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Autore: Shainareth    19/11/2023    2 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Non appena la vide, Athrun si tirò su in piedi. L’aveva aspettata lì, seduto sul pavimento, ancora con la divisa indosso. La divisa di Orb. Lo aveva già visto così, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lui, con i colori della sua nazione, Cagalli si sentiva felice e orgogliosa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athrun Zala, Cagalli Yula Athha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RIFUGIO


«Cagalli?»
   La voce di Kisaka sembrò provenire da un luogo remoto della sua coscienza, ma riuscì comunque nell’intento di farla tornare lentamente in sé. Schiuse gli occhi, accorgendosi solo in quel momento di essere ancora in ufficio, piegata in due sulla scrivania sulla quale aveva finito per crollare dal sonno. Ora che la guerra poteva dirsi conclusa e le manie di onnipotenza di Dullindal erano morte insieme a lui, ora soprattutto che l’Archangel e la Kusanagi avevano fatto ritorno a Orb, Cagalli aveva sentito di colpo la stanchezza e la tensione piombarle addosso.
   Si sollevò a sedere in posizione corretta, stropicciandosi un occhio. Kisaka sorrise. «È molto tardi, dovresti davvero andare a riposare», le consigliò con fare quasi paterno. Da quando era rientrata in patria, la ragazza si era fatta carico di tutte le responsabilità che avevano portato la sua gente in guerra, non risparmiandosi un solo istante per rimediare ai propri errori. Nessuno aveva mosso una sola critica nei suoi confronti, poiché sapevano che gli altri Emiri l’avevano messa con le spalle al muro, ma rimaneva il fatto che lei si sentiva ancora in colpa per quanto accaduto.
   «Gli altri...?»
   «Si sono tutti ritirati per la notte», spiegò l’uomo, che aveva preferito invece rimanerle accanto fino all’ultimo. «Va’ a casa anche tu.»
   Concedendosi ancora qualche momento per ricordare a se stessa concetti basilari come rimettersi in piedi e camminare, Cagalli decise infine di dargli ascolto. Si sentiva a pezzi, intontita per il sonno e la stanchezza, e si apprestò a uscire dall’ufficio stiracchiando le membra come se d’improvviso avesse avuto molti anni in più.
   Quando fu in corridoio, il fido Kisaka sempre un passo dietro di lei, arrestò il suo incedere e il suo cuore ebbe un sussulto: non era vero che erano andati tutti a casa a riposare.
   Non appena la vide, Athrun si tirò su in piedi. L’aveva aspettata lì, seduto sul pavimento, ancora con la divisa indosso. La divisa di Orb. Lo aveva già visto così, ma ogni volta che i suoi occhi si posavano su di lui, con i colori della sua nazione, Cagalli si sentiva felice e orgogliosa.
   Quando l’equipaggio delle due navi era sbarcato a Onogoro, l’Emiro Delegato aveva salutato e ringraziato ognuno dei suoi valorosi uomini, lieta che fossero tornati tutti sani e salvi. Aveva pianto di gioia nel riabbracciare suo fratello, ma quando il suo sguardo si era posato sulla figura di Athrun la commozione era stata tale che non era riuscita a proferire parola e si era limitata a piangere più forte di prima. Il giovane non aveva voluto infierire davanti a tutti, vista la presenza di politici, ufficiali e giornalisti che non erano a conoscenza del loro profondo legame, e aveva preferito rimanere al proprio posto, limitandosi a divorarla con lo sguardo da lontano. Quelle lacrime erano state la più bella dichiarazione d’amore che lei potesse fargli.
   «Sei... rimasto qui tutto il tempo...?»
   «Volevo accompagnarti a casa», spiegò Athrun, rimanendo a una rispettabile distanza. Non avevano quasi avuto modo di parlare da quando erano sbarcati insieme a Orb, rimettendo il potere nelle mani dell’Emiro Delegato eletto dal popolo. Tutto era avvenuto così repentinamente, fra tante, troppe situazioni da rimettere in sesto a causa di quei maledetti usurpatori dei Seiran, che non erano riusciti a parlare a tu per tu neanche per pochi minuti. Non che adesso il giovane si aspettasse un chiarimento, poiché le cose più importanti se le erano già perdonate a vicenda quando si erano ritrovati sull’Archangel.
