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Autore: Vavvina    16/09/2009    6 recensioni
Ma quel giorno i suoi occhi erano diversi...quelle due pozze ambrate, screziate d’oro, erano così dolci e, allo stesso tempo così malinconiche...non credevo che avrei mai visto negli occhi di una persona una malinconia così struggente, mischiata ad una tale dolcezza. La riconobbi all’istante, come non farlo?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Daphne Greengrass | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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§PLUME -- Piuma§




-Mi dispiace, Daph.
La bella bionda seduta compostamente davanti a lui alzò le sopracciglia e inclinò appena la testa di lato, guardandolo interrogativa.
-Avanti, ho mollato Astoria una settimana prima del matrimonio, posso capirti se ce l’hai con me...- spiegò Draco, scrutandola attento.
-Oh, quello!- sbuffò Daphne, facendo ondeggiare i morbidi capelli sulle sue spalle – Mia sorella è una persona altezzosa, arrogante, con dei principi assurdi e un carattere di merda, Draco... avrei fatto la stessa cosa!
Le parolacce stonavano con l’aria da bambolina della ragazza, e Draco sorrise, ripensando alla loro stupenda amicizia.
Si erano conosciuti al primo anno di Hogwarts, e avevano legato subito. Daphne era la persona sulla quale poteva fare affidamento sempre e comunque, che l’avrebbe sempre sostenuto, la persona che con uno sguardo sapeva capirlo e consigliarlo: una sorta di Blaise al femminile, insomma. E, non per niente, lei e il suo migliore amico erano felicemente fidanzati da molto tempo.
-Però, Draco...posso chiederti perchè l’hai fatto? Insomma, al di là del suo carattere...in fondo, quanto tempo è che siete promessi? Tanto, quindi non capisco perchè tu non l’abbia mollata prima...c’è dell’altro, vero?
Il ragazzo alzò la testa e fissò i suoi occhi grigi in quelli azzurrissimi dell’amica, andando a stuzzicare il pendente che portava al collo. Detestava la sua capacità di leggergli dentro con così tanta facilità.
-C’entra qualcosa la piuma, vero?- lo incalzò ancora Daphne, sorridendogli e indicando con il mento il suo pendente.
La piuma...già, la piuma.
Grande quanto un pollice, bianca, candida come la neve esclusa la punta, tinta di un tenue marrone pastello, morbida al tatto e piacevole alla vista, la portava appesa al collo da allora, non l’aveva mai levata. E odiava ammetterne il motivo.
Ma Daphne, in fondo, aveva il diritto di sapere. Era la sua migliore amica, la sua spalla, lo sopportava sempre, e in più aveva appena lasciato sua sorella Astoria. Una spiegazione gliela doveva.
E poi...era dura da ammettere, ma se non tirava fuori almeno un po’ di quello che aveva dentro, a breve sarebbe esploso.
-Già...- sospirò.
-Ti va di parlarmene, Draco?
Il sorriso dolcissimo della ragazza lo aiutò a distendere appena le labbra, e ad annuire impercettibilmente.
-Non so cosa potrai pensarne, Daph...
Daphne scosse la testa ridendo, e si alzò in piedi.
-Ehi, da quando hai paura del mio giudizio? E poi, lo sai...non potrei mai giudicarti.
Un sorriso sincero affiorò sulle labbra del giovane Malfoy, che guardò l’amica accoccolarsi ai piedi della poltrona sulla quale lui era seduto, poggiare le braccia nivee sulle sue ginocchia e osservarlo in attesa.
Fece un respiro profondo, poi, con la voce bassa e malinconica, iniziò il suo racconto.

-Era l’estate del nostro ultimo anno ad Hogwarts...in quell’occasione, non so se ricordi, i miei decisero di andare negli Stati Uniti, mio padre aveva degli affari da sbrigare lì, e mia madre non vedeva l’ora di fare shopping nella Grande Mela.

La ragazza ai suoi piedi annuì, sistemandosi meglio sulle sue ginocchia.

-Beh, te capisci...mio padre in giro per gli States ad incontrare colleghi e gente di un certo rango, mia madre in giro attorniata da elfe domestiche per negozi...io passavo le mie giornate vagando per l’East Coast, osservando il mare e rimuginando sui miei pensieri.

-L’ho sempre detto, che rimuginare non ti porta buone cose...- commentò Daphne, con un ghigno.

