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Autore: BusyBird    30/11/2023    1 recensioni
(Formattazione aggiustata)
Non avrebbe mai immaginato di parlarne con lui, ma Ichigo sapeva benissimo che confidarsi con una delle ragazze o con Ryou non l'avrebbe aiutata per nulla. Quindi eccola lì, timida, a 28 anni, impaurita e impacciata mentre cercava di spiegare all'alieno come si sentisse.
"A 13 anni pensi di essere invincibile. Pensi di riuscire a fare questo lavoro per sempre, ma quando cresci e ti rendi conto di non riuscire a dare le spalle alla persona che ami - quando hai sempre il timore che ogni singola persona attorno a te possa essere un nemico, in quei momenti capisci che non riuscirai mai ad avere una vita normale."
Genere: Angst, Generale, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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NOTE: e niente. Ogni tanto Ichigo e Kisshu mi appaiono in sogno, manco mi stessero implorando di scrivere qualcosa su di loro. Ma in questo periodo di scrivere proprio non ne ho voglia, e di disegnare anche meno, quindi ho cercato fra le varie storie presenti qui e su AO3, ma non riesco a trovare nulla che sazi questo bisogno che ho di vedere qualcosa su di loro di questo genere e con queste tematiche.

Volevo scrivere qualcosa di diverso, e ho notato che mancano quelle storie crude e drammatiche che tanto amo, e che, soprattutto, mancano le storie che hanno come fulcro il dopo di tutto ciò che è stato il manga Tokyo Mew Mew, quindi… quindi ecco un “cosa sarebbe successo se…” anni dopo la fine della guerra.

Quindi… che posso dire, ci si prova. Voglio provare a scrivere qualcosa che possa piacermi. Ovviamente, ho già preso in considerazione la possibilità che potrei non avere abbastanza ispirazione in futuro per finirla, ma per ora 3 capitoli sono già in cantiere.

I POV si alternano fra Ichigo e Kisshu.

Buona lettura.

29 / 11 / 2023

To New Beginnings

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**1**

Ora che la loro vita era stata stravolta dalla scomparsa, definitiva, di Profondo Blu, Kisshu era finalmente capace di crogiolarsi nei piaceri che un ragazzo della sua età avrebbe dovuto vivere da sempre. Certo, adattarsi alla normale vita da quindicenne era strano e alieno (che bello usare questa parola senza essere davvero l’alieno di turno), alla fine, lui era stato cresciuto come un piccolo soldatino di latta: sarebbe stato molto complicato accogliere questi cambiamenti.

Ma ce l’avrebbe fatta.

O così pensava; ci mise un po’ a capire che non si sarebbe mai disfatto di quel mondo di sangue e rancore al quale Profondo Blu li aveva abituati. Gli incubi e i ricordi dovevano ancora essere elaborati ora che era finalmente libero, e per quanto cercasse di non pensarci, c’era sempre una vocina nella sua testa che cercava di riportarlo su quella strada oscura che aveva percorso per buona parte della sua vita.

Come se non bastasse, avere una vita normale non era poi cosa facile e nemmeno lontanamente tutta rosa e fiori. Per esempio, nonostante non stesse più rischiando la vita per un popolo che nemmeno ricordava il suo nome, Kisshu doveva fare i conti con dei genitori assenti, un fratello minore traumatizzato a vita (forse anche più di lui) e… e la convivenza con un fratello maggiore che continuava a rivelarsi migliore di lui in tutto e per tutto.

Pai era l’emblema dell’uomo perfetto, apparentemente intoccato dalla tragedia vissuta sulla Terra e perennemente lodato da questo o quel vicino per la sua imponente intelligenza. Sia chiaro, essere intelligenti ed eruditi non era in alcun modo una cosa da poco per un popolo la cui maggior parte dei civili che solo ora si stavano riprendendo dall’assenza totale di una educazione, però… però c’era un certo divario fra Kisshu e Pai che non si poteva non cogliere.

Un divario ormai visibile a occhio nudo da tutti i loro simili.

