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Autore: crazy lion    31/10/2023    0 recensioni
Percy sta giocando con i soldatini. Si diverte, ma in realtà non pensa ad altro che alla serata che lo aspetta assieme alla mamma, visto che è il 31 ottobre. Sally, dal canto suo, sta scrivendo un racconto, è anche e soprattutto preoccupata per l'incolumità del bambino, ma lui la distrae dicendo che vuole prepararsi e la contagia con il suo entusiasmo. La mamma e il suo piccolo passeranno una bella serata insieme? Sarà divertente, nonostante il freddo clima autunnale di Manhattan?
Attenzione: ho scoperto che è possibile scrivere poesie anche al passato e ho deciso che, per questa, il passato remoto fosse il tempo verbale migliore. Lo so, è una cosa insolita, ma mi piace, quindi sarà un modo di scrivere poesie che potrei utilizzare anche in futuro.
Disclaimer: i personaggi di Sally e Percy non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan.
Genere: Fluff, Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Percy Jackson, Sally Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CARAMELLE E CIOCCOLATA: DOLCI MOMENTI AD HALLOWEEN
 
Nella sua cameretta, Percy guardava fuori dalla finestra.
Pioveva, e lui già due volte piangere si era messo
poco prima, quando aveva iniziato.
“Mamma, io voglio uscire, stasera!
Non voglio la pioggia.
Pioggia brutta, brutta, brutta.”
 
Sally, che lì era venuta
per giocare con i soldatini assieme a lui
gli aveva detto di non preoccuparsi.
“Vedrai che smetterà presto.
È vero, sono giorni che scende,
ma non è detto che durerà
per l’intera giornata, tesoro.
Possiamo uscire lo stesso e fare tutto,
davvero, te lo prometto. Se pioverà
ancora, andremo fuori con l’ombrello.
Niente e nessuno ci rovinerà questa serata.”
 
Percy ricordò le parole della mamma,
così dolci e confortanti, come sempre,
che sapevano di biscotti al cioccolato.
Lei lavorava in un negozio di dolciumi
e gli portava a casa qualche leccornia, ogni tanto.
Lui le mangiava con gusto, ma adesso
tutto quello che voleva era vestirsi
o meglio, travestirsi dalla creatura che aveva scelto,
uscire e andare a fare dolcetto o scherzetto
come tutti gli altri bambini del vicinato.
 
Ora, però, era ancora seduto sul pavimento
a giocare e si stava divertendo un mondo.
Se non fosse stata la notte di Halloween,
avrebbe continuato così tutta la sera
finché non sarebbe crollato addormentato
senza accorgersene e e la mammma,
il giorno dopo, gliel’avrebbe raccontato.
 
Era già accaduto, in passato.
I bambini non si stancavano mai, diceva lei,
non si rendevano conto del tempo che passava
mentre giocavano, e così alla fine il loro corpo
diceva loro di smetterla, anche se
la mente poteva essere ancora attiva.
 
Lui non capiva bene quelle parole,
perché erano per persone grandi
e Percy si diceva che era solo un bambino di tre anni.
Ma la mamma ne parlava in modo molto serio,
quindi doveva essere una cosa davvero importante.
 
“Sono il capitano dell’esercito!” esclamò,
muovendo un soldatino davanti agli altri.
Li aveva divisi in file disordinate:
cavalleria, fanteria, e non ricordava le altre.
Ma, di certo, a lui non importava.
Un amichetto, Christopher, era venuto a giocare con lui
quel pomeriggio e gli aveva detto
che si sarebbe travestito da Minion.
 
“Ma non fa paura” aveva risposto il piccolo.
“Non importa. La mamma dice
che posso vestirmi come voglio
e quindi, al negozio, ho scelto quello.”
Non si sarebbero incontrati quella sera,
perché Chris andava sempre dalla nonna
che riempiva ciotole e ciotole di dolci
per i suoi dodici nipoti.
 
Percy aveva dato ragione all’amico.
“Anche la mia mamma mi ha detto così.
Siamo andati a comprare i costumi anche noi.”
E avevano parlato di quanto erano belli,
se li erano descritti a vicenda
e si erano divertiti a fare
diversi tipi di voci a seconda
del personaggio che avrebbero dovuto interpretare.
 