-Già...ma comunque...un giorno, durante i miei giri senza meta, mi imbattei in una cerimonia molto particolare. Tra Boston e New York, c’è un’immensa foresta verdeggiante dove, una volta ogni quattro anni, ha luogo un raduno. Tutte le tribù di Indiani, presiedute dalla tribù del luogo, i Narragansett, si riuniscono lì, per celebrare di nuovo l’alleanza tra loro e tornare un po’ alle loro origini. Non avevo nulla da fare e la cosa mi incuriosiva, se non altro come diversivo alla monotonia di tutti i giorni, così decisi di fermarmi: la cerimonia non era privata, anzi, c’era molta gente venuta apposta per quell’occasione.
Fu una cosa davvero bellissima...Indiani puri, Indiani di sangue misto, uomini, donne, bambini, ragazzi e ragazze, vecchi, tutti vestiti con abiti originali della propria tribù, di pelle e piume, con vestiti sgargianti e copricapi vistosi, a piedi nudi e capelli acconciati, ballarono attorno al fuoco sacro, seguendo la melodia che un vecchio dai capelli bianchi faceva uscire dal suo flauto, accompagnato da ritmo di un bongo.
E poi la cerimonia vera e propria, con il passaggio della Chanupa...

La ragazza lo guardò perplessa:-Cos’è la Chanupa?
-E’ la Pipa Sacra dei Nativi Americani, dove la pietra rossa rappresenta il sangue coagulato degli antenati dei Nativi – le spiegò Draco.
-Ma non era il Calumet?
-Oh, no. Quella è la denominazione errata con la quale la indichiamo noi.
Ad un assenso di Daphne, il ragazzo continuò il suo racconto.

-La Chanupa è l’unico mezzo con il quale gli Indiani possono pregare, facendo salire al Cielo le loro preghiere attraveso il suo fumo e invocando il Grande Spirito, nel momento in cui il braciere e il cannello, che rappresentano l’energia femminile e quella maschile, entrano in contatto. Non ti nego che mi sono quasi commosso, tale era l’altmosfera in quel momento...il vecchio sciamano che metteva in atto il rito, il capo della tribù dei Narragansett che tirava la prima boccata dalla Chanupa, che poi sarebbe stata passata di capo in capo, la nenia che faceva da sottofondo, l’aria densa di un qualcosa che non saprei identificare, un alone di mistero e di rispetto attorno a quel cerchio così poco omogeneo...e poi...

Draco fece una pausa, ripensando a quel momento, e chiuse gli occhi, mentre Daphne gli stringeva appena un ginocchio.

-...poi il capotribù passò la pipa ad una ragazza, ad occhio e croce importante, data la sua posizione accanto al Fuoco Sacro, al centro del cerchio. Hai presente quando hai la sensazione di aver già visto qualcuno da qualche parte, ma non riesci assolutamente a ricordare in che situazione, nè tantomeno chi sia? Bhe, io l’ho avvertita subito. Avrà avuto la mia età, e devo ammettere che era bellissima. Ma una bellezza ben diversa dalla tua...

La ragazza sorrise senza interromperlo, era abituata a quei complimenti. In fondo, non poteva negare di essere bella, con il corpo di una dea, i capelli biondi e mossi che le arrivavano a metà dell’esile schiena, il portamento di una persona di classe, i tratti fini e delicati, l’espressione dolce ma decisa, e tutti glielo dicevano, Draco e Blaise in primis.

