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Autore: lolloshima    08/12/2023    4 recensioni
La notte della vigilia di Natale è sempre speciale. Lo è ancora di più se ci si trova in una delle città più belle e romantiche del mondo.
Una notte che non si può trascorrere da soli.
Questa storia partecipa alla challenge Calendario dell'Avvento 2023 indetta dal gruppo FB Quellidifanwrite.it-
Buona Natale a tutti.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Tendo Satori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non c’era niente da fare.

La Tour Eiffel non perdeva mai il suo fascino, da qualunque punto della città si ammirasse.

Dalla collina di Montmartre, poi, il panorama era mozzafiato. La città si stendeva a vista d’occhio, splendente grazie alle migliaia di luci natalizie che la addobbavano e che illuminavano la fredda notte di Parigi. E la torre svettava scintillante, come una sentinella attenta, tirata a lucido per le feste.

Erano le dieci passate della notte che precede il Natale, e Satori aveva da poco tirato giù la serranda del suo laboratorio. Era sfinito.

Il periodo natalizio, si sa, è il peggiore per pasticceri e cioccolatieri. La richiesta di dolci alla crema e lievitati decuplica, e le ore di lavoro non sono mai abbastanza. Da mesi Satori viveva praticamente rinchiuso nel suo laboratorio, dove insieme al suo staff aveva sfornato senza sosta migliaia di buche de noel, galette de rois, biscotti natalizi, kougelhopf*, e un numero indefinito di panettoni e pandori, realizzati con la ricetta italiana originale. E poi, naturalmente, milioni di macarons di ogni colore e gusto.

Finalmente, dopo settimane di prigionia, poteva godersi un paio di giorni di riposo, per poi riprendere a tutto spiano in vista del capodanno.

Seduto sui gradini ghiacciati della Basilica di Sacre Cor, avvolto nel suo pesante cappotto viola, contemplava le luci della città sterminata che brillava davanti ai suoi occhi, le braccia attorno alle gambe piegate e il mento appoggiato sulle ginocchia. Il cielo terso era rischiarato da una falce di luna che sembrava sorridere nella limpida notte invernale.

L’atmosfera era resa ancora più magica dal silenzio irreale che avvolgeva quel luogo. La folla che fino a qualche attimo prima si era accalcata sulle gradinate della cattedrale e lungo le stradine e le piazze del quartiere, sembrava in pochi istanti sparita nel nulla. Solo pochissimi turisti ritardatari sfidavano il gelo della notte per scattare l’ultima foto al panorama, in ricordo di quella magica Vigilia, prima di tuffarsi a festeggiare in uno dei tanti locali parigini. In poco tempo, uno dei siti più visitati al mondo, divenne praticamente deserto.

“Parigi è bellissima” pensò Satori tra sé sospirando beato.

“Peccato godersela da soli” riflettè subito dopo e gli venne l’idea di chiamare qualcuno per trascorrere insieme la serata. Ma… chi? Quei giorni frenetici che avevano preceduto la Vigilia gli avevano impedito di organizzare qualsiasi cosa, ed ora era troppo tardi, mancavano meno di due ore a mezzanotte. A quell’ora chiunque con un minimo di vita sociale si era sicuramente già organizzato con famiglia e amici, e di certo non stava aspettando lui.

Era solo colpa sua se si ritrovava tutto solo la vigilia di Natale.

Non poteva certo dire di aver dato molto spazio alle nuove amicizie, da quando si trovava a Parigi. E purtroppo non aveva neppure coltivato quelle che aveva lasciato in patria.

Quando era al lavoro, Satori non rispondeva mai alle telefonate. Che si trattasse di vecchi amici, nuove conoscenze o dei suoi familiari, la maggior parte delle volte non si ricordava neppure di richiamare, tanto era stremato quando tornava a casa nel bel mezzo della notte. Ormai non si scusava neppure più con sua madre, che tentava di mantenere un contatto con lui, chiamandolo almeno un paio di volte alla settimana. Non aveva tempo per stare al telefono, gli ordini si accumulavano e le lavorazioni non potevano aspettare.

