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Autore: Tynuccia    26/11/2023    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] L’altro schiuse le labbra per far cadere tutti i santi dal paradiso, ma vide come l’espressione goliardica di Dearka si intensificò, lo sguardo puntato esattamente dietro di lui. E quello non era affatto un buon segno.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dearka Elthman, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Separazione
 
 
 
Shiho si prese un istante per appoggiarsi al muro dell’ufficio ed esalare un sospiro gigante. Era da una settimana che viveva con l’ansia per l’arrivo di quel giorno, e si sentiva una colossale idiota. 
 
Portò una mano al petto e lanciò un’occhiata alla poltrona del suo superiore, attualmente vuota. Avrebbe dovuto abituarsi a quella vista, considerando che il Comandante Joule sarebbe stato impegnato per un mese sulla Terra, alle prese con gli ultimi ritocchi per il trattato di pace con l’Alleanza e Orb. Nonostante fossero affari legati alle sue attività nel Consiglio, lei e Dearka avevano trascorso svariate giornate lavorative perfezionando l’incredibile mole di scartoffie che componevano le richieste delle Colonie. 
 
Inizialmente si era quasi risentita per aver dovuto accantonare il suo vero lavoro, ma più rivedevano i documenti, più sentiva che, in qualche modo, stava contribuendo alla risoluzione di tutti quegli orribili problemi che li avevano catapultati in una seconda guerra nel giro di due anni dalla fine della prima, molto più che pilotando il suo Mobile Suit in giro per lo spazio. 
Riempiendosi di malcelato orgoglio, il Maggiore Hahnenfuss sapeva che quella sensazione era soltanto sostitutiva alla consapevolezza che, per trenta giorni, non avrebbe potuto interagire con lui
 
Ed era quello scomodo sentimento che la portava a vergognarsi profondamente. 
 
Come una ragazzina spensierata, si era ritrovata a far girare le sue giornate attorno alla consapevolezza di lavorare per e con la persona che più ammirava. Fosse stata una questione meramente di stima, non ci sarebbero stati problemi nel salutarlo con un distaccato augurio di buona fortuna, ma il problema era che Yzak Joule rappresentava, per lei, tutt’altro che un superiore dalle invidiabili capacità. 
 
Già ai tempi della prima guerra, quando aveva avuto modo di conoscerlo davvero, aveva capito che le piaceva a livello emotivo, e diventare una sua sottoposta sulla Voltaire e sulla Rousseau non era stata certo la mossa più ideale per convincersi che le sue fantasticherie fossero sconvenienti e assolutamente fuori luogo. 
Certo, era stato più semplice rimproverarsi sapendo che, comunque, l’avrebbe visto la mattina dopo, ma ora che se ne stava per andare, per quanto temporaneamente, doveva scendere a patti con il fatto che non avrebbe potuto continuare così ancora a lungo. 
 
Si faccia valere”, borbottò, in una disgustata imitazione di sé, quando, poco prima, il Comandante Joule aveva indossato il cappotto per uscire. Si era perfino messa sull’attenti con rigore, come se tra di loro ci fosse un muro, e non una reciproca e solida amicizia. 
 
Stava per tornare ai suoi doveri, quando i suoi occhi si posarono su una cartellina, piuttosto voluminosa, ancora sulla superficie di mogano della scrivania. 
 
Non ci pensò sopra due volte. 
 
*
 
“Quanto cazzo ci vuole per questo maledetto transfer?!”, abbaiò Yzak, controllando per la milionesima volta l’orologio che portava al polso.
 
Alla sua sinistra, Dearka emise un fischio prolungato. “Sei più nervoso del solito”, constatò, guadagnandosi un borbottio incoerente. “C’è un traffico infernale, sono certo che arriverà a momenti”.
 
“Ho un volo da prendere”, sillabò l’albino, fissandolo come se fosse un mentecatto. 
 
Dearka roteò gli occhi al cielo. “Sarai sullo shuttle privato di Lacus, dubito che ti lasci a piedi”, gli fece notare, quindi gli afferrò il polso e lo scosse su e giù. “Inoltre, mancano ancora tre ore alla partenza. Dio mio, Joule, vedi di rilassarti”.
 
Yzak ringhiò, divincolandosi dalla sua presa. “Scusami tanto se sto per partire alla volta di quel cesso di pianeta per consentire a te e a tutta questa marmaglia di gente di dormire sonni tranquilli!”, esclamò. “Rilassarmi non è sicuramente tra le priorità della missione”.
 
Abituato alla sua linguaccia velenosa, il biondo sogghignò con aria furba. “Vuol dire che non mi manderai neppure una cartolina?”, lo provocò, fingendo un sincero dispiacere. 
 
L’altro schiuse le labbra per far cadere tutti i santi dal paradiso, ma vide come l’espressione goliardica di Dearka si intensificò, lo sguardo puntato esattamente dietro di lui. E quello non era affatto un buon segno. 
Si voltò, alla ricerca di cosa avesse attirato l’attenzione dell’amico, ma fu sorpreso di scoprire che si trattava, più che altro, di chi.
 