   Cagalli non rispose. Ancora una volta non riuscì a trovare le parole per esprimere la propria riconoscenza. Né poteva lasciarsi andare a gesti istintivi come quando era ragazzina, perché sapeva che c’era ancora qualcuno all’interno dell’edificio - senza considerare le telecamere della videosorveglianza.
   Conoscendola come le sue tasche, Kisaka intuì subito il suo stato d’animo. «Se ci pensi tu, allora vado», disse al giovane, consapevole che in realtà in quel momento nessuno dei due lo stava ascoltando davvero. Si sentì rispondere con un balbettio confuso da parte di lei e, intenerito, li lasciò soli.
   Occhi negli occhi, i ragazzi si sorrisero a vicenda. «Andiamo?» domandò Athrun, semplicemente. Lei annuì e insieme si avviarono verso l’uscita, fianco a fianco come sempre.
   Quando arrivarono all’auto che li stava aspettando fuori, il giovane aprì la portiera e si volse a guardarla, porgendole la mano per aiutarla a entrare. Sebbene il modo in cui accettò la sua offerta apparisse delicato, in realtà Cagalli si aggrappò a lui con tutta se stessa. Era, quella, la prima volta che riuscivano a toccarsi da quell’ultimo abbraccio di commiato, prima che Athrun partisse per la guerra. Era tornato da lei. Soprattutto, era tornato sano e salvo.
   Si concessero almeno quel lusso, sia solo per pochi attimi. Poi, tornarono a fingere indifferenza e attesero di essere a casa, lontani da occhi indiscreti, prima di poter osare dire o fare qualsiasi cosa esulasse dalla cortese educazione. Non riuscirono tuttavia a ingannare la buona Myrna che, non appena li vide arrivare, li guardò con espressione amorevole e commossa, riservando loro le medesime cure di sempre, come se mai nulla fosse cambiato in quei lunghi mesi di assenza.
   Infine, quando rimasero soli per davvero, nel corridoio - a quell’ora ormai deserto - che conduceva alle camere da letto, Cagalli parlò. «Perdonami.»
   Athrun, che non si era reso conto che lei si fosse fermata alcuni passi più indietro, si voltò a guardarla con un certo stupore. Fu sul punto di chiederle la ragione di quelle scuse, dal momento che avevano già ampiamente discusso dei propri errori passati, quando la vide torturarsi la mano sinistra. Fu allora che comprese e sorrise con tenerezza. «Dovrei essere io a chiederti perdono per averti fatto pressione.» La vide alzare gli occhi ambrati sui suoi, timorosa di averlo ferito in qualche modo. «Va bene così», le garantì, sincero come sempre. Ora che la guerra era solo un brutto ricordo, avrebbero avuto tutto il tempo del mondo, lavorando insieme per mantenere l’equilibrio raggiunto non soltanto a livello politico.
   Sorridendo a sua volta, e rincuorata da quelle parole, la ragazza tornò ad avanzare e si fermò davanti a lui. «Grazie. Per essere tornato.»
   In che altro posto credeva che sarebbe mai potuto tornare? Fu questo che si trattenne dal chiederle Athrun, sconcertato da quel suo innocente timore. Cagalli era il suo rifugio, la sua àncora, ciò che lo aveva tenuto saldo sulle gambe negli ultimi anni. Anche quando non erano insieme, il pensiero di lei lo manteneva lucido e concentrato su quello che contava davvero per lui, per loro: un mondo di pace e di tolleranza, capace di accettare dei sentimenti puri e veri come quelli che li univano. Prima ancora di amarsi, i due ragazzi si volevano bene per davvero. Era questa la ragione per cui nutrivano un’incrollabile fiducia l’uno nell’altra, per cui sapevano che si sarebbero sempre sostenuti a vicenda, a prescindere da tutto e da tutti.
   «Sono tornato grazie a te», risolse di rispondere il giovane, senza aver bisogno di mentire. Sotto gli occhi stupiti di lei, infilò le dita nel collo della maglia verde che indossava, tirandone fuori l’amuleto protettivo che portava sempre con sé.
   «La pietra di Haumea...» mormorò Cagalli, commossa per quell’ennesima dimostrazione di affetto da parte di lui. Non era la prima volta che le diceva che quel regalo lo aveva preservato da morte certa. Che fosse o meno merito suo, non aveva importanza, pensò la ragazza, mentre sollevava le dita per sfiorare la superficie liscia della pietra. Gentilmente, Athrun le prese la mano nella propria e a lei sembrò grande, calda e protettiva come sempre. Si scambiarono uno sguardo appena, poi vinsero finalmente la distanza fra loro e si strinsero in un abbraccio che avrebbe fatto male al cuore a chiunque li avesse visti.



 
  
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