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Autore: Flying_lotus95    09/12/2023    3 recensioni
[Scritta per il "Calendario dell'Avvento 2023" di Fanwriter.it"]
Matilde, giovane prostituta cieca, si appresta a trascorrere il primo Natale dopo la guerra, con un desiderio nel cuore sempre più insistente...
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Il Novecento, Dopoguerra
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Note iniziali:
Questa one shot prende ispirazione dal manga Veil di KOTTERI! e il film C'è ancora domani di Paola Cortellesi, in special modo per quanto riguarda il contesto storico in cui i personaggi agiscono.
Voglio ringraziare la mia cara partner in crime effe_95 che mi ha permesso di “adottare” il suo Hauptsturmführer Christian Hengel per questa umile storiella di Natale. È un personaggio che appare in Bis du zurückkerst, sua fanfiction tratta da  “Axis Power: Hetalia” che vi consiglio caldamente di leggere e supportare (non perché sia collegata alla mia, anche perchè, oltre al luogo in cui è ambientata e al personaggio sopracitato, non vi sono collegamenti. Però mi piace pensare che facciano un po’ parte dello stesso macrocosmo, anche senza alcun collegamento evidente 🤭🤭).
Vi è presente anche un altro personaggio non mio, ma che ho adattato alla mia visione d'insieme (Franci spero che ti piaccia ugualmente 🙈🙈).
Amatela, perché ci ho messo il cuore e ho adorato scriverla. Avrei continuato all'infinito ma, ahimè… dovevo contenermi.
Vi avviso inoltre che ci sono frasi scritte in dialetto romano, non so se sono corrette, se leggerà qualcuno di Roma e dintorni mi faccia sapere se ho scritto bene o meno 🤗🤗
Buona lettura 💋💋


 

Ai miei occhi




Roma, Dicembre 1945
 
Quella mattina il freddo pungeva più forte del solito.
Matilde si era dovuta coprire la punta del naso ghiacciata, infilandoselo alla bene e meglio sotto la sciarpa spessa. Franca l'aveva aiutata a sistemargliela con cura, mentre la teneva sotto braccio.
Avevano avuto il via libera dalla loro madame di poter passeggiare per le strade della Prenestina, approfittandone anche per racimolare qualche bene di prima necessità in qualche negozio alla buona che avrebbero trovato lungo il tragitto. 
Franca chiacchierava un sacco, del più e del meno, mentre Matilde si limitava ad annuire e a perdersi nel suono della sua voce: a tratti era un po’ gracchiante, viste le tante sigarette fumate in compagnia dei clienti. A Matilde il fumo non piaceva, ma si dispiaceva di dirlo ai suoi ospiti, per cui li lasciava fumare anche dieci sigarette una dietro l'altra, mentre lei poggiava la testa stanca sul cuscino, cercando di chiudere gli occhi per riposare. 
Nessuno rimaneva mai scontento di lei, e tornavano tutti a trovarla. Madame Adriana considerava Matilde il suo gioiello di punta, nonostante avesse ventisei anni, e per l'epoca fosse considerata già una donna che aveva quasi raggiunto la sua piena maturità.
«Allora? Lo vogliamo piglià quel profumo?» disse all'improvviso Franca, cogliendo l'amica di sorpresa. Matilde contenne un sorriso delicato sulle labbra chiuse.
«Ma costa troppo, Franca!» la rimproverò docilmente. «Madame Adriana non ci ha fatto uscire per farci spendere un capitale!». Matilde rise delle sue stesse parole, immaginando la faccia della vecchia padrona della Maison Camelia accartocciarsi in un'espressione truce e di disappunto davanti a quell'acquisto inaspettato. Sarebbe stato proprio divertente vederla, pensò Matilde. Il sorriso le si spense lievemente poco dopo aver realizzato quella scena in testa.
«Quella vecchiaccia ci dovrebbe fa’ ‘na statua d'oro per come siamo brave a mandarle avanti la baracca! Pure sotto ae bombe ‘amo lavorato senza lamentacce, quindi mo’ che vole?» replicò Franca, con una punta d'orgoglio nella voce. Matilde ridistese nuovamente il suo bel sorriso, stavolta con molta più sicurezza e gioia. Franca era più piccola di lei di due anni, eppure a volte sembrava una donna fatta e finita, anche nel modo di porsi e di parlare. Matilde la ricordava bellissima con quei suoi capelli lunghi e ricci, le forme abbondanti e il suo colorito mediterraneo. Chissà se in quei mesi si era leggermente ingrassata, oppure aveva perso qualche chilo. La guerra aveva tolto loro tanto, e a Matilde aveva tolto anche qualcosa di molto prezioso: la vista.
Era diventata cieca da un anno ormai, a causa dello scoppio di una bomba, mentre correva al rifugio assieme alle sue compagne, di notte. Non c'era stato nulla da fare, la polvere di detriti e vetro le aveva graffiato gravemente la cornea ad entrambi gli occhi. Ma Matilde non si era persa d'animo, dopotutto se si fosse arresa o anche solo fermata, sarebbe stata ugualmente la fine per lei. Nessuno avrebbe preso a lavorare con sé una ex prostituta, per giunta non vedente. Lo stigma e il pregiudizio l'avrebbero seppellita senza riguardo, condannandola a morte certa, in un Paese ancora in balia dell'occupazione nazista e di altri tumulti interni.
Matilde si era rimboccata le maniche affinché potesse dimostrare a Madame Adriana di poterle essere ancora utile, di non essere diventata un peso da sobbarcarsi senza poi ricevere alcun profitto. 
Era la prostituta più richiesta da sempre, e lo era rimasta anche dopo la perdita della vista. 
Aveva sudato per mantenersi quel nome, quel prestigio.
I clienti poi erano affezionati a lei, ma non soltanto perché fosse brava a fare all'amore, ma perchè Matilde era cordiale e gentile, li ascoltava quando avevano voglia di parlare e di confidarsi, e stranamente, durante la guerra, erano molti di più i signori che la cercavano per farsi quattro chiacchiere che quelli che volevano sfogarsi a letto.
Ne aveva dovuti ammorbidire di tedeschi, che si presentavano alla maison come se fossero a casa loro, pretendendo di avere solo il meglio del meglio. Matilde, Franca e tutte le loro compagne avevano sopportato e tollerato, molte di loro avevano figli piccoli a casa, e l'idea che al minimo screzio quei crucchi potessero prenderle e portarle sui camion diretti chissà dove, per puro capriccio, le faceva tenere la testa bassa, anche se nel loro cuore ardeva un forte senso di resistenza.
Con gli americani, la situazione non era cambiata chissà quanto alla fine: era cambiato solo il messaggio che portavano con loro. Essi avevano liberato l'Italia, erano gli eroi della Storia. Ma anche agli occhi degli eroi, loro restavano sempre le stesse: donne usa e getta. Donne frivole capaci solo di sorridere e di lasciarsi sottomettere al primo forzuto di turno.
Matilde, in risposta a tutto questo, aveva sempre avuto un sorriso pronto, una parola gentile e una carezza. Ogni cliente che lasciava la sua stanza si portava via un pezzo di cuore, un affetto immeritato.
Non era sempre stato facile, c'erano stati momenti in cui era stato addirittura complesso mantenere la calma, ma la pazienza di Matilde poggiava su solide basi, su di un cuore buono nonostante le batoste che la vita le aveva rivolto ingiustamente da sempre.
Era diventata un po’ il punto di riferimento per le sue compagne, se avevano bisogno di parlare o confidarsi, tutte sapevano che in Matilde avrebbero trovato un valido appoggio.
Le due donne avevano da poco girato l'angolo quando incontrarono le camionette militari degli americani parcheggiate sulla strada. I soldati erano intenti a parlare e a fumare, ridendo ad alta voce e imprecando in una lingua che, a Matilde e Franca, risultava estranea. 
«Anvedi quante arie se danno ‘sti pezzi di Marcantonio!» constatò Franca, alzando il mento con notevole sdegno.
«A vedè non posso vedè, lo sai!» la prese in giro Matilde, ridendo di sè stessa. 
Anche a Franca venne da ridere a quella battuta. 
«Però, te posso dì?! A questi je aprirei le gambe senza fa’ troppi complimenti, amica mia!» commentò Franca, e dalla voce, a Matilde parve piuttosto compiaciuta. 
«Tanto basta che ci pagano, no!?» tagliò corto Matilde con calma, sistemandosi la sciarpa all'altezza della bocca. 
Improvvisamente, però, Matilde notò in Franca un cambiamento repentino, aveva avvertito il suo braccio stringersi maggiormente al suo, come se fosse stata preoccupata per qualcosa.
«Mejo se affrettamo er passo, Matì!» sbottò Franca, diventata seria tutt'ad un tratto. 
Matilde avrebbe voluto chiedere il motivo di tutta quell'urgenza, non avvertiva passi concitati dietro di lei, né tantomeno avvertiva il richiamo molesto di qualcuno, dei soldati ad esempio. 
Si lasciò trascinare via, mentre uno strano presentimento le si fece largo nel cuore.
 

