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Autore: Destiny_935    13/12/2023    1 recensioni
Destiny conduce una vita normale, come molte delle sue coetanee. Scuola, amiche e pensieri vaghi su un futuro ignoto. Un giorno, però, si ritrova ad Elysian, un mondo alternativo ma collegato alla Terra in modi e situazioni particolari, in cui, però, gli umani non sono accettati. Qui tutto sembra funzionare egregiamente grazie ai Guardiani: prescelti che controllano gli elementi di entrambi i mondi. Ma le cose non sono così perfette come possono sembrare ad Elysian e dopo parecchi anni, alcune ombre iniziano a muoversi all'orizzonte...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ancora non sei pronta? Sbrigati che è tardi!»

Mamma aveva due caratteristiche rilevanti: urlare e dare ordini. Peggio ancora se si trovava in preda ad una profonda crisi isterica. In quell'esatto momento stava salendo le scale. Si poteva capire benissimo perché le sue pantofole producevano uno strano rumore quando camminava, come quando si mette una pentola calda dopo la cottura a contatto con l'acqua.

Cattivo segno.

Il suo nervosismo assomigliava alla pentola calda e il pavimento all'acqua che al contatto con il caldo produce quel rumore. Al contrario della pentola che si raffredda, però, mamma era quasi sempre di pessimo umore. Aprì la porta della camera urlando.

«Destiny sei ancora a letto? Alzati o arriveremo tardi!»

Biascicai qualcosa mezza insonnolita, ancora sotto le coperte. Mi misi seduta, con la testa che ciondolava da un lato per la troppa stanchezza, e osservai la sveglia.

Le 07:00.

Sbadigliai rumorosamente mentre i miei piedi mi accompagnavano prima fuori dal letto e successivamente fino all’ultimo gradino delle scale e mi diressi a tavola scegliendo la colazione, aspettando la ramanzina. Le frasi solitamente più quotate e ripetute erano:

“Non fai mai nulla in questa casa, devo fare tutto io!”
“Vai a dormire troppo tardi!”
“Camera tua è un disastro, sembra essere scoppiata una guerra!”
“Esci ogni tanto, oltre che per andare a scuola?”

Ora, buttiamole nel calderone e mescoliamole perché sono impaziente di sapere quale di queste sceglierà stamattina. Nell’attesa che la pozione della ramanzina fosse pronta, mio fratello minore Nathan davanti a me, stava già mangiando, ingozzandosi con dei biscotti e bevendo un succo di frutta alla pesca. Ogni mattina mi sembrava più grande, quando erano passati tutti quegli anni? Il piccolo bimbo che attendevo all’uscita da scuola o alla fermata del pullman, era ormai diventato un ragazzo. Le sopracciglia scure folte, i capelli avevano perso quella forma riccia così definita che aveva da piccolo e avevano lasciato spazio a una massa informe di capelli che potevo definire solo mossi, per dar loro una denominazione. Strano come fosse più piccolo di me ma mi batteva sia in altezza, sia in corporatura. Ironia del destino, probabilmente. Puntò i suoi grandi occhi scuri su di me mentre si infilava in bocca l’ultimo biscotto rimanente sul tavolo.

«Nathan, che ora sono?» chiesi, innocentemente.
«Le 08:00 e sono decisamente in ritardo!» rispose in tono frettoloso mentre si alzava dalla sedia. Mi morsi il labbro inferiore trattenendo la risata che sarebbe uscita di getto. Poggiai le braccia sul tavolo, incrociandole.
«Lo hai visto tu o te l’ha detto mamma?»

Nathan si fermò, quasi come se un fulmine l’avesse colpito lì, in cucina. Buttò un’occhiata veloce all’orologio rotondo nella stanza che segnava un orario decisamente diverso da quello detto da lui poco prima.

«Ma cosa…mamma mi hai svegliato un'altra volta tre secoli prima?» lamentò mentre si dirigeva nel salotto accanto. Ridacchiai a bassa voce e presi rapidamente qualcosa da mangiare.

