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Autore: EleonoraParker    07/12/2023    3 recensioni
È un dilaniare feroce, che abusa carne e storia, afferra e strappa passato e futuro, e prova a rinnegare la realtà -col suo solito modo di fare- un'ultima volta, cercando di afferrare, trattenere, ciò che dopotutto è stato solo una lunga illusione - talvolta dolce ed irrinunciabile, ma pur sempre illusione- rivelatasi ora nella sua debolezza e per questo diventata ingiusta prepotenza.
(finale seconda stagione- POV Aziraphale)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Dilaniàre : v. tr. [dal lat. dilaniare, comp. di di(s)-1 e laniare, che aveva lo stesso sign.] (io dilànio, ecc.). – Sbranare, lacerare le carni: le Menadi si dilaniavano il petto nel furore bacchico. In usi fig., tormentare atrocemente, lacerare, straziare: il rimorso gli dilania l’animo; esser dilaniato dal dubbio, dal sospetto, dalla gelosia; con altro senso: d. con calunnie, con la maldicenza la reputazione di una persona; e nel rifl. recipr.: dilaniarsi l’un l’altro con accuse e calunnie.

 

Feróce : agg. [dal lat. ferox -ocis, der. di ferus «fiero, crudele»].

a.Ardente, violento: smania, ansia, desiderio f.; guardai infine, nell’edificio di fronte, le donne tristi che pulivano casa con f. impegno (Domenico Starnone). b. Aspro, pungente: scherzo f.; dolore f.; critica feroce. Anche nel sign. proprio (ant.): i’ ho veduto tutto ’l verno prima Lo prun mostrarsi rigido e f. (Dante), tutto punte e spine. c. ant. e poet. Fiero, valoroso, animoso: nel cavalcare e nelle cose belliche, così marine come di terra, espertissimo e f. divenne (Boccaccio); coraggioso, impavido: Né valse esser costante né feroce (Dante).


I have never known a 

silence like the one fallen here

Never watch my future 

darken in a single tear 

I know we want this to go 

easy by being somebody’s fault

But we’ve come long

enough to know

This isn’t what we want

(All things end - Hozier)



 

"Io ho bisogno di te!" 

Una definizione di necessità, un tonfo di trappola. Una dichiarazione di innegabile verità. 

Una morsa che li prende e li stringe, e li trattiene, e lo fa da millenni, nel nome di quella fiducia che non tradisce, neanche adesso. 

E lui un disco rotto a ripetere, a supplicare, "torna con me", l'intoppo sulla traccia che è durata tanto, forse troppo, un'eternità a correre in punta di piedi su una linea sottile, senza sporgersi troppo per non cadere, non cadere mai, e soffrire solo dello stridio sommesso di un graffiare appena percepibile, dell’informe gemito di un tirare corde al massimo della loro estensione, pur evitando sempre la rottura. 

Una bellissima canzone, imparata a memoria, cantata sottovoce per non soverchiare la sua meraviglia, e suonata ancora e ancora fino a perdere il senso del suo inizio e della sua fine, fino a tramutarla in un cerchio, in un ritornare infinito che nella sua discontinuità riconosce la sua eternità. 

Ma cosa è davvero eterno? 

È appena calato il silenzio, il silenzio alla fine di quel vinile. È incerto, e ancora sibila un dubbio ed una speranza; ancora corre, ma non suona più. 

"Potevamo essere noi" , dice, e anche quel ronzio giunge al termine. 

Ed il suo silenzio, ormai, è una resa. 

La canzone è davvero finita, rimbomba nelle orecchie il suo vuoto, e attende impotente non più suono, ma solo rumore di una vita che va via dietro ad una porta chiusa. 

Ed è accaduto così improvvisamente…più lentamente ha visto scintille diventare incendi e tuoni inseguire lampi. 

Quasi non può crederci, ma dopotutto quando mai ci ha creduto? 

Quando, in tutti quei millenni, ha mai dato per indiscutibile ed innegabile quella melodia? Quando è mai stato disposto a cantarla ove tutti potessero udirla? 

È colpa, ed è un peso, ma è anche rabbia, perché non era forse sufficiente che esistesse, tanto bella quant'era, doveva addirittura prevalere e riscrivere regole con i suoi versi? Perché, perché voler sempre cambiar le regole? E rovinare tutto, di nuovo. 

Perché, l'unica volta che ha chiesto che essa venisse elevata e glorificata nell'unico modo in cui avrebbe davvero avuto ogni diritto di esistere, gli è stato negato? Solo perché per chiederlo ha dovuto attendere che gli fosse concesso? 

Significa forse che non ci tiene abbastanza, solo perché non vuole rinunciare all'amore che ancor prima lo ha creato?  

Non può capirlo, vorrebbe, ma non riesce. 

