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Autore: carachiel    27/11/2023    0 recensioni
(Yu-gi-oh Zexal × Hannibal)
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Conoscendo Faker, era convinto che lo avrebbe trascinato da qualche senile luminare che non avrebbe nemmeno capito davvero cosa aveva davanti, il tutto condito da domande prevedibili e noiose.
Ma se le cose stavano così, poteva solo dire che sarebbero state di gran lunga più interessanti, quasi al punto da scusare Faker per averlo trascinato fin lì.
Quasi.
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Per tentare di risolvere gli innumerevoli problemi tra di loro, Tron e Faker vanno nello studio del dottor Lecter.
[vaghissimo shonen-ai]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Byron Arclight/Tron, Dr Faker
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Naoko_chan, per avermi fatto scoprire questa meraviglia di serie, e per un miliardo di altri buoni motivi



(de)construct


All these times, I simply stepped aside
I watched but never really listened
As the whole world passed me by
All this time, I watched from the outside
Never understood what was wrong or what was right




Comincia con un rettangolino di carta che Faker si ritrova in tasca. Non c'è niente di degno di nota su di esso, solo un nome – Hannibal Lecter – con sotto la scritta "Psichiatra, psicoterapeuta", l'indirizzo e un numero di telefono. Non sa dove l'ha preso o trovato – dato che il nome non gli ricorda niente, per cui esclude la possibilità di averlo incontrato e non ha mai avuto a che fare con strizzacervelli di sorta, anche solo indirettamente –, se era nella posta, in mezzo a qualche agenda o abbandonato sul tavolino di un bar – l'unico che frequenta, così al margine e periferico che i pochi avventori che vi bazzicano non notano nemmeno, o fingono di non notare, la presenza del sindaco seduto al tavolino più interno, una tazza di caffè nero e amaro davanti – o se qualcuno gliel'ha dato e lui distrattamente se l'è fatto scivolare nella tasca, durante l'ennesimo inverno troppo freddo e troppo noioso.
Non che gli importi più, a quel punto. Essere sindaco di Heartland, dopo la fine del precedente, era come il titolo di dottorato che precedeva il suo cognome e non ci dava quasi più peso, come se un peso non lo avesse neppure mai avuto e – "Eppure, lo fai" replica Tron, interrompendo il suo treno di pensieri, soffiando sulla propria tazza di té. "O avresti rinunciato subito all'incarico, appena potevi."
Faker non risponde, passa meccanicamente le mani sulla tazza che stringe. La porcellana è calda, contro le sue dita gelate, eppure lo sente a malapena, anche con l'odore intenso e pungente di zenzero e cannella che gli invade le narici.
Non avrebbe rinunciato, quello era fuori discussione. Rinunciare significa tornare al vuoto degli anni precedenti, ritrovarsi troppe ore di solitudine a casa, senza la minima idea di come impegnare il tempo, aspettando che Hart torni da scuola, che Kite riemerga dal laboratorio dove si è rinchiuso e costringersi a una parodia di normalità, fingendo che vada tutto bene, anche con la noia che gli mangiucchiava la mente e le membra.
"Tu vorresti che rinunciassi?"
"Dio, no, non ti saprei vedere come una casalinga annoiata" replica ridacchiando.
"Non sarai tu, la casalinga annoiata?" domanda, sporgendosi più avanti sul tavolo.
Se non lo conoscesse, potrebbe giurare che sul viso del suddetto è passata un'ombra di rabbia, che sembra invecchiare tutto d'un tratto i suoi lineamenti infantili, quasi come fosse l'impronta del sé stesso precedente, quasi come fosse... Ma dura solo un istante e Tron ride di nuovo, in una risatina venata di isteria e Faker piega a sua volta le labbra mentre si risponde che no, ha solo troppa paura di tornare a casa e che questa è solo l'ultima delle troppe cose che li accomuna dopo... Beh, dopo tutto quello che è stato.
Quando finisce di ridere, Tron svuota in un sorso la sua tazzina e la poggia, facendo tintinnare la ceramica, per poi guardarlo di nuovo con un'espressione strana, qualcosa che riesce a ricollegare solo a prima e dire "Sai che non dovremmo affrontare così la questione. Non bevendo té e lanciandoci frecciatine."
Faker fa roteare il suo té nella tazzina, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi "Il primo è stato una tua idea."
"Lo so. Ma non me ne stavo lamentando."
"È un buon té" concede, bevendo un sorso.
"È un ottimo té. Ma tu non puoi parlarne, visto che preferisci comunque quella brodaglia nerastra."
"Stai mancando il punto" replica lentamente, poggiando la tazzina sul tavolo e giocherellando assentemente col cartoncino che ha tirato fuori dalla tasca.
"Tu stai... Ok, sai cosa, non ha importanza, continuiamo così" replica sollevando le mani e facendo un gesto come a invitarlo a continuare.
"Così come?"
"Così come... Puoi smetterla?" E, proprio in quel momento, nota il cartoncino che si stava rigirando tra le dita e domanda: "Un... biglietto da visita?"
Non è proprio una vera domanda, più una richiesta di conferma ma Faker annuisce comunque, allungandoglielo.
"Hannibal Lecter."
"Lo conosci?" domanda. Non dovrebbe esserne davvero stupito, visto che l'altro aveva già dimostrato abbondantemente una certa conoscenza circa quasi ogni personalità della città.
"Sì, ha uno studio in centro. Prima esercitava come chirurgo. Ho sentito dire che è bravo."
"Meglio, perché stavo pensando di andarci."
"Tu...?"
Per una frazione di secondo Faker può ammirare come il viso dell'altro sia completamente defluito da ogni colore e risulti persino più bianco dei guanti del suddetto, come se indossasse una maschera (sic!) di marmo dall'espressione stupidamente vacua.
"Con te."
Bene, se qualche istante fa ogni colore era scomparso dalle sue fattezze, quelle due parole bastano a farlo tornare, fino a farlo mutare in un vivace color geranio, prima che balbettare incoerentemente "Io... Tu... Non... Ma nemmeno...!"
"Sei stato tu a sollevare la questione, sbaglio, Byron?" domanda, alzando un sopracciglio e incrociandone brevemente l'occhio spalancato.
"Sì, ma..."
"Ma cosa? Non pensavo avessi questo tipo di preconcetti."
"Non li ho, infatti ma non ho nemmeno detto 'Andiamoci a far frugare nella testa, sì, grazie, non vedo l'ora', diavolo...!" replica alzandosi dalla sedia – o sarebbe più corretto dire che scivola giù dalla suddetta, visto che non tocca neppure terra con le scarpe – e camminando avanti e indietro gesticolando come se fosse un mimo.
"Ho solo offerto una soluzione" risponde serenamente.
"Bene, è ufficiale, odio le tue soluzioni!"
"Del resto se non sei parte della soluzione sei parte del precipitato."
A quelle parole Tron si ferma e la sua espressione indica l'uguale desiderio di ridere per la battuta orrenda e di prenderlo a schiaffi – posto che riesca ad arrivarci – per avergli rubato la suddetta, risolvendosi nel fissarlo con odio.
"Allora, lo chiamo e fisso un appuntamento?"
"Esci. Da. Qui."


