche risata, prima di tutto questo angst, non avrebbe fatto male a nessuno...

Detto ciò, Ehilà! Sono tornata a scrivere su di un fandom che ancora neanche esiste... Non mi pongo troppo il problema, perché ehm, come dire, ER è uno tra i miei videogiochi preferiti, quindi, fandom o non fandom, scrivo lo stesso LOL

Per quanto riguarda le figlie di Malenia, ho sempre avuto degli headcanon belli pesanti. Sembra che, di fatto, siano figlie del fiore di Aeonia. Neonate/ragazzine infettate, ma il rapporto tra Millicent e Malenia è molto più stretto rispetto a quello delle altre. Ciò mi ha sempre fatto fantasticare su di una possibile connessione di sangue vero e proprio tra le due, anche perché lei è l'unica che vuole salvare Malenia dalla marcescenza e non venerarla come Dea. Poi, mettendo insieme i tasselli, pensando al legame assurdamente forte ed intimo tra i due gemelli, nonché la convinzione generale che Malenia non possa procreare eeeeee, ecco come è nata questa storia. 
Ho tante altre os in serbo, ngl. 
Pian piano, le scriverò tutte. Probabilmente la prossima, come l'altra volta, sarà decisamente più fluff e meno angst. 
EEEEEMMMMH non so se si capisce quanto amo Malenia e la sua sensibilità, ma lasciamo perdere. 

Alla prossima <3
   
 
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