Ma brucia cosí tanto che non è dopotutto sicuro di starci davvero provando. 

Finché la sicurezza non diventa un'utopia, di meno, una parola senza significato. 

Finché non giunge semplice rumore, no, ma fragore assordante di mura che crollano -le sue convinzioni- argini che cedono - le menzogne che si è sempre raccontato- monti che franano -i suoi sentimenti. E stelle. 

Stelle che collidono, con quella bellissima, luminosa e distruttiva potenza che si può osservare solo da lontano, se non se ne vuol essere annientati, che si spande nello spazio per interi anni luce annientando il tempo e lo spazio stesso. Esperienze e millenni ridotti ad un cumulo di polvere tanto leggera quanto la certezza del loro significato può ancora essere, dispersa poi nel vento con spaventosa facilità, in un solo attimo.

Ma lui è proprio lì, al centro di quella esplosione. Lui ne è parte.

Ed è quello che gli sta facendo, lo sta annientando, lo sta riportando a ciò che non era prima di essere, come dovesse ancora conoscere la luce, come fosse disperatamente pianto e agognato dal grembo di oscurità che per prima lo ha generato, e a sua volta lo piangesse, ed agognasse, istintivamente come un neonato rifugge la luce. 

È un dilaniare feroce, che abusa carne e storia, afferra e strappa passato e futuro, e prova a rinnegare la realtà -col suo solito modo di fare- un'ultima volta, cercando di afferrare, trattenere, ciò che dopotutto è stato solo una lunga illusione - talvolta dolce ed irrinunciabile, ma pur sempre illusione-  rivelatasi ora nella sua debolezza e per questo diventata ingiusta prepotenza.  

È un imporre ai loro corpi l'umana natura che per anni hanno perseguito, affiancato, interpretato, è che pure non è loro mai appartenuta, per quanto piacevole, e naturale, e inevitabilmente giusta sembri. 

È un insulto da rinnegare, che nel suo sapore salato e feroce contiene la sua stessa, disperata, ammissione di colpa.

E lascia dietro di sè solo frammenti. 

Un irriconoscibile, raramente percepito, battito furente nel petto. 

Una sordità nelle orecchie simile a quella che segue un'esplosione, un lieve fischio. 

Un dolore appena accennato, neppure percepibile, profondamente negato, nelle labbra. 

Ed un oblio in espansione nella testa, che avanza talmente imperterrito e totalizzante da cancellare parole prima, e poi pensieri, emozioni. E lasciare solo vuoto, ed incertezza, e bruciore che per la prima volta dovrà risolvere da solo. Tradimento.

"Io ti perdono"

È tutto ciò che può fare per riconoscere quella colpevolezza. 

E per disconoscere invece quella consapevolezza che, con la voragine di nuove possibilità e scelte che spalanca sotto i suoi piedi, potrebbe mettere a rischio definitivamente quello che la sua esistenza ha sempre significato. 

Perdona, come il tempo, ma nel profondo sa che la sua stessa vita non lo perdonerà mai per questo. Mai, per tutto ciò di cui l'ha appena privata. 

Ma non c'è alternativa, non c'è via di fuga, nulla per lenire l'offesa ed il dolore racchiusi in occhi che non vede. Ciò da cui è fatto, ciò per cui crede di essere fatto, viene prima. Di tutto, anche di sè stesso e di ciò per cui vorrebbe essere fatto.

Amore, una parola che ha sentito, letto soprattutto, infinite volte, in innumerevoli lingue, e che gli è sempre piaciuta, ma di cui non ha mai avuto occasione di comprendere il profondo significato, non da ostili fratelli a cui è di natura imposto, non da una madre che innegabilmente ed infinitamente lo dispensa, ma a distanza; mai prima d'ora. 

Ed odia Crowley per questo. 

Ma come può, come potrà mai odiarlo, quando ha rinunciato a tale, vano proposito già millenni orsono? 

E in quel rumore che finalmente giunge, sancendo l'inizio del dolore che ha amaramente temuto -e che forse merita, punizione per i suoi ormai innumerevoli peccati- riconosce forse più volentieri la fine, la liberazione dal dubbio costante, da quel senso di solitudine, la cancellazione di una qualsiasi ipotesi di altro, di diverso, che non è mai stata, in fondo, un'ipotesi, ma solo una tentazione, di fronte all'imperdibile possibilità che gli è stata appena offerta. 

Imperdibile, come non è la presenza di un demone nella sua angelica esistenza. 

