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Autore: zero2757    31/10/2023    1 recensioni
[SPIN-OFF DELLA STORIA Humpstead a Min Yoongi Story]
Edimburgo 1975: La bambina Sarah Forsyth viene svegliata dalla madre nel mezzo della notte, hanno una "missione" da compiere e Brian (suo padre) non deve saperne niente. Così si preparano, prendono qualcosa da mangiare ed escono nel silenzio di una città ancora addormentata.
Ma cosa dovranno mai fare Sarah e la madre in una notte come quella?
Si prega di non copiare le mie storie, altrimenti prenderò provvedimenti seri.
Genere: Generale, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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𝐂 𝐞 𝐥 𝐭 𝐢 𝐜  •  𝐖𝐢𝐭𝐜𝐡


[Sono la voce che ti chiama sempre.
Sono la voce e resterò.
Sono la voce nei campi quando l'estate finisce,
La danza delle foglie quando il vento autunnale soffia
.]

Celtic Woman - The Voice



 

Disclaimer: 
La canzone che cito non è ovviamente del tempo e/o usata per tale rituale. 
Così come il luogo del rituale descritto, che non esiste né nei pressi, né all'interno della città di Edimburgo.
 

 Edimburgo 1975.


Il calore delle coperte in cui era avvolta le permettevano di sognare avventure in posti sconosciuti, eppure qualcuno la stava richiamando dal mondo del sogno a quello reale.
«Sarah» un bisbiglio, la voce dolce di una donna che le parve lontana e al contempo vicina. Mugugno’ qualcosa, strinse gli occhi per rimanere attaccata a quella letargica sensazione di benessere ma una mano le carezzò i capelli facendo sì che il sogno divenisse sempre più lontano e irraggiungibile.
«Sarah» ancora un richiamo, la bambina strinse gli occhi un’ultima volta per poi aprirli lentamente. Il mondo le parve scuro, solo alcuni dettagli erano illuminati dal baluginio della candela che le parve fluttuasse nell’aria.
Gli occhi bistrati di sua madre scintillarono in quella mezza oscurità, i capelli castani le ricadevano come una cascata sulle vesti da camera che amava tanto indossare, macchiando di un colore scuro lo scialle azzurro che le pendeva dalle braccia.
Callic le sorrise «Tesoro è ora» calcò volutamente sull’ultima parola per farle capire che si sarebbero dovute sbrigare ed evitare di svegliare Brian, suo padre, che di quella faccenda non sapeva nulla. La bambina allora si stropicciò gli occhi per togliersi quell’ultimo brandello di sonno che le era rimasto, si mise a sedere e la madre le baciò la fronte prima di avvolgerla in un plaid scozzese.
«Su piccolo folletto, dobbiamo sbrigarci» e dette queste parole le porse gli indumenti che avrebbe dovuto indossare prima di riprendere in mano il porta candele e uscire. Sarah si infilò gli spessi calzini di lana, si sfilò la camicia da notte e indossò il vestito di lino bianco lungo sino alle caviglie.
Alla vita allacciò una piccola cordicina intrecciata con fili d’oro, per poi coprirsi con un mantello color della terra di una morbidezza tale che le sembrava quasi un miracolo che si fosse tramandato per così tante generazioni senza danno alcuno. Un lieve bussare le fece capire che la madre la stava aspettando, si mise le ciabattine da esterno e aprì con circospezione la porta per poi afferrare la mano che la madre le tendeva sorridente, mentre con l’altra teneva ancora la bugia. Callic era vestita come lei, solo che alla madre, con quella figura piena, cadeva meglio quello che per Sarah pareva più una sacca che un vestito. Scesero le scale in un silenzio totale, un rapido sguardo all’orologio della cucina, illuminato da un fortuito lampione, segnava le quattro e venti della mattina.
Sua madre recuperò l’indispensabile per una colazione veloce, posò il porta candele e afferrò un piccolo sacchetto al cui interno vi erano nastri dai mille colori della stagione autunnale. Non era la prima volta per Sarah, Callic la portava con sé da quando era venuta al mondo, per lei il freddo pungente dell’inverno, la tiepida brezza dell’estate e l’aria frizzante dell’autunno e della primavera erano inscindibili dalla sua persona. Aveva imparato che la quiete alle volte dava più risposte di una tempesta, Callic spense la candela e presa nuovamente la mano della figlia uscì dalla porta che dava sul retro. Le strade di Edimburgo erano a malapena abitate, la città era nel bel mezzo di una transizione che porta dal sonno alla veglia.
Eppure tutto era immobile, come sotto in un incantesimo quelle pietre brunite e piene di storia erano le sole a sapere che una manciata di donne si radunavano e uscivano dalla città. In lontananza Sarah poteva udire il lieve rumore del fiume Water of Leith, «Folletto» la chiamava sempre così, solo che in queste situazioni vi era una sfumatura nel tono che la faceva sempre sentire come se fosse parte di quel mondo di adulti che rimirava da lontano.