Il bambino si mise a ridere istericamente
perché non proprio riusciva in nessun modo
a immaginarsi come un vampiro cattivo.
Lui era buono, la mamma glielo ripeteva sempre.
Era un bravo bambino, anche se
ogni tanto combinava qualche marachella.
Però lei gli spiegava perché qualcosa si poteva fare
e altre cose, invece, no e Percy imparava.
 
Nel frattempo, Sally era seduta
al tavolo del salotto.
Il loro appartamento non era molto grande,
ma era riuscita a farci stare tutto,
anche il suo computer, che le serviva per scrivere.
Aveva iniziato a sedici anni, poi Percy era nato
e quindi aveva avuto altre priorità,
di sicuro miliardi di volte
più importanti della scrittura,
per quanto, comunque, la amasse e le fosse mancata.
 
Aveva aspettato che il piccolo
fosse diventato più indipendente, per poter
riprendere a scrivere con costanza,
anche se l’aveva fatto, talvolta,
nei momenti in cui, quando aveva uno o due anni,
era tranquillo e dormiva beato.
Lei si era rilassata e aveva ripreso a scrivere racconti.
Le sarebbe piaciuto lavorare a un romanzo,
ma non si sentiva ancora pronta per farlo
e non aveva di sicuro i soldi necessari
per pagarsi un corso di scrittura creativa
che fosse degno di tal nome.
 
Un po’ le dispiaceva,
ma tutto dalla vita aver non si poteva.
La sua gioia più grande era Percy
e, anche se qualcuno le avesse offerto
il miglior corso di scrittura al mondo
in cambio di suo figlio, lei non avrebbe
esitato nemmeno per un secondo
e rifiutato con rabbia.
Nessuno passava davanti al suo bambino.
Anzi, per la verità niente e nessuno.
 
Era ancora preoccupata che i mostri potessero attaccarlo
e stava conoscendo un uomo, ma
non era pronta a dirlo al piccolo, non ora.
Non sapeva come avrebbe reagito.
Lui rispettava questa sua scelta
 
Si conoscevano da un anno, ormai.
Le piaceva? Lo amava?
No, perché puzzava di alcol e sigarette,
ma l’avrebbe sposato per proteggere
il figlio, visto che i mostri sentivano il suo odore.
Tuttavia, se solo Gabe avesse osato alzare le mani sul piccolo
l’avrebbe denunciato alla polizia.
Nemmeno lui le voleva bene, ma stavano insieme
lo stesso, senza una ragione precisa.
Gabe non si era mai ubriacato,
ma il suo odore non lasciava dubbi:
lo faceva spesso, era chiaro.
 
Tuttavia, ora non voleva pensarci.
Anche perché era arrabbiata.
L’aveva invitata a cena proprio quella sera,
quando lei gli aveva già spiegato più volte
che avrebbe voluto dedicarla a suo figlio.
Anzi, a lei e a lui, soltanto a loro due.
Avevano litigato al telefono
mentre Percy era con il suo amico,
e Sally gliel’aveva sbattuto in faccia a metà conversazione.
Gabe voleva che Sally mettesse lui
davanti al suo bambino, davanti a Percy,
e la ragazza non l’avrebbe fatto mai.
 
Ma ora non voleva pensarci.
Solo rilassarsi e lavorare,
o meglio, concentrarsi
su ciò che più amava fare.
Le sue dita danzavano sulla tastiera
intrecciando i fili di una breve storia.
Stava scrivendo un racconto su di loro,
su quanto si fossero divertiti
a cercare le maschere nel negozio
e a provarle fino a trovare quelle giuste.
 
Percy, il suo bambino di tre anni, la raggiunse.
La sua voce era un'esplosione di gioia
Riguardo la notte di Halloween.
“Voglio travestirmi, mamma” dichiarò,
“Perché è il trentuno ottobre,
Te lo ricordi? Eh? Eh? Te lo ricordi?
Non te lo sei dimenticata, vero?”
“Tranquillo, Percy, non lo farei assolutamente.
Non ti devi preoccupare di questo, va bene?”
“Voglio le caramelle e le tavolette di cioccolato.
O i cioccolatini. Tanti, tantissimi!”
 