E non serve nient'altro, allora, è tempo che questa lunga, lunghissima distrazione finisca. Non avrebbe voluto finisse nel più tremendo dei modi, non lo avrebbe voluto, quel dilaniare, ma capisce ora, nel vuoto che circonda e schiaccia più di qualsiasi incombente fine e del più profondo silenzio, che quello non finirà mai. Neanche nell'aria dell'ultima via che conoscerà, in compagnia della rassicurante Voce, sulla luminosa salita al più importante passo della sua esistenza. Non smetterà mai, quel dilaniare feroce. Non nella sua anima, non nei suoi ricordi. 

Non nell'ultimo addio che lancia, nonostante questo sia risentito, come l'ultimo sguardo, perché non ha mai chiesto questo, e non crede di averlo neanche mai meritato. Ma come ha potuto aspettarsi che una creatura tanto opposta a lui potesse camminare sulla sua stessa strada, quando il loro tempo condiviso non è stato che uno scontrarsi, separarsi, inspiegabilmente accomunarsi, e poi cercarsi, trovarsi, ma senza mai capirsi, non davvero. 

Come ha potuto, credere di significare di più, e poi saperlo, ma non come avrebbe voluto, e desiderare di essere di meno, diverso, o forse solo qualcun altro di più libero? Ma più libero non vuol forse dire più solo? Come un fuggiasco, un codardo.

Un demone

Ma dilania ancora, perchè lo spirito urla vigliacco, e fuggiasco ancora si sente, ma la mente comprende il passo avanti, in alto, la possibilità di dare finalmente quanto ha sempre voluto, nel nome di ciò che ha sempre creduto giusto. 

La tragedia, forse, sta proprio nell'obbligatorietà di una scelta.  Ma è una scelta che in fondo ha già compiuto, più e più volte, in tutto ciò che ha fatto, e che compirebbe ancora, perché non si sentirebbe giusto in alcun altro modo, per quanto ingiusto a volte gli sia parso essere. 

E schiude dunque le porte all'esaltazione, una feroce esaltazione a lungo attesa, talvolta forse respinta, finalmente libera. Guizza l'occhio, sorride, al futuro e all'immensa, luminosa strada che a questo porta, aperta proprio innanzi a lui. 

Sorride, e dietro le labbra stringe i denti.

E spera, ardentemente spera, che questo sia sufficiente a farlo smettere

Quel battito, quel dolore. 

Quell'incertezza, quel pentimento rinnegato ma innegabile. 

Quella tristezza terrena, umana, che macchia la sua gioia celeste ed infinita. 

Quel dilaniare feroce che è la sua prima, vera, riscoperta solitudine. 

 

// C'è qualcosa di tremendamente appropriato nella veemenza di quel primo ed unico bacio tra Crowley e Aziraphale. C'è lo sforzo del fare un passo avanti, da parte di Crowley, un passo non premeditato ma ormai terribilmente necessario, e la disperazione tipica dell’aggrapparsi all'ultima speranza rimasta cercando di trattenere quello che in fondo si sa di aver già perso. E al tempo stesso questa veemenza deve essere stata travolgente, per Aziraphale, inattesa e sorprendente. 

Era un qualcosa che continuava a perseguitarmi ogni volta che ripensavo a quella scena, e avevo bisogno di un modo per esprimerla. Sono contenta di esserci riuscita, anche se onestamente non mi sarei aspettata di riuscirci utilizzando il pov di Aziraphale. 

Rientro in quel gruppo di spettatori che non hanno accettato una reazione del genere da parte sua, e non perché volessi subito un lieto fine (amo invece l'angst) e anzi ho apprezzato una scelta del genere da parte degli sceneggiatori, rispettosa dei loro caratteri (non avrebbe forse avuto senso diversamente), ma ad Aziraphale, come personaggio, una cosa del genere non la perdono. Eppure per qualche motivo ho pensato che il suo fosse proprio il punto di vista migliore per affrontare questo tema in particolare, per come io l'ho interpretato. E anche perché comunque (avendo peraltro già trattato il pov di Crowley) mi piace anche provare ad accostarmi e a non giustificare ma cercare di comprendere un pov con cui non sono d'accordo, ecco. 

Mi sono voluta tenere molto sul metaforico ma non è stata propriamente una scelta, era un qualcosa che potevo esprimere solo in questo modo. 

D'ispirazione sono state proprio le definizioni del Treccani per quei due termini, i primi che mi venivano in mente pensando a quel bacio -e a tutte le sue emotive conseguenze- per questo ho pensato di aggiungerle. E ci tengo a specificare che ogni volta che le ho scritte le ho intese con tutti i loro possibili significati allo stesso tempo, perché li trovo tutti adeguati alle circostanze e tutti presenti in quel loro momento. 

Spero la storia vi sia piaciuta, grazie per essere arrivati fin qui! 

 

P.S. lo sapevo che sarei tornata a scrivere per questo fandom e ne sono molto contenta. E le idee non finiscono qui…

 
   
 
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