Non aveva mai tempo neppure per Wakatoshi. Non contava neanche le volte in cui il suo migliore amico lo aveva chiamato per parlare un po’, e lui lo aveva liquidato con poche parole frettolose. Si illudeva ogni volta che avrebbe trovato il tempo di richiamarlo, e invece i giorni diventavano settimane, le settimane mesi, e alla fine… anche Waka si era stancato di cercarlo.

Goshiki e Shirabu lo avevano chiamato alcune volte. Ma lui non aveva mai tempo, non poteva rischiare che l’impasto si rovinasse, che i canditi scurissero, che la frolla bruciasse… Se andava bene, mandava loro dei messaggi su Line, dicendo che stava bene e che il lavoro lo impegnava tanto.

Non avendo una famiglia, la sua vita era dedicata al lavoro, e non aveva tempo di fare nient’altro. Per non parlare dell’ultimo periodo, quando il suo impegno era aumentato a dismisura.

Si rassegnò a trascorrere la vigilia di Natale nel luogo più romantico al mondo… da solo! Non gli restava che rispondere ai messaggi di auguri che aveva ricevuto durante l’intera giornata, visto che in Giappone il Natale era già arrivato. Sua madre era stata la prima “Come stai Sato? Mi raccomando, copriti bene, ho visto su internet che a Parigi fa molto freddo. Mangi abbastanza? Ogni tanto chiama. Buon Natale tesoro”.

Subito dopo, Wakatoshi gli augurava buon Natale dall’aeroporto, prima di prendere il volo per Dubai, destinazione Argentina.

Altri messaggi erano dei vecchi compagni del liceo, dei suoi collaboratori e dei colleghi del corso di alta pasticceria. Ognuno aveva la propria vita, i propri impegni, il proprio Natale.

Satori alzò il bavero del cappotto e sistemò meglio il cappello in testa per ripararsi dal freddo, si tolse i guanti e si preparò a rispondere a tutti i messaggi con un generico “ANCHE A TE E FAMIGLIA”, da copiare e incollare.

Che, c’hai da accende’?” Una voce sconosciuta alla sua sinistra lo fece sobbalzare. Satori voltò la testa di scatto.

A meno di un metro da lui, sullo stesso gradino di marmo gelato, si era seduta una ragazza. Sembrava che fosse stata letteralmente inghiottita dalla sua pelliccia sintetica fuxia, che Satori trovò adorabile. La piccola testa che spuntava era in gran parte infilata in un vistoso cappello di lana gialla, lavorato ai ferri, coordinato ad una lunghissima sciarpa, arrotolato più volte intorno al suo collo. I capelli che sfuggivano al cappello erano per metà bluette e per metà rosa, raccolti ai lati in due codini disordinati. Una fila di piccoli anellini ornava la parte delle orecchie visibile.

Dall’ingombrante giubbotto di pelo sbucavano due esili gambette. Erano fasciate in calze a righe colorate e si tuffavano in due pensanti anfibi, che facevano sembrare i suoi piedi enormi.

Gli aveva rivolto la parola in una lingua strana (forse italiano?) che lui non aveva capito, ma la sottile sigaretta che la ragazza teneva tra le labbra e il movimento inconfondibile del pollice che si agitava sulla mano chiusa a pugno, toglievano ogni dubbio su quello che gli era stato chiesto.

“Oh, oui…”

Il ragazzo estrasse dalla tasca del cappotto una scatolina di fiammiferi rossa. Un gadget di uno degli sponsor della squadra di pallavolo polacca in cui giocava Ushijima. La portava sempre con sé, anche se non aveva mai fumato in vita sua.

Non conosco nessuno che usi ancora i fiammiferi per accendere le siga. Sei un ragazzo all’antica” esclamò la ragazza in italiano facendo una breve risatina. L’anellino che aveva sul labbro superiore brillò.

Satori non aveva capito una parola, ma concluse che doveva aver detto una cosa bellissima se aveva provocato uno dei sorrisi più dolci che avesse mai visto.

“Do you speak english? Tu parles francais?” continuò la ragazza.

“Yes, english it’s better!”. Satori estrasse un fiammifero dalla scatolina, lo accese al primo colpo e facendo una barriera con l’altra mano lo avvicinò alla sigaretta che la ragazza teneva ancora in bocca. Alla luce tremolante della fiammella, Satori notò che aveva gli occhi gonfi, e il poco trucco era sbavato. Un’ultima lacrima stava sfuggendo dalle lunghe ciglia.

