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Autore: Chiccaxoxo    23/10/2023    0 recensioni
Dopo tredici anni di isolamento, per Madara è difficile spiegare cosa prova. Sente le emozioni ma non sa più usarle o dare loro un nome. Ha ritrovato la famiglia, ma teme che parlare alle persone a cui vuole bene possa farle fuggire. Le parole possono ferire se lasciate andare, ma uccidono se trattenute.
Questa OS Modern AU partecipa al Whumptober 2023. Può essere interpretata come il seguito di “Nelle mie stanze vuote.”
Prompts usati: “I’ve got soul, but I’m not a soldier.”; Overcrowded ER; “It’s all for nothing.”
Genere: Angst, Dark, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Izuna Uchiha, Madara Uchiha, Obito Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto, Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Essere soli, sentirsi soli'
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Si erano fermati davanti al cancello. Obito lo aveva trovato aperto, Madara aspettava la visita della famiglia come ogni domenica.

Mentre Izuna parcheggiava, Obito era corso in casa per salutare Madara intento a cucinare, come sempre- Era così entusiasta che aveva lasciato Rin e Izuna indietro, la felicità di aver ritrovato Madara dopo tredici anni di assenza era incontenibile.

Madara aveva accettato che Obito e Rin fossero ormai una famiglia, gli bastava vederli sorridere. Gli occhi di Izuna luccicavano d’amore ogni volta che guardava il fratello maggiore.

La casa era in penombra, nessun suono. Non si sentiva il profumo dei deliziosi piatti che sapeva preparare Madara. Neanche un respiro o un fruscio.

Obito si guardava intorno disorientato, le persiane erano accostate. Avena dovuto abituarsi alla penombra, per ora scorgeva solo le sagome dei mobili. Nell’aria c’era odore di vino.

“Madara?”

Silenzio.

Qualcosa aveva scricchiolato sotto le scarpe di Obito, lo sguardo finalmente si era abituato alla scarsa luce. Frammenti di vetro.

“Madara?”

Obito aveva alzato la testa. Madara era sul dondolo davanti alla stufa accasciato troppo scomposto per pensare che fosse addormentato.

“Madara?” stavolta gli era uscito un mormorio strozzato.

Obito si era avvicinato con il cuore che gli scavava il petto. Sotto le suole ancora un crepitio, un blister vuoto. La mano destra di Madara pendeva dal bracciolo, i vetri rotti avevano avuto origine da lì, in terra c’era una chiazza di vino. Madara aveva la testa riversa sulla spalla, parte del capelli gli nascondevano la faccia, il resto scendeva fino in terra seguendo un disordine che non faceva parte di lui. L’altra mano posata in grembo come un pezzo di carne morto.

“Madara, cosa hai fatto?” Obito ora urlava, aveva alzato la testa del cugino per liberargli il volto dai capelli annodati.

Il pallore del viso di Madara metteva paura, brillava come la luna. Gli occhi segnati da cerchi violacei. Schiuma bianca gli usciva dalle labbra, si era vomitato addosso.

Obito tremava, la pelle di Madara era gelida. Gridava a squarciagola i nomi di Rin e Izuna, intanto cercava di prendere in braccio Madara senza riuscirci.

Il rimorso gli attanagliava lo stomaco, il petto gli faceva male. Obito aveva desiderato così tanto riportare il cugino nella famiglia da essere rimasto cieco di fronte alla sofferenza di Madara. Era stato egoista.

Nonostante per Madara fosse stato uno strazio accettarlo con Rin, aveva continuato a dare tutto se stesso pur di far felice la famiglia.

“Perdonami, Madara, sono stato uno stupido” Obito piangeva abbracciando il cugino “non lasciarci proprio ora che andava tutto bene.”

I passi di Rin e Izuna rimbombavano nel corridoio, correvano. Rin si era fermata sconvolta appena entrata nella stanza, aveva portato le mani alla bocca. Izuna li aveva raggiunti, il viso contratto. Aveva scostato Obito per tastare la carotide del fratello.

“Non sento il battito.”

Obito era dilaniato dal terrore. Correvano in macchina e Madara era stato affidato a lui sul sedile posteriore. Obito lo teneva abbracciato, Madara gli stava appoggiato addosso freddo e pesante.

Sì, Madara era morto.

Obito non avrebbe mai retto al dolore.

Era domenica e nel pronto soccorso funzionava così, poco personale e sovraffollamento erano normale amministrazione. Un medico solo che non vedeva l’ora di terminare il turno. Quando andava via, toccava rispiegare tutto daccapo al dottore che arrivava dopo.

“Ehi, dove credete di andare?” l’infermiere del check in gridava dietro a Rin che aveva spalancato la porta.

“Ha cercato di togliersi la vita” Izuna si era fermato per rispondere al tizio, nonostante tutto riusciva a non perdere la ragione “Forse è già tutto inutile.”

Obito si era sentito mancare le forze. Allora era vero, Madara era morto.