“Maggiore Hahnenfuss”, chiosò il biondo, scrutando la loro collega, che si era precipitata fuori dal quartier generale di ZAFT come un uragano, e che ora stava tentando di riprendersi a pochi centimetri da loro. “Ti sei dimenticata di dargli un bel bacio di addio?”. 
 
Entrambi sobbalzarono a quella frase, ma lei era senza fiato, quindi fu proprio Yzak a difendere il loro onore. “Elthman”, sibilò, minaccioso. “Ti ricordo la gerarchia e che esiste un’etichetta da seguire, sia con i colleghi che con il tuo superiore”.
 
Dearka si arrese, gettando le mani in aria davanti a sé. “Tanto ormai sono diventato amico di quel tipo delle risorse umane, lo sento praticamente ogni giorno perché mi sgridi sulle mie bravate”, li informò, prima di superarli e concedere una pacca amichevole sulla spalla del Maggiore. “Vi lascio un attimo, ma vi ricordo che siamo in pubblico”. 
 
Yzak lo fissò con astio mentre si allontanava, quindi tornò a prestare attenzione alla sua sottoposta, che ancora era piegata con le mani sulle ginocchia ed il fiatone. “Sei fuori forma”, notò, asciutto. 
 
“E lei è uno sbadato irriconoscente”, ansimò Shiho, rossa in volto. Aveva appena fatto di corsa un quantitativo spropositato di scale, ed il sollievo che aveva provato quando li aveva visti ancora in attesa dell’auto si era subito trasformato in estrema frustrazione. Prima che potesse ricordare anche a lei ruoli e disciplina, si risolse a sbattergli tra le mani la cartellina. “Ha dimenticato questa”.
 
Inizialmente, Yzak adocchiò il dossier come se non lo avesse mai visto in vita sua, ma poi riconobbe in esso il contenitore di documenti talmente riservati che non avrebbe sicuramente potuto farli ristampare a Zurigo, dove le trattative si sarebbero svolte. “Oh”, fu tutto quello che gli riuscì di dire. 
 
Shiho si raddrizzò, trovandolo buffo in quel raro momento di umanità, ma anche estremamente indisponente. Come al solito. “Dovrebbe ringraziarmi, al posto di farmi notare sciocchezze”. 
 
Non essendo in grado di prendersela troppo con lei, Yzak si affrettò ad inserire la cartellina nella valigetta. Il suo nervosismo, oltre che per lo scopo di quel viaggio, era anche dovuto alla fastidiosa idea che proprio non sopportava sentirsi così miserabile solo perché si sarebbero dovuti separare. Il Maggiore era diventata una costante presenza, negli ultimi anni, ma era impensabile che gli sarebbe mancata così tanto. “Sei stata molto… accorta”, concesse infine, tornando a fronteggiarla. “Ben fatto”.
 
Shiho dovette lottare contro l’istinto di scattare sull’attenti a quelle parole, e si limitò ad annuire. “Per qualsiasi cosa”, mormorò poi, guardandolo con espressione mortalmente seria, “sa che può scrivermi, vero?”.
 
Yzak rimase un attimo in silenzio. Detestava con tutto se stesso le chiacchiere triviali, specie alla fine di una giornata estenuante e con un fuso orario di mezzo, ma l’idea di poterla sentire non gli sembrava così astrusa. “Contavo comunque su costanti aggiornamenti sull’andamento della squadra”, le venne incontro. “C’è un motivo se ho affidato a te la Voltaire, e non a Dearka”.
 
“Comprensibile”, rise lei. “Mi comporterò come se fosse qui, non si preoccupi”. 
 
“Sono certo che farai un buon lavoro”, ammise, sincero. Con la coda dell’occhio vide la sua auto accostare e tossicchiò appena, approfittandone per guardare la sua sottoposta un’ultima volta. Avrebbe voluto accomiatarsi da lei in maniera più soddisfacente, ma si limitò a farle un cenno con il capo. 
 
Percependo un sensibile imbarazzo nell’aria, Shiho inspirò a fondo e gli sorrise. “Dovrebbe sbrigarsi, signore. Ha ancora parecchi documenti da rivedere”. 
 
Yzak aprì la portiera, quindi si sentì pervadere da una strana sensazione che lo spinse a voltarsi nuovamente verso di lei. “Quando torno vorrei portarti fuori a cena, Shiho”, disse, provando un’euforia tutta nuova nell’istante in cui i suoi begli occhi viola scintillarono con delizia. 
 
“Certo”, accettò la ragazza, calciandosi mentalmente per la fretta e l’entusiasmo con cui aveva risposto. Si ricompose, schiarendosi la gola. “Faccia un buon viaggio, allora”, aggiunse, tendendogli la mano. Lui gliela strinse di buon grado e si accomodò, finalmente, nell’auto. 
 
Shiho rimase qualche istante impalata sul marciapiede, osservando il traffico con sguardo vacuo e valutando che, forse, quella separazione era tutto ciò di cui avevano davvero bisogno per andare avanti.
  
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