Per quanto entrambi avessero ottenuto la stessa educazione, nonché lo stesso rito di passaggio per poter diventare guardie di Profondo Blu, le differenze fra loro due erano enormi. Entrambi guardie di una divinità, certo, ma anche prima della scomparsa del loro signore, il maggiore dei due era sempre stato in testa in una competizione che, probabilmente, Pai nemmeno aveva idea esistesse.

“Kisshu dovresti imparare da Pai.”

“Kisshu dovresti essere più educato, come Pai.”

“Kisshu dovresti studiare un po’ di più – Pai si sta impegnando da solo!”

“Kisshu…”

“Kisshu…”

Anche dopo il loro ritorno, puntualmente, Kisshu sollevava gli occhi al cielo, e malgrado lo sconforto che tutto ciò generava, continuava a non farci caso. Alla fine, era grazie a lui se Ichigo e Masaya avevano guadagnato abbastanza tempo per poter sconfiggere Profondo Blu.

Era grazie a lui se Pai e Taruto erano tornati sani e salvi.

O meglio: era grazie alla sua morte se erano stati generati una catena di eventi che avevano permesso il fallimento di Profondo Blu.

Il che, pensava lui, avrebbe comunque dovuto essere degno di nota, ma nessuno ci faceva caso a quel piccolo dettaglio. Nemmeno i suoi stessi fratelli.

Certo, Kisshu era stato pur sempre resuscitato, alla fine, ma puntualmente lui stesso si ritrovava a rimuginare sull’accaduto. Nonostante il salvataggio dell’ultimo secondo, seppure per una manciata di minuti, il suo cuore aveva smesso di battere, il sangue aveva smesso di scorrere nelle sue vene e…

E, semplicemente, Kisshu aveva smesso di esistere per un po’.

Era strano da pensare.

Era strano da accettare.

Ogni volta che ricordava quell’avventura macabra e cupa, Kisshu si metteva una mano sul cuore e accarezzava quel punto con una certa insistenza, fino a quando non era certo di udire il battito cardiaco chiaro e forte.

Ogni volta che lo stress aveva la meglio…

Ogni volta che i suoi simili lo sminuivano…

Ogni volta che era solo...

1, 2, 3 … si, il battito c’era e sembrava tutto regolare.

Se non fosse stato per la Mew Acqua, Kisshu non sarebbe mai tornato sul suo pianeta; non avrebbe mai più potuto rivedere i suoi fratelli; non avrebbe mai potuto essere certo che l’universo fosse sano salvo. E, per quanto odiasse ammetterlo, non avrebbe più potuto fantasticare su come sarebbe stato baciare, nuovamente, Ichigo.

Probabilmente non l’avrebbe mai più rivista, certo, e, magari, a lungo andare, si sarebbe anche dimenticato del sapore delle sue labbra, del suono della sua voce e, si, perché no, magari avrebbe anche smesso di pensarla.

Chissà...

Per buona parte dei suoi anni adolescenziali, Kisshu si ritrovava spesso a sperare che, svegliandosi, avrebbe smesso di chiedersi cosa stesse facendo Ichigo in quel momento, ma ogni giorno, almeno una volta, l’alieno alzava lo sguardo verso il cielo violetto del suo pianeta e cercava di ricordarsi in che direzione fosse la Terra. Cercava di rammentare i lineamenti del viso di Ichigo, e per quanto il ricordo stesse sbiadendo, Kisshu ricordava fin troppo bene i tratti distintivi di quella ragazza e, anzi, con il rafforzarsi delle esigenze sessuali, la sua mente si aggrappava sempre di più a quel poco che rammentava di lei pur di dare sfogo alle sue pulsioni.

Sapeva di sembrare un maniaco ma, ehi… era pur sempre nel mezzo della sua adolescenza!

I capelli rossastri, gli occhi grandi e pieni di vita, le guance soffici e il corpo curvilineo e tuttavia atletico… Oh, questi si che erano bei ricordi: si aggrappava con insofferenza a questi ricordi, al primo bacio, agli odori e alle sensazioni provate sulla Terra con lei (seppure alcune molto negative).