 
***
 

«Ma li avete visti pure voi gli americani per strada? Regalavano cioccolata e sigarette a destra e a manca».
Alessia era al settimo cielo mentre aggiustava lo striscione colorato che avrebbe messo attorno al grande albero di Natale del salone. Franca aiutava Matilde a districare i fiocchi che avrebbero appeso sull'albero, assieme alle palline di vetro colorate.
Matilde tutti quei colori non poteva vederli, ma nel toccare la consistenza delle palline, riusciva a capire di che colore fossero, inventando sfumature che ovviamente non esistevano, o a cui nessuno aveva dato ancora un nome.
«Matì, tu sei sprecata qua dentro! Tu dovevi metterti a fare l'indovina! Sei pure cieca, saresti stata abbastanza credibile!» la pungolò Franca divertita, dandole una pacca affettuosa sul ginocchio. Matilde sorrise della battuta, stringendo la mano dell'amica.
«Ma a proposito, quel bel soldato americano… t'è più venuto a trová?» esclamò Alessia, stando bene attenta a non scivolare dalla scala traballante.
Matilde avvertì un leggero sbuffo alla sua destra, non gli diede molto peso.
«Non ho ancora ricevuto risposta alla mia lettera» rispose lei, sgranchendosi le dita una ad una per il troppo sforzo manuale.
«Avrà avuto da fare» commentò in seguito, pulendosi la gonna con delicatezza. Aveva un'espressione così dolce e sognante sul viso che alle altre pareva sempre alle prese con un bel sogno ad occhi aperti. Le palpebre per lo più le manteneva abbassate, le apriva di rado. Aveva le pupille di un colore talmente chiaro, tendenti al viola. Un tempo quegli occhi avevano stregato uomini per molto meno, e il non riuscire più ad usarli come avrebbe voluto era stato difficile per Matilde, straziante. Lei che con gli occhi aveva saputo comunicare più delle parole, si era sentita improvvisamente senza voce, senza mezzo d'espressione. Quella bomba le aveva cancellato l'anima, e ricucirla da zero con una nuova forma non era stato facile. C'erano stati pianti silenziosi, urla soffocate, disperazione: poi col tempo, aveva imparato a vedere in modo diverso. Attraverso il tatto, l'udito, la pelle. 
Con le dita leggeva i sorrisi o il broncio dei suoi clienti, con la punta del naso avvertiva la consistenza della pelle e il loro odore, anche se alle volte finivano per sembrare tutti uguali, e con le orecchie faceva attenzione ad ogni rumore, ad ogni gemito, ad ogni singulto.
Il non vedere, paradossalmente, l'aveva aiutata ad amare meglio, più di prima.
Era stato un ottimo metodo per celarsi agli altri, ma anche per sentire gli altri senza mettere troppo in mostra il cuore.
Un sorriso in particolare le era rimasto impresso tra le dita: il sorriso di un uomo che aveva perso la voglia di vivere. Un uomo straniero, che Matilde aveva visto soltanto una volta quando gli occhi ancora le funzionavano. Il suo sguardo lo aveva temuto, la sua pelle lo aveva saputo conoscere, apprezzare, adorare.
Quell'uomo non aveva mai più abbandonato i pensieri di Matilde.
Mentre tutta Roma festeggiava la fine di quell'incubo durato cinque lunghi anni, lei aveva un campanello nel cuore che da quel giorno non aveva più smesso di suonare, togliendole il sonno e la pace.
«Non metterci troppo il pensiero sopra, Matì» esclamò Franca ad un certo punto, acida.
«Non farti troppe aspettative». Le venne fuori come un rimprovero, e Matilde corrucciò le sopracciglia, confusa. 
«Ma Luke è un brav'uomo…»
«Ah, adesso diamo pure del tu ai clienti?!» 
«Ué, ma che ti sei mangiata stamattina, pane e polemica Franchì??» fece Alessia, sorpresa da tutta quella veemenza che la compagna raramente mostrava nei confronti di Matilde.
Quest'ultima alzò una mano, muovendola docilmente. Stava invitando Alessia a non inveire contro l'altra.
«Dai su, non litigate per colpa mia! Ci stiamo avvicinando al Natale, dobbiamo essere allegre e piene di festa… dopo tutti questi anni di terrore che abbiamo passato…» puntualizzò Matilde, l'espressione sempre vaga a causa della cecità, ma sorridente.
«Non me lo ricordare, Matì, pure sotto ae bombe ‘amo lavorato, senza fa’ sconti a nessuno» dichiarò Alessia, con una punta d'orgoglio nella voce. 
«Ce lo meritiamo un Natale sereno… poi io non vedo l'ora di rivedè mi fijo… Creatura mia, c'ha l'esame di quinta quest'anno! Je voglio fa’ un bel regalo mo che torno al paese!». La voce di Alessia era sempre squillante e vivace quando nominava il figlio. Matilde era felice per lei, prima di perdere la vista lo aveva anche visto in foto: era un po’ grassottello, e aveva il viso buono e gentile, come quello di Alessia. 
«E chi vole litiga’» s'intromise Franca, punta sul vivo. «Le voglio solo ricordá de non fasse castelli per aria. Non te lo riporterà indietro».
L'ultima frase Franca l'aveva bisbigliata, e Matilde aveva colto il messaggio forte e chiaro. 
«Non ti basta aver sofferto in silenzio per tutto questo tempo a causa sua? E per colpa di quell'altra sciagurata?».
Matilde corrucciò la fronte, interdetta.
«Non dire così. È solo una ragazzina…»
«Lo sapeva perfettamente che ti piaceva, e se l'è preso per farti dispetto»
«Non ha avuto altra scelta! È stato lui a volerla»
«E allora perché continui a farti in quattro per-»
«BASTA FRANCA!».
Alessia e Franca rimasero di stucco a quella reazione. Matilde aveva lanciato a terra una pallina, le mani le tremavano vistosamente. Era sul punto di piangere, ma inspirò profondamente, deglutendo.
Alessia e le altre non sapevano niente, e se lo avesse saputo madame Adriana, sarebbero sorti problemi non indifferenti. 
Da quando la guerra era finita, di certe cose, e persone, non si poteva più parlare liberamente. Era solo passato qualche mese e due stagioni, ma la gente aveva avuto bisogno e urgenza di dimenticare l'orrore, la paura, la minaccia. 
«È Natale, Franca» concluse Matilde, allungando un lato delle labbra in un sorriso tremulo. Aveva cercato di riprendere il pieno controllo su di sé, non voleva far preoccupare nessuno. 
«Non c'è niente di male nel voler desiderare il bene di tutti, indistintamente».
E si portò una mano sul cuore, le aveva preso a battere forte così, dal nulla.
Sentì una mano stringere la propria, capì subito a chi appartenesse.
«Scusa» mormorò Franca, e alle orecchie di Matilde arrivò tutto il dispiacere che stava provando.
«Non fa niente» la rincuorò Matilde «Non pensiamoci più».
Ma Matilde era certa che, in realtà, avrebbe continuato a pensarci eccome, senza sosta.
Ovunque tu sia, spero tu stia bene, capitano Hengel.
 

