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Autore: Antonia_P    27/11/2023    1 recensioni
«Lui non c’è più» bisbigliò. Aggrottai la fronte, mi scostai una ciocca di capelli ribelle e mi piegai sulle ginocchia doloranti. Allungai una mano per toccarle la spalla, ma rimasi paralizzata alla vista del suo viso: era identico al mio.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Nuovo personaggio, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Your face is like a melody. It won't leave my head. Your soul is haunting me and telling me that everything is fine but I wish I was dead. Il tuo viso è come una melodia. Che non lascia la mia testa. La tua anima mi perseguita dicendomi che va tutto bene, ma vorrei essere morta - Dark Paradise, Lana Del Rey.

*
*


Mi sistemai una ciocca di capelli castana che mi era caduta davanti al viso, quasi a tradimento. Lanciai un’ultima occhiata alla macchina parcheggiata e mi concentrai su qualcosa di più importante: il cielo sopra di me. Era nuvoloso, talmente nuvoloso che non si intravedeva nemmeno un piccolo raggio di sole. I lampi, i tuoni e il vento sferzavano la città mettendo in difficoltà tutte le persone che erano per strada.
 
«Che succede?» mormorai.
«Sta arrivando una tempesta» spiegò Paul.
 
Aggrottai la fronte stranita da quella spiegazione e tornai a guardare quello che stava accadendo. Le persone correvano in cerca di riparo, le foglie rotolavano sui marciapiedi e qualche albero tremava infreddolito. Improvvisamente accadde qualcosa. Le nuvole smisero di rincorrersi, la macchina di muoversi e la mia migliore amica di russare. L’orologio che avevo al polso segnava le 18:30 e la lancetta più grande sembrava intenzionata a non muoversi.
 
«Padrona, tutto bene?» mormorò una voce.
 
Distolsi lo sguardo pensieroso dal polso e lo puntai sul ragazzo seduto a pochi centimetri di distanza. I capelli parevano neri, ma sotto la luce a led dell’auto acquisivano una colorazione rossastra. Gli occhi scarlatti mi fissavano preoccupati mentre le labbra erano piegate in un piccolo broncio.
 
«Non mi piace essere chiamata così» affermai, riferendomi al titolo che aveva usato per attirare la mia attenzione «Usa il mio nome come fanno tutti quelli che mi conoscono».
 
Il giovane storse il naso, abbozzò un sorriso sghembo e incrociò le gambe con una certa nonchalance.La giacca di pelle nera ricoperta di borchie argentee tintinnò ravvivando l’auto…immobile: «Ci proverò» borbottò il ragazzo che si chiamava Slyfer «Ma non è nervosa perché l’ho chiamata padrona. Questo tempo non è di suo gradimento?» piegò il capo verso il finestrino abbassato.
 
«Mi piace la pioggia» cercai di stare attenta a quello che dicevo, per non offenderlo «Ma, mi dispiace per le persone in difficoltà».
«Che cosa vuole che faccia?» chiese Slyfer.
«Eliminala» ordinai.
 
Slyfer annuì al suono del mio ordine, batté le lunghe ciglia nere e allungò la mano sinistra. Inizialmente il palmo era completamente vuoto, ma ben presto la situazione cambiò come per magia. Una strana luce apparve e il vento iniziò a vorticare tra le sue dita e ad accarezzare i miei capelli facendomi un lieve solletico.
 
«E’ sempre un piacere servirla».
 
Slyfer sorrise con dolcezza, fece un lieve inchino e scomparve così come era apparso: dal nulla. Improvvisamente il tempo tornò a camminare, quasi a correre per recuperare ciò che aveva perso. Le nuvole tornarono a rincorrersi, ma il loro colore prima nero era tramutato in un bianco innocente. Il vento pericoloso, quasi mortale, aveva perso la sua potenza e si era trasformato in una brezza.
 
«La tempesta è passata» disse Paul.
«A quando pare» mormorai.
 
La mia migliore amica mugolò scocciata, strusciò il viso sulla mia spalla e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino ben chiuso. Dopo di che osservò me, ma soprattutto il bracciale dorato che mi adornava il polso destro con regalità: «Intervento divino?» bisbigliò con voce roca.

«Se te lo dicessi, non sarebbe più divino» scherzai.
 
La mia migliore amica roteò gli occhi azzurri come il cielo estivo, si sedette meglio al mio fianco e posò la testa pesante sulla mia spalla destra. Tra le mani stringeva il piccolo cellulare che le si era scaricato durante il lungo viaggio in aereo New York-Domino.
 
«Miss Kleox, siamo arrivati!».
 
Io e la mia mia migliore amica sussultammo contemporaneamente al suono di quella affermazione. Ci sistemammo i vestiti, prendemmo un respiro profondo e uscimmo dal mezzo di trasporto. Fortunatamente la pioggia era scomparsa ed era stata sostituita da un meraviglioso cielo colorato.
 
«Contenta?» chiesi alla mia amica.
«Decisamente» ridacchiò lei.
 