Come faceva Izuna a mantenere la calma necessaria per formulare frasi?

A Obito veniva da piangere, il corpo di Madara gli era quasi sfuggito di mano. Lui e Izuna lo portavano in braccio. Madara era pesante, Obito aveva gridato di fatica e disperazione, sperava che la conversazione finisse presto.

L’uomo al check in insisteva, Izuna aveva continuato la marcia forzando il posto di blocco, Obito lo seguiva con la schiena rotta e il cuore a pezzi.

Avevano steso Madara sulla prima barella trovata, Izuna minacciava di spaccare tutto se il dottore non fosse arrivato entro un minuto.

Obito, in piedi, piangeva. Non aveva il coraggio di guardare Madara, non sentiva l'abbraccio di Rin.

Aveva ucciso Madara. Se lo avesse lasciato in pace nella sua solitudine non sarebbe successo niente.

Guardava Izuna discutere con il medico, le parole gli arrivavano ovattate dallo sconforto. Gesticolavano, il dottore parlava di scartoffie da compilare, Izuna si infuriava sempre di più. Ma dove trovava la forza?

Intanto Madara moriva.

Due uomini della sicurezza erano arrivati attirati dal trambusto, Obito era riuscito solo a fissarli con lo sguardo implorante. Dovevano smetterla di intralciare la strada a Madara.

Finalmente la barella di Madara era stata spinta dentro. Non avevano fatto entrare Izuna nonostante gridasse di essere il fratello.

“Dovranno fargli una lavanda gastrica” Izuna si era seduto con la testa tra le mani.

Forse l’avrebbero fatta su un cadavere.

“Izuna, è colpa mia” Obito gli si era steso ai piedi, tirava i calzoni di Izuna con le mani tremanti “L’ho ucciso io.”

“No” Obito si era sentito afferrare le mani, Izuna lo aveva tirato in piedi per guardarlo negli occhi “Tu hai riunito la famiglia. Non hai mai smesso di amare Madara.”

“Izuna, ma Madara è…”

“Vieni qua” Izuna lo aveva guidato a sedere.

Erano tutti e tre abbracciati. Immobili. Il pomeriggio era diventato sera e la sera notte. Obito ogni tanto si sentiva entrare una boccata d’aria nei polmoni, nessuno era uscito per dire che Madara era morto.

 

“Izuna Uchiha?”

“Sì?”

“Suo fratello si è svegliato.”

Obito era balzato in piedi pronto a correre, Izuna lo aveva bloccato. Gli sorrideva mentre l’alba lo colorava di arancione.

Il dottore spiegava che Madara si era salvato perché aveva vomitato. Lo avevano sistemato in un letto, stava espellendo residui di carbone attraverso un sondino nel naso. Madara era alimentato solo da una flebo. La grande massa di capelli corvini sparsa ovunque.

“Obito... Obito dove sei...” Madara gemeva sentendo la presenza di altre persone.

Obito, il primo pensiero.

Obito gli si era gettato sopra per abbracciarlo: “Sono qui, siamo tutti qui. Non avevo capito, perdonami.”

Madara si lamentava con gli occhi chiusi, ancora confuso.

Izuna aveva afferrato con delicatezza le spalle del cugino facendolo alzare “Siediti. Avrai tutto il tempo che desideri per spiegargli quello che vuoi.”

Obito si era lasciato condurre docile a sedere, le lacrime gli rigavano la faccia, Rin gli aveva posato un bacio leggero sui capelli.

Izuna si era chinato sul corpo del fratello, gli accarezzava la fronte, Madara si era calmato ma non apriva gli occhi.

“Sono qui, fratello mio” Izuna gli massaggiava il petto.

Una lacrima scendeva lenta sul viso di Madara : “Io... avrei voluto parlarvi, raccontare, ma le parole non mi venivano. Ho l’anima ma non sono un soldato. Non avevo il coraggio di vedervi andare via.”

Madara piangeva, aveva chiuso gli occhi: “Obito…”

Izuna si era alzato per lasciare il posto al cugino.

Obito aveva afferrato le mani di Madara: “Potrai sempre parlarci di tutto quello che vorrai.”

“Ti voglio bene, Obito. Perdonami se non so gestire l’amore, ma sono stato molto solo e non ricordo come si fa.”

Obito sorrideva, accarezzava la testa di Madara.

“Obito, lo so che oggi non mi hai mollato un attimo. Ti sentivo.”

“Madara, promettimi una cosa. È importante.”

“Va bene.”

“Ogni volta che le parole ti verranno difficili, tu prova lo stesso. Ti ascolteremo e nessuno andrà via. So quanto hai fatto per noi, Madara. Vivi per vederci felici.”

Madara gli aveva sorriso, gli occhi ancora bagnati. Doveva imparare a usare di nuovo i sentimenti. Le parole non venivano facili, ma erano l’unica strada.

 

   
 
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