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Autore: Fiore di Giada    04/12/2023    0 recensioni
[Partecipante alla challenge "500themes_ita" col prompt 9]
Storia nata da un generatore di frasi. Mi è uscita "L'incidente non è stato colpa sua".
Il racconto, ambientato a Bogotà, evidenzia il tormento di un giovane, che perde la sua fidanzata per colpa di un automobilista statunitense stupido.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'incidente non era stato colpa sua.

 
 
Implacabile, la frase risuonava nella mente di Rafael.
Le lacrime, inesorabili, bagnavano le guance olivastre del giovane, mentre deboli singhiozzi sollevavano il suo petto possente. Con la sentenza del giorno precedente, la sua vita era stata distrutta.
Aveva perduto ogni speranza.
Le sue labbra si sollevarono in un sorriso triste. Pochi mesi prima, la sua vita era illuminata dalla speranza della felicità.
Presto, avrebbe ottenuto un contratto come cantante e musicista.
Si rigirò sul letto, facendo scricchiolare la rete lignea. In quel cammino, sarebbe stato accompagnato dalla sua fidanzata, Susana Estela Rios Lopez.
Entrambi avevano prospettive rosee per il loro futuro.
− Saresti stata una stilista meravigliosa. − mormorò. Nella pelle d'ebano, Susana portava il ricordo di antenati africani.
E i suoi occhi blu, simili a lapislazzuli, ombreggiati da lunghe ciglia curve, risplendevano sui suoi lineamenti delicati.
La sua bellezza, però, si univa ad una estrema intelligenza, che la spingeva a nuovi traguardi.
− La laurea è stata la tua rovina… − sussurrò Rafael. Susana lavorava come modella, ma desiderava laurearsi in scienze naturali.
Voleva difendere l'ambiente e, per questo, si impegnava nello studio.
Si strinse la mano contro il petto, quasi volesse reprimere il battito del suo cuore. L'ardore di Susana aveva contagiato anche lui.
Ne era sicuro, entrambi avrebbero dato una mano al loro splendido e tormentato paese.
 
Rafael, a fatica, si alzò a sedere e, per alcuni istanti, rimase immobile, gli occhi neri persi in un punto indefinito.
Cauto, si rimise in piedi, ma, colto da un accesso di nausea, barcollò, come un ubriaco.
Attraversò la stanza, aprì la porta finestra e uscì sul balcone.
Bogotà si estendeva davanti ai suoi occhi, scintillante di policrome luci artificiali, mentre le strade erano percorse in entrambi i sensi da mezzi e persone di ogni genere.
Rafael strinse i pugni, mentre un sorriso amaro sollevava le sue labbra. Lui e Susana, nei momenti liberi, amavano scoprire angoli insoliti della capitale della Colombia.
Scosse la testa. Che senso aveva opprimere il cuore d'amarezza?
− Sono solo sogni irrealizzabili… − sibilò. Tre anni prima, Susana, mentre si recava all'università, era stata investita da un'automobile.
Quell'infame l'aveva abbandonata sull'asfalto, agonizzante, e si era allontanato.
 
 
D'istinto, Rafael strinse le mani sul parapetto. Shannon, la migliore amica di Susana, era riuscita a prendere il numero di targa.
Ma tale atto si era rivelato inutile.
− Bastardo…  − sussurrò. Uno sfaccendato statunitense era l'assassino di Susana.
Nathan Miller, figlio di un ricco avvocato dell'Arizona, era stato arrestato.
Ma le benemerenze di suo padre gli avevano permesso di ottenere una pena mite e di ritornare negli Stati Uniti.
L'avvocato difensore, con una dura arringa, aveva trasformato la sua amata Susana in una ragazza stupida, dedita al consumo abituale di droghe.
La colpa di quell'incidente era caduta su di lei.
Un lungo brivido attraversò la schiena di Rafael. Al processo, gli era parso di scorgere un sorriso strafottente e soddisfatto sul viso di Nathan Miller.
I suoi occhi verdi sembravano irridere il dolore suo e dei familiari di Susana.
Le lacrime, impetuose, bagnarono le guance di Rafael. Avrebbe voluto spaccare quel viso liscio con un diretto ben assestato.
Ma il dolore dei familiari di Susana lo aveva fermato.
Si lasciò cadere sul balcone, sopraffatto dalla stanchezza. Quell'ingiustizia, come un masso, aveva incatenato il suo cuore ad una pena perenne.
Senza di lei, i suoi sogni gli parevano vacui.
A fatica, si alzò in piedi e fissò il cielo, grigio di nubi, che copriva la città. Quell'ingiustizia non doveva restare impunita.
Nathan Miller doveva pagare per la sua arroganza.
Sospirò e abbassò lo sguardo verso il basso. Per tanto, troppo tempo aveva represso quel pensiero.
Ma, in quel momento, risaliva, come sospinto da una corrente.
Eppure, una domanda, netta, risuonava nella sua mente.
Cosa ne sarebbe stato di lui?

   
 
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