«Che ne dici se corressimo sino al punto di ritrovo?» alla bambina iniziarono a brillare gli occhi, non c’era timore in lei per quel paesaggio così scuro; anzi era il suo parco giochi da sempre. Annuì così energicamente che Callic dovette reprimere una risata, nessuno del quartiere doveva sapere dove lei e la figlia stessero dirigendosi.
«Bene kobold sai sin dove arrivare, giusto? Al mio tre. Uno-» ma la madre non finì di contare che iniziò a correre, il suono stizzito della bambina le arrivò comunque in maniera distinta nonostante fosse più avanti di questa di mezzo metro. Avrebbe voluto ridere ma sempre per evitare di far troppo rumore si trattenne, passò poco che la figlia la superò: i capelli rossi che svolazzavano da una parte all’altra, le gambe nude che venivano toccate appena dal tessuto del vestito, i calzini di lana affondati nelle scarpe che, come macchie di colore, apparivano e scomparivano.
Le braccia aperte di lei mentre continuava la sua corsa illuminata solo dai lampioni e dal lento rischiarare dell’alba. Sembrava una Selkie che, spoglia del suo manto, correva libera in un mondo fatto per gli spiriti, Callic fu presa quasi dallo spavento.
Per un breve secondo le era parso di vedere la figlia adulta, in tutta quella mistica bellezza che doveva ancora sbocciare ma poi la tenerezza prevaricò e gli occhi le si inumidirono.
Se l’aveva vista significava che quella era la via giusta per lei, non poteva impedirle di divenire quella Sìdhichean che era destinata a diventare. La bambina era giunta in fondo alla via e, sorridente, si voltò verso la madre che si era un attimo fermata poco distante; in quel momento Sarah parve risplendere in tutta la sua infantile felicità. Callic scosse la testa e dichiarò la sua resa con un finto fiatone, facendole i complimenti su quanto fosse divenuta veloce, si ripresero per mano e insieme varcarono la soglia data da una grande sequoia che portava alla Water of Leith Walkway.
Adesso il rumore del fiume era forte e continuo.
Camminarono per quel terreno acciottolato per un bel po’ sin quando non giunsero al tempio, il St. Bernard’s Well, dove una luce nel buio rischiarava il volto della statua dedicato alla Dea Hygeia. «Oh eccole!» disse una voce con un timbro che era più alto dei bisbigli che madre e figlia si erano scambiate nel tragitto per giungere alla meta.
«Callic, Sarah benvenute!» un brusio allegro le accolse, altre donne con appresso le figlie sorrideva loro.
Vi era Mildred con sua sorella Joan, una la moglie del vicario e l’altra bibliotecaria presso la Edinburgh Central Library, che non mancavano mai un raduno.
Sheila, l’insegnante di Sarah, con sua figlia Yvonne che non appena vide la compagna la raggiunse ridacchiando di felicità e lo stesso fu per la figlia di Callic.
Pauline, la cui madre aveva abbandonato da tempo la congrega, ma che non soccombeva alle richieste di questa di lasciare a sua volta e sposata con il migliore amico di Brian.
Rosemary, che come il suo nome suggeriva, stava cercando di farsi valere nel campo della botanica presso l’università della città sull’importanza che le piante officinali potevano apportare in ambito medico.
Lady Grace, figlia del sindaco di Edimburgo: Lord Frank Ross, e sua nipote Clarisse; nuova alla congrega.
Amy e la sua compagna Robin, proprietarie di un negozio di fiori sulla Drumsheugh Place e che ogni volta Callic e Sarah vi passavano regalavano alla bambina un fiore ed un cioccolatino al rum.
Infine vi era Phyllis, la leader di quel piccolo gruppo di donne, di giorno lavorava in comune e quando vi erano le feste la si vedeva in prima linea nell’organizzazione di piccoli ricevimenti per la modesta parrocchia del quartiere o con le mani in pasta in qualche sagra che si sarebbe tenuta in un posto talmente sperduto di cui nessuno sapeva l’esistenza.
E ve ne erano altre ancora, che sicuramente le attendevano nello spiazzo dove erano solite ritrovarsi in determinate occasioni. Phyllis diede un’occhiata al cielo e con tono autoritario richiamò la congrega che alle sue parole iniziò a incamminarsi tra i fitti alberi con le loro candele in mano, il tragitto fu un po’ più lungo del previsto ma arrivarono per tempo. L’alba iniziava a intaccare quel manto nero che sino a poco prima era solo lievemente increspato da qualche accenno luminoso.
Vi era una piccola radura poco fuori Edimburgo, che in pochi, se non i più esperti camminatori, conoscevano.
Sequoie, conifere e sicomori circondavano quella radura di fortuna al cui centro vi erano cinque pietre disposte a cerchio, poco distanti da esse un altro gruppo più nutrito di donne e bambine le aspettava buttando occhiate ansiose al cielo.