Accarezzandogli i capelli, Sally sorrise con tenerezza.
“Ti raggiungerò tra poco e ci travestiremo, d’accordo?
Ora devo finire di scrivere una cosa qui.”
Ma Percy, con uno spirito impetuoso e incontenibile,
si arrampicò su di lei, perché voleva persistere.
Per tenerlo al sicuro e affinché non cadesse,
e del male non si facesse,
la ragazza lo prese in braccio.
 
“Cosa stai scrivendo, mamma?”
Il bambino guardava lo schermo
con evidentissima curiosità.
Sally gli sorrise con dolcezza.
Era una scena troppo bella e tenera.
Avrebbe voluto che restasse eterna.
Lui la tastiera toccava, ma i tasti mai schiacciava.
e osservava le lucine del monitor
e i pulsanti del Mouse. Ogni tanto muoveva la freccia.
“Una storia su di noi. Vedrai,
piccolo mio, quando te la leggerò
ti piacerà tantissimo!”
 
Poco dopo lei salvò e chiuse il documento.
Spense il computer. Per quel giorno
la sua sessione di scrittura creativa era finita.
Ma non era di certo così per il divertimento.
“Andiamo, ometto!” lo incitò.
“Chi vuole mettersi il costume più bello del monndo?”
“Io!” il bimbo esultò.
“Allora corriamo. Facciamo a gara
a chi arriva prima in camera, ti va?
Lui fu più veloce e la mamma lo aiutò a vestirsi.
Poi andò nella sua stanza e si mise il costume.
 
Sally era una strega, con un lungo abito nero
e un cappello dello stesso colore
così largo che le copriva la testa e parte del viso.
Percy, invece, era un vampiro, con canini finti e uno scuro mantello,
una creatura in miniatura della foschia lunare.
 
Intrapresero la loro ricerca, mano nella mano.
Percy saltellava e
a ripetere continuava e continuava:
“Caramelle e cioccolata, caramelle e cioccolata!”
“Sì, tesoro, ho capito.
Lo so che ti piacciono, le adoro anch’io.
Ma dobbiamo lasciare spazio agli altri bambini.
C’è una fila molto lunga, vedi?
Dobbiamo rispettarla, perché è giusto così.
Le persone buone e gentili lo fanno.
E noi non siamo cattivi, giusto?”
“No, mamma, siamo buoni. Tanto buoni.”
 
Sally lo abbracciò. “Be’, non siamo certo dei Santi,
ma facciamo del nostro meglio, come tutti.”
“Cosa vuol dire? Non ho capito niente.”
Percy rise e la mamma con lui.
“Non importa. Lo sai che ogni tanto
Mi metto a fare discorsi complicati.
Troppo per un bambino della tua età,
che comunque è grande” ci tenne a sottolineare,
perché non voleva che si mettesse a piangere.
 
Andarono casa per casa.
Il campanello sempre suonarono.
E quando qualcuno apriva e chiedeva:
“Sì?” con gentilezza,
loro alzavano la voce: "Dolcetto o scherzetto?" domandavano,
nella speranza di trovare tesori zuccherati da catturare.
In realtà, non avevano affatto pensato
a nessuno scherzetto da fare,
perché non era mai capitato che
qualcuno rifiutasse loro qualcosina
e chiudesse la porta davanti a loro con rabbia.
 
Infatti, non servì per nulla,
come del resto si erano aspettati
e ne furono, come disse Percy,
“Superiperultramegaextrafelicissimi!”
Un bambino fece una cosa strana: aveva un sacchetto
pieno di soldi di cioccolato in mano e lo lanciò
giù dai gradini di casa. Tenne il contenitore in mano,
mentre i cioccolatini rotolavano e scendevano
come una vera e propria pioggia di felicità,
almeno per Percy e sua madre, incredula e a bocca aperta,
non aveva la benché minima idea di cosa dire.
Non c’erano genitori, o almeno non li vide
e il bimbo non disse niente. Percy lo ringraziò,
lui, però, gli sorrise e senza parlargli in casa rientrò.
“Che strano” disse Sally fra sé e sé. “Non ho mai visto nessun bambino comportarsi così.”
 