 
***
 

Franca sapeva dove lo avrebbe trovato.
Era uscita con una scusa, dicendo che doveva andare a fare una commissione importante per una delle ragazze, e intanto si era imbacuccata nella sua pelliccia e si era buttata nella Prenestina con passo svelto.
Il rumore dei tacchi ticchettava sul marciapiede come un metronomo, con una certa rapidità. 
Svoltò l'angolo e trovò le camionette americane, dove i soldati pattugliavano la strada, ascoltando radio a tutto volume o masticando le loro sigarette senza filtro che perdevano pellecchie di tabacco.
Appena la videro, le fischiate non mancarono.
«Hey, baby, would you like a cigarette?» fece uno di loro, con la bava alla bocca. Franca lo squadrò dalla testa ai piedi, schifata.
«No, ténk iu, non accetto lavori in mezzo alla strada» berciò con disappunto. Si tirò per riflesso la pelliccia sul petto, improvvisamente spaventata. Quando si trovava con Matilde o qualche altra sua compagna, la spavalderia non le mancava, ma da sola perdeva tutta la sua baldanza. 
Tuttavia, cercò di non perdersi d'animo, aveva una missione da compiere.
«Hey Franca, my friend!».
L'arrivo inaspettato di un soldato, dalle stellette che portava si trattava di un colonnello, alto, capelli corti e neri, fece acquietare i bollenti spiriti che stavano nascendo nei soldati di pattuglia. 
Franca recuperò un po’ della sua spavalderia, alzando il mento. 
«Alla buon'ora, colonné! Qualche minuto di ritardo e facevo festa grande con gli amici vostri!» sbraitò la ragazza, portandosi i pugni sui fianchi.
Il colonnello Luke James Hilton la accolse con un sorriso spavaldo, sollevando le braccia. 
«Ti chiedo scusa per il mio ritardo» annunciò, l'influenza dell'accento inglese era piuttosto marcato.
«È con me» fece poi alla volta dei suoi commilitoni, in inglese. I soldati la lasciarono passare, mostrandosi cordiali e ossequiosi nel vedere che era in rapporti stretti con il loro superiore.
Franca li sorpassò a testa alta, sfrontata. Era abituata a tenere testa agli uomini, anche se il più delle volte gli uomini in divisa le avevano provocato più paura del necessario. 
Luke aspettò pazientemente che la ragazza lo raggiungesse, con le mani dietro la schiena.
Da quando erano giunti a Roma dopo la liberazione, Luke e i suoi uomini frequentavano spesso la Maison Camelia.
Luke si era innamorato a prima vista di Matilde, della sua dolcezza e del suo portamento gentile ed educato. 
Ma purtroppo sapeva che non sarebbe stato facilmente ricambiato, perché il cuore della giovane cieca era già stato preso da qualcun altro…
«Ieri mi stavo avvicinando a te e Matilde» iniziò l'uomo, non appena Franca lo raggiunse «Ma non gli hai detto che c'ero. Anzi, le hai messo fretta per andarsene» continuò Luke, tra il risentito e il curioso.
Franca mise il broncio volgendo lo sguardo altrove. Vi era aria di neve, nel pomeriggio sarebbe sicuramente fioccato.
«E che ci fermavamo a fare? Per darvi la possibilità di darle un dispiacere?» replicò lei, affondando le mani nelle ampie tasche della pelliccia un po’ consumata.
«In realtà, ho delle novità» decretò Luke, abbassando la voce e guardandosi repentinamente intorno.
«Non te lo dovrei dire, sono informazioni top secret…»
«Colonnè, venite al dunque, che non ho tutta la giornata libera!» sbottò Franca, stizzita.
«Quel tedesco, Hengel… lo abbiamo trovato».
Franca si fermò di colpo, immobile. Fino a pochi istanti prima, non aveva avvertito per nulla il freddo, ma appena il colonnello Hilton pronunciò quel cognome, un brivido le percorse la schiena, partendo dal collo a finire alla punta degli alluci.
«Trovato… come?» chiese con titubanza. Fissò il colonnello preoccupata, non era davvero sicura di voler conoscere i dettagli.
Ma li doveva sapere per il bene di Matilde, per prepararsi a quello che sarebbe inevitabilmente venuto dopo.
«Lo abbiamo arrestato… verrà spostato successivamente, in attesa di nuovi ordini».
Franca tirò un sospiro di sollievo nel sentirgli dire quella frase, anche se l'idea di saperlo in carcere non la rendeva poi così entusiasta. Rivolse un pensiero a Matilde, e le si strinse il cuore.
«Ecco, lo sapevo che erano cattive notizie!» commentò lei, rassegnata.
«Ma almeno è vivo» cercò di tirarla su Luke, accomodante. La sua fiducia non trovò terreno fertile con Franca.
«E secondo lei, mo vado a dire a Matilde che il suo capitano sta ar gabbio? Così, a cuor leggero? Ve la ricordate la reazione che ha avuto quella sera, no? C'eravate pure voi!».
Sì, Luke quella sera non l'aveva dimenticata affatto. Quando seduti tutti ad un tavolo, alla Maison Camelia, uno dei suoi uomini, tra i fumi dell'alcool, aveva iniziato a parlare dei soldati tedeschi arrestati con aria trionfante. L'espressione di Matilde, seduta con tutti loro e con Franca alla sua destra, aveva iniziato a mutare leggermente, tentennando un sorriso di cortesia. Poi uno di loro aveva mrnzionato proprio quel nome tra i tanti, Hengel, e a Matilde le era mancata l'aria, aveva iniziato a respirare a fatica. Tutte le sue compagne, Franca inclusa, non l'avevano mai vista perdere il controllo in quel modo.
Luke era scattato, prendendola tra le braccia e scostandole i capelli castani dal volto provato. Le ciocche le si erano impigliate tra le ciglia lunghe di mascara, e quegli occhi smorti che, Luke ne era stato più che certo, contenevano una tristezza così grande da farlo sentire piccolo e impotente, nonostante la divisa che portava e il prestigio che esercitava. In quello sguardo, Luke si era sentito un piccolo, insignificante omuncolo.
L'aveva stretta a sé mentre Matilde chiamava disperata un altro nome: Christian.
Anche nel chiamarlo, tra le lacrime, a Luke era parso che lei avesse voluto accarezzarlo, proteggerlo chissà da che indicibile punizione. Aveva provato invidia, e se ne era vergognato. Ma era stato più forte di lui. 
«Ma… se volessimo…»
«No, non credo sarà possibile» Luke era diventato improvvisamente serio, non vi era più traccia del sorriso che fino a pochi minuti prima aveva illuminato il suo viso.
«Ma non ho finito manco di-»
«È stato accusato di crimini di guerra. Pendono su di lui delle accuse gravissime! Se dovessi lasciarlo a piede libero, potrei incorrere in beghe legali piuttosto fastidiose!».
Franca lo fissò interdetta, non riusciva ad immaginare che quel colonnello sempre così disponibile e simpatico avesse anche un lato tanto imponente e severo. Constatò, però, che avrebbe dovuto aspettarselo.
«Mi permetta, colonnè» fece poi Franca, risoluta «Ma non è che agite così solo per gelosia? A quel poverino chissà che destino gli aspetta… non entusiasma manco a me l'idea che Matilde lo rincontri di nuovo, perchè so che le farà male poi staccarsene, però…» e lì si fermò, ricordando il viso dolce e amorevole dell'amica «è quasi Natale, colonnè. Concediamoglielo ‘sto regalo, a tutti e due». 
Luke si morse il labbro inferiore, combattuto tra l'idea di allontanare definitivamente quel fantasma dalla vita della donna che amava, e assecondare quel piccolo e unico desiderio che Matilde non avrebbe mai detto ad alta voce. Già per chiedergli aiuto sulla ricerca di quel capitano delle SS lo aveva fatto per iscritto, perché certe cose avevano il suo pudore, anche per una ragazza come lei, che avrebbe potuto dire tutto quello che pensava senza sentirsi addosso sguardi giudicanti o espressioni contrariate. Probabilmente, si trovò a pensare l'americano, Matilde li avrebbe sentiti ugualmente addosso, anche senza doverli vedere con i propri occhi.
«Vedrò cosa posso fare» decretò alla fine, poco convinto.
«Stasera passo alla Maison e ti aggiorno» continuò, strizzandole l'occhiolino.
Franca si sistemò la pelliccia, contenta del suo operato.
«Vedrete che bell'albero di Natale abbiamo allestito in salone! Vi piacerà» fece giuliva, mentre proseguiva da sola verso il marciapiede adiacente.
«Ma Franca, non vuole un passaggio?» chiese Luke, alzando una mano come a richiamarla. Franca si girò nella sua direzione senza fermarsi.
«No grazie, me la faccio a piedi! Lei piuttosto, faccia quel che deve fare!» si congedò lei, di fretta.
Il colonnello la osservò mentre si allontanava su quei tacchi di altezza media, quanto bastava a slanciarle le gambe, per poi tornare mestamente ai suoi doveri. 
Si ripetè che lo avrebbe fatto solo per Matilde, soltanto per vederla felice. E per farle un prezioso, anche se per lui doloroso, dono di Natale.
 