«Oh ce l’avete fatta, meno male!» a quelle parole dette da una delle molte presenti Phyllis rispose con un gesto stizzito «Non c’è tempo per i dileggi, Dianne – disse rivolta ad una donna dai lunghi capelli grigi raccolti in una treccia – quanto abbiamo?» questa scrutò a sua volta la volta celeste «All’incirca un’ora, se va bene».
Phyllis annuì «Forza, è giunta l’ora!» le prole di quest’ultima fecero sì che le donne presenti, vestite tutte alla medesima maniera, aprissero i loro sacchetti con all’interno i nastri colorati di giallo, rosso, marrone e via dicendo. Se li legarono l’un l’altra tra i capelli, per poi disporsi in nutriti gruppi tra gli spazi vuoti delle pietre, le candele ancora tra le mani.
Phyllis e Dianne intonarono una nota, per poi iniziare il loro canto intrecciato a quello delle altre donne presenti, poi cominciarono a ballare seguendo la pianta di quei menhir. Se si fosse vista dall’alto, si sarebbe potuto vedere la forma di un fiore che, muovendosi, si chiudeva per poi sbocciare nuovamente.
La nenia che quel gruppo nutrito di donne adulte e future stava intonando era sul freddo, sulla natura, sulla sua voce che imperitura comanda ogni cosa.
A metà ballata, il gruppo si fermò e formò due cerchi: uno interno composto dagli elementi più giovani e che si trovava dentro quella disposizione di menhir, l’altro con tutte le altre donne al suo esterno.
Ogni anno vi erano due elementi che chiudevano il rituale cantando nuovamente quella nenia portando le mani al cielo rischiarato, bagnandosi della prima luce di quel capodanno celtico.
Quell’anno toccava a Sarah e ad una ragazza di nome Evelina, così le due si misero proprio al centro di quel pentacolo e la canzone con tutte le altre voci cesso’. Il cerchio interno si disperse non appena la voce piena di Evelina iniziò a cantare, gli occhi rivolti al cielo oramai quasi terso e ricolmo di nuvole dalla lattiginosa presenza.
Fece tre giri su se stessa per poi fermarsi di fronte a Sarah, alla quale fece un piccolo inchino – segno che adesso toccava a lei – la candela ardeva a metà nel porta candele stretto tra le sue mani. Sarah riprese da dove l’altra si era interrotta e come Evelina fece tre giri su se stessa, ma quando era a metà del secondo le parve – per un brevissimo istante di intravedere una bambina su per giù della sua età: gli occhi grigi, i capelli neri – quando però si trovò davanti la compagna di danza se ne era già dimenticata.
Con le mani libere dalle candele, delle quali unirono i palmi, fecero un ulteriore giro e di nuovo di fronte l’una all’altra con un gesto sincrono spensero le fiammelle. Il sole si stava levando, i colori che avevano accennato uno schizzo suggestivo sparirono per lasciare spazio all’azzurro tra uno spazio di nuvole e l’altro.
Tutte le donne lanciarono un ultima nota nell’aria per poi esplodere in risate, scambiandosi gli auguri che quella sera non si sarebbero potute fare. «Perbacco, c’è mancato poco che non riuscissimo a terminare il rituale propiziatorio!» disse Phyllis con il suo solito tono un po’ burbero e un po’ scherzoso allorché Joan le diede una pacca affettuosa sulla spalla, alla quale la donna rispose con un sorriso genuino.
Evelina si avvicinò a Sarah e le fece i complimenti «Sei stata bravissima, non è semplice la prima volta che si affronta il rituale» la bambina arrossì, non poteva neanche lontanamente spiegare la gioia e l’orgoglio che le stritolavano il cuore. «Grazie» rispose lei ancora rossa in viso «Folletto!» la voce della madre fece voltare la piccola che prese la rincorsa e si buttò tra le braccia di Callic.
«La mia piccola è oramai una grande componente della congrega Gealach» disse con tono che solo le madri orgogliose hanno quando si tratta dei propri figli che raggiungono un traguardo importante. La prese in braccio e con dolcezza le baciò entrambe le guance per poi fissarla negli occhi «Sembravi uno spirito etereo, Folletto. Eri bellissima» la bambina arrossì ancora di più quando alcune delle donne diedero man forte a Callic nell’elogiarla.
Erano le sei della mattina del trentuno Ottobre e di lì a poco tutte loro sarebbero dovute tornare alla loro quotidianità, ma ancora per pochi minuti erano quelle figure mistiche che nei racconti folcloristici venivano definite streghe.
E Sarah non poteva che esserne più orgogliosa, ancora in braccio a sua madre diede un’occhiata al margine della radura e la medesima bambina che aveva intravisto durante il ballo la salutò.
Sarah, un po’ confusa ripose al saluto e, quasi fosse stata solo un miraggio, in un battito di ciglia quella scomparve. Per un attimo ne fu quasi spaventata ma poi, non seppe come, si tranquillizzò: la Dea non faceva vedere cose senza uno scopo, sua madre glielo diceva spesso.
Quindi sorrise e si strinse più a Callic, non vedeva l’ora di incontrarla di nuovo.


