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Autore: Nao Yoshikawa    12/12/2023    3 recensioni
Arriva all’improvviso, anche se sono stata in guardia. Il dolore è così lancinante da spezzarmi il respiro, l’equilibrio. Mi sento anche bagnata tra le gambe, di un liquido strano e caldo. È disgustoso il modo in cui il mio corpo si contrae, è scosso dagli spasmi. Non mi piace. Detesto il dolore, il sudore, odio che il mio corpo non mi appartenga più. Chi me l’ha fatto fare?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gin Ichimaru, Hitsugaya Toushirou, Rangiku Matsumoto
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Memorie di una madre
 
 
C’era una cosa che amavo di Gin: il suo pensare sempre al mio bene prima di ogni altra cosa. Anche in modi poco convenzionali. Aveva rischiato il tutto e per tutto per il mio bene, rimettendoci la vita. E, consapevole di ciò, non si era lasciato niente alle spalle. Non aveva lasciato niente a me, in modo che potesse essermi più facile andare avanti. Ci aveva provato, almeno.
Non ero pronta a diventare madre, non lo sono tutt’ora. Sognavo di avere dei figli un giorno, mi immaginavo con leggerezza e divertimento come sarebbe potuto essere: anzitutto avrei avuto una storia d’amore felice, magari un bel matrimonio. E poi due o tre bambini. Di sicuro sarei stata una madre poco convenzionale, una di quelle per nulla severe e che fa anche da amica ai propri figli.
Adesso non ho idea del tipo di madre che sarò o che voglio essere. Me ne sono resa conto all’improvviso, qualche tempo dopo che Gin era morto. Il che era molto strano. Eravamo stati insieme solo una volta, prima del suo tradimento. E anche se erano trascorsi nel frattempo due mesi, non mi ero accorta di nulla. Non avevo avvertito quel flebile reiatsu sovrapposto al mio, non se n’era accorto nessuno. Ecco perché ero rimasta stupefatta, sconvolta, quando il capitano Unohana mi aveva chiesto, sottovoce.
Sai di essere incinta?
Oh, no. No che non lo sapevo. Come avrei potuto? Era l’ultima cosa a cui avrei mai pensato. Ricordo chiaramente il mio sgomento. Le lacrime a cui mi abbandonai una volta rimasta sola. Il modo in cui il capitano Hitsugaya mi trovò e mi abbracciò per la prima volta, rassicurandomi. Per essere un ragazzino, pensai, è molto maturo e coraggioso. Molto più di me.
Mi fece sedere, ricordo, mi diede un bicchiere d’acqua. E poi mi chiese che cosa vorresti fare?
Era la domanda a cui temevo di dare una risposta. Cosa potevo fare? La mia psiche e il mio cuore erano ancora pezzi, stavo ancora attraversando un lutto. C’erano tante domande che mi ponevo, alcune erano pratiche: come avrei fatto a crescere un figlio da sola? Sarei stata in grado? Le altre erano più emotive: chissà cosa avrebbe detto Gin? Penso ne sarebbe stato felice, dopotutto. E invece adesso non potrà mai esserlo, né saprà mai di cosa si è lasciato alle spalle.
Gin aveva sempre pensato a tutto nei minimi dettagli, ma aveva fatto l’errore di non calcolare questa possibilità. Avevamo sbagliato entrambi.
Risposi che non lo sapevo, che era tutto confuso, che avevo bisogno di tempo per rimettere a posto le idee. Ma tutt’ora non credo di avere del tutto le idee chiare. Una cosa però è certa: ho deciso di tenere il bambino perché, nonostante la paura per il presente e per il futuro, ho sentito subito di amare questo piccolino che scalcia dentro il mio ventre. Per cui ho dovuto sacrificare il mio corpo, le mie energie, l’alcol (oh, quanto mi piacerebbe bere un sorso di saké ogni tanto), parte delle mie certezze. Anzi, tutte. Il luogotenente Kusajishi dice che da quando sono incinta, brillo di più. Che i miei tratti si sono addolciti, che i miei occhi sono luminosi. Ah, ma non è stato per niente facile, soprattutto all’inizio. Le nausee erano terribili, così come il sentirmi sempre stanca. Mi sono dovuta mettere in congedo forzato, anche se il capitano si premura di venirmi a trovare ogni giorno. E di rimproverarmi, se serve.
Ma mangi abbastanza? E non stare tutto il giorno a letto, guarda che un po’ di esercizio fisico ti fa bene. Sei in ritardo per la tua visita di controllo, ti accompagno io.
Mi chiedo che cosa avrei fatto se non ci fosse stato lui. Il capitano a volte è duro con me, ma c’è stato sin dall’inizio. C’è stato quando stavo male perché non mi reggevo in piedi sulle mie gambe, c’è stato durante le mie lunghe crisi di pianto. Non diceva una parola, si sedeva accanto a me e mi poggiava una mano su una spalla. La maternità è una cosa assurda e pazzesca, ti deforma, ti terrorizza, è incomprensibile.
È un viaggio durissimo. Devo dire, però, che nonostante il congedo, in questi mesi non mi sono mai annoiata: Nanao, la piccola Yachiru e Momo sono quelle che mi vengono a trovare più spesso. Anche Rukia e il capitano Unohana sono tra le mie compagnie preferite. Non mi sono certo reclusa in casa, ma a volte mi sento strana, come se non fossi più una donna ma un essere che cammina, respira, parla, ma che non ha niente a che vedere con i suoi simili.
In tutto ciò, non ho ancora pensato ad un nome. Non ho idea se sarà un maschio o una femmina, tuttavia mi servono comunque delle opzioni.
Gin, a te che nome sarebbe piaciuto?
Non posso fare a meno di pensare come sarebbe questa mia vita accanto a lui. Avremmo potuto condividere questi momenti gioioso, spaventosi e dolorosi. Ma questo sarà un viaggio che dovrò fare da sola.
Beh, non proprio sola.
Ultimamente il bambino si muove molto, lo sento sotto la mia pelle, poggio una mano sul mio ventre. Probabilmente avrà preso il mio carattere vivace.
Se somiglierà a te, sarà la mia rovina! Mi dice sempre il capitano, in tono esasperato. Ma scherzoso. Lo percepisco.
Oramai non manca molto al momento del parto. Il capitano Unohana mi ha monitorato per tutti questi mesi e non ho mai avuto problemi. Ma mi sono informata ed è comunque risaputo che il parto è dolorosissimo. Non ho paura di quello. Ho paura di quello che verrà dopo. Finché il bambino è dentro di me, tutto è quasi uguale a prima. Ma quando sarà strappato via dal mio corpo, dovrò cercare di essere migliore. Di essere più forte. Quando il mio bambino mi sarà strappato dal ventre, sarà già orfano di padre e io dovrò essere abbastanza forte anche per questo.
Ha smesso di muoversi, deve essersi addormentato sotto le mie carezze. Meno male! Ultimamente dormo davvero pochissimo.
Oh, Gin.
Se tu fossi qui, ascolteresti le mie paure, sopporteresti i miei momenti di rabbia, saresti felice per ciò che abbiamo creato e, soprattutto, renderesti meno buie e solitarie le mie notti.
 