 
***
 

Matilde era stesa sul letto, stanca.
Aveva mollemente poggiato le braccia sul ventre coperto dalla sottoveste di raso giallino, controllando il respiro cadenzato.
Quella mattina si era svegliata più pensierosa del solito: aveva mangiato poco a colazione, e aveva socializzato ancora meno con le altre. Non era decisamente da lei, che era sempre stata aperta e solare con tutte.
Ma quella mattina proprio non riusciva ad essere presente come avrebbe voluto.
Diede la colpa di tutto al ciclo imminente, probabilmente anche quel mese le sarebbe arrivato in anticipo. 
Aveva vissuto così tante emozioni negli ultimi mesi che in quel momento, da sola in camera, Matilde si sentì sopraffatta.
Solo l'atmosfera artificiosa del Natale che si respirava alla Maison Camelia le aveva dato un po’ di leggerezza. 
Avrebbe davvero voluto dormire, ma la testa continuava a mantenerla sveglia.
Ad un tratto, sentì un leggero bussare alla porta. Matilde sollevò un sopracciglio, prima di dare il consenso di entrare. A giudicare dalla rapidità del tocco, doveva per forza trattarsi di Franca.
«Buongiorno, bella addormentata!». Quella voce confermò i dubbi di Matilde. 
«Non è da te stare ancora a letto!» la rimproverò bonariamente Franca, Matilde la immaginò mentre si portava le mani sui fianchi, con un’espressione da matrona dell'antica Roma. Le venne da ridere al pensiero. 
«Non mi sento molto bene stamattina» commentò pacatamente Matilde, mettendosi a sedere sulla trapunta morbida. Un leggero movimento alla sua destra, seguito da uno sprofondamento, le fecero intuire che Franca si era seduta accanto a lei. Emanava un buon profumo speziato, di biscotti caramellati. A Matilde le si aprì lo stomaco immediatamente. 
«Gesù Matì, e che c'hai? Dobbiamo chiamà il dottore?» si allarmò Franca, battendo le mani platealmente.
«No, sarà la solita indisposizione…» Matilde pensò bene di non acuire le preoccupazioni della compagna, già sentirsi un peso per tutte loro era una costante contro la quale faceva ancora fatica ad interfacciarsi. Allarmarle per così poco non era certo la mossa più conveniente.
«Te lo dico sempre che devi mangiare più mandarini… c'hanno quella cosa bona, quell'ingrediente-»
«La vitamina C?»
«Eh, la vitamina C, brava!» esclamò Franca accomodante, Matilde sentì qualcosa ricadere sulle spalle, qualcosa di soffice al tocco. Franca le aveva messo la vestaglia di cotone sulle spalle scoperte, per coprirla dal freddo.
«Comunque madame Adriana ha detto che oggi apriamo prima» comunicò in seguito Franca, e Matilde avvertì la sua voce lontana, e alcuni rumori indistinti accanto alla sua ballerina.
«Muoviti Matì, che te devo fa l'acconciatura, su!» la chiamò l'altra, spiccia.
Ma Matilde abbassò il capo, increspando le labbra.
«Oggi non voglio lavorare, Frá» dichiarò Matilde, mortificata. La risposta di Franca non tardò ad arrivare.
«Sapessi io quanta voglia ho de lavorà… ma non ce lo possiamo permettere un giorno di ferie, a meno che non stamo lì lì per crepà» commentò Franca, Matilde immaginò che nel dirlo, si fosse portata due dita sul ponte del naso, stringendolo. Era un gesto che glielo vedeva fare spesso, prima.
«Ma non sono dell'umore… non vorrei sembrare scortese agli occhi dei clienti…»
«Tu sempre a pensare agli altri stai!» la rimproverò la compagna, avvicinandosi per aiutarla ad alzarsi.
«Non li ammazza nessuno se oggi la loro cara e buona Matilde non gli fa sorrisi e carinerie! S'attaccano!» continuò a commentare piccata Franca, prendendo Matilde per un braccio e per il fianco, sbrigativa ma cauta.
«Si attaccano dove?» chiese Matilde, sollevando un sopracciglio, sorpresa. Alcune espressioni del dialetto romano continuavano a sfuggirle, nonostante ormai fossero anni che viveva nella Capitale.
Sentì Franca trattenere a stento una risata.
«Dove se devono attaccà, Matì, al-» una breve esitazione «-al loro attributo maschile!».
Matilde rise di gusto nel sentirla pronunciare quella volgarità così aulicamente. 
«Ah, almeno t'ho fatto ride» puntualizzò Franca, facendola sedere sullo sgabello imbottito della ballerina, stando bene accorta a non farla scivolare col sedere a terra «Dai, famose belle, che oggi arriva pure l'americano tuo, me lo sento!» dichiarò la ragazza, iniziando a districare i nodi dei lunghi capelli di Matilde con le dita sottili e veloci. 
Quest'ultima abbozzò un lieve sorriso imbarazzato. Da quando gli aveva consegnato quella lettera non lo aveva più visto, e avrebbe mentito a sè stessa se avesse ammesso che non le fosse mancato in quei giorni. Ma dall'altro lato, il ricordo del capitano Hengel le pungeva sotto pelle, disorientandola. Sentiva che era giusto andare avanti, che era ancora più giusto dimenticarlo e lasciarlo andare incontro al suo destino, ma Matilde non riusciva a non farsene una colpa. Di cosa poi, non era riuscito a capirlo nemmeno lei.
Forse di salvarlo da un tragico epilogo e ridonargli speranza, ma sapeva che le sue erano preghiere inutili. Christian Hengel era andato incontro alla morte giorno dopo giorno, desiderandola quasi, anche se a parole non lo aveva mai detto esplicitamente. Lo aveva capito dal modo in cui lo aveva sentito parlare di quel suo precedente e sfortunato amore, perso in uno di quei campi di lavoro forzato in Germania. Matilde lo aveva capito dal tono della sua voce, dalla rassegnazione che gravava sulle sue parole, dal modo strozzato di trattenere un urlo al solo ricordarsi di lei. Il colonnello Luke Hilton era stato totalmente l'opposto. Era sempre allegro, divertente, un po’ sbruffone, a Matilde piaceva prenderlo in giro sgonfiandogli l'ego che si ritrovava. Luke aveva portato quella leggerezza che nella vita di Matilde serviva disperatamente, e gliene sarebbe stata sempre profondamente grata per questo. Anche se prima o poi avrebbe lasciato l'Italia e l'avrebbe dimenticata, tornando alla sua vita di sempre, mentre lei avrebbe continuato a tirare avanti finchè Dio avrebbe voluto.
«Spero che arrivi…».
Franca borbottò sottovoce quella frase, ma Matilde la udì chiaramente. Si sentì rincuorata, stranamente. Rincuorata di sentirsi circondata da persone che, nonostante tutto, volevano il suo bene. 
Si lasciò sistemare i capelli in silenzio, mentre un'unica lacrima le scivolò silenziosa sulla guancia.
 