[Fine.]
 
 

 

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Significato dei Nomi in Gaelico/Spiegazioni:

Callic - Strega
Kobold - Folletto
Selkie - Figura mitologica che ha le sembianze di una foca ma che, spoglia di questa pelle che questa creatura di può togliere a suo piacimento, diviene umana. Famosa è la storia dell'uomo che rubò la pelle di una Selkie di cui si era innamorato per sposarla.
Sìdhichean - Fata o Piccolo Popolo.
Gealach - Luna.


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L'angolo Dell'Autrice:

𝑩𝒖𝒐𝒏 𝑯𝒂𝒍𝒍𝒐𝒘𝒆𝒆𝒏 
🎃 
Ciao a tutti, spero di non intromettermi in una sezione non mia ma purtroppo non ho potuto mettere questa storia dove dovrebbe essere a causa dell'assenza del personaggio principale ossia: Min Yoongi dei BTS.
Per chi non lo sapesse questo è un piccolo spin-off della mia storia principale: Humpstead. Che vede come protagonista un membro del gruppo dei BTS, quindi chiedo scusa in caso fosse un po' fuori contesto riguardo la sezione, per chi è arrivato qui già dalla precedente storia: sì, quella che Sarah vede alla fine è proprio Ophelia. Così, come Callic intravede la figlia cresciuta anche lei vede un pezzo di futuro. Diciamo che ho voluto dare una chiave un po' più onirica e magica al contesto che riguarda proprio Sarah ossia la madre di Ophelia.
Ovviamente, come già accennato ad inizio storia, il luogo che descrivo dove si svolge il rituale non esiste a Edimburgo (se poi è esistito nei secoli precedenti non saprei dirvelo, sarebbe figo però! xD) così come la canzone usata, ovviamente, che nel 1975 non c'era. 
Bhe dai, per essere un fuori programma sono molto soddisfatta, spero che a voi sia piaciuta come io mi sono divertita a scriverla. Detto questo vi auguro un BUON HALLOWEEN o SAMHAIN (il capodanno celtico), e noi ci vediamo in una nuova storia! <3

zero2757

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