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Autore: miss dark    16/09/2009    12 recensioni
1943 - Cominciano le deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento. L'innocente addio di un'allieva della scuola elementare alla propria affezionata maestra.Scusi se non ho scritto tanto bene, so che bisogna fare attenzione alla grafia, ma non ho avuto molto tempo per scrivere, visto che mi hanno detto che partirà proprio oggi.
Mio padre mi accompagnerà alla stazione così le potrò dare questa lettera con le mie mani e lei saprà che sono stata io a scriverle e che ho pensato a lei e che penserò a lei anche mentre sarà via.
Questa storia si è classificata nona partecipando al concorso "Dal film alla storia" indetto da DarkRose86.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
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Amélie et sa lettre

Note dell'autore:

Questa storia è nata dall'ispirazione datami dalla frase: E lì alla stazione pensai che i treni sono fatti apposta per gli addii. Partono piano, lenti lenti... hai tutto il tempo per pensare a chi sta partendo tratta da "Il Ciclone"

Nel caso i personaggi di questa storia e/o le vicende in essa narrate coincidessero con scritti di altri autori (sia del sito che estranei), sono pronta a scusarmi e a ritirare la storia dal concorso e non pubblicarla sul sito, in quanto non consapevole di farlo.

Nella lettera scritta dalla bambina si potrebbero trovare degli errori grammaticali assolutamente voluti da me autrice, in quanto ho tentato di immedesimarmi in lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

Cara signora maestra,

mia madre mi ha detto questa mattina che partite per un lungo viaggio in treno e che non tornerete più a scuola.

Quando me l’ha detto mi sono dispiaciuta un po’, però poi ho pensato che a tutti piacciono le vacanze, per cui non mi dovevo dispiacere per la sua partenza, anche se so che mi mancherà molto.

 

 

Amélie aveva il cielo negli occhi.

Occhi neri, luminosi. Il cielo vi si specchiava dentro in tutta la sua immensità e densità.

Non solo il cielo azzurro della primavera e quello soleggiato dell’estate, anche quello grigio dell’autunno e quello freddo dell’inverno.

Nei suoi occhi ci leggevi il sole e ti perdevi, incantato dal sorriso in essi racchiuso.

 

 

Ho pensato di scriverle perchè così lei possa avere un mio ricordo.

Negli ultimi giorni ho visto che ci sono tante persone che vanno in vacanza, e mi piacerebbe molto che anche i miei genitori mi portassero dove vanno tutte queste persone, ma loro  dicono che non si può e allora non andiamo in vacanza.

 

 

Amélie teneva in mano il suo pupazzo sgualcito. Occhi di bottone e farfallino rosso, pendeva statico dal braccio della bambina, steso lungo il corpo, e quasi toccava il suolo nero e sporco della stazione.

Amélie guardava il treno pieno di pesrsone e lo frugava con gli occhi e con la mente, lo percorreva, si faceva largo tra la gente. Cercava un viso, bello; delle labbra, rosse. Dei capelli. Neri.

Ce n’erano tanti, tutti simili, ma nessuno era il suo volto.

 

 

Mi sarebbe piaciuto venire in vacanza con lei, signora Aadith, così mi avrebbe potuto insegnare anche a nuotare e io avrei potuto disegnare lei mentre nuotava in mezzo al mare. Però non si può e quindi non ci pensiamo, perchè pensare alle cose che non si possono avere fa venire la tristezza, e io non voglio essere triste e non voglio nemmeno che lei sia triste .

 

 

Amélie era immobile, in mezzo ad una folla in movimento, in mezzo alla gente che gridava, che piangeva, che correva, che spingeva.

Immobile nel suo vestito verde e nero, con un pupazzo in una mano ed una lettera nell’altra. Aveva appena imparato a scrivere, Amélie. Aveva impiegato oltre un’ora per scrivere quella pagina di lettera e ora doveva consegnarla alla signora Aadith, che le aveva insegnato a guardare il mondo e a disegnarlo, a capire il suo rumore e a scriverlo, che le aveva regalato quel pupazzo dal farfallino rosso e che amava quel vestito verde e nero che indossava.

 

 

A scuola mi hanno detto di mettere la firma di tutti quanti al fondo di questa lettera, perchè così lei avrebbe saputo che siamo in tanti a volerle bene, ma io non credo che sia giusto visto che sono solo io a scriverla.

 

 

Amélie osservava ancora e, quand’ormai aveva perso la speranza di trovare colei che cercava, vide quei capelli neri ed arricciati, quel volto latteo e invecchiato dal tempo. Vide quegli occhi verdi impauriti e spaesati e quelle braccia magre che si sporgevano dal finestrone privo di vetro.

E nel vedere la sua adorata maestra ammassata in quel vagone pieno di corpi agitati e di anime massacrate, il sorriso di Amélie si spense; vedendo il verde degli occhi della signora Aadith colare lungo il suo volto in grandi lacrime salate.

Smise di sorridere e corse verso la mano fredda e tremante che si faceva largo tra altre mani tese per aggiudicarsi un’ultima carezza lungo le guance degli amati.

 

 

I o volevo anche dirle grazie per tutte le cose che mi ha insegnato quest'anno. Sarebbe stato bello impararne altre, anche perchè lei è una persona tanto buona ed è bello stare con lei.

 

 

Amélie si unì alla folla che correva e spingeva e cadeva e si rialzava e riprendeva a correre.

Raggiunse quella mano tanto cara e conosciuta e consegnò la sua lettera. Strinse la propria minuta mano a quella della donna ed esplorò i suoi occhi in cerca di qualcosa che non fosse disperazione.

Ma Amélie non capiva, aveva il sole nel cuore e nei suoi occhi c’era ancora il cielo.

La signora Aadith riuscì a vederlo e fece sgorgare un sorriso dalle sue labbra, come acqua fresca e dolce tre quelle lacrime di mare salato.

Un sorriso e poi il fischio del capostazione e gli ordini misti ad imprecazioni dei soldati tedeschi.

 

 

Scusi se non ho scritto tanto bene, so che bisogna fare attenzione alla grafia, ma non ho avuto molto tempo per scrivere, visto che mi hanno detto che partirà proprio oggi.

Mio padre mi accompagnerà alla stazione così le potrò dare questa lettera con le mie mani e lei saprà che sono stata io a scriverle e che ho pensato a lei e che penserò a lei anche mentre sarà via.

 

 

Amélie fece scivolare la sua mano da quella della donna e, con il cuore stretto nel petto, si allontanò dal treno e si fermò in mezzo alla folla che piangeva e che gridava e anch’ella pianse, non riuscendo bene a capirne il perché.

Guardava il treno che si allontanava, carico di donne e uomini e bambini e vecchi. Carico d’individui, presto numeri, presto vuoto, presto nulla.

Ma negli occhi di Amélie tutto ciò non poteva esistere. Vi era solo un lunghissimo treno che, sbuffando fumo grigio, si mangiava, lentamente, l’orizzonte, fino a svanire.

 

 

Spero che lei si diverta in vacanza, signora maestra.

Addio.

 

Amélie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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