-La tua è una bellezza oggettiva, di quelle che non puoi proprio negare...lei, invece...non so, aveva un qualcosa che la rendeva stupenda, seppur nella sua semplicità. Indossava una gonna in pelle scamosciata di un delicato marroncino pastello, lunga fin sopra al ginocchio e terminante in tante frange che, dolci, seguivano ogni movimento delle sue gambe. Un pezzo di pelle uguale a quella della gonna le copriva il seno ed era allacciato dietro con tanti lacci, mentre altre frange le scendevano sulla pancia, creando dei giochi di luce sulla sua pelle appena abbronzata. Scalza, i suoi piedi delicati calpestavano con grazia l’erba del prato e facevano tintinnare, ad ogni minimo movimento, i numerosi campanellini che portava legati a lacci di cuoio sulle caviglie. Bracciali colorati e tintinnanti risaltavano anche sui suoi polsi sottili, ed un ciondolo assicurato ad un cordone di cuoio tutto intrecciato andava a perdersi nel solco tra i seni. I capelli, morbidi boccoli color caramello, appena più scuri in alcuni punti, le scendevano liberi sulle spalle, appena appuntati sulla nuca, e piume bianche, candide e pure, erano intrecciate ad essi, in un complesso motivo. Aveva i lineamenti dolci, i tratti del viso delicati, senza trucco, le labbra rosate erano tirate in un’espressione strana, quasi malinconica. Ma furono gli occhi a farmi capire chi lei fosse. Lo sai, Daph...per me gli occhi sono la parte più importante di una persona, una volta che li ho impressi nella mente non li dimentico più. Potrei riconoscere te, Blaise, perfino Potter, solamente dagli occhi. E i suoi...ah, come potrei dimenticarli? Come potrei dimenticare quegli occhi che, per anni e anni di scuola, mi hanno guardato con...nemmeno odio, no...con disprezzo, pietà, compassione...come portei dimenticare quegli occhi che erano capaci di scrutarmi dentro, e di tirar fuori le parole che più erano capaci di ferirmi, di farmi male?

Daphne trattenne il fiato, mentre Draco teneva gli occhi chiusi.

-Ma quel giorno i suoi occhi erano diversi...quelle due pozze ambrate, screziate d’oro, erano così dolci e, allo stesso tempo così malinconiche...non credevo che avrei mai visto negli occhi di una persona una malinconia così struggente, mischiata ad una tale dolcezza. La riconobbi all’istante, come non farlo?

-Hermione...- sussurrò la Slytherin, sgranando gli occhi. A tutte aveva pensato, fuorchè a lei. Al settimo anno, lei e la Griffyndor avevano legato, a discapito di tutti e tutto, e tra loro era nata una grande amicizia, che ancora continuava, a quattro anni di distanza dalla fine della scuola. Ma Hermione e Draco non si erano mai potuti vedere, non si erano mai sofferti, forse troppo simili per avere il coraggio di specchiarsi l’uno negli occhi dell’altra.
Cosa poteva essere successo quel giorno, in quella foresta? Lei non le aveva raccontato nulla, nonostante l’avesse messa a parte di molti segreti importanti.
Cosa poteva aver scosso così tanto il suo migliore amico, tanto da portarlo a mollare la sua fidanzata ad una settimana dal matrimonio, tanto da renderlo così...fragile?
Draco annuì, mentre un accenno di sorriso affiorava sulle sue labbra perfette.

-Già...proprio la Granger. Che posso dirti? Fu un fulmine a ciel sereno, davvero. Non riuscii a staccarle gli occhi di dosso per tutta la durata della cerimonia. Durante il ballo propiziatorio danzò da sola, attorno alle fiamme guizzanti, muovendosi sinuosamente al ritmo dolce e sensuale del flauto, facendo ondeggiare con grazia i boccoli sulla sua schiena, mentre le frange del suo abito, docili, si muovevano con il suo corpo creando splendidi giochi di luce sul ventre piatto e sulle cosce tornite. Ero incantato, come in uno stato di trance. Poi i nostri sguardi si sono incrociati, quasi per caso...e ho veramente creduto di precipitare nel baratro. Non fece una piega, la sua espressione non mutò per nulla, ma non staccò mai i suoi occhi dai miei, mantenne fisso il contatto visivo per tutto il tempo della sua danza.

Daphne era immobile sul tappeto, aveva il timore di muoversi, di respirare. Non voleva assolutamente interrompere quell’atmosfera che si era creata, non voleva risvegliare Draco, che stava con il capo poggiato allo schienale della morbida poltrona verde e gli occhi chiusi, un’espressione tranquilla come raramente gliel’aveva vista in volto, preso dai sui ricordi.

