Dling
dling.
Lo
scampanellio della porta segnalò l’entrata di
qualcuno nel locale. Chinato
sulla lavastoviglie, intento ad estrarre le tazze fumanti di vapore,
Kei
trattenne un sospiro e salutò distrattamente con un: -
Sarò subito da lei! –.
Velocemente,
si asciugò le mani ed alzò gli occhi a
scandagliare la caffetteria. Spingendosi
gli occhiali sul naso, mise a fuoco la figura seduta al tavolo in
angolo,
vicino all’ampia vetrata che dava sulla piazza soleggiata.
Rassettata
l’uniforme, si diresse verso l’unico cliente del
pigro primo pomeriggio.
-
Cosa posso servirle? –
L’uomo,
intento ad osservare la piazza alberata con aria rilassata, si
voltò a
guardarlo con un sorriso amichevole in faccia.
-
Sto aspettando qualcuno. Per ora prenderò un tè
verde, per favore. –
-
Gyokuro? –
Il
cliente gli lanciò un’occhiata in tralice,
sorridendo. – Sencha, per favore. -
Kei
fece un veloce inchino e si diresse senza una parola dietro al bancone.
Mentre
aspettava che l’acqua bollente raffreddasse fino alla
temperatura ideale,
tamburellava velocemente le dita sul bancone di compensato, sentendosi
gli
occhi del cliente piantati nella schiena.
Invece,
quando si girò per portargli la tazza, l’uomo era
ancora voltato con aria
pensierosa verso la piazza.
-
Ecco qui il suo Sencha. – e gli posò la tazza di
fronte.
-
Che giornata tranquilla. – disse casualmente
l’altro. – Grazie. Per il tè. –
Kei
fece velocemente un inchino senza rispondere e si ritirò
dietro al bancone,
dove sedette su uno sgabello e aprì il libro di
Paleontologia sistematica.
Normalmente, durante i turni tranquilli come quello, passava il tempo a
studiare di nascosto, un po’ come faceva alle scuole
superiori, quando
lavoricchiava in biblioteca; ma, in quel momento, Kei faticava a
concentrarsi.
Doveva rileggere più volte la stessa frase prima di
comprenderne il contenuto;
dopo aver letto una riga, alzava gli occhi ad osservare furtivamente
l’uomo,
poi riabbassava lo sguardo e non si ricordava il punto dove aveva
lasciato la
lettura. Dopo un quarto d’ora di inutili tentativi, chiuse
irritato il libro
con un gesto secco e decise di concentrarsi sulla pulizia ossessiva dei
cucchiaini.
L’uomo
che tanto lo distraeva era un abituale della caffetteria. Kei, che
vantava
un’ottima memoria fotografica, estremamente utile nei suoi
studi, aveva notato
l’uomo fin dai primi giorni lavorativi. All’inizio,
si era ovviamente
insospettito per via del completo business casual, che spiccava come
una
fragola matura nel cespuglio di t-shirt e jeans degli studenti
universitari; e,
in seguito, si era arrovellato nel tentativo di trovare un pattern
nelle sue
visite, apparentemente casuali, senza riuscirci. Per intendersi, Kei
sapeva
bene che la squadra femminile di pallavolo si presentasse il
martedì e il
giovedì alle 18.30 chiedendo smoothies di frutta; o che il
club universitario
di lettura si riunisse tutti i mercoledì, consumando litri e
litri di tè caldo.
Riusciva nondimeno a ricordare, per esempio, che una tale studentessa
ordinasse
sempre una cioccolata calda dopo l’orario di pranzo, o lo
spuntino del
vecchietto che passava alla caffetteria durante la sua passeggiata
pomeridiana
con il cane.
Tuttavia,
quell’uomo, quello seduto alla vetrata, era un totale
mistero. Si poteva
presentare per tre giorni consecutivi o sparire per settimane; a volte
si
sedeva da solo, altre era in compagnia di una o due persone. Non aveva
orari
prediletti, poteva apparire sull’uscio in qualsiasi momento.