Poi, quando si allontanarono, scoppiò a ridere
mentre ripensava a quella scena,
e il figlio la seguì, contagiato dalla sua allegria.
“Perché ridi così tanto, mamma?” le chiese, mentre entrambi si tenevano la pancia.
“Quel bambino… è stato molto strano. Non lui, intendo quello che ha fatto.”
“Perché? È stato buono, ci ha dato tantissimi dolci.”
Sally non cercò di spiegargli la sua visione delle cose.
Percy non aveva l’età per capire come mai fosse perplessa, anche se divertita.
“Sì, hai ragione. Siamo ricchi, siamo ricchi! Avanti, andiamo alla prossima casa.”
 
E così fecero. Suonarono a ogni porta dell’isolato e poi di una parte del quartiere.
Percy non si sarebbe mai voluto fermare,
non sembrava essere mai stanco nel camminare,
quando invece non era così durante le passeggiate.
Ma di sicuro questo stava capitando in quanto
Raccoglieva dolci di tutti i tipi a mani piene:
cioccolatini al latte, fondenti, alle nocciole, caramelle gommose o morbide…
Tutti davano loro qualcosa.
O, se alcuni non lo facevano, era perché
avevano già le finestre chiuse.
Sally spiegò al suo bambino che era normale,
vista la freddissima notte invernale
e il fatto che continuava a diluviare.
 
“Per fortuna siamo vestiti pesanti,
altrimenti sai che doccia ci saremmo fatti?”
“Voglio saltare nelle pozzanghere!”
Percy cercò di scapparle fuori dall’ombrello,
ma lei lo afferrò per un braccio.
“No, piccolo monello. Facciamo questo gioco,
però tu devi restare vicino alla mamma, d’accordo?”
“D’accordo, non scappo più” le promise.
“Che bravo bambino che sei!”
Si diedero il cinque e poi si strinsero la mano,
come per suggellare un importantissimo patto.
 
Le risate dei due riempivano l'aria, il loro spirito era alle stelle,
I cuori pulsavano di immensa gioia.
Percy, saltellando, ora aveva il sacchetto pieno di dolci,
e anche la mamma ne aveva una sporta stracolma.
Dovevano comunque fare attenzione a camminare,
perché rischiavano di perdere
il loro preziosissimo bottino
e non era di certo quel che volevano.
 
Erano stati via per circa due ore,
ma a loro sembrava fossero
passati solo pochi minuti,
tanto si erano divertiti.
E poi Percy continuava a ripetere
che tanti gli avevano fatto i complimenti
su quanto fosse un fantastico, bellissimo
cucciolo di vampiro e si domandava come mai
le persone non si fossero comportate
nello stesso modo con la mamma.
 
“Non è giusto, loro cattivi con te, mamma.
Tu tanto buona, e loro brutti e cattivi.”
Sally sorrise per l’ennesima volta:
Percy era l’immagine stessa della più
semplice e pura innocenza,
quella che caratterizzava tutti i bambini.
Lei avrebbe voluto averla ancora.
 
Non è che l’avesse persa, solo che,
con l’età adulta, o comunque la giovinezza,
questa purtroppo a svanire tendeva.
Ma avere un bambino le cose più facili rendeva,
almeno sotto quel punto di vista.
La ragazza amava credere in Babbo Natale,
come del resto faceva il suo bambino
ed entrambi erano convintissimi
che esistesse davvero, anche per i grandi.
 
Mise giù la sua borsa e strinse Percy forte al cuore,
sollevandolo in aria mentre
lui rideva e un gridolino di
pura gioia e sorpresa lanciava e ripeteva.
“Perché io sono grande, non dovrei nemmeno travestirmi.”
 
“Mi piace Halloween, davvero,” continuò,
“anzi, la adoro, ma è una festa pensata per i bambini, e
non avrei fatto “dolcetto o scherzetto”, se non ci fossi stato tu.
Quelle persone non si sono comportate così
Perché erano cattive, o apposta, e nemmeno per offendermi,
ora capisci, tesoro?”
 
“Ehm… non lo so. Forse sì, credo.”
Sally lo baciò sulla testa.
“Andiamo a casa, su, coraggio.
Sei stato bravissimo, stasera.
Ma ora dobbiamo rientrare: per te fa troppo freddo.”
 