 
Arriva all’improvviso, anche se sono stata in guardia. Il dolore è così lancinante da spezzarmi il respiro, l’equilibrio. Mi sento anche bagnata tra le gambe, di un liquido strano e caldo. È disgustoso il modo in cui il mio corpo si contrae, è scosso dagli spasmi. Non mi piace. Detesto il dolore, il sudore, odio che il mio corpo non mi appartenga più. Chi me l’ha fatto fare?
Ma oramai non si torna più indietro e il bambino si fa strada attraverso il mio corpo, mi squarcia per venire alla luce, indisturbato, perché la natura deve fare il suo corso.
«Senti, Matsumoto. Sarò qua fuori se avrai bisogno, ma ora non posso proprio entrare!» è quello che mi dice il capitano. Lo capisco, è una situazione difficile per lui, troppo forte. E in fondo a stringere la mia mano dovrebbe esserci quella di Gin.
Oh, Gin. Ti odio. Perché mi hai lasciata? Volevi rendere il mondo un posto migliore per me, ma tutto il mio mondo ora sta crollando.
Fa male, fa male. Questa cosa che sta avvenendo è spaventosa. Mai più!
Il luogotenente Kotestu mi somministra un antidolorifico, ma io sento ancora dolore. Il capitano Unohana mi parla con fare dolce, ma deciso. Mi dice che sto andando bene, ma io ho solo voglia di urlare, scalciare e vomitare. Il mio corpo non può sopportare questo, non è stato fatto per questo. Vi prego, fermate tutto: non sono pronta, non lo sarò mai. Sta avvenendo tutto troppo in fretta.
Gin, ti prego. Mettici la tua mano. Dimmi che sei ancora con me, in qualche modo, da qualche parte.
Mi gira la testa. Non so nemmeno se sto respirando. Forse questo è solo un lungo sogno e mi sto finalmente svegliando. Forse non c’è niente di cui avere paura.
Il dolore, però, è troppo forte.
«Coraggio, dai solo un’altra spinta» mi dice il capitano Unohana. Io non ho più forze, eppure il mio corpo fa da sé. Mi irrigidisco. Piango, urlo, maledico.
E poi, finalmente, sento solo il vuoto.
 