La colazione era sempre il pasto più complesso della giornata. Nei giorni di scuola, era quasi un ospite indesiderato mentre nel weekend era l’unico motivo del mio risveglio. Tentai con del tè caldo e una manciata di biscotti. Non quelli secchi. Va bene non avere fame ma non fino a questo punto. Mamma, intanto, entrò in cucina con passo svelto, mentre io mi sedevo sulla sedia e stringevo gli occhi quasi dolorante perché sapevo cosa stava per arrivare.

La pozione era quasi pronta.

La donna invece si voltò, mentre tentava di agganciare un orecchino, la testa leggermente inclinata come se quella posizione potesse aiutarla in qualche modo. Aprii piano gli occhi per osservarla: alla mia sinistra c’era una donna di 40 anni dai capelli neri che le sfioravano il seno, occhi verdi e una corporatura normale. Le labbra erano di un rosa leggermente più scuro rispetto al loro colore naturale e sugli occhi vi era un po’ di matita, mascara e un ombretto leggero. Quella mattina portava dei pantaloni neri larghi, una maglietta bianca con uno scollo a V e una catenina dorata le adornava il collo. Era bellissima nella sua semplicità.

Una bella donna che ogni tanto decideva di indossare le vesti di un qualche animale urlatore.
Riuscì finalmente a mettere l’orecchino con cui armeggiava da diversi minuti e rivolse le parole successive a mio fratello.

«Se non ti inganno con gli orari, il ritardo che accumuliamo dopo sarà ben più tragico della sveglia tre secoli prima.»
«Giusto, la prossima volta che dobbiamo fare un viaggio in aereo, perché non ci svegliamo direttamente sette giorni prima del volo?»

Mia madre alzò gli occhi al cielo per poi puntarli su di me.
Ci siamo. Potevo sentire anche l’odore della pozione ormai pronta. Nella mia mente, mossi la mano destra verso la mensola in alto per prendere una boccettina vuota tra erbe varie. Restava solamente il nome da porvi sopra.

«Destiny» iniziò con tono di rimprovero.
«Rebecca» risposi.
«Quante volte ancora dovrò dirti che vai a dormire troppo tardi la sera?»

Eccola. La pozione del “Vai a dormire troppo tardi” era pronta. Una delle meno gettonate devo dire ma sempre di grande effetto.

«Hai ragione mamma. Cercherò di non tardare più.» non potevo darle torto in realtà. Prendere sonno la notte, ultimamente, era diventato difficile. Il mio corpo era spossato ma la mia mente restava in movimento senza mai fermarsi. Contare le pecore non era più un’opzione, ero passata direttamente agli agricoltori ormai e poco ci mancava per gli abitanti del villaggio vicino. Mangiai abbastanza in fretta la mia colazione e mi diressi al piano di sopra per vestirmi.

Aprii l’armadio e la realtà di come quei vestiti mi stessero uno peggio dell’altro, mi si versò sul viso. Sbuffai e andai in immersione. Ne uscii con in mano un jeans dal tessuto scuro e una maglietta bianca con sopra disegnate delle farfalle colorate. Mi voltai, guardandomi allo specchio che giaceva riposto all’angolo della stanza. Le borse sotto agli occhi stavano ormai prendendo sempre più territorio, gli occhi cerulei sembravano quasi pallidi e le labbra secche. I lunghi capelli castani erano simili a un nido di rondini prima di passarci la spazzola in mezzo. Guardai il mio riflesso e decisi che per quella mattina non avevo voglia di iniziare a giocare a quanti difetti notavo nella mia corporatura del tutto normale o nelle mie gambe, piuttosto che su quei quattro brufoli che comparivano sul mio viso. Mi vestii velocemente e mi truccai quanto bastava, specialmente per coprire le occhiaie, presi lo zaino da terra e tornai al piano inferiore.

Il pensiero di dover iniziare il quarto anno delle superiori era tragico ma d’altronde necessario. Nathan avrebbe iniziato il primo anno del liceo quella mattina, non la mia stessa scuola però. Ero sicura che sarebbe andato alla grande. Il suo carattere esuberante e il suo cuore buono lo avrebbero portato a far breccia nel cuore di molta gente. Tutto il mio contrario d’altronde ma quando sei al 75% delle superiori, quel che è fatto in termini di socialità è fatto. Sembra quasi come se venga scolpito nella pietra tutto quello che fai e chi sei nei primi quindici giorni del tuo primo anno e nessuno potrà mai dimenticare nulla.