Al loro ritorno, si sistemarono sul divano,
Svuotarono le borse piano piano, ammucchiando tutto
quello che avevano ricevuto in una montagna accanto a loro.
L’abbondanza si stendeva davanti agli occhi dei due.
Percy, adesso, era letteralmente a bocca aperta
e lei, doveva ammetterlo, senza fiato.
 
Non avevano solo due sacchetti pieni di dolci,
perché erano davvero grandi, grandissimi,
quindi si trattava di un banchetto coi fiocchi.
“Posso mangiarli tutti?” chiese Percy.
“No, o poi ti sentirai male.
Un po’ al giorno, e vedrai che li finiremo.
Allora, sei pronto a sgranocchiare?”
“Sì, mamma, ho tanta fame!”
Era più voglia che fame, si disse Sally,
ma provava la stessa cosa anche lei.
 
Mangiarono con gusto e si sporcarono
di zucchero delle caramelle e di cioccolato sciolto.
Dovettero pulirsi e Sally fu costretta
a togliere le borse di dolciumi
e a metterle via, nella dispensa,
dove Percy non sarebbe potuto arrivare,
perché altrimenti non l’avrebbe ascoltata
e, a una velocità a dir poco supersonica,
avrebbe finito per mangiare tutto ma proprio tutto.
Per fortuna il bimbo non pianse né si lamentò,
come invece si era aspettata.
 
Crogiolandosi nel calore della casa e, soprattutto,
in quello dell'amore, con una calda coperta di pile addosso,
madre e figlio si accoccolarono vicini vicini.
Si scambiarono baci e coccole,
si abbracciarono forte e si lasciarono andare all'affetto.
Percy, ormai stanco per il piacere della notte,
si rannicchiò tra le braccia della mamma.
 
Si mise una manina davanti alla boccuccia aperta
e sbadigliò, mentre i suoi sogni prendevano il volo.
Il dolce bagliore della luna baciò il suo viso tranquillo,
Una ninna nanna d'amore che abbracciava la notte.
In quel tenero momento, la beatitudine di una madre,
catturata nella culla dell'abbraccio dell'amore.
Sally, un’aspirante scrittrice, trovò, appunto, una nuova ispirazione,
nell'amore per suo figlio e in quello che lui le donava, una grazia preziosa.
 
Avrebbe di sicuro scritto un altro racconto,
il giorno dopo, decise. E sarebbe
di nuovo stato incentrato su di loro,
sulla notte appena trascorsa, anche
sui momenti di dolcezza e tenerezza
che avevano condiviso.
Perché erano più importanti di qualsiasi dolciume,
di qualunque altra cosa.
Eppure, non poteva negare di essersi divertita.
Quindi sarebbe stata una storia frizzante.
 
Una frase d’inizio aveva già in mente.
Mise giù il bambino e se la appuntò velocemente
su un foglio di carta di un taccuino per gli appunti
che portava sempre con sé in caso di bisogno,
perché, ormai l’aveva imparato, l’ispirazione chiamava e
arrivava sempre quando meno se l’aspettava.
 
Riprese il piccolo fra le braccia e lo cullò, prima seduta
sul divano, appoggiandolo contro il fianco destro
mentre lo sosteneva con il braccio, ma lui si lamentò.
Allora, con delicatezza, lo girò dall’altra parte.
Gli accarezzò le ciglia e le sopracciglia con un dito,
come avrebbe fatto con il pelo di un tenero gattino.
“Magari potremmo averne uno anche noi, un giorno” si disse.
“Percy mi ha chiesto più volte un cucciolo.
Gli farebbe bene e renderebbe entrambi felici.”
 
“Mamma” lui mormorò, mezzo addormentato.
“Shhh, va tutto bene, va tutto bene” lo tranquillizzò,
perché cominciava ad agitarsi e a muoversi
fra le sue braccia, come se stesse facendo un brutto sogno.
Si rialzò e, con passo felpato, attraversò il corridoio.
Stava per mettere il piccino nel suo lettino, ma poi cambiò idea.
Mentre lui continuava a dormire sodo – doveva essere esausto –,
gli sfilò con attenzione il costume da vampiro
e gli infilò il suo pigiamino viola con gli orsetti.
Poi lei fece lo stesso e mise il piccolo nel lettone.
Avrebbero dormito insieme, quella notte.
E sarebbe stata, proprio per questo, meravigliosa e speciale.
   
 
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