Con gli anni però le fantasie non erano più abbastanza e Kisshu era, oggettivamente, considerato un bel ragazzo fra i suoi simili; in più, non aveva mai fatto un patto con nessuno e restare puro e casto non era mai stata un’opinione. Inoltre, beh, erano passati abbastanza anni da far sparire completamente ogni traccia di quel sentimento infantile e stupido che aveva gelosamente custodito per i primi anni del suo ritorno a casa.

Attrazione sessuale, certo, quella ci sarebbe sempre stata per via della sua fervida immaginazione, ma riteneva non ci fosse più traccia di alcun sentimento.

Ormai erano passati 10 anni.

Kisshu aveva 25 anni.

Non poteva più aggrapparsi a delle stupide fantasie.

“Chi era stavolta?”

Era una notte tranquilla e il clima era abbastanza mite, ma Kisshu aveva preferito teletrasportarsi direttamente in casa sua subito dopo essersi rivestito dopo l’amplesso. Non aveva proprio voglia di rischiare di incontrare scocciatori...

Stranamente, quella sera Pai era ancora in salone, con una lampada accesa sul tavolo al fianco di un manoscritto che stava leggendo e correggendo ormai da settimane. Ormai era come se redigere quel documento valesse tutta la sua stessa vita.

Kisshu sbuffò, “non ne ho idea,” ammise togliendosi gli stivali scalciando, “festa in maschera in piazza. Non ho avuto tempo di chiederle il nome.”

Il fratello non disse nulla, il disinteresse era palese, e, probabilmente, non aveva nemmeno sentito la risposta alla sua domanda. Non che a Kisshu importasse, ovvio, ma c’era qualcosa di fastidioso in quell’atteggiamento che lui non riusciva proprio a capire.

Non era l’indifferenza il problema, nossignore: Kisshu era il primo a dissociarsi nel momento in cui gli veniva detta qualche parola di troppo riguardo temi che non gli interessavano.

Non era nemmeno il giudizio silenzioso che Pai aveva su di lui ad innervosirlo – diamine, a quest’ora tutto il paese aveva un qualche tipo di giudizio negativo su di lui!

Allora… cos’era? Kisshu non riusciva proprio a capirlo, ma, oh, beh, non era poi davvero così importante. Dopotutto…

“Stai ancora lavorando a quella teoria?”

Storcendo il naso, Kisshu diede una sbirciata sopra la testa di Pai, adocchiando il testo in lingua Giapponese, umana, su dei fogli giallastri. Alcune parole erano state cancellate con un tratto di inchiostro verdognolo, e una sfilza di frasi con la grafia di Pai erano state scritte sul lato destro della pagina nella loro lingua madre.

Ogni tanto Pai spariva per andare chissà dove, alle volte mancava anche per settimane, e tutto faceva pensare che facesse dei piccoli viaggi sulla Terra per potersi incontrare e discutere di scienza con il biondino a capo delle Mew Mew. Dopo tutti quegli anni, Kisshu aveva sempre pensato che Pai si sarebbe scocciato presto di fare avanti e indietro per delle cartacce, ma invece eccolo lì. Sempre pronto a sprecare tempo ed energia in nome di una ricerca a Kisshu sconosciuta.

Pai annuì, ma non aggiunse altro, lasciando che il silenzio fra loro due venisse riempito dal suo scarabocchiare gracchiante dato dalla punta del pennino che grattava e imbrattava la trama del foglio. Era un rumore che, negli anni, Kisshu aveva imparato ad associare con la presenza del fratello maggiore; era una specie di monito a non disturbare.

Normalmente, grazie all’avanzamento tecnologico della loro razza, Pai preferiva studiare nel suo laboratorio, circondato dalle luci degli schermi e dai tac-tac incostante della tastiera. In quel frangente sarebbe stato estremamente facile interagire con Pai, e Kisshu si sarebbe anche divertito a dargli fastidio.

Al contrario, quando Pai prendeva in mano carta e penna, voleva dire che sarebbe stato in un cupo stato d’animo per un po’ di giorni, se non settimane. O peggio … mesi, per non dire anni – in quel caso però sarebbe stato semplicemente il normale andamento del carattere di Pai. Era quasi una rarità vederlo di buon umore...