 
Rin è un nome che ho sempre trovato estremamente grazioso. Eppure significa severa e fredda, ed entrambi i significati hanno ben poco a che vedere con il modo in cui suona. Se penso a Rin, penso a qualcosa di carino, qualcosa di delicato e tenero. Sarà per questo che alla fine ho scelto questo nome per la mia bambina. Non mi capacito di come una creatura così perfetta sia uscita da me. I bambini mi sono sempre piaciuti, ma li ho sempre trovati impegnativi. Non ho mai amato il loro strillare continuo, il fare capricci, il loro bisogno costante di attenzioni. Rin invece ha pianto a malapena quando è nata, e anche ora dorme e basta. Io sono estasiata. È bellissima. Ha la pelle chiara e non ha quasi capelli: quei pochi che ha sono ancora chiarissimi e non è ancora chiaro che colore assumeranno. Tiene gli occhi ben chiusi e ha il viso paffuto. Ed è così minuscola con quelle dita, quel nasino. Com’è che non riesco a smettere di guardarla? La tengo perfettamente tra le braccia, anche se fino a qualche ora fa maledicevo ogni cosa. Di certo non dimenticherò quel dolore, ma adesso nemmeno m’importa. Rin è così buona. Non ha nemmeno fatto troppe storie e si è attaccata subito al capezzolo. Allattare è un po’ strano. Fa un po’ male e fa un po’ il solletico, però mi piace. Sì, penso lo farò ancora. Sono stanca, distrutta. Mi sento svuotata e con il cuore colmo nello stesso momento.
Gin, ma ti rendi conto di cosa abbiamo creato? Rin è perfetta. Ti sarebbe piaciuta… anzi, no. L’avresti amata.
Ho le lacrime agli occhi.
«Mi dispiace, bambina mia, se non conoscerai mai tuo padre. La vita è stata crudele. Ma attraverso me e le mie parole, avrai modo di conoscerlo» sussurrò vicino la sua testolina profumata. Quello che mi è successo è meraviglioso e doloroso nello stesso momento. Mi è stato portato via l’amore ed ecco che ne ricevo un altro. L’ultimo dono di Gin.
Il capitano è il primo a conoscerla. La guarda diffidente e un po’ stranito, è come se cercasse in lei dei segni che gli ricordano me. Poi però il suo sguardo si addolcisce in un modo che mi scalda il cuore. Le sfiora una manina, lei gli stringe il dito.
«Piacere di conoscerti, Rin. Sono il capitano Toshiro Histugaya, al tuo servizio. Ne avrai bisogno, con quella sconclusionata di tua madre.»
Il suo tono affettuoso mi fa scoppiare in un pianto disperato. Non ho dubbi che Rin è e sarà amata, ma so anche che il vuoto che ho dentro non verrà mai colmato del tutto. Mi chiederò sempre e se…?
Non posso fare a meno di immaginare te, con in braccio Rin. Te, che le insegni tutto ciò che sai, te che la cresci con me, noi due che la guardiamo raggiungere obiettivi e sogni. Tutto ciò è così triste. Come può una cosa essere bella e terribile nello stesso momento?
 