Un tonfo alla mia sinistra mi riportò fuori dai miei pensieri. Buttai lo zaino in terra e mi diressi verso la fonte del rumore. Un libro era caduto dalla libreria nel salotto. Era posizionato male? Lo presi da terra. Enciclopedia del mondo. Mamma aveva delle strane voglie quando si trattava di leggere. Ogni tanto, mentre eravamo tutti seduti a vedere un film, si alzava dicendo “Voglio rileggermi Cime Tempestose” e così seguitava a fare.
Ma l’enciclopedia del mondo? Perché mai avrebbe dovuto leggere una cosa simile?

Mi rialzai, posizionando il libro nella sua posizione originaria ma forzai troppo e quello accanto mi sembrò rovinarsi. Voltai lo sguardo ma sia mia madre, sia mio fratello erano ancora al piano di sopra. Estrassi il libro accanto all’enciclopedia e capii subito di cosa si trattava. La sua forma rettangolare e la copertina in velluto di colore blu, mi fecero riconoscere immediatamente il vecchio album di famiglia. Sorrisi amaramente mentre aprivo la prima pagina ma le mie labbra assunsero immediatamente la forma di una linea dritta. Nella prima foto che raffigurava noi tre e mio padre, il suo volto era completamente sbiadito. Papà se n’era andato tanti anni fa da casa nostra. Io ero piccola e mio fratello era nato da qualche mese quando d’improvviso sparì. Chiedere a mia madre cosa fosse successo di preciso quel giorno era come giocare al lotto, a seconda del suo umore poteva rispondere bene, seppur brevemente, o tagliare corto la discussione. Sapevo solo che lui era da qualche parte nel mondo e si era rifatto una famiglia ma non aveva più intenzione di prendersi cura di noi, così scrisse nell’ultima lettera spedita e indirizzata a noi, circa 8 anni fa. La mia attenzione ricadde nuovamente sull’album di foto e sfogliai velocemente tutte le pagine. Le foto all’interno erano tutte rovinate. Tutti quei ricordi rovinati per sempre.

«Che combini?»

La voce di mio fratello alle mie spalle mi fece sobbalzare. Richiusi velocemente l’album e lo rimisi al suo posto. Ricacciai velocemente le lacrime che stavano prendendo posto, pronte ad uscire e mi voltai.
«Nulla, era solo caduto un lib-» non riuscii nemmeno a terminare la frase. La testa iniziò a martellarmi, le orecchie fischiarono e mi si annebbiò la vista per qualche secondo. Mi sembrò di vedere qualcosa vicino a mio fratello. O qualcuno. Ma fu rapido perché come i sintomi arrivarono, se ne andarono, con la stessa velocità.

«Ehi tutto ok?» Nathan fece per avvicinarsi ma fu fermato dalla mia mano destra tesa verso di lui.
«Tutto ok, i soliti sintomi.» dissi, riprendendo un attimo fiato mentre mia mamma sbucava dalla cucina. «Mamma sono arrivati i risultati delle analisi che ho fatto?» mi portai le dita sulle tempie, massaggiandole.
«Dovrebbero arrivare nel pomeriggio e poi li porteremo dal dottore. Speriamo di poter finalmente scoprire cosa si cela dietro questi tuoi continui mal di testa decisamente estremi» disse, buttando giù l’ultimo sorso di caffè dalla tazzina che teneva in mano. Mi avvicinai all’ingresso e tirai giù dall’attaccapanni la giacca nera. Il fresco di Settembre poteva comunque mietere vittime, tra cui le mie tonsille, specialmente a quell’ora.
«Andiamo forza, o faremo tardi» disse mia madre, mettendosi in spalla la borsa.
«Certo, potremmo unirci al consiglio del professori arrivando a quest'ora, o addirittura aiutare il personale scolastico a pulire le aule!» replicò mio fratello, strappandomi una risata.

Eravamo pronti, lui per l’inizio di un nuovo percorso e io per il continuo del mio.
Chiusi la porta di casa senza riuscire a lasciare dietro la porta quella sensazione di angoscia e inquietudine che ora aleggiavano sul mio petto.
   
 
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