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Autore: _Kalika_    10/11/2023    2 recensioni
Kageyama Tobio conosce le stelle.
Hinata Shouyou non sa neanche dov'è l'Orsa Maggiore.
***
«Il cielo è diverso» Un sussurro interrompe il flusso dei suoi pensieri. Si gira, Kageyama, e vede le stelle riflesse in uno stagno. In uno stagno scuro e piccolo che sbatte un po’ assonnato, ma che brilla come mai prima d’ora. Come può un riflesso essere meglio dell’originale?
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Tokyo Training Camp Arc
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Deneb
 

 

«Te l’avevo detto che era una cattiva idea» Kageyama si libera la strada dai rami con un gesto lento e uno sbuffo, stringe gli occhi. Un paio di lampioni non farebbero male, ma le uniche luci di cui può godere sono quelle delle palestre ancora aperte, che adesso sembrano così lontane, e quella ancora più debole delle stelle.

«Ma che dici! Che non vedevi l’ora di farlo! E poi mica può essere andata lontana»
Crack, crack, crack
Spezza tutti i ramoscelli che incontra con il suo passo rapido, a malapena sente la voce dell’altro che gli risponde per le rime.

«Sei tu che hai insistito tanto. “Alleniamoci al buio, se schiaccio al buio poi sarà più facile farlo con la luce!” Almeno non l’hai lanciata giù per la collina»

Crack. Smette di cercare, Hinata, si ferma a osservare accigliato l’altro: «Perché, adesso pensi che allenarsi al buio non sia efficace? Stai passando dalla parte di Tsukishima?»

«Ovvio che no, boke.»

Sbuffa un sorriso di rivincita, riabbassa gli occhi tra i cespugli. «E allora ammettilo che avevo ragione a venire qui.»

«No.»

«Ah?! Ma è vero!»

«…»

Si addentra ancora di più nella selva, ormai deve quasi urlare per farsi sentire. Si lancia giusto un’occhiata alle spalle per cercare la sagoma scura dell’altro. Si rigira schioccando la lingua.

«Kageyama…!»

«Che vuoi? Ho detto di no ed è-»

«No, no, trovata! È quella vero? È troppo tonda per essere naturale! Dev’essere lei…»

Allunga una mano nel cespuglio, si passa la lingua sui denti senza neanche accorgersene mentre pregusta il ritorno all’allenamento. «Hai visto che ci abbiamo messo poco, l’ho già trova… tro… rovi.» Neanche si gira mentre Kageyama gli arriva di fianco, osserva quel poco che può vedere della mano graffiata, rielabora il tutto. Con il suo ritmo.

«Rovi?»

«Rovi.»

Faccio io. Non l’ha detto ma lo sente, lo sente con ogni fibra del suo corpo quando Kageyama lo spinge di malagrazia e allunga le braccia nel cespuglio, salvo poi ritirarle indietro pochi secondi dopo. «Rovi» L’unica parola con cui può commentare le nuove ferite da battaglia.

«Rovi.»

Lì in piedi, a fissare il cespuglio inquadrando la palla forse per l’ultima volta. Per un istante Hinata ha l’istinto di ribadire che aveva ragione, ma la delusione per l’allenamento mancato ha la meglio. Le sinapsi iniziano a lavorare. Uno, due, tre secondi. Forse un po’ di più. Poi, l’idea.

«Andiamo a prenderne un’altra?»

«Se le palestre sono ancora aperte… Stavano chiudendo»

Si girano in sincrono, muovono quei pochi passi che servono per raggiungere l’apice della collina e guardare giù, dando le spalle al fatidico cespuglio di rovi. «Guarda là, una ha ancora le luci accese.» Hinata indica una porta aperta proprio mentre una figura ne oscura l’entrata «Oh, è Tanaka-san che sta uscendo! Tanaka-san che sta… che ha appena spento le luci.»

«E chiuso la porta»

«…a chiave.»

«e se ne va fischiettando con le chiavi in mano.»