Tutti i miei amici vogliono conoscere Rin. La prendono in braccio, la coccolano. Mi parlano, mi chiedono come mi sento, se mi sento diversa. Di certo, m sento di non appartenere più del tutto a me stessa. Parte di me sarà sempre legata a quella bimba che dovrò imparare a conoscere. E anche lei dovrà imparare a conoscere me. Mi sento a metà. Mi manca Gin, ho paura. Ma tutto questo non riesco a dirlo a parole e lascio che i miei sguardi parlino al mio posto. Loro lo sanno, il capitano lo sa più di tutti e, proprio per questo, non mi hai mai chiesto nulla.
Quando poi rimango sola, finalmente riesco ad addormentarmi. Rin riposa nella culla accanto al mio letto. Mi sono addormentata con la mano vicino al suo viso per essere certa che respiri. Avevo letto da qualche parte che i bambini così piccoli possono soffocare nel sonno se non si presta abbastanza attenzione e il solo pensiero mi terrorizza. Quando mi addormento, sogno Gin. Mi è capitato spesso, soprattutto negli ultimi mesi, ma non so dire se si tratta solo di sogni o altro. Io credo che venga a trovarmi ogni volta e che sia tutto reale. Gli abbracci che gli do e le mie lacrime sono reali. Lui mi solleva il viso, delicatamente. Mi guarda, sorride. Sta bene, si vede.
«Non ti rattristare, Rangiku. Hai messo al mondo una bambina bellissima e so che ne avrai cura.»
«Certo che è bellissima, l’abbiamo fatta insieme! Vorrei tanto che fossi con noi.»
«Lo vorrei anche io. Se solo avessi saputo… ma credo che così dovesse andare. E tuttavia non ho alcun rimpianto perché so che tu e Rin sarete al sicuro. Mi basta questo.»
Lo stringo più forte e sento il suo profumo.
«Lei saprà chi sei, Gin. Saprò tutto quello che hai fatto per noi.»
Sento che mi stringe a sua volta. Mi sembra anche lui provato. Mi guarda, con gli occhi ben aperti e allora mi permette di vedere l’azzurro ghiaccio che c’è dentro.
«Grazie, Rangiku. Ti ho amato e continuerò a farlo anche da questa parte.»
Vorrei chiedergli cos’è quest’altra parte. Se potrò mai rivederlo e non solo in sogno. Ma sento che mi sfugge dalle mani,
Ti amo anche io, ti amerò fino alla fine dei miei giorni.
Non so se lo dico o lo penso semplicemente. Perché pochi istanti dopo mi ritrovo nel mio letto, al buio. Sento Rin che si lamenta, piagnucola. Mi viene istintivo mettermi seduta e prenderla in braccio. Le accarezzo la testa, le guance, la bagno con le mie lacrime.
«È tutto a posto, piccola» le sussurrò. Rin strizza gli occhi, poi li apre per la prima volta, leggermente. È come guardare Gin negli occhi. Come se una parte di lui si fosse incarnata in lei. E in effetti è proprio così.
Oh, Gin. Ora capisco. Sei tutto nei suoi occhi, così ti avrò sempre con me. In un modo o nell’altro.
Sorrido, accarezzandole la fronte, ha delle sopracciglia quasi invisibili.
«Rin, vuoi sentire una storia? È la storia di come io e tuo padre ci siamo conosciuti. Del modo in cui mi ha salvata. E del modo in cui l’ho perso.»
E allora inizio a raccontare e Rin mi guarda attenta, rapita.
 