Satori infilò una mano nel cappotto e dalla tasca interna estrasse un fazzoletto di stoffa, che le offrì senza dire niente.

Cazzo, sei proprio all’antica tu! Grazie” la ragazza prese il fazzoletto e si pulì la lacrima dalla guancia.

“Tutto bene?” le chiese Satori. Non erano affare suoi, è vero, ma quella ragazza gli faceva davvero tanta tenerezza, e accettò il rischio di prendersi un vaffanculo.

Finchè sto lontana da quelle merde sto benissimo!” gli disse con rabbia, ancora in italiano. “Scusa” continuò in inglese, “ho litigato per l’ennesima volta con i miei genitori”.

“Capisco...”

“Non credo. I tuoi genitori ti ignorano e ti detestano al punto da non volerti vedere neppure il giorno di Natale?” rispose la ragazza buttando fuori il fumo con un soffio.

“Mio padre è morto, e mia madre si trova in Giappone, quindi la vedo pochissimo. Però posso dire con assoluta certezza che non mi detesta affatto”.

“Mi dispiace per tuo padre...”

“Hai provato a parlarci? Con i tuoi, intendo.”

“Ai miei non interessa niente di me, mi hanno detto chiaramente di non farmi più vedere!” mentre lo diceva le labbra le tremavano e gli occhi erano diventati di nuovo lucidi.

“Sono sicuro che in fondo ti vogliono bene.”

“E ti sbagli. Se mi volessero bene non mi avrebbero detto di stare dove sto, non mi avrebbero chiesto di non tornare a casa. Non mi avrebbero accusato di essere malata, di essere sbagliata, solo perché non mi piacciono i maschi. Sessualmente, intendo” aggiunse, come se si sentisse in dovere di chiarire che in altri contesti non aveva nulla contro i maschi. “Se mi volessero bene non gli farei schifo”. Si fermò, fissando lo sguardo nel vuoto, come a scacciare un pensiero doloroso. “E tu?” riprese ritrovando il sorriso, “Che ci fai tutto solo la vigilia di Natale? Sei un maniaco o qualcosa del genere?”

“Sono uno che lavora troppo” rispose lui appoggiando le mani sul gradino e inarcando la schiena, mentre alzava lo sguardo al cielo.

“Ma oggi è la vigilia di Natale!”

“Credimi, per me è il giorno più stressante dell’anno!”

“Ma allora sei Babbo Natale!” esclamò lei battendo i palmi della mani fasciate da guanti neri senza dita.

Hahaha! Tu piuttosto, hai tutta l’aria di un elfo!” commentò Tendo d’istinto, dimenticando di usare l’inglese.

“Qualunque lingua tu abbia usato, mi dispiace, non la conosco. Sei cinese? Giapponese? Koreano...”

“Giapponese.”

“Io sono Vera, molto piacere. Facciamo due passi? Ho il culo congelato.”

Scoppiarono a ridere. Alzarsi da quel cubo di ghiaccio era un’ottima idea.

In piedi, Vera gli arrivava a mala pena al petto, e sembrava ancora più piccola dentro quell’enorme pelliccia colorata, e avvolta in quella sciarpona che sembrava stritolarla.

Scesero la scalinata della cattedrale ridendo e parlando. Lei gli raccontò della sua difficile infanzia in un paesino del centro Italia, di una vita trascorsa in una famiglia rigida e anaffettiva, del padre omofobo, della madre troppo concentrata su se stessa per dedicarsi alla sua crescita. Gli parlò della difficoltà di capire chi era veramente, della paura di mostrare al mondo la vera se stessa, del disgusto dei suoi genitori quando finalmente si era decisa a fare outing con loro. Gli parlò del suo primo grande amore (una compagna del liceo), della sua prima grande delusione (la stessa compagna del liceo), della sua fuga dal suo paesino per approdare nella grande Parigi. Della lotta quotidiana per sopravvivere in una grande città, accettando qualsiasi lavoretto saltuario.