Ordinava sempre
qualcosa di diverso e non aveva un posto preferito. Una totale
frustrazione per
una mente metodica e organizzata come quella di Kei.
Un
altro scampanellio ed un tizio alto, con un trench lungo, comparve
sulla
soglia. Questi ignorò completamente l’inchino di
Kei e fissò lo sguardo
sull’uomo in completo, dubbioso; si rilassò in un
sorriso genuino quando
l’altro lo salutò con la mano e gli fece cenno di
avvicinarsi. Si sedette in
modo goffo e ordinò un caffè filtrato, prima di
immergersi in un discorso fitto
con l’uomo in completo.
Osservandoli
di sottecchi, Kei annotò mentalmente come i due sembrassero
non conoscersi, ma
fossero comunque a proprio agio l’uno con l’altro.
Di tanto in tanto, il tizio
in trench si lasciava sfuggire delle esclamazioni rumorose, mentre
quello in
completo gli poggiava una mano sul braccio, indulgente, e aspettava che
l’altro
si ricomponesse. Kei, annoiato dal pomeriggio pigro, cercò
di rimettersi a
studiare fin quando, alle quattro, studenti usciti da corsi pomeridiani
non
iniziarono finalmente a fluire nella caffetteria, riempiendo
l’aria di un
allegro chiacchiericcio.
Fu
così che il sole pian piano calò e i lampioni
iniziarono ad accendersi,
illuminando la piazza quasi deserta.
Kei
stava servendo torta al cioccolato ad una coppia di studenti,
palesemente al
loro primo appuntamento, quando lo scampanellio della porta precedette
un
improvviso silenzio di tomba.
Il
ragazzo si voltò prudentemente e cercò di
mantenere un’espressione neutra alla
vista delle divise bordeaux.
-
Avanti, gente, questo silenzio è decisamente imbarazzante!
– batté le mani il
primo agente con un sorriso amichevole sul volto, mentre il suo collega
scandagliava l’ambiente con aria indagatrice. Il
chiacchiericcio ricominciò ad
un tono molto più basso, un bisbiglio affrettato, come il
graffiare delle zampe
dei ratti in fuga.
Kei
passò le mani sulla divisa prima di avvicinarsi al bancone,
dove i due agenti
si erano fermati, il primo a fissare le torte in vetrina ed il secondo
a
scannerizzare la clientela.
-
Posso fare qualcosa per voi, agenti? –
-
Un tortino al limone -, cinguettò il primo e: - Un
caffè -, ordinò l’altro.
Kei
si mise a preparare accuratamente il caffè, rispondendo alle
domande
inquisitorie dell’agente all’apparenza innocuo
– è successo niente di strano
ultimamente? Qualche individuo sospetto? -, mentre con la coda
dell’occhio
captava un movimento, uno sfarfallio, al tavolo in fondo, vicino alla
vetrata,
dove l’uomo in completo e quello in trench stavano discutendo
a bassa voce in
maniera concitata.
-
No, signore. – rispose ancora Kei, tornando a concentrarsi
sul filtro di carta
e sulla tazza, cercando di controllare la sensazione spiacevole alla
bocca
dello stomaco.
-
Nessun anormale? – chiese il primo agente, mantenendo il
sorriso amichevole.
A
Kei sembrò di sprofondare. Il secondo agente lo guardava
intensamente.
-
No, signore, altrimenti l’avrei denunciato alle
autorità. – rispose Kei, serio
come non mai, fissandolo negli occhi. La tensione era ormai tangibile.
Il
rumore di una sedia schiantata a terra ruppe la bolla di nervosismo,
seguito da
urla impaurite: un paio di enormi ali erano spiegate in mezzo alla
stanza e
quelle ali erano attaccate ad un essere umano.
Kei
ebbe a malapena il tempo di vedere l’uomo in completo
lanciarsi fuori dalla
vetrata prima che il caos discendesse all’interno del locale
e una fiumana di
gente impaurita fluisse verso l’uscita.