Quando il dottore apre la porta dello studio, deve ricredersi. L'uomo che ha davanti non era affatto come se l'era immaginato e non ha bisogno di guardare Faker per sapere che la pensa esattamente come lui.
È alto e giovane – avrà sulla quarantina, probabilmente –, i capelli castani accuratamente pettinati da un lato, sbarbato e, non per ultima, irradia un'aria di sofisticatezza e intelligenza. E anche... pericolo?
Qualunque cosa fosse, non lo pensava così.
Conoscendo Faker, era convinto che lo avrebbe trascinato da qualche senile luminare che non avrebbe nemmeno capito davvero cosa aveva davanti, il tutto condito da domande prevedibili e noiose.
Ma se le cose stavano così, poteva solo dire che sarebbero state di gran lunga più interessanti, quasi al punto da scusare Faker per averlo trascinato fin lì. Quasi.
Il dottor Lecter li guarda brevemente e, nonostante abbia la maschera – una precauzione necessaria, quando va in pubblico – sente lo sguardo del suddetto perforarlo e, quel che è peggio, è che non sembra minimamente turbato dal suo aspetto.
"Sindaco Faker" mormora brevemente in segno di riconoscimento "e... Byron Arclight?"
"Esatto" replica Faker in tono nervoso, lisciandosi le maniche della camicia spiegazzata. Tron annuisce a sua volta e si appunta mentalmente di chiedere al dottore dove compra i suoi abiti, che sembrano di eccellente sartoria.
"Prego, entrate" mormora, richiudendo la porta dietro di loro.