 
▪◇▪︎
 

«Oh, e andiamo, Desia, sempre a fare storie stai!». 
L'esclamazione repentina di Alessia arrivò alle orecchie di Matilde come un fulmine a ciel sereno. Era seduta sulla poltroncina accanto al grande albero di Natale a chiacchierare con Franca e le altre compagne, quando avvertì quella voce esasperata.  
«Che succede, Frà?» chiese Matilde, picchiettando sul ginocchio dell'amica. Dopo una lieve esitazione, Franca l'accontentò. 
«Niente, Desia come al solito che fa la primadonna» commentò svogliata. Matilde corrucciò il viso. 
«È una volta sono i vestiti troppo così, e un'altra è il profumo troppo forte… sta ragazzetta non s'accontenta mai!» continuò Franca, ricevendo il benestare delle compagne. 
Matilde scosse lievemente il capo alle sue parole. 
«Bisogna essere comprensive con lei» affermò, pacata e dolce come sempre «È la più piccola qui dentro… vuole solo un po’ di attenzioni…» 
«Proprio tu parli, che a te non te po’ vedè?» sottolineò Franca, accigliata.  
«Sei proprio una mamma mancata, Matì» fece un'altra ragazza, Tina, carezzandole un braccio con premura.  
Matilde ricambiò la stretta e sorrise a vuoto. 
Lo sguardo dolce e vacuo, come sempre. 
«Se penso che è per colpa sua se tu stai in queste condizioni… Uh, madonnina perdona i brutti pensieri che sto facendo!» esclamò Franca, che dai movimenti percepiti da Matilde alla sua destra, ipotizzò si fosse fatta velocemente il segno della croce.  
Tutto ad un tratto, Matilde si alzò di scatto, cercando con la mano l'appoggio di qualcuno, che fosse Franca o qualche altra, non le importò molto. 
«Ma dove vuoi anná?» le fece appunto la prima, afferrandola per un braccio, spaventata all'idea che volesse muoversi senza l'ausilio di qualcuno.  
Matilde infatti si diresse verso le dirette interessate, guidata dal loro vociare concitato.  
«Che succede qua?» chiese, apprensiva. Le voci si zittirono all'improvviso. 
«Nulla, Matì… per un paio di calze bucate ‘sta pischella sta a ffa’ il diavolo a quattro!» esordì Alessia, scocciata.  
«Calze bucate?» ripetè Matilde, incuriosita.  
«Le mie calze preferite si sono scucite, e adesso sono rimasta senza». 
La voce impettita e altezzosa dell'altra ragazza, Desia, giunse a Matilde come una piccola esplosione colorata, di tonalità rosso fuoco. Da quando aveva perso la vista, aveva sempre associato a Desia quel colore: per lei era come un piccolo fuoco d'artificio scoppiettante e luminoso.  
«Come faccio a lavorare senza le mie calze preferite?» continuò Desia, arrabbiata e mortificata. Matilde sentì la risata di Franca scoppiarle nelle orecchie. 
«Come se poi le calze te le dovessi tenere addosso mentre lavori!» commentò piccata, pensando di aver fatto una battuta simpatica. Ma a Desia non arrivò per niente a quel modo. 
«Scusami se a differenza vostra voglio apparire un minimo decente!» esclamò la giovane, nella voce una punta d'offesa fece capolino a tradimento. 
Matilde sentì sciogliere la presa dal suo braccio, non era un buon segno. 
«Sentimi bene, tu, smorfiosetta da quattro soldi» quando Franca usava quel tono, vi era poco da restare calmi. Stava preannunciando venti di guerra. Matilde deglutì preoccupata. 
«Sono finiti i tempi in cui eri l'esclusiva dei pezzi grossi… a malapena gli americani quando vengono qua ti guardano in faccia, con tutto quello stucco che ti metti addosso!». 
Quando si trattava di litigare con Desia, aveva constatato tristemente Matilde, Franca non si poneva limiti. Le sputava in faccia tutta la cattiveria di cui era capace, nonostante più volte la stessa Matilde l'avesse invitata a moderarsi, considerando l'ingenuità dei suoi sedici anni. Desia aveva fatto perdere le staffe a chiunque con il suo caratterino sopra le righe, ma Matilde aveva sempre cercato di vedere oltre quel burrascoso animo che la giovane si ritrovava. D'altronde, non era stato facile per lei, a sedici anni, ritrovarsi in una casa chiusa alla mercé di uomini sconosciuti e spesso gretti e insensibili, senza aver mai avuto occasione in precedenza di essere stata toccata da mani gentili.  
Matilde si era chiesta innumerevoli volte se Christian… il capitano Hengel l'avesse trattata con rispetto, senza mortificarla. 
A suo tempo, avrebbe preferito non sapere. Il cuore le avrebbe sanguinato senza remore. 
«Se hai bisogno di calze nuove, te vai a ffa un giro in centro e te le compri! È finita l'epoca dei regali immeritati!». 
Matilde non fece neanche in tempo a realizzare ciò che Franca aveva finito di dire, che un paio di urla concitate iniziarono a prendere vita alle sue orecchie. 
Allargò così le braccia al vuoto, tentando di capire cosa stesse succedendo, e nel farlo, si ritrovò uno schiaffo in pieno viso. Fu talmente potente che per poco non perse l'equilibrio.  
Fortuna volle che Tina e Franca l'avessero presa prima che potesse rovinare al suolo. 
«’Sta stronza! Come ti sei permessa di mollare uno schiaffo a Matilde, eh! Lurida mocciosa!» gridò Franca, mentre la povera Matilde cercava di ritrovare l'equilibrio. 
«È lei che si è messa in mezzo! Si è presa il tuo schiaffo!» protestò Desia, con voce squillante. A Matilde, nel sentirla parlare, le parve che fosse sul punto di piangere. 
«Vieni qua, che ti restituisco la cortesia!» scimmiottò di rimando Franca, infastidita fino al midollo. 
«Basta così!» Matilde decise che era arrivato il momento di intervenire, prima che la situazione degenerasse. 
«Non c'è bisogno di litigare per un paio di calze, a tutto c'è rimedio!» dichiarò ferma, cercando a tastoni la mano di Franca, e non per trovarvi appoggio. 
«Frà, per favore, sali in camera mia e prestale un paio di calze buone, le più belle che trovi!». 
Sebbene non potesse averne la certezza assoluta, Matilde ebbe l'impressione di sentirsi una moltitudine di sguardi addosso, in seguito alla sua richiesta. 
«Che dici, Matì?! Io a questa scostumata non presto un bel niente, e soprattutto non si merita niente di tuo!» affermò Franca, stringendo la mano dell'amica in conferma. 
«Sono io che non voglio niente di suo!» urlò Desia, esasperata. «Non voglio l'elemosina, voglio un paio di calze nuove, e basta!» strepitò, battendo i piedi a terra. 
Tutto quel rumore infastidì Matilde, che si portò una mano alla tempia. 
«E allora scrivi ‘na letterina a Babbo Natale, solo lui mo te le può portà! I regali di quelli infami te li puoi scordare, non sei più la principessina sul pisello di nessuno!». Franca era totalmente fuori controllo, se avesse continuato avrebbe cacciato altre offese ben peggiori, e Matilde non sarebbe voluta arrivare a tanto.  
«C'è tempo per scrivere letterine a Babbo Natale, Franca» s'intromise allora, e perse un po’ della dolcezza che sempre, in qualsiasi circostanza, l'aveva contraddistinta. 
«Le calze a quanto pare le servono adesso, perciò poche storie!» e nell'affermare ciò, si avvicinò a Desia, la riconobbe toccandole le spalle esili e il viso paffutello, gli occhi grandi ed espressivi, Matilde ricordò che erano di un verde così acceso da rischiarare persino una stanza completamente buia.  
«Ho delle calze in più che non metto. Ti lascio scegliere quelle che più preferisci». Matilde risultò seria, ma una punta d'affetto tradì la sua voce e il suo sorriso. 
Non poté vedere il viso di Desia, ma ebbe come l'impressione che avesse avuto un singulto. Avvertì un leggero rumore, simile ad un rantolo, e la presa sul viso della ragazzina perse forza. Con le mani ancora in sospeso, Matilde avvertì chiaramente il chiaro suono di un rigurgito.  
«Aò Dè, te stai a sentì male?» esclamò Alessia, apprensiva. Matilde cercò di raggiungerla, ma venne bloccata per un braccio da Franca, la riconobbe dal suo profumo inconfondibile. 
«Lasciatemi in pace! Siete tutte delle streghe, tutte!» l'urlo che cacciò Desia rimbombò per la stanza, facendo sobbalzare Matilde sul posto. Quella frase le fece male, e non per l'offesa in sè, ma perché avvertiva ampiamente il malessere di quella ragazzina, e si sentiva impotente di fronte a tanta rassegnazione ed amarezza. 
Un leggero fruscìo alla sua destra le fece capire che qualcuno le era passato accanto, e a giudicare dalla scia di giada e bergamotto, mista ad una nota acidula dovuta al vomito, doveva trattarsi di Desia. I passi continuarono verso le scale, in salita. 
«Quella sta completamente fuori!» commentò Franca, e Matilde si rabbuiò, dispiaciuta.  
Si scostò da Franca, e prese la rampa di scale, orientandosi a tastoni. 
«Dite a Madame Adriana che oggi non ci sono per nessuno» dichiarò pacata, ma triste. Franca l'afferrò per un braccio, senza risultare troppo violenta. 
«Non te devi fa’ er sangue amaro per quella!» le disse, quasi in un sussurro.  
«Sono solo stanca» ribatté Matilde, poggiando una mano su quella della compagna, invitandola gentilmente a scostarsi. 
Franca la tenne d'occhio per tutto il tempo che impiegò a salire, apprensiva.  
Conosceva abbastanza Matilde per capire che in quel momento aveva il cuore e le emozioni in subbuglio, e che le cause scatenanti erano quella ragazzina e il pensiero sulla sorte di quel soldato.  
L'unica cosa che Franca avrebbe potuto fare in quel momento era di restare ad aspettare, e osservare come gli eventi si sarebbero evoluti.  
Se in bene o in male.