Il nostro accompagnatore piegò le labbra in una smorfia carica di divertimento e ci fece segno di seguirlo fino all’entrata. Facemmo come ci era stato richiesto e ci incamminammo verso il cancelletto in ferro battuto della villetta. Mi bloccai quando uno strano tintinnio si fece spazio nella mia testa facendomi venire le vertigini. Mi massaggiai entrambe le tempie e mi guardai attorno alla ricerca della fonte di quel suono così fastidioso. Aggrottai la fronte quando mi ritrovai ad osservare un edificio a due piani composto da un piccolo negozio e un appartamento. La porta in legno non era completamente visibile poiché era coperta da qualcuno: un ragazzo.
 
«Nonno, sono tornato!» lo sentii dire.
 
Indossava una divisa scolastica di colore blu piuttosto semplice e una piccola cartella marrone. Si pulì le scarpe da ginnastica sul tappetino su cui era scritto un semplice benvenuti e varcò la soglia. Dopo di che si voltò per chiuderla. Piegai il capo di lato quando intravidi un sorriso infantile, ma anche qualcosa di piuttosto grande e brillante. Una collana completamente d’oro simile ad un puzzle dall’aspetto di una piramide rovesciata.
 
«Lui. Lui è andato via».
 
Mi si bloccò l’aria nei polmoni quando una voce femminile riecheggiò nella mia mente per alcuni istanti. Riportandomi… Riportandomi all’incubo avuto durante il volo New York – Domino, di poche ore fa. Spalancai la bocca e sussultai appena percepii una mano calda e sicura sulla spalla sinistra. Deglutii un fiotto di saliva quando annegai negli occhi semi preoccupati della mia migliore amica: «Tutto bene?» mi chiese.

«Un po’ di stanchezza» balbettai.
 
Mi mordicchiai il labbro inferiore e tornai a fissare il piccolo negozio di giochi dall’altra parte della strada. Questa volta, però, la porta principale con su scritto aperto era ben chiusa e la voce… non tornò. Scossi lievemente la testa per dimenticare ciò che era appena accaduto e mi diressi verso il cancelletto. Questo era stato aperto con una chiave magnetica simile ad una carta di credito dalle sfumature argentee.
 
«Niente serratura?» chiese Emy.
«Niente serratura» chiarì Paul.
 
Abbozzai un sorriso un po' stanco, avrei risparmiato qualche secondo e un po’ di forza, e feci il mio ingresso nel giardino che presentava cespugli verdissimi e ricoperti da more selvatiche, ma anche alcune rose profumate di diverso colore. Mi resi conto che era stato curato nei minimi dettagli, mentre ero stata oltreoceano.
 
«Le valigie?» domandai.
«Sono già arrivate» disse Paul.
«Fantastico!» esclamò Emy.
 
Il mio cuore fece una capriola quando ci ritrovammo sotto al portico composto da tegole di legno e… un’altalena cigolante. Paul inserì la chiave all’interno della serratura, questa era la classica, e la girò più volte. Alla fine, sentii un click e la porta si aprì. Wow! La casa, all’interno, era davvero enorme e molto occidentale considerando dove ci trovavamo. La prima stanza a sinistra era la cucina, quella a destra ospitava il salotto mentre al piano di sopra c’erano tre bagni, tre camere da letto tra cui uno studio dall’ampio balcone.
 
«Quanto tempo» mormorai.
 
La prima cosa che feci fu percorrere il corridoio dalle alte pareti e dirigermi verso la cucina che si trovava in fondo a tutto e affacciava, seppur solo in parte, sul giardino appena percorso. Quest’ultima era lucidissima e piena di utensili utili come padelle, ma anche servizi di piatti in bella vista.
 
«Vi serve qualcosa?» domandò Paul.
«No. Non penso» dissi.
 
Emy si avvicinò ai fornelli che accese girando una delle tante manopole, recuperò un bollilatte dal mobiletto sopra la sua testa e vi versò all’interno dell’acqua. Quando iniziò a bollire versò al suo interno una bustina di camomilla che sparse il profumo per tutta la casa vuota.
 
«Ottima idea» ammisi.
«Non ho voglia di mangiare» ridacchiò Emy.
 
Mi sentivo allo stesso modo della mia amica. Da quando ero scesa dall'aereo non avevo avuto voglia di mettere qualcosa nella pancia, non mi sentivo molto bene e non mi sentivo molto a mio agio a causa del lavoro che avrei iniziato a breve, a causa de paparazzi a causa degli strani sogni che mi avevano tenuta agitata.
 
«Va bene» sospirò Paul «Serve dell’altro?».
«No. Stiamo bene così» affermai.
 
«Allora, a domani!».
«Buona notte, Paul» dicemmo in coro io e Emy.
 
L’uomo si grattò la nuca con un certo imbarazzo, sorrise timidamente e si diresse verso l’uscita chhe si trovava dall'altra parte della casa. Quando sentii la porta chiudersi con un semplice tonfo, mi rilassai come non avevo mai fatto da quando ero arrivata in città.
 
«E’ pronta!» esclamò Emy.


*
*


Buonasera a tutte e tutti coloro che leggeranno questo mio secondo capitolo. Chi ha conosciuto questa storia in precedenza, avrà già notato una differenza che non dico per sicurezza. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.  Detto ciò ringrazio infinitamente chi ha letto questa nuova version e chi la commenterà facendomi sentire la sua presenza. Se tutto va bene, salvo imprevisti o impegni improvvisi, ci sarà un aggiornamento a breve!
   
 
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