«Tanaka-saaaaaan!!»

«Siamo troppo lontani.»

Sospirano in sincrono. Hinata abbassa la testa stropicciandosi gli occhi, Kageyama la alza verso il cielo con uno sbuffo. Sta ancora fissando le stelle quando sente tirarsi la manica e la sua voce impastata interrompe il flusso dei pensieri. «Andiamo a dormire?»

«Non ancora» L’erba è un cuscino morbido e invitante. Il cielo un film troppo bello da ignorare, tanto bello da mozzargli il fiato, come ha sempre fatto. Non gli va di spiegarsi, e sa che non ce n’è bisogno. Si sdraiano uno accanto all’altro, assorti.

Kageyama fissa il cielo. All’inizio non vede altro che una massa informe di puntini, poi qualcosa inizia a delinearsi. Il cantare dei grilli dà vita a un disegno melodioso, le lentiggini del cielo iniziano a collegarsi con sentieri lievi quanto i fili d’erba che gli solleticano la pelle oltre la maglia.

Eccole, eccole, piano piano le riconosce. Se le ricorda. E l’occhio si fa esperto in pochi secondi, racconta la storia di quei disegni luminosi. Il vento sembra sussurrargli all’orecchio un infinito romanzo. È tutto così familiare, tutto così…

«Il cielo è diverso» Un sussurro interrompe il flusso dei suoi pensieri. Si gira, Kageyama, e vede le stelle riflesse in uno stagno. In uno stagno scuro e piccolo che sbatte un po’ assonnato, ma che brilla come mai prima d’ora. Come può un riflesso essere migliore dell’originale?

Non ha risposta. Eppure la prova è lì a pochi centimetri da lui. Forse dovrebbe avvicinarsi e controllare meglio?

«È diverso» ripete Hinata, sbattendo le ciglia e ridestando l’attenzione del compagno. «Non riconosco queste stelle»

«Il cielo è lo stesso, boke.» e a malapena trattiene il brivido nella voce mentre si stacca a forza da quel lago splendente. Allunga una mano verso il vuoto, socchiude gli occhi. Sente il suo sguardo su di lui. Al solo pensiero, sente di avere più caldo. Ma forse è solo la brezza estiva. «È che da questa parte del Giappone guardiamo un’altra parte dell’orizzonte.»

Un gufo sbatte le ali, li osserva da lontano. Richiama un amico. Un verso lento, rilassato.

«Aah… Tu come le sai queste cose?»

«…»

È distratto. Se n’è accorto da un po’, Hinata, ma è curioso e non vuole mollare la presa. Continua a guardarlo in attesa di una risposta, ma vede soltanto il suo sguardo assorto che fissa l’abisso, o forse la sua stessa mano in esso dispersa, con i graffi rossi sul dorso. Si ferma ad osservarne il profilo. È serio, come quando si concentra per un’alzata perfetta. Ha già visto tante, tante volte quell’espressione, è così familiare che non può fare a meno di rilassarsi. Potrebbe annegare in tutta quella calma. Sorride.

Kageyama sbatte leggero le palpebre, ruota appena gli occhi verso di lui per un istante. Si incrociano, poi torna a guardare il cielo. Sembra quasi stia analizzando qualcosa. All’improvviso fa più caldo. Devono averlo sentito anche i grilli, pare che cantino più forte.

Allora Hinata rigira la testa, ammira la sagoma della mano di Kageyama distesa nel vuoto. Non riflette più di tanto mentre gliela afferra per riscuoterlo. È grande, ma delicata. Non potrebbe fare quelle sue alzate perfette altrimenti. È quasi gentile a discapito del proprietario, è leggera e stranamente tesa mentre si appoggia al palmo di Hinata in un gesto automatico. Strano. Avrebbe giurato che sarebbe scattato lontano dalla sua pelle.

«A-allora? Lo hai studiato?»

«Ah, no.» Allontana la mano, la abbassa per coprirsi il viso con tutto l’avambraccio. «Me l’ha detto mio nonno.»