Mentre parlava gesticolava tantissimo, come fanno sempre gli italiani, e dalla sua bocca il fiato si trasformava in nuvolette che cambiavano colore man mano che attraversavano le strade di Parigi. Rosso mentre si aggiravano nel quartiere di Pigalle, verde mentre camminavano sotto le ricchissime luminarie natalizie lungo i Champs Elises, giallo sotto i lampioni che costeggiavano la Senna, bianco accanto alle luci sfavillanti della Tour Eiffel.

Tendo la ascoltava, tenendo le mani strette nelle tasche dei pantaloni per non cedere alla tentazione di abbracciarla, e di stringerla forte, tanta era la simpatia che gli ispirava.

A mezzanotte si fermarono a bere una birra in un locale del Quartiere Latino, e alle quattro comprarono una crepes da un truck food aperto tutta la notte, accanto alla piramide del Louvre.

Anche lui le raccontò della sua vita. Del fatto di essersi sempre sentito strano, diverso dagli altri, fin da piccolo, dei tanti bulli che aveva incontrato in ogni scuola che avesse frequentato, delle risatine che sentiva sempre alle sue spalle, della difficoltà di essere accettato dagli altri. Le raccontò della pallavolo, dei suoi primi amici, i suoi compagni di squadra, del suo primo amore (un compagno del liceo), della sua ennesima delusione (quello stesso compagno del liceo), della sua fuga per realizzare il suo sogno, a Parigi.

Parlarono dei loro tatuaggi, del momento in cui avevano deciso di farseli e del loro significato. Degli animali domestici che avevano avuto e che avrebbero voluto avere. Di sport, di musica e di cinema.

Senza accorgersene, camminando attraversarono tutta la città, senza smettere di parlare, e senza pensare al tempo che passava. Nessuno li stava aspettando da qualche parte, e non c’era nessun altro luogo in cui entrambi avrebbero voluto essere. La luna aveva compiuto il suo tragitto nel cielo, ed era pronta a lasciare spazio ai primi bagliori dell’alba.

I due ragazzi si fermarono a metà del Pont des Arts, circondati da migliaia di lucchetti incastonati in ogni centimetro di ringhiera, in perenne ricordo di un amore passato di lì. Si appoggiarono con i gomiti al parapetto guardando il Tamigi scorrere lento e indifferente, mentre tutto intorno la città iniziava ad animarsi per affrontare il giorno più importante dell’anno.

“E’ quasi mattina…” disse Vera, incredula “Abbiamo camminato tutta la notte”.

“Buon Natale” gli rispose di rimando Satori, e questa volta allungò il braccio e la abbracciò, stringendola forte a sé.

Lei ricambiò l’abbraccio e poi si sollevò sulle punte per lasciargli un bacio umido sulla guancia. “Ed ora che si fa?”

“Ti va di provare una colazione a cinque stelle?”

“Per chi mi hai preso? Ho l’aria di una che può permettersi di fare colazione in un posto di lusso?”

“Si dà il caso che in tasca io abbia le chiavi della migliore pasticceria di Parigi, se non del mondo! Offro io! Ti assicuro che non la dimenticherai più per tutta la vita!”

“Affare fatto, Babbo Natale!”

Mentre il sole sorgeva sulla città, Satori e Vera facevano la miglior colazione del mondo, seduti per terra nel laboratorio della Patisserie Tendo e circondati da vassoi contenenti ogni tipo di dolce si potesse immaginare, senza smettere di parlare, ridere e prendersi in giro.

La prima di tante colazioni che avrebbero fatto insieme.

Il Natale aveva regalato a Tendo una nuova amica, e una seconda possibilità. Non l’avrebbe persa. Trascorse il resto della giornata a telefonare a tutti gli amici, restando a parlare con loro per lungo tempo. Per ultima lasciò sua madre, alla quale raccontò con calma della sua nuova vita a Parigi, delle difficoltà superate, dei nuovi progetti. La sera stessa le spedì una mail con il suo regalo di Natale: biglietti aerei e un soggiorno a Parigi per un week end in primavera.

Non avrebbe più trascurato né lei né i suoi amici, per colpa del lavoro. Doveva trovare del tempo per sé e per i suoi affetti.

In questo Vera poteva dargli una mano. Nella sua veste di nuova collaboratrice della pasticceria, e soprattutto, in qualità di Elfo di Babbo Natale.

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NOTE: * tipici dolci natalizi francesi

   
 
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