Quindici anni dopo
 
Sono passati tanti anni dal giorno in cui Rin è nata, eppure mi sembra passato tutto in un battito di ciglia. Adesso non c’è più una neonata che posso tenere tra le braccia, adesso c’è una ragazza che si è fatta bella e forte. Rin non mi somiglia. Fisicamente c’è qualcosa che ricorda me, ma caratterialmente è silenziosa, si apre solo con le persone di cui si fida ciecamente. È ambiziosa e a volte un po’ difficile da capire. Certe volte non la capisco nemmeno io, forse è perché è un adolescente. Il capitano è molto più bravo di me in questo. È stato lui a crescerla con me, un po’ come se fosse la sua sorella più piccola. E devo dire, anche se non è stato sempre facile, abbiamo fatto proprio un buon lavoro. Adesso mi sto trattenendo dal non piangere, perché è il primo giorno di Accademia per Rin. È sempre stata sicura di ciò che vuole fare nella sua vita.
Voglio diventare un capitano come lo è Toshiro e come lo era papà. Ci sono tante cose che posso fare.
«Davvero era necessario che mi accompagnaste entrambi? Questo è un po’… imbarazzante.»
Rin indossa la sua divisa, ha i capelli chiari sciolti sulle spalle. Ha il viso un po’ arrossato per l’eccitazione del momento.
«Ma tu guarda che razza di ingrata, è questo il modo di rivolgerti a chi ti ha cresciuta?»
Il capitano si imbroncia. Devo dire che è un po’ cresciuto anche lui in questi anni, è perfino diventato più alto. Lui e Rin mi fanno sempre divertire con i loro siparietti.
Vedo Rin ancora come una bambina. Beh, dopotutto ci sono tante cose che dovrà ancora imparare. Però so che deve costruirsi la sua vita. Oh, alla fine ho fallito nel mio obiettivo di diventare una madre simpatica e non apprensiva.
Simpatica lo sono anche, ma non apprensiva non esattamente…
«Ricordati di mangiare bene. Non litigare con nessuno. E… e…»
Non riesco nemmeno a finire di parlare. La stringo tra le braccia, singhiozzando. So che Toshiro sta alzando gli occhi al cielo in imbarazzo.
«Oh! Ehi, mamma… lo sai vero che ci vediamo stasera?» dice Rin, abbracciandomi a sua volta.
«Lo so. È solo che è incredibile cime sei cresciuta… e così in fretta. Tuo padre sarebbe fiero di te.»
Rin conosce tutta a nostra storia. E ne è orgogliosa. Anche se non ha mai incontrato Gin, lo ha conosciuto attraverso le mie parole. E non solo.
«Ehi, ma allora siamo arrivati in tempo!» dice una voce.
Ci voltiamo tutti e tre. Ci sono Hinamori, Yachiru, Rukia e anche Hisagi e Kira.
«Oh per l’amor del cielo» il capitano alza gli occhi al cielo.
«Non ditemi che siete venuti tutti qui per me!» esclama Rin.
«È il tuo primo giorno di Accademia, ovvio che siamo qui per te» dice Hisagi.
«Rin, stai benissimo» dice Kira. «So che non c’è bisogno che te lo dica, ma se avrai bisogno di qualcosa, saprai dove trovarmi.»
Lei arrossisce. E sorride. Poi Rukia e Hinamori l’abbracciano. E mi viene da sorridere.
Rin è cresciuta amata, voluta, felice. Gin avrebbe proprio voluto questo.
«Quella ragazza… farà grandi cose» dice il capitano e non posso non notare che è un po’ commosso.
«Oh, Toshiro, ti sei commosso, che cosa tenera.»
Lui arrossisce. Sì, penso che d’ora in poi lo chiamerò per nome, dopotutto abbiamo cresciuto una bambina insieme per quindici anni. Rin ci saluta e noi tutti la vediamo allontanarsi di spalle.
 
Grazie, Gin. Per avermi lasciato la cosa più bella.


NDA
Che soddisfazione aver finito questa storia in un periodo in cui il tempo per scrivere è così poco. È stato sorprendentemente facile. Non ho figli, ma un giorno li vorrei e ttraverso Rangiku ho voluto raccontare sia il suo affrontare una gravidanza mentre stava affrontando pure un lutto, sia anche i lati meno piacevoli (perché sì, lo sappiamo, una gravidanza ha tanti momenti difficili in cui veramente diciamo MA CHI ME L'HA FATTO FARE). Rin è lo stesso personaggio che ho usato anche in Everybody wants love, oramai mi sono affezionata T_T
Spero che la storia vi sia piaciuta!
Nao
   
 
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