«Ah.» C’è tensione. Non capisce perché, Hinata. Però la sente pure lui, nella sua voce e nel calore delle guance. Non è tensione negativa, però. Solo che gli rende difficile parlare, come se ci fosse qualcosa bloccato a metà tra la voce e le parole che ha in testa. «E… Mh, e ti ha insegnato anche le costellazioni?»

«Sì.» C’è un lieve sorriso nelle sue parole. Hinata non ne capisce il motivo, ma non può fare a meno di ricambiare. Respira a fondo. La mano affusolata si alza di nuovo verso il cielo, indica qualcosa. «Ad esempio, quelle tre sono il triangolo estivo. Deneb, Altair e Vega.»

«Quali?»

«Quelle là. Sono tre stelle che formano un triangolo.»

«Hai idea di quanti gruppi di tre stelle ci siano?»

Un mugugno infastidito. Forse è meglio non tirare troppo la corda. Stavano così bene, tranquilli com’erano. Non ha proprio senso litigare adesso. «Sono molto luminose.» Percepisce appena lo sguardo di Kageyama che si ferma su di lui per un secondo, di nuovo. Insistente. «Deneb sta… no, aspetta, l’Orsa Maggiore la conosci?»

«Quella a forma di padella? Quella lì?» Sforza le meningi. Non è un esperto, ma qualcosa la sa. «Quella della Stella Polare?» La sta indicando. Sì, sì, dev’essere quella, che sembra una pentola col manico. Sorride soddisfatto.

Ci mette un po’, a riconoscere la sagoma della mano dell’altro davanti a lui. Che all’inizio indica qualcosa. Poi si muove, e fa incrociare le dita tra loro. Le sue dita. Le dita di Kageyama insieme a quelle di Hinata. Hinata che smette di respirare. Solletico. Gli sfiora l’indice che sta ancora indicando la costellazione. Poi la presa aumenta sul polso, gli trascina il braccio. «Quella è l’Orsa Minore, boke. Questa è la Maggiore. La vedi? È capovolta.»

Non risponde, Hinata. La tensione è semplicemente esplosa. Non sente più niente tranne le dita di Kageyama sulle sue. «A-ah…»

«Adesso guarda la stella più a sinistra di tutta la Maggiore, la coda.» Continua a guidarlo, Kageyama, non lascia la presa. La sua voce è calma. Forse un po’ tremula. «E ora sali, sali, sali…» Le due mani ancorate tracciano lentamente una linea retta. Incontrano un puntino luminoso, più luminoso di tutte le stelle intorno. «Quella è Deneb.»

Hinata si è perso. «Ah…»

Vorrebbe davvero capire dov’è Deneb, o cos’è Deneb, ma le cicale e i grilli e forse anche il vento e il bum, bum, bum che gli risuona nelle orecchie rendono davvero difficile concentrarsi. Sente un solletico sottile sulla mano, proprio lì dove tocca la pelle di Kageyama, che gli arriva fin dietro il collo, e capisce soltanto che non è un solletico brutto. È un solletico che sa di aver già sentito, ma che adesso sembra un po’ speciale. Forse è per il caldo. O per le stelle. Deneb.

Deneb è già andata via, adesso indica Altair, lassù, lassù e Hinata non ha proprio idea di quale sia.

Ma che importa.

C’è un cielo intero da esplorare.

 

 

*** Angolo dell'autrice ***

Questa storia è stata un esperimento senza pretese, solo per tirare fuori dalla testa qualche idea sulla Kagehina.
Nelle intenzioni originali, sarebbe dovuta rimanere in un angolo del computer a invecchiare insieme a tanti altri esperimenti. Eppure, scrivendola e rileggendola, mi ci sono affezionata.
Non ha trama, non ha motivo di esistere, non ha niente di originale.
Ma spero che abbia fatto sorridere qualcuno come l'ha fatto con me.
   
 
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