Non ottenendo uno straccio di conversazione, Kisshu fece spallucce e risalì le scale per dirigersi nella sua stanza. Prima però, nel corridoio cupo e silenzioso, buttò uno sguardo nella stanza dei genitori: ovviamente, la trovò vuota. Sia mai che mettessero da parte la loro carriera inesistente da diplomatici per restare a casa, per una notte…

Poi, diplomatici di cosa che la loro razza, in numero, era paragonabile a quello di una misera nazione? Di conflitti non ce n’erano, e della necessità di avere dei mediatori anche meno – certo, sempre ammesso che non stessero confabulando qualcosa assieme a Pai...

Ma alla fine, che importava? Alla fine, si trattava degli stessi genitori che gli avevano barattati per ottenere dei favori dai seguaci di Profondo Blu…

Oh, beh… poco male.

Solo quando entrò nella stanza sua e di Taruto la gravità dell’azione commessa dai loro genitori lo portò a riflettere sull’impatto di quella stupida scelta presa da adulti incompetenti.

“Ancora sveglio?”

Taruto era seduto a bordo letto. Fletteva le dita delle mani in maniera frenetica, osservando con attenzione il bulbo della lampada dalla quale proveniva l’unica luce che illuminava la sua porzione di stanza.

Nessuna risposta.

Era una di quelle sere, quindi?

Una di quelle sere in cui, forse, sarebbe stato meglio non tornare a casa.

Una di quelle sere in cui forse, forse, non sarebbe stato male non aver mai fatto ritorno. Non solo per quella sera.

Era un pensiero piccolo, che capitava raramente, ma quando Kisshu si rendeva conto di quanto si sentisse solo lì, beh, i pensieri macabri e nefasti riaffioravano, uno ad uno.

Tuttavia, l’unica cosa a tenerlo coi piedi saldi in quella realtà che seppure misera aveva ancora tanto da offrire era proprio quella stessa vita che ogni tanto ripudiava.

Kisshu amava la vita. Amava godersi ogni piccolo attimo di felicità e divertimento ed era interessato a fare del suo meglio pur di non lasciarsene scappare nemmeno uno. Ovviamente la sua esperienza di morte-non-morte aveva amplificato questo suo desiderio, però lui era sempre stato così. Sin da piccolo.

Forse era proprio questo ad averlo salvato da una sorte simile a quella di Taruto…

“Vai a letto,” Kisshu consigliò mentre si svestiva per prepararsi per la notte.

Eppure, per quanto lui stesso si mostrasse così libero da ogni trauma che la guerra avrebbe dovuto portare con sé, Kisshu in cuor suo capiva perfettamente lo stato d’animo di Taruto.

Non era una cosa che ammetteva tanto facilmente, nemmeno a sé stesso, eppure negli anni aveva sviluppato un certo odio per le ore notturne. Non per la ragione che però qualcuno immaginava, no.

Ad esempio, Pai ipotizzava che Kisshu avesse paura dei sogni ed erroneamente, gli spiegava come non dovesse aver paura di ciò, perché quello era il modo in cui gli essere senzienti metabolizzavano i ricordi più difficili.

Peccato che la deduzione di Pai avesse una falla di fondo: una paura simile necessitava che Kisshu fosse capace di sognare.

Ma Kisshu non sognava mai.

Questo era il fulcro di tutto.

La notte per Kisshu era un momento di stallo in cui né dormiva né sognava.

O per meglio dire: di dormire dormiva, sempre, ma si trovava perennemente in uno stato semi-vigile, in cui il corpo era a riposo ma la mente era ben conscia del suo stato. Era come essere ibernato per tutta la durata della lunga notte che il suo pianeta aveva da offrire, sempre conscio di ciò che accadeva attorno a lui.

Se Taruto si fosse ritrovato a singhiozzare nel sonno, Kisshu lo avrebbe saputo facilmente, senza svegliarsi, incapace di muovere un muscolo.

Se Pai avesse finito di studiare in salone e deciso di leggere un libro in camera prima di coricarsi, Kisshu avrebbe perfettamente sentito il lento sfogliare delle pagine anche se sovrastato dal rumore di fondo che proveniva dal tetro spazio.

Di notte, era come Kisshu fosse incessantemente bloccato su quella sottile linea che separava la vita dalla morte.

   
 
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