«Posso entrare?». Matilde aveva raggiunto a fatica la stanza, tastando ovunque per orientarsi. La voce tremula di Desia le arrivò dall'interno come ovattata.
La porta era spalancata, perciò per Matilde non fu complesso entrare. Chiamò la ragazzina con delicatezza, come una mamma chiama la sua bambina per invitarla ad alzarsi dal letto, ancora addormentata. 
Uno sbuffo le arrivò alle orecchie, e Matilde capì di non aver varcato la porta sbagliata.
«Desia, allungheresti una mano per favore? Così non ti cado addosso nel caso» esclamò la donna, con un pizzico di sarcasmo gentile nella voce. Un'altra sbuffata e una mano le tirò la gonna due volte, segno che era giunta a destinazione. Matilde allora si sedette sul materasso, facendo vagare la mano nel vuoto per capire dove di preciso si trovasse la più piccola. Quando trovò la sua testa, realizzò che doveva essersi seduta a terra, sul tappeto.
Le prese ad accarezzarle i capelli, sorridendo.
Desia tirò su col naso tre volte di seguito, e Matilde comprese che stava piangendo.
«Non me la sono presa per lo schiaffo, tesoro» la tranquillizzò, continuando ad accarezzarla, con aria materna.
«Mi dispiace che ti senti così tesa… ma te l'ho detto, ti presto io delle calze per il mome-»
«Non voglio niente da te! Né da te, né da nessun altro!» si lamentò Desia, con voce tremante, seguita da un singulto piuttosto energico. 
Matilde fece per spostarsi meglio sul materasso, quando la mano libera toccò qualcosa di setoso, molto sottile.
Analizzò con le dita il materiale, e si rese presto conto che si trattava delle calze incriminate. Notò anche un particolare piuttosto rilevante, solo con lo sfregare il tessuto.
«Ma queste calze…» mormorò Matilde, e capì finalmente qual era il vero motivo della sua frustrazione.
Desia scoppiò a piangere definitivamente, nascondendo il viso tra le braccia e le ginocchia.
«Mi stringono alla pancia e alle gambe. Me le sento gonfie come palloncini» confessò Desia in lacrime, disperata.
Qualcosa nel petto di Matilde iniziò a pungolare, a fare davvero molto male. Conosceva troppo bene quella sensazione, sapeva di cosa erano presagio quei cambiamenti fisici.
Le calze non erano smagliate, erano perfette. 
Non erano loro il problema.
«Erano un regalo del capitano Hengel, mi ci ero affezionata…»
«Sei incinta, Dé?».
Matilde interruppe involontariamente la spiegazione della ragazzina, che si zittì all'istante, per poi scoppiare a piangere ancora più forte di prima.
Matilde inspirò profondamente, sarebbe scoppiata a piangere di lì a poco anche lei, ma non poteva permetterselo. Si limitò a mordersi il labbro inferiore, ferita. Aveva già avuto il sentore di qualche avvisaglia nell'aria, ma non aveva voluto dargli adito più del dovuto. 
«Mi dispiace! Sono stata attenta, lo giuro… ho cercato di essere prudente» Desia era talmente disperata che a Matilde le provocò qualcosa nel petto, un moto di compassione fortissimo, incontrollato. 
«E mica ti sto incolpando, sciocchina!».
Le lacrime sul volto di Matilde scesero comunque, nonostante lei si stesse sforzando di essere forte, di controllare la sua emotività. Le faceva male perfino sorridere, ma ci provò ugualmente. 
«Adesso avrete la scusa per cacciarmi via, visto che non mi sopportate!»
«E chi ti ha detto che ti cacceremo? Hanno tenuto me che sono praticamente inutile, vuoi che adesso ti buttiamo fuori da qui, con un bimbo in arrivo?» la rincuorò Matilde, facendole segno di sedersi accanto a lei.
Desia eseguì la richiesta, e non appena si sedette sul materasso, si aggrappò a Matilde come una bambina piccola, spaventata da un brutto sogno. Matilde la abbracciò calorosamente, lasciando un bacio sulla testa della più piccola, bagnato di lacrime.
«A quanto pare Babbo Natale è arrivato prima per te» scherzò, anche se il dolore la stava soffocando. 
Desia tirò su col naso, affondando il viso nel seno pieno della più grande, quasi avesse voluto nascondersi dentro. 
«Ho paura. Io non so come si fa… e poi non voglio ingrassare, non mi guarderà più nessuno, e il capitano… Il capitano non lo vedrà mai questo bambino! Non so neanche se lo vorrà!».
Anche se Desia non lo aveva specificato, fin da subito Matilde aveva capito chi potesse essere il padre di quella sfortunata creatura. Lo aveva sentito già dal tocco di quelle calze. Ma non avrebbe perso la calma né il contegno. Ormai era diventata brava a soffrire in silenzio, a non esternare ciò che la faceva stare male. 
«Non sarai sola. Il nostro appoggio c'è e ci sarà sempre».
Questo, però, lo pensava davvero. E lo avrebbe pensato sempre, in qualsiasi circostanza. 
Si strinse maggiormente Desia contro al petto, poggiandole la guancia sul capo.
Affranta, ma decisa a darle comunque una mano.
 