-La cerimonia andò avanti, fino alla sua conclusione, ma ormai la mia attenzione era tutta focalizzata sulla Granger, la mia mente era impegnata a imprimere a fuoco ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni dettaglio di lei, così leggiadra, così diversa, così...bella, come mai l’avevo vista. Poi, alla fine, la persi di vista. Nella calca di turisti che facevano fotografie a tutto spiano e di Indiani che si allontanavano nel folto del bosco, non riuscii più ad individuare quei boccoli caramello, quelle iridi dorate.
Mi sedetti all’ombra di un grande albero, con la schiena appoggiata al tronco ruvido e le palpebre calate, in attesa non so nemmeno di cosa. Forse speravo di rinsavire, o forse che lei venisse da me, non so. Eppure, fu quel che accadde. Il delicato fruscio dell’erba clapestata, unito ad uno scampanellio familiare, mi ridestarono da quella specie di trance nella quale ero caduto, ed aprii gli occhi.
E lei...lei era lì, davanti a me. Mi guardava incuriosita, con la testa inclinata da un lato e i boccoli che le andavano a solleticare le guance rosate, le labbra appena schiuse in un’espressione quasi divertita.
Ricambiai il suo sguardo, specchiandomi in quelle pozze dorate nelle quali lessi una dolcezza quasi materna.
-Malfoy...- mi salutò, con l’ombra di un sorriso sul volto.
-Granger...- ricambiai, con espressione neutrale.
-Ho bisogno di svagarmi un po’, questa cerimonia mi distrugge...mi fai compagnia?
Una mano tesa verso di me, un’espressione gentile e una richiesta. Strana, in quanto veniva da una persona che per anni mi aveva disprezzato. Eppure, non potei non annuire. C’era come una forza a me estranea che mi spingeva a seguirla, unita alla curiosità di vedere cosa sarebbe accaduto.
Mi alzai e afferrai la sua mano, così piccola e delicata nella mia, poi la seguii attraverso la foresta, addentrandomi con lei nel folto, fino a giungere ad un’altalena in legno, assicurata con una corda al ramo di un vecchio albero robusto.
Lasciò la mia mano e andò a sedersi sull’altalena, guardandomi con un sorriso mentre iniziava a dondolarsi su quell’asse nodoso.
Io appoggiai la schiena sul tronco scuro dell’albero che reggeva quel dondolo, e la osservai a lungo, incantato. Ad ogni spinta in avanti, il busto si piegava e i boccoli castani venivano spinti indietro dal vento, per poi avvolgersi con delicatezza attorno al suo viso quando l’altalena tornava indietro. L’unico rumore era il fruscio del vento tra le foglie, i campanellini dei suoi bracciali dolce sottofondo musicale tra noi.
Fu lei a rompere quel silenzio quasi mistico, magico.
-Cosa ci fai qui, Malfoy?
Non so cosa mi spinse a risponderle in quel modo...so soltanto che la voce mi uscì quasi comandata da volontà propria; mi uscì rotta, sofferente. E le raccontai tutto. Iniziai con quel viaggio, per poi andare indietro nel tempo, fino a sfogarmi completamente, fino a tirar fuori quelle cose che sai meglio di me che nessuno conosce. Lo feci con naturalezza, mi venne spontaneo parlare di quegli argomenti, parlarne con lei. E lei...lei non disse nulla, non mi giudicò, non mi guardò con compassione, si limitò a non levare i suoi occhi dai miei e ad annuire appena con il capo, come se capisse per davvero.
Dopo un tempo indeterminato di silenzio, non so dirti quanto, fui io a rivolgerle una domanda.
-Perchè prima hai detto che questa cerimonia ti distrugge?
Lei mi sorrise malinconica, poi distolse lo sguardo, andandolo a posare lontano, in un punto imprecisato, perdendovicisi.
Quando iniziò a parlare, la sua voce era fioca, appena un sussurro udibile al di sopra di quello del vento.
-Lo avrai notato...io non sono un’Indiana pura. E’ buffa, la vita...non solo sono un incrocio tra Maghi e Babbani, una Mezzosangue in questo mondo, no...il mio sangue è, per parte materna, mischiato anche a quello dei Narragansett. Mia nonna lo era, lei era la sacerdotessa...ed era una donna bellissima, rispettata e venerata da tutti, compresi i componenti delle altre tribù. Ma poi sposò un bianco, un “viso pallido”, ed allora l’opinione nei suoi confronti mutò. Guardata con diffidenza, dall’alto in basso, trattata con sprezzo, mise al mondo una figlia e la allevò in Inghilterra, lontana da quella gente che prima l’aveva tanto amata ma che ora la disprezzava. Sua figlia crebbe, sposò un inglese e anche lei mise al mondo una bambina, che poi sarei io. E’ buffo...la nonna dice che rivede in me la sua gioventù, la sua forza bellicosa e il suo indomito orgoglio, nonchè una grande bellezza, mentre io non mi sento per nulla simile a lei. Lei era una donna degna del suo ruolo, una donna degna di rispetto e di ammirazione, di invidia anche. Siamo franchi...chi potrebbe mai ammirare una come me, una “so-tutto-io” saccente quale sono io?
Non me ne ero nemmeno reso conto, ma a quel punto del racconto ero di fronte a lei, in piedi mentre lei ancora sedeva sull’altalena, e la guardavò con serietà.