Com'è prevedibile, anche lo studio del dottore irradia intelligenza e buon gusto. È ampio, arredato con una scrivania, alcune poltroncine in pelle nera, una chaise longue e circondato da un'enorme libreria posta su un piano sopraelevato.
Prendete posto mentre il dottore domanda garbatamente "Cosa vi porta nel mio studio?" alché tu e Faker vi scambiate freneticamente occhiate furibonde cercando di istigare l'altro a cedere e dire la verità, finché quest'ultimo non risponde "In realtà, perché abbiamo molto di cui discutere".
Molto un corno, replichi mentalmente.
"Allora sono felice che siate qui a parlarne. Tuttavia, non credo che il suo amico, qui, sia del medesimo avviso" replica lentamente, voltandosi a guardarti con quei suoi penetranti occhi scuri.
Ha un accento strano, noti, che suona vagamente mitteleuropeo*.
"Non lo sono, infatti" replichi incrociando le braccia ostinatamente.
"Perché dice questo?"
"Perché non penso ci sia niente di cui discutere. Il caro sindaco, qua, sa già quello che è successo."
"E come mai non varrebbe la pena discuterne?" domanda nuovamente voltandosi verso Faker.
"Secondo lui è acqua passata, dottore, e secondo me no."
"Panta rei**" mormora a mezza voce, continuando a guardarlo.
"Non... Non ci chiede quello che è successo? A lui, intendo?" domanda Faker agitandosi a disagio sulla poltroncina di pelle, alla ricerca di una posizione più comoda e Tron gli direbbe che può fare a meno di smaniare. Non c'è. Nessuna posizione più comoda su quella poltroncina.
"Potrei" concede il dottor Lecter con una calma che ha qualcosa di snervante "Ma non ne ho davvero bisogno. Lei lo guarda come se si trovasse alla sua altezza, pressappoco, in più parla con un linguaggio e un lessico che mi fa intuire un background scientifico, nonché una classe elevata. Mi sbaglio, signor Arclight?"
"Ha ragione" gli concedi, togliendoti la maschera e lasciando che i suoi occhi vaghino verso la metà mancante del tuo viso, nella galassia e fin nel buco nero in miniatura dove una volta c'era il tuo occhio.
Cala un istante di silenzio, finché Faker non borbotta, tossicchiando "Beh, quello... Quello è stato uno sfortunato incidente... Uno squarcio tra le dimensioni... Il portale..."
"Uno sfortunato incidente causato da te" replichi, puntandogli contro l'indice.
"Ti ho già detto che mi dispiace" mormora, tenendo la mano davanti alla bocca.
"Beh, dispiaciti di più e rifallo di meno!" esclami, il tono che si surriscalda fino ad esplodere "Anche se... Non credo che tu abbia di frequente l'occasione di buttare giù gente da portali interdimensionali, fino a farli finire in squarci tra i suddetti mondi, am – I – wrong...?"
"Scusate..." interrompe il dottor Lecter e, dal modo in cui ti giri e Faker ti imita, un'espressione di vaghissime scuse e giusto una punta di irritazione sul viso, è palese che entrambi vi siete dimenticati di non essere soli nella stanza "Ho capito che il signor Arclight non è come appare, almeno ora, ma non credo di aver capito bene la dinamica del suddetto incidente."
"Io..." mormora Faker con un'ombra di disagio dipinta sul viso all'idea di dover raccontare quella parte della storia, per poi interrompersi e guardarti con un'aria a metà fra l'implorante, lo speranzoso e il 'non pensavo davvero di dover far questo'.
"Ho capito, la racconto io" replichi in tono pratico, per poi cominciare.
Durante il racconto, che stranamente Faker interrompe meno volte di quanto pensassi, solo per fornire informazioni aggiuntive o chiarire scenari, noti l'espressione del dottor Lecter passare dall'indifferenza alla blanda curiosità, fino al reale interesse, e non sai se è un bene.
"...e questo è quanto."
"Capisco..." replica nuovamente in un tono che ha una qualità indecifrabile "E lo odia, per questo?"
"Non più" ammetti, portando lo sguardo su Faker, che sembra improvvisamente voler essere a centinaia di kilometri di distanza.
Del resto, pensi, sentirsi in colpa dev'essere una sensazione nuova per lui, specialmente farlo quando non aveva messo in pericolo solo sé stesso, tutto il peso sulle spalle di ogni decisione sbagliata e di tutte quelle che non gli ha mai detto, che ha affrontato da solo.
"Eppure, lo incolpa."
"Cos'altro potrebbe fare?" interviene Faker in una voce piccolissima, appena più di un sussurro che, se non fossi certo di non avere più un cuore, quel tono esatto te lo farebbe stringere "So quello che ho fatto e so che ha ragione."
"Il tradimento e il perdono sono visti come qualcosa di analogo all'innamoramento***..."
Vi scambiate uno sguardo perplesso e vagamente imbarazzato, prima di replicare "Noi... Non siamo innamorati, dottore."
"Ah, no?" replica sardonico "Allora suppongo che non le rimangano che due strade: perdonarla o..." fa una pausa, sembra pregustarsi le parole che seguono, gli occhi che brillano malevoli "Ammettere a sé stesso che lo odia tanto quanto odia sé stesso, per aver permesso tutto ciò... e perseguitarlo fino all'inferno e oltre."



One day, I'll face the hell inside me
Someday, I'll accept what I have done
Some time, I'll leave the past behind me
For now, I accept who I've become





*dell'Europa centrale, dove si trova la Lituania, paese natale di Hannibal
**tutto scorre, secondo la filosofia greca
***puntata 3×03, Bedelia Du Maurier a Hannibal



Angolo Autrice:
In psicologia il "construct" (o construtto) in italiano racchiude lo 'schema di lettura’ degli eventi (per predirli, controllarli, dare loro un significato) e si crea a seguito di esperienze vissute, stimoli provenienti dal proprio ambiente familiare, sociale, culturale.
Invece, le parole all'inizio e alla fine del testo sono prese da I Apologize, dei Five Finger Death Punch.
Ringrazio chi leggerà e spero che questo esperimento (difatti, il mio primo crossover) risulti gradito~
   
 
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