 
~♤~
 

Matilde si trovava seduta sul letto, intenta ad arricciarsi una ciocca lunga di capelli tra le dita, quando avvertì bussare alla porta.
«Oggi non si lavora, mi dispiace!» disse Matilde ad alta voce, afferrando un cuscino per portarselo sul ventre ed abbracciarselo.
La notizia della gravidanza di Desia l'aveva sfiancata più di quanto si fosse aspettata.
Udì ugualmente la porta aprirsi, e si allarmò all'istante per questo.
«Matilde?» fece una voce di uomo, con inflessione straniera.
Matilde si fece più attenta, raddrizzando il busto.
«Colonnello Hilton?» chiese, sistemandosi a sedere.
Avvertì dei passi lenti e moderati sul tappeto, Matilde li contò a mente: quattro.
«Good Morning, Matilde!» esclamò gentile il colonnello. A giudicare dalla vicinanza della voce, Matilde ipotizzò che si fosse chinato su di lei, e che probabilmente le stesse sorridendo. Allungò una mano per accertarsene, sfiorando con le dita la sua bocca. Luke azzardò un bacio non appena i polpastrelli gli carezzarono le labbra. Matilde scostò la mano come scottata. 
«Forgive me, Matilde, era solo uno scherzo!» rise Luke, alzandosi col busto.
Ma a Matilde non venne molto da ridere.
«Certi scherzi non sono simpatici, colonnello!» commentò lei, leggermente offesa. Nonostante i sentimenti discordanti che provava per lui, Matilde sentiva come se fosse ancora in sospeso su qualcosa, come se si trovasse in mezzo ad un cerchio aperto, inconcluso. 
«Allora forse la notizia che sto per darti mi farà perdonare». Tuttavia, Luke non era tipo da arrendersi così facilmente. Prese le mani di Matilde e le strinse tra le sue, amorevolmente.
Matilde glielo lasciò fare, perplessa.
«Ho ottenuto un permesso speciale» iniziò il colonnello Hilton, ponderando le parole. «Quella persona potrà uscire dal carcere il giorno della Vigilia… ma non potrà sforare le ventiquattro ore giornaliere, e dovrà stare sotto la mia stretta sorveglianza!».
Gli occhi di Matilde, sempre vuoti e distanti a causa della cecità, ripresero vita di colpo, un luccichìo speranzoso le brillò nelle iridi grigio violette, il cuore le fece una capriola nel petto.
«Se è un altro dei vostri scherzi-» aveva il cuore in gola e il respiro corto. No, non avrebbe retto se fosse stato uno stupido scherzo.
«Ma no Matilde, è tutto vero! Potrai incontrarlo il giorno della Vigilia, non sei contenta?».
Ovviamente lo era, lo era eccome. Avrebbe rivisto Hengel dopo mesi di agonia a saperlo chissà dove, senza poter fare nulla per aiutarlo.
Eppure…
Eppure non poteva far finta che quella piccola vita non crescesse nella pancia di Desia. Oltre ad essere immaturo, era anche un comportamento ingiusto, egoistico.
«Certo che sono contenta!». La voce le tremava, e le mani avevano preso a stringere convulsamente.
«Gli avete parlato di me?» chiese, e per un solo secondo, ebbe paura di ascoltare la risposta. Si portò una mano al petto, all'altezza del cuore. Lo sentiva palpitare ovunque.
Luke parve esitare alle orecchie di Matilde prima di risponderle.
«Certo che gli ho parlato di te». Se avesse potuto dare un colore a quella voce, Matilde avrebbe scelto l'indaco: sfumature calde e lucentezza triste.
«Ha avuto la tua stessa reazione quando gli ho fatto il tuo nome».
Matilde si sentì improvvisamente scoperta ed indifesa agli occhi di quel soldato.
Era abituata per mestiere a mettere da parte pudore e riservatezza, ma quelle parole arrivarono come uno stiletto pronto a scorticare la corteccia di un albero.
Si sentì semplicemente impreparata a ricevere quella constatazione. 
«Stai bene?» Luke le poggiò una mano sulla spalla, Matilde era sbiancata di colpo.
«S-Sì, sto bene, sì» balbettò, calando il capo.
«Non c'è modo che lo liberino, vero?». Matilde sapeva che la sua domanda era sciocca ed infantile. Christian Hengel era stato arrestato per crimini di guerra, era il simbolo del male annientato dai buoni della Storia, i vincitori. Un capro espiatorio perfetto.
«Purtroppo non dipende da me». Luke cercò ugualmente di essere accondiscendente, rispondendo con garbo. Matilde gliene fu internamente grata.
Poi alzò una mano, una richiesta implicita. Luke la prese dolcemente, aiutandola a scendere dal letto.
Se avesse potuto farlo, Matilde lo avrebbe guardato dritto negli occhi, pronta a fronteggiarlo.
«La ringrazio davvero per tutto, colonnello Hilton» disse Matilde, abbozzando un sorriso mite. Sentì una mano poggiare delicatamente sulla guancia, una carezza ruvida data col pollice, e… la pressione delicata a fior di labbra, un bacio rubato che durò solo qualche secondo.
Matilde non si scostò, ma subito dopo aggrottò la fronte, contrariata.
«Neanche questo è uno scherzo, cara Matilde» dichiarò Luke, con voce profonda. Matilde ebbe un brivido lungo la schiena, stordita. 
«Sposami. Ti porto via da Roma, dall'Italia. Voglio che tu venga con me in America».
La ragazza azzardò qualche passo indietro, sentendosi presa in giro.
L'offerta era allettante, non avrebbe potuto negarlo. Era un salto nel vuoto a cui nessuno avrebbe rinunciato, ma Matilde aveva troppi punti in sospeso da gestire. Andarsene e lasciare tutto così com'era, non sarebbe stata l'idea migliore.
Scosse il capo, affranta in vista della risposta che avrebbe dato inequivocabilmente al colonnello.
«Non posso». Era visibilmente dispiaciuta, e realizzò di essere anche leggermente egoista. Non avrebbe lasciato andare a cuor leggero Luke, ma allo stesso tempo, sentiva di non riuscire a lasciarsi Christian alle spalle definitivamente. Non avrebbe potuto accettare quella proposta senza mettere in conto le conseguenze.
Matilde avrebbe voluto vedere che espressione si fosse dipinta sul volto dell'americano, si limitò soltanto a stringergli le mani con forza, quasi avesse l'insana ed ingiustificata paura che potesse sparire da un momento all'altro.
«Se tornassi a farti la proposta dopo l'incontro con Hengel? Cambierebbe qualcosa?».
La risposta inaspettata che diede Luke lasciò Matilde basita. Le pupille spente si mossero impercettibilmente, nervose.
«Io non credo che-» Non avrebbe voluto dargli false speranze. Ma Luke si mostrò altamente convincente.
«Pensaci su. Non voglio costringerti, ma non voglio neanche che tu butti via la tua vita dietro ad un'illusione».
Lui non potrà mai tornare da te, rassegnati.
Anche se non vennero pronunciate, Matilde le udì chiaramente quelle parole in cuor suo, mordendosi l'interno guancia a sangue.
«Non voglio che lo faccia nemmeno lei» fu la sua risposta laconica, seguita da una carezza a palmo aperto sulla guancia di lui. Era ispida al tatto, la barba sottopelle pungeva per uscire.
Un braccio le cinse la vita, trovandosi così stretta al petto del colonnello. Il bacio che ricevette fu meno innocuo del precedente, più voglioso. Ma Matilde lo scostò, rischiando di inciampare indietro, sul comodino.
«Oggi no, non voglio» disse, sedendosi con fatica sul letto. Non poteva vederlo, eppure per istinto gli diede le spalle, infastidita.
Luke non insistette oltre, lasciandole i suoi spazi.
«Aspetterò. La mia proposta sarà sempre valida, non avrà scadenze» dichiarò, indietreggiando verso la porta, con le braccia incrociate dietro la schiena.
Matilde tornò a respirare solo quando sentì la serratura della porta scattare.
Si lasciò cadere sul materasso, facendosi piccola piccola su sè stessa.
Il cuore in subbuglio e l'anima in tempesta.
 