-Comunque...- continuò il racconto, quasi parlando da sola – mia nonna decise di mettermi a parte di quello che era il suo passato, di ciò che era stata, di quelle che, alla fine, erano le mie origini. E decise anche, nonostante io fossi piuttosto restia, a passarmi il testimone, a cedermi quella incombenza. Incontrai i vari capi delle tribù, e venni ufficialmente riconosciuta come nipote dell’antica sacerdotessa, e come tale mi vennero affidati onori ed oneri. Ma il passato non si cancella, e tu questo lo sai meglio di me. Le malelingue che avevano denigrato la nonna ancora c’erano, e io fui guardata da subito come la nipote di colei che li aveva traditi, che aveva mischiato il suo sangue con uno straniero. La situazione è ancora quella. I membri della tribù mi trattano con rispetto solo per il ruolo che ricopro, ma non hanno la minima stima di me come persona...
I suoi occhi...ora capivo il perchè di quell’espressione. Lei era orgogliosa delle sue origini, fiera di essere quel che era, ma portare avanti un fardello pesante come il giudizio degli altri è una cosa molto difficile, e lo so bene io.
Non so precisamente in che ordine andarono poi le cose...sta di fatto che un momento ero in piedi di fronte a lei, guardandola versare piccole stille salate dagli occhi lucidi, e il momento dopo le mie mani erano poggiate sulla tavola di legno che la sosteneva e le mie labbra stavano assaporando le sue.
Fu un bacio strano. Ne ho dati e ricevuti molti, nella mia vita, ma mai nessuno fu come quello.
Un bacio intriso di dolcezza, di una dolcezza così malinconica che mi fece venir voglia di stringere la Granger tra le braccia e non lasciarla andare mai più.
Fu un contatto intimo tra le nostre anime affini, tra due spiriti forse più simili di quel che potessi credere, entrambi costretti a lottare contro il mondo, contro il giudizio degli altri, non accettati per quello che sono.
Scivolammo in terra, sentii le sue mani esili tra i capelli, la strinsi forte a me, smaniando per un contatto maggiore tra i nostri corpi.
Stesa sotto di me, sull’erba bagnata di rugiada, la osservai inarcare la schiena con gli occhi socchiusi, richiedendo le mie carezze sul suo ventre, sulle sue gambe, su tutto il suo corpo.
In breve tempo eravamo entrambi nudi, ma lei teneva i capelli davanti al seno e stava rannicchiata, in fondo il suo pudore Griffyndor non l’aveva mai abbanodanata.
A vederla in quel modo, i lunghi boccoli scompigliati, rannicchiata su se stessa, le labbra rosse e gonfie, gli occhioni lucidi di un languore nuovo per quelle iridi, le gote arrossate e il respiro irregolare, ebbi una stretta al cuore e non potei fare a meno di sorriderle.
Ricordo che mi rivolse uno sguardo attonito mentre le tiravo i capelli dietro alle spalle e dedicavo tutte le mie attenzioni ai suoi seni, così perfetti nel loro candore, le punte indurite dal desiderio. La sentii gemere sulla mia spalla mentre, grazie all’esperienza aquisita durante i sette anni di scuola, la stuzzicavo sapientemente in quelli che erano i punti più deboli e sensibili.
Fece per dire qualcosa, tra un gemito e l’altro, ma era troppo difficile per lei far uscire quelle parole, un po’ per l’imbarazzo e un po’ a causa mia, che non le davo tregua. Le risparmiai quella fatica inutile chiudendole la bocca in un bacio rassicurante e caldo, sapevo cosa voleva dirmi. Sapevo che era vergine, sapevo che nessuno l’aveva mai posseduta, il suo corpo era inviolato, troppo sensibile per essere stato toccato da altri. E mi sentii felcie, quasi orgoglioso...non si era concessa a nessun altro, nonostante molti degli altri studenti avrebbero fatto la fila per portarsela a letto, ed era disposta a donarsi a me.
Si sciolse appena mentre la baciavo con dolcezza, mentre le passavo un dito lungo la spina dorsale, mentre i miei capelli le solleticavano il petto, mentre mi posizionavo tra le sue gambe, attento a non schiacciarla con il mio peso.
Quando entrai in lei, sentii una sensazione nuova crescere dentro di me, un nuovo calore che mi avvolgeva. Un urlo uscì dalle belle labbra della Griffyndor. Un grido di dolore misto a piacere, il grido di chi sta soffrendo ma vuole che quella tortura non finisca. La baciai appena mentre con le unghie lei artigliava la mia schena e le mie spalle, scie rossastre sul mio dorso, aspettando che si abituasse alla mia presenza in lei.
Poi, con delicatezza, iniziai a muovermi. Poco a poco, la sentii iniziare ad assecondare i miei movimenti, muovendo il bacino a tempo con il mio, inarcandosi alla ricerca di un contatto ancor più intimo.
Continuammo in quella dolce altalena non so per quanto tempo, soffocando i nostri gemiti l’uno sulle labbra dell’altra, la vista offuscata da quel piacere sempre più intenso che stavamo provando entrambi.
Fino a che mi riversai in lei completamente. Il gemito più forte degli altri che lanciò, gettando indietro la testa, mi fece sentire la persona più completa di questo mondo.
Mentre luci e colori si affacciavano alla mia vista, mi ritrovai a reprimere un urlo roco tra i suoi seni, gonfi ed eccitanti, mentre lei tremava sotto di me.
Rimasi fermo, la testa su di lei, puntellato sui gomiti per non gravarle troppo, in attesa che il mio respiro tornasse regolare, per poi fuoriuscire e stendermi al suo fianco, attirandola a me.
Lei si rannicchiò sul mio petto, come bisognosa di un appiglio per non cadere, intrecciando le gambe con le mie e solleticandomi il ventre con i suoi capelli, ai quali erano ancora intrecciate le morbide piume.
Ci addormentammo così, stretti insieme, lei aggrappata a me come io lo ero a lei.