-
Hajime! – esclamò il primo agente, improvvisamente
persa l’attitudine
civettuola. L’altro agente si lanciò verso la
figura alata, ma questa, presa la
rincorsa con le ali chiuse, s’infilò
nell’apertura della vetrata e spiccò il
volo nel buio. L’agente non si arrese e, estratta la pistola,
saltò fuori dal
locale.
-
Centrale, qui è l’agente Oikawa. Trovati un
sospetto e un anormale confermato
nel campus universitario. L’agente Iwaizumi è
partito all’inseguimento.
Richiediamo rinforzi, passo. –
Kei
rimase fermo, in piedi, a guardare i vetri, le torte calpestate a
terra, i
cocci dei piatti e la desolazione del locale con nessun pensiero in
testa, ma
una brutta sensazione addosso.
***
-
Mi può velocemente descrivere l’anormale
confermato? Cerchi di essere il più
dettagliato possibile. – l’agente tirò
fuori un blocchetto per prendere appunti,
illuminato ad intermittenza dalle luci blu delle volanti.
Kei
sospirò e si strinse nelle spalle: - Tizio alto, forse un
metro e ottanta, sui venticinque
anni. Indossava un trench grigio. I capelli erano sparati in alto,
grigi. Aveva
occhi enormi, un naso affilato. –
L’agente
Iwaizumi alzò gli occhi su di lui. – Altri
dettagli che potrebbero aiutarci ad
identificarlo? –
-
Dice a parte l’apertura alare di quattro metri? No.
–
L’agente
in rosso gli lanciò un’occhiata di avvertimento e
Kei si morse la lingua.
-
Che mi dice del sospetto anormale? –
Kei
puntò gli occhi sul blocchetto appunti. – Tizio
alto, moro. Aveva un completo,
giacca e pantaloni neri. –
-
Altri dettagli? –
-
C’era anche lei nel locale, l’ha visto anche lei.
– s’infastidì Kei.
-
Sì, ma lei deve avergli portato un caffè o
qualcosa, deve averlo visto ben da
vicino. – asserì l’agente Oikawa,
spuntato dal buio.
Kei
incrociò le braccia e piccato rispose: - Non ricordo niente
di particolare. Ha
idea di quante persone io veda ogni giorno? –
L’improvviso
chiosare poco distante li distrasse. Era il proprietario del locale,
che urlava
a qualche agente in rosso di lasciarlo passare.
-
Ultima domanda: li aveva mai visti prima? – chiese
l’agente Oikawa, sempre con
quel sorrisetto fintamente amichevole stampato in faccia.
Kei
lo guardò dritto negli occhi. – No, non che io
ricordi. –
-
Va bene. – l’agente Iwaizumi gli passò
il blocco appunti e la penna. – Ci lasci
il suo numero. Se ne avremo bisogno, la ricontatteremo. –
Kei
finì di adempiere ai suoi doveri, aggiornò il
proprietario del locale degli
avvenimenti e promise di andare ad aiutarlo il giorno seguente, dopo le
lezioni.
Poi,
di pessimo umore, si avviò nella fredda serata autunnale con
la testa piena di
domande e la gola stretta dall’ansia, e senza accorgersene
stava già infilando
le chiavi nella porta di casa.
Mollò
la tracolla e le chiavi sul tavolo, prima di sprofondare pesantemente
nel divano.
Tadashi
spuntò dalla sua camera, chiamando: - Tsukki? – e
ottenendo un grugnito come
risposta.
-
Com’è andata oggi? – gli chiese
pazientemente l’amico, piazzandoglisi davanti a
braccia incrociate.
-
Pensavo mi avessero beccato. -
***
Chi
inizia una mini-long prima di un trasloco?
It’s-a
me!
Spero
che questo primo capitolo abbia solleticato la vostra
curiosità! Fatemi sapere
cosa ne pensate.
A
presto (spero)!