 
□♧□
 

Il giorno della Vigilia si avvicinò inevitabilmente, e a Matilde l'ansia era salita fin sopra i capelli.
Aveva raccontato a Franca della situazione di Desia, e le aveva raccomandato riserbo sulla vicenda.
Quando Luke era venuta a prenderla per portarla nel carcere, Matilde si era fatta trovare pronta da ore, con Franca immancabilmente sotto braccio. Avevano sceso le scale della maison quando si sentì tirare lievemente la mano della giacca. L'aroma di giada e bergamotto accarezzò dolcemente le narici di Matilde.
«Gli parlerai del mio bambino?» chiese Desia titubante, la voce ridotta ad un sussurro strozzato. Matilde le prese il mento con dolcezza, le pupille spente fissavano altro senza vita.
«Sì, lo farò» replicò senza fare storie, come se quella faccenda non la riguardasse nemmeno un po’.
«Famo tardi, Matì» commentò laconica Franca, strattonando piano il braccio della compagna. Era più forte di lei, quella ragazzina le urtava il sistema nervoso, mandandoglielo in cortocircuito.
Matilde annuì e si lasciò condurre nella vettura, dietro al volante, con Franca seduta accanto a lei. Alla guida vi era un giovane cadetto, e al suo fianco il colonnello, imbacuccato nel suo pesante giaccone militare.
La macchina partì qualche secondo più tardi.
 
Il carcere improvvisato dove tenevano rinchiusi tutti i tedeschi arrestati oltre confine era pattugliato e tenuto sotto stretta sorveglianza. Matilde lo seppe solamente perché fu Franca a descriverle tutto ciò che vedeva, riportandole tutto con dovizia di particolari.
Matilde camminava intimorita, e per un solo istante, benedisse il fatto di non poter vedere più nulla. Anche il solo constatare come venivano tenuti quei prigionieri, per quanto fossero stati delle bestie o meno in passato, le si sarebbe straziato il cuore in un modo indicibile. 
Era fatta così, non poteva farci niente, era nella sua natura provare pietà anche verso le pietre. 
Si fermarono ad un tratto, e il silenzio calò all'improvviso. Matilde sentì perdere la presa di Franca lentamente, e mosse il capo interdetta, non sapendo dove guardare.
«Prego» le fece Luke, porgendole una mano con riverenza. Matilde la cercò con entrambe le proprie, stringendola non appena la raggiunse.
Compì qualche passi in avanti e si trovò davanti una lastra di ferro, e con l'altra mano ne trovò un'altra ancora. Le strinse come se il suo equilibrio sarebbe dipeso da quelle sbarre ferruginose.
Un rumore di passi si apprestò a raggiungerla, e al quinto passo, Matilde avvertì un palmo ruvido coprire le sue dita sottili. Il cuore aveva già riconosciuto il padrone di quelle mani, la sua pelle lo aveva riconosciuto.
«Matilde?».
La voce di Christian Hengel era graffiata, bassa, rauca. Le lacrime bagnarono le palpebre di lei senza sosta, scivolandole lungo le guance e andando a creare dei piccoli ruscelli che cadevano verso il basso. 
«Capitano!» gioì Matilde, seppur composta, ma il sorriso in cui proruppe racchiudeva l'essenza pura della felicità.
«Matilde… che bello rivederti» era contento Christian di vederla lì davanti a lui, bella e radiosa esattamente come la ricordava.
«Vorrei poter dire lo stesso, capitano» scherzò Matilde, sorridendo come un ebete.
«Mi accontento di sentire la sua voce però» dichiarò, soddisfatta. Prese ad accarezzarlo, e notò che aveva le guance scavate e la barba ispida, segno che non mangiava da giorni, e che doveva aver perso molto peso. Cercò di non soffermarsi su quei particolari.
«Sono stata tanto in pensiero…»
«È un bene che tu non possa vedermi, Matilde. Sono in condizioni impresentabili» dichiarò Christian, commosso dal gesto e dalle parole che la giovane prostituta aveva speso per lui. 
«Lei resterà sempre bello, ai miei occhi».
Christian si sentì fortemente lusingato da quelle parole. Gli occhi di Matilde non erano come gli altri. Lei aveva appreso a vedere in un modo diverso, in un modo tutto suo.
Eppure, davanti a quel tipo di sguardo, l'ex capitano delle SS si sentì salvo, quasi rinato, benedetto. Lacrime silenziose gli scesero lungo le guance smunte, poggiando la fronte contro quella di Matilde, che piangeva esattamente allo stesso modo, con la stessa intensità.
Nel vederli, a Franca le vennero gli occhi lucidi, tossendo ogni tanto per far passare la commozione in secondo piano. Luke invece li guardò freddo e distaccato, ma dopo qualche secondo abbassò il capo, per poi uscire fuori dalla stanza, con estremo riserbo. Franca lo seguì, non prima di aver dato un ultimo sguardo a Matilde, premurandosi che stesse bene e non le servisse il suo aiuto.
Matilde e Christian rimasero da soli, con le fronti unite, a piangere lacrime di salvezza di lui miste a quelle di dispiacere di lei.
 
«’Amo fatto una buona azione, colonné» decretò Franca, accendendosi una sigaretta nel bel mezzo del gelo invernale. Luke era appoggiato al muro di fianco a lei, fumando a sua volta.
«Non ho speranze, vero?» chiese poi all'improvviso, dal nulla.
«Non ho speranze che Matilde guardi anche me così, allo stesso modo?».
A Franca quel soldato le fece una pena incredibile. Dopotutto era sempre stato cordiale e gentile, aveva visto come trattava Matilde, e per lei non avrebbe potuto desiderare partito migliore, sebbene fosse straniero e avesse una cultura e un vissuto diversi dai loro. 
«Mai dire mai, colonné» ribadì Franca, con lo scopo di tirargli su il morale. «Matilde è venuta qui per dirgli addio, lo so. La conosco come le tasche mie, è come na sorella pe me» spiegò, intenta ad espirare il fumo dalle labbra. «Non so quanto ci vorrà, ma se veramente le volete bene, aspettatela. Datele tempo».
E nel dirlo, gli strinse una spalla, alzandosi sulle punte dei piedi per quanto Luke fosse alto.
Quest'ultimo abbozzò un sorriso, grato.
«Chissà, magari il prossimo Natale sarà il mio turno» commentò, fermandosi a guardare la neve che aveva cominciato a fioccare lentamente, per posarsi sulla strada con delicatezza.
Franca buttò la cicca a terra, spegnendola con la punta delle sue Peep Toe.
Guardò anche lei il cielo, e annuendo, sorrise incoraggiante.
«Già, chissà…».

 
 
En Saturno viven los hijos que nunca tuvimos
En Plutón aún se oyen gritos de amor
En la Luna gritan a solas tu voz y mi voz, pidiendo perdón

(Pablo Alborán – Saturno)
   
 
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