Daphne aveva la bocca semiaperta.
Innanzi tutto, era la prima volta che Draco, il Draco introverso e riservato, le raccontava dei dettagli simili.
Ma non era stato quello a sorprenderla, no.
La voce con la quale l’amico aveva parlato, il tono che aveva utilizzato...lei si era ritrovata perfettamente nei suoi panni, capace di intendere senza problemi le sue emozioni e le sue sensazioni.
-...e poi? – fiatò appena, timorosa.
Lo Slytherin, che fino a quel momento aveva guardato fuori dalla finestra, distolse lo sguardo dai candidi fiocchi di neve per posarli sull’amica.
Un sorriso triste gli increspò le labbra sottili.

-Quando riaprii gli occhi, lei non c’era più, al mio fianco soltanto erba schiacciata. Solo due erano le prove, le testimonianze di quel che era successo, di quell’incontro tra anime.
Una macchia rossastra che spiccava sul verde del prato, simbolo della fiducia che lei aveva riposto in me, divenendo mia.
E una piuma...una di quelle che portava intrecciate tra i capelli, bianca con la punta marrone.
...questa piuma.

E prese tra le dita, delicatamente, il pendente che portava legato al collo, rimirandolo con nostalgia.

Quella è stata l’ultima volta che ho visto Hermione Granger.





§




Ebbene sì, eccomi ancora qui.
Innanzi tutto, desidero scusarmi con chi seguiva la mia raccolta di one-shot "Random walk"...purtroppo, un insieme di eventi e situazioni mi ha portato ad interromperla, e non so se riuscirò a riprenderla. Spero di sì.
Per quanto riguarda questa shot, invece...beh, questa cerimonia avviene davvero, tutte le tribù dell'East Coast si riuniscono in questa immensa foresta tra Boston e New York, e io ho assistito proprio quest'anno, per puro caso. Vi assicuro che è stato uno spettacolo più unico che raro, intriso di mistero e sacralità...e la sera, rimuginando nel letto, mi è venuta l'idea per questa fic, che ha apposta un finale aperto, chissà che non mi venga voglia di creare un seguito!
Non so se la apprezzerete, ma spero che vogliate dedicare due minuti del vostro tempo a lasciarmi un commentino, per sapere cosa ne pensate.
Vi ringrazio in anticipo...
...un bacione!

P.S: Il rating che ho messo è Arancione, ma se pensate che sia troppo basso fatemelo sapere senza problemi, provvederò ad alzarlo a